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Autore: Dear Aunt Elladora    08/03/2006    1 recensioni
Non riusciva a più a distinguere chi era il burattino e chi il mastro burattinaio, chi avesse davvero condotto il gioco, chi fosse la preda e chi il cacciatore. E forse non le importava neanche: lui era morto e lei era pazza e rosa dal rimorso.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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NOTTE

NOTTE

 

Mi dispiace veramente
che sono ancora qui a parlare di noi,
ma è il mio modo di espiare 
colpe a cui non sono date 
alternative valide.

"...Ero così bella nella mia complicità 
l'anima gemella della tua felicità. 
Eri tu così per me. Ma l'incantesimo 
la tua bacchetta l'ha spezzato poco a poco..." 

Eri tu così per me 
ero io così per te 
eravamo l'un per l'altra incorruttibili 
eri tu così per me 
ero io così per te 
ma l'incantesimo si è spento poco a poco.

 

Bellatrix Lestrange fissava l'ombra che la luna rifletteva sul soffitto della sua stanza da letto. Gli occhi vigili ne seguivano le mutazioni provocate della nuvole. 
Accarezzò il copriletto impolverato, lo stesso pesante e scuro che si trovava lì da quando si era sposata, e si concesse un sorriso al ricordo che il contatto con quella stoffa le procurava, prima che la bocca si decontraesse nuovamente nella sua linea dura ed esangue.
Molte cose erano cambiate da quando aveva messo piede per l'ultima volta nella casa dei suoi genitori per il fidanzamento di Narcissa con Lucius Malfoy, sedici anni prima. 
Era stato un giorno felice quello, un giorno in cui aveva visto la sua famiglia riunita, prima dell'anarchia, prima del terrore.
Cercò di mettere a fuoco i ricordi ma dopo Azkaban, la sua mente amava ingannarla, distorceva in macchie confuse qualunque immagine le sovvenisse, le voci si accavallavano e lei impazziva ogni giorno un pochino.
Guardò la stanza scavando nella memoria alla ricerca di qualche ricordo felice, di qualcosa che potesse averla portata a tornare in un luogo che sentiva di non aver amato molto e, quando gli occhi si fermarono sulla finestra, procedette fino a poggiare le mani sul davanzale, guardò fuori ed improvvisamente ebbe di nuovo 17 anni.

Poter stare sveglia tutta la notte senza essere disturbata dalle voci assonnate delle sorelle era una delle cose che preferiva da quando aveva, finalmente, una stanza tutta sua. Seduta sul bordo del letto, le gambe penzoloni che non toccavano terra. Sul pavimento accanto alla porta stava il suo baule pronto per Hogwarts e, al contrario di Andromeda e Narcissa, lei, di tornare a scuola a vedere le solite vecchie facce, non aveva alcuna voglia.
Preferiva mille volte starsene ad osservare in silenzio la notte e la casa di fronte, la cupa e vittoriana residenza di Grimmauld Place.
Bellatrix sbatté le palpebre e l'immagine austera ma viva e vibrante di quella che era stata la casa dei Black svanì lasciando posto ad un vecchio edificio, abbandonato e spettrale. 
D'improvviso si ricordò che erano morti, tutti. Nessuno dei suoi abitanti era sopravvissuto: i suoi zii, suo cugino Regulus e suo cugino Sirius.
Ricordava, e lo ricordava perfettamente senza sfumature né echi, il suo sguardo quando era caduto attraverso il velo. Quello sguardo d'incredulità, di sgomento e per un lunghissimo istante di assoluto dolore perché a schiantarlo era stata lei.
Le sembrò di sentirlo quel dolore, caldo e pulsante. Pareva che si fosse di botto impadronito di ogni fibra del suo corpo, come se qualcuno le avesse scagliato contro una Cruciatus particolarmente efficace.
Lui non l'avrebbe mai fatto.
Si chiese quanto ci avrebbe messo stavolta Rodolphus a trovarla, se avesse già allungato il braccio nel loro letto e si fosse accorto che era sparita di nuovo. 
La trovava sempre. 
Anche se era stanco e smunto, anche se sembrava non essere più interessato alla vita, alla causa, a nulla, aveva sempre un sottile riguardo, nonostante lei fosse quella che era, a tratti lucida e fredda a tratti scostante e svanita. In fondo lo era sempre stata e Rod l'aveva sposata comunque, a dispetto di tutto e tutti, persino di lei, dei suoi lunghi silenzi, del suo fervore politico e della sua crudeltà. 
Amava suo marito di quell'amore fatto di sicurezza e di complicità. Lo amava eppure non gli era stata fedele neppure per un attimo: le grandi passioni della sua vita erano state la sua crociata e il suo odio per Sirius Black.
Seduta sul davanzale poggiava i piedi sullo stipite della finestra e, vista da lontano, poteva sembrare poco più adulta della ragazzina che aveva vissuto lì e che aspettava tutte le notti di vedere l'ombra sgattaiolare fuori e dirigersi nel parco verso la siepe che divideva le loro proprietà e che poi saltava giù per raggiungerlo in quell'esatto istante. 
Una volta, dopo che era passato parecchio tempo dal loro ultimo incontro, si era lasciata cadere così senza neanche coprirsi, lasciando affondare nella neve fresca le gambe nude, che diventavano più violacee e dure ad ogni passo, con i capelli al vento e gli occhi spiritati.
Lui l'aveva guardata ma non le aveva detto nulla, le aveva preso la mano e l'aveva condotta con sé. 
Passavano le notti a parlare nello stretto lettino che faceva parte dell'arredamento della casetta dei giochi, la bellissima casetta in miniatura che suo padre aveva fatto costruire perché "le bambine ci giocassero". L'unica che ci avesse realmente giocato era stata Andromeda, lei e Narcissa, seppur per motivi diversi, non trovavano quella simulazione casalinga molto attraente. 
"Tu sei pazza Bellatrix Black: avresti dovuto vestirti.
"Non ci ho pensato" aveva risposto lei tranquillamente "Ti ho visto ed ho pensato che mi mancavi e sono saltata giù"
Sirius non faceva domande, non questionava mai la sua folle logica: gli bastava avere il totale possesso di lei. Ed era per questo che lo amava più di chiunque altro, per questo tra le sue braccia non doveva dimostrare nulla. Le loro notti erano la sua pace, non come a scuola in cui doveva atteggiarsi alla perfette Miss Black chiusa nel rigido contegno che le era stato insegnato, né tanto meno come a casa dove era solo la sorella di Cissy e Meda, la prima bellissima e mite, la seconda brillante e spigliata, dove tutto era irrimediabilmente competitivo. Nonostante ciò era fiera del nome che portava, della nobiltà e della purezza del sangue che le scorreva nelle vene, tanto fiera da rischiare per esso la libertà, la dignità e l'amore.
Litigavano furiosamente per qualunque cosa e le loro liti finivano quasi sempre a botte:
si accusavano e si accapigliavano fino a che le parole non erano più sufficienti a farsi valere.
Era quasi sempre lei a cominciare: lo stuzzicava e tirava la corda finché suo cugino la picchiava fino a farle davvero male sopraffatto dall'istinto omicida che solo Bellatrix sapeva provocare. Le piaceva il dopo, il fare la difficile, mentre lui era costretto a fare ammenda per qualcosa che aveva deliberatamente innescato. Le piaceva farlo sentire in colpa perché era l'unico modo per piegarlo, per farlo totalmente suo.
Le sfuggiva sempre. Nonostante fosse la sua confidente, la sua amante, il suo unico amore, c'era qualcosa in Sirius che rimaneva distaccato. Piccole ombre e bugie che lei non capiva né sopportava e le faceva venir voglia di farlo soffrire, di torturarlo, anche se lasciava che fosse lui a picchiarla.
Questo naturalmente finché non aveva imparato quello per cui sarebbe diventata nota: la Maledizione Cruciatus. La prima volta che gliel'aveva scagliata contro era rimasto sorpreso, poi si era contorto dal dolore ed infine, quando aveva smesso, si era messo a ridere e l'aveva baciata.
"Brava, brava la mia piccola Trixie. Tua madre dovrebbe essere fiera della precisione con cui lo fai. Dove l'hai imparato? Non credo che le insegnino neanche al settimo anno… 
Bellatrix si vide sibilare: "Non chiamarmi Trixie! È orrendo! E non ho alcuna intenzione di dirti come ho imparato. Un giorno lo saprai… tutti lo sapranno"
Sirius aveva alzato le spalle.
"Se lo dici tu. Ad ogni modo, Trixie, adoro il modo in cui lo dici… 'Crucio'.
Lei aveva tirato fuori la bacchetta e lo aveva detto di nuovo e di nuovo e di nuovo finché Sirius non aveva perso i sensi. 
Si sorprese a pensare che era solo colpa sua se era diventata quello che era. Era colpa sua se aveva venduto l'anima all'Oscuro Signore, se era un'assassina, se era impazzita: lui le aveva fatto amare la crudeltà ed il sadismo, lui aveva creato un mostro ammantandosi di coraggio e nobiltà, lui l'aveva costretta ad ucciderlo sapendo che non se lo sarebbe mai perdonata. Non riusciva a più a distinguere chi era il burattino e chi il mastro burattinaio, chi avesse davvero condotto il gioco, chi fosse la preda e chi il cacciatore. E forse non le importava neanche: lui era morto e lei era pazza e rosa dal rimorso. 
Avevano perso entrambi.
Una mano le toccò la spalla riportandola alla realtà e la figura alta e bohemién di Rodolphus uscì dall'ombra dietro di lei.
"Andiamo a casa Bella? Fa un freddo fottuto qui. 
Fece per chiudere la finestra ma sua moglie lo fermò, stringendogli il polso.
"Ancora un attimo" sussurrò visualizzando un'ultima immagine: lei che gli raccontava la verità e Sirius che la guardava con odio. Lei che lo rinnegava e lui che le diceva che gli sarebbe appartenuta per sempre in ogni caso. Lei che gli aveva detto addio giurandogli che l'avrebbe ucciso se l'avesse ostacolata.
Scosse la testa e scese dal davanzale.
"Andiamo a casa… andiamo a casa." Fece qualche passo incerto poi fissò il marito e disse:
"Non vuoi sapere a cosa stavo pensando?"
"No.
"Invece io voglio dirtelo. Pensavo a mio cugino Sirius, a come l'ho amato e a come l' ho ammazzato. Ti ho mai raccontato che ci incontravamo la notte proprio in quella casetta laggiù" mormorò, gli occhi febbrili puntati sul tetto di mattoni rossi che spuntava dagli alberi.
Rodolphus si accese una sigaretta e poi le risposte pacato: "No, Bellatrix, non me lo hai mai raccontato. Vogliamo andare ora?" 
La donna, che ora dimostrava tutti i suoi anni, prese docilmente la mano che il marito le tendeva mentre con l'altra si arrotolava una lunga ciocca di capelli sul dito e la tirava con forza.

  
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