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Autore: mieledarancio    24/06/2011    5 recensioni
«Andiamo a casa», mormorò piano Hunith, abbracciandolo un'ultima volta e rimettendolo coi piedi a terra.
Merlin le prese la mano e insieme si avviarono lungo la strada che li avrebbe riportati ad Ealdor.
Sarebbero trascorsi anni, prima che il piccolo mago rimettesse piede a Camelot.
Merlin non era pronto per conoscere e compiere il suo destino.
Arthur non era pronto per diventare Re.
Per il momento, le loro strade dovevano restare separate.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Disclaimer: I personaggi di questa Fan Fiction non mi appartengono e niente di tutto ciò è vero, poiché è soltanto frutto della mia mente malata.











A little prince and a little sorcerer











L'ennesimo sospiro risuonò nella stanza vuota e silenziosa del piccolo Principe. Arthur, affacciato alla finestra in punta di piedi, scrutava con occhi tristi e quasi invidiosi la gente che camminava fuori nella Piazza Grande. La sua attenzione era attirata da un gruppo di bambini poco più grandi di lui, che giocava a nascondino proprio sotto al suo naso. Avrebbe tanto voluto uscire e giocare con loro.

«Arthur, che stai facendo?», tuonò la voce severa di Uther.

Arthur si voltò sorpreso, ritrovandosi ad osservare quasi con timore la figura del padre, che rapidamente si stava avvicinando a lui. Che cosa aveva fatto di male, quel giorno?
Uther lo allontanò dalla finestra, chiudendola quasi con violenza. Sembrava arrabbiato, ma il piccolo Principe proprio non riusciva a capirne il motivo.

«Non dovresti perder tempo in questo modo. Il tuo maestro ti sta aspettando per l'addestramento».

Arthur imbronciò le labbra, indispettito. L'addestramento alle armi e al combattimento gli piaceva, ma era stufo di praticarlo tutti i giorni; in quel momento, per esempio, avrebbe tanto voluto uscire dal castello.

«Oggi non ne ho voglia», rispose con decisione, gonfiando le guanciotte paffute.

Uther si ritrovò a sorridere davanti a quella scena: l'espressione del figlio, così imbronciata, era buffa e il suo modo di fare gli ricordava molto se stesso. Era testardo ed era difficile persuaderlo quando non voleva fare qualcosa. Ma non doveva farsi intenerire: Arthur sarebbe diventato Re, un giorno, e perciò era costretto ad adempiere ai suoi doveri, nonostante avesse soltanto cinque anni.

Si inginocchiò davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi. «Non dovresti fare i capricci, Arthur».

Il piccolo Principe incrociò le braccia al petto e con un cenno del capo indicò la finestra chiusa. «Tutti i bambini sono fuori a giocare, oggi. Voglio farlo anch'io!».

Il Re gli mise una mano sulla spalla e gliela strinse con forza, facendogli male. «I bambini normali possono permettersi di giocare, ma non il futuro Re di Camelot», gli spiegò severamente.

Arthur dischiuse le labbra, confuso. I bambini normali? Che cosa c'era di sbagliato in lui? Perché non rientrava nella categoria dei bambini normali?

«Ma-».

«Niente "ma", Arthur. Oggi affronterai l'addestramento, che ti piaccia o no».

Arthur si zittì, consapevole di essere stato sconfitto da suo padre. Lo osservò rimettersi in piedi e uscire dalla stanza a grandi falcate, lasciandolo solo con i suoi dubbi.
A cinque anni, si può comprendere l'importanza di essere l'erede al trono di un grande regno? A cinque anni, si possono preferire le armi ai giocattoli? E, a cinque anni, si può capire la differenza fra un bambino normale e un piccolo Principe?
Arthur tornò a guardare fuori dalla finestra, mentre i suoi occhi cominciavano a diventare umidi. In quel momento avrebbe tanto voluto essere un bambino normale.









† † †









«Dove siamo, madre?».

Il piccolo Merlin si aggrappò sfinito alla lunga gonna di sua madre, respirando pesantemente. Le sue gambe, ancora troppo corte, riuscivano a stento a tenere il passo. Erano ore che camminavano.
Hunith abbassò lo sguardo, posandolo sul figlio: il suo viso minuto e solitamente pallido era quasi roseo, in quel momento, e i capelli corvini erano talmente sudati e appiccicati al capo da mettere ancora più in risalto le grandi orecchie a sventola. Per tutto il tempo che avevano passato a camminare, non si era lamentato neppure una volta e aveva sopportato la fatica in silenzio, oppure con un sorriso. Il suo Merlin era l'unica cosa sulla faccia della Terra che la rendesse veramente orgogliosa di se stessa: aveva fatto un piccolo capolavoro.

Sorridendo intenerita, si chinò e lo prese in braccio, stringendolo al petto, incurante della fatica che appesantiva le sue membra. «Questa è Camelot, Merlin».

«Camelot?», domandò il piccolo, avvolgendo il collo della madre con le braccia e prendendo a guardarsi intorno affascinato.

Era davvero un bel posto, come non ne aveva mai visti prima. Ealdor, la sua casa, era un piccolo paesino con qualche recinto e pochi campi da coltivare, niente in confronto a quelle possenti mura che aveva di fronte. La gente camminava attorno a loro con fare indaffarato, ma con il sorriso sulle labbra. Sembravano sereni.
Merlin si ritrovò a sorridere meravigliato, mentre Hunith cercava di farsi spazio fra le persone che le impedivano il passaggio.

«E perché siamo venuti fin qui?», domandò ancora il piccolo.

«Stiamo andando a trovare un vecchio e caro amico».

«Un amico?».

«Gaius. Vedrai, lui saprà darci una spiegazione riguardo alle tue... capacità».

Le ultime parole, Hunith le aveva sussurrate.
A Camelot la magia era stata bandita ormai da anni e, se si fosse venuto a sapere che in città era appena arrivato uno stregone, Uther avrebbe dato l'ordine di trovarlo e di giustiziarlo.
Merlin aveva soltanto cinque anni ed era in possesso di un potere enorme, un potere che neanche lui stesso era consapevole di avere; faceva delle cose, spostava gli oggetti con il pensiero, e neppure si chiedeva come riuscisse a farlo. Era tutto così automatico e naturale per lui. In fondo, era soltanto un bambino.
Hunith gli aveva raccomandato più volte di non usare la magia in presenza di altre persone al di fuori di lei, ma Merlin non aveva capito il motivo di tale divieto. La magia era parte di lui. Perché usarla sarebbe stato un reato? Che cosa c'era di sbagliato in lui?
Non aveva mai trovato una risposta alle sue domande, ma forse Gaius, questo famoso amico di sua madre, sarebbe stato capace di dargliele.









† † †









Se suo padre fosse venuto a conoscenza della sua fuga - e qualcuno, prima o poi, lo avrebbe avvertito -, non gliela avrebbe fatta passare liscia. Aveva saltato l'addestramento per uscire fuori dal castello e questo comportamento, da parte di un Principe, era inammissibile.
Leon, un ragazzino poco più grande di lui, che spesso partecipava a sua volta all'addestramento per diventare cavaliere di Camelot, aveva cercato di fargli capire che disubbidire al Re non era una buona idea, ma Arthur non aveva voluto sentir ragioni. Quel giorno sarebbe uscito a giocare con gli altri bambini, anche se questo avrebbe comportato la furia di suo padre.

«Sire, è proprio sicuro di non voler tornare indietro?», tentò di convincerlo ancora una volta Leon, il quale, alla fine, aveva deciso di seguirlo per controllare che non gli succedesse nulla di male.

Per essere soltanto un ragazzino, era piuttosto maturo rispetto a quelli della sua età. Sapeva già cosa volesse dire essere fedele al proprio Re e al proprio Principe, anche se, doveva ammetterlo, assicurarsi che quest'ultimo non si cacciasse nei guai cominciava ad essere un tantino complicato. Tuttavia, non gli avrebbe mai voltato le spalle.
Arthur ne era certo: un giorno Leon sarebbe diventato un buon cavaliere. Sir Leon.

«Dove stiamo andando, esattamente?», gli chiese quando non ricevette alcuna risposta alla prima domanda.

Il piccolo Principe saltò gli ultimi gradini del castello e prese a scrutare attentamente la Piazza Grande, in cerca del gruppo di bambini che aveva visto dalla finestra della propria stanza. Quando lo individuò, il suo viso si illuminò di gioia.

«Andiamo a giocare!», esclamò euforico.

Leon lo vide scattare in avanti e raggiungere di corsa gli altri bambini, che, non appena lo notarono, si bloccarono sul posto, incerti sul da farsi. Sapevano che Arthur era il Principe, nonché il futuro Re di Camelot, e ingenuamente lo temevano: una mossa sbagliata avrebbe potuto irritarlo e a quel punto sarebbero stati guai. Inoltre, conoscevano la sua arroganza e il suo caratteraccio, o, per lo meno, ne avevano sentito parlare.
Leon riconobbe nei sorrisi tirati con cui i bambini accolsero il piccolo Principe il nervosismo e l'agitazione tipica di chi non lo conosceva affatto. In fondo, Arthur era un bambino come tutti gli altri, che sotto la prepotenza nascondeva un animo buono e gentile. Non era come Uther e non lo sarebbe mai stato.
Un giorno il popolo avrebbe imparato a conoscerlo e ad amarlo. Un giorno sarebbe diventato il più grande Re che Camelot avesse mai avuto.

«Gioco anch'io con voi!», urlò Arthur con strafottenza, mischiandosi agli altri bambini.

Questi sorrisero appena, ma non protestarono. Se il piccolo Principe voleva qualcosa, la otteneva.
Ci sarebbe voluto del tempo, prima che Arthur cambiasse. Anni, probabilmente. E forse l'aiuto di qualcuno non sarebbe guastato.









† † †









«Interessante».

Gaius aveva ascoltato con attenzione ogni singola parola di Hunith, che in quel momento sedeva di fronte a lui, nella sua casa. Stentava però a credere che quel bambino così mingherlino e con le orecchie a sventola che la affiancava potesse praticare la magia a quell'età. Era troppo giovane per averla studiata e appresa.

La donna accarezzò dolcemente il capo del figlio, scompigliandogli i capelli corvini. «Merlin, ti va di far vedere a Gaius cosa sai fare?», gli chiese con un sorriso.

Il piccolo Merlin, che fino a quel momento si era rifiutato di guardare direttamente Gaius, posò il suo sguardo incerto proprio su di lui. Non gli incuteva timore, ma si sentiva comunque restio a mostrargli i suoi poteri. Che cosa avrebbe provato?
Tornò a fissare sua madre e scosse vigorosamente il capo.

«Su, avanti. Non essere timido. Di lui ti puoi fidare», lo incoraggiò lei, prendendo una mela dal cesto della frutta posato sul tavolo e mettendogliela davanti agli occhi.

Voleva che la facesse levitare. A casa lo faceva spesso con gli oggetti.
Merlin guardò ancora una volta quel vecchio amico di sua madre, il quale continuava ad osservarlo impassibile, quasi lo stesse studiando. Si sentì estremamente a disagio e in quel preciso istante decise che non gli avrebbe mostrato i suoi poteri; erano un segreto, il suo segreto, e dovevano restare tali. Sì, avrebbe tanto voluto delle risposte ai suoi dubbi, ma non in quel momento. Non era pronto.

«Forza, tesoro», lo spronò ancora una volta Hunith.

Gaius notò l'evidente agitazione del piccolo Merlin e tentò di venirgli in contro. «Forse è stanco. Non forzarlo, Hunith».

La donna studiò il viso pallido del figlio e comprese il suo disagio. Aveva sbagliato a metterlo così sotto pressione. Gli aveva insegnato a non mostrare i suoi poteri in presenza di altre persone e ora gli stava chiedendo di farlo. Forse avrebbe soltanto dovuto accettare il fatto che suo figlio era speciale e non indagare oltre. Il tempo, prima o poi, avrebbe dato loro le risposte che tanto cercavano.

Rimise la mela al suo posto e accarezzò per l'ennesima volta il capo del piccolo Merlin. «Potresti aspettarci fuori, Merlin? Tua madre deve scambiare due parole in privato con Gaius», gli chiese con un sorriso.

Lo vide annuire incerto, ma sollevato. Lo aveva liberato da un peso enorme.
Mentre il bambino usciva a passo spedito dalla stanza, Gaius non poté far a meno di pensare che probabilmente Hunith si era sbagliata nei confronti del figlio: era impossibile che un bambino di cinque anni conoscesse la magia. Doveva esserci un errore.









† † †









«Non mi prenderete mai!».

Leon, seduto sui gradini del castello, osservava divertito il piccolo Principe correre e farsi beffe degli altri bambini, che in confronto a lui erano molto più lenti. Scosse appena il capo: Arthur era sempre convinto di essere il migliore di tutti in tutto. In un certo senso, era buffo.

«Mezze calzette!».

Arthur aumentò la velocità, prendendo a correre in mezzo alla gente indaffarata che cercava di svolgere il proprio lavoro nella Piazza Grande. Stava disturbando la maggior parte di loro, ma poco importava: si stava divertendo e non capitava da tanto tempo.
Voltò il capo per tener d'occhio il bambino che lo stava rincorrendo, ma quello non riusciva a stargli dietro. Si sentiva un portento, una forza della natura.

«Sono il massimo che sia mai esistito!», gridò euforico, ridendo di gusto. «Sono-».

Il corpo duro e ossuto contro cui andò a sbattere interruppe il suo momento di gloria. Basito, strinse forte le palpebre e i denti, mentre ricadeva all'indietro sul fondoschiena, atterrando nella polvere e ritrovandosi a tossire.

«Ma che...?», borbottò fra i colpi di tosse.

Quando riaprì gli occhi, si ritrovò a fissarne un paio azzurri come il cielo; erano enormi e si trovavano a pochi centimetri di distanza da lui. Un bambino dai capelli corvini e le orecchie a sventola, seduto a terra proprio come lui, lo stava fissando sconvolto, come se avesse appena visto un fantasma; probabilmente la colluttazione lo aveva preso alla sprovvista e disorientato.
Arthur corrugò la fronte e studiò con più attenzione quel bambino magro e a tratti spaurito. Come diavolo si era permesso di mettersi sulla sua strada e fargli fare quella figura davanti agli altri bambini? Chiunque fosse, gliela avrebbe fatta pagare.

«Come hai osa-».

«Arthur!».

La voce di Uther risuonò severa nella Piazza Grande. Il piccolo Principe spostò lo sguardo dal bambino al padre, che con fare minaccioso stava scendendo le scale del castello.
Questa volta l'aveva fatta grossa.

«Che ti è saltato in mente?!», sbottò il Re, raggiungendolo in fretta e furia.

Gli mise le mani sotto le ascelle e lo sollevò da terra, prendendolo in braccio senza il minimo sforzo. Quando Arthur si ritrovò faccia a faccia con suo padre, per un istante temette che lo picchiasse; non aveva mai avuto paura di lui, ma in quel momento era furioso e capace di tutto.

«Io, volevo solo-», tentò di giustificarsi.

«Questa volta non la passerai liscia, Arthur», lo interruppe Uther. «Il tuo comportamento è inammissibile».

Togliendogli qualsiasi opportunità di ribattere, se lo caricò su una spalla e con passo spedito prese a risalire le scale del castello.
Leon, che aveva assistito alla scena col cuore in gola, fu subito dietro di loro. In fondo, gli dispiaceva che il piccolo Principe fosse stato scoperto.
Arthur si sentì immensamente umiliato e, anche se in futuro avesse voluto tentare ancora di sfuggire ai suoi doveri, non ne avrebbe avuto il coraggio, dopo la figura che aveva fatto. Con l'espressione del viso imbronciata, osservò le sue braccia penzolare quasi senza forza lungo l'ampia schiena del padre, non desiderando guardare altro.
Qualcosa, però, lo spinse ad un certo punto ad alzare lo sguardo e a puntarlo proprio sull'unica persona che non avrebbe voluto vedere: quel bambino dai capelli corvini e dalle grandi orecchie a sventola era ancora seduto a terra e lo stava fissando con un'espressione incuriosita.
Nel momento in cui i loro occhi si incontrarono, Arthur sentì una scarica elettrica attraversargli la spina dorsale.
Non poteva sapere che gli occhi che stava fissando lo avrebbero accompagnato per tutta la sua vita.
Non poteva sapere che quegli occhi appartenevano all'uomo che un giorno sarebbe diventato il suo più grande amico.
Non poteva sapere che quegli occhi appartenevano a quello che un giorno sarebbe diventato il più grande mago di tutti i tempi.
Aveva appena incontrato l'altra faccia della medaglia.









† † †









Il piccolo Merlin ancora non riusciva a realizzare ciò che era appena successo. Non era stata la colluttazione a stordirlo in quel modo, no.
Forse il fatto che appena il suo corpo e quello del bambino biondo erano entrati a contatto aveva provato una scarica elettrica fortissima lungo la spina dorsale.
Forse il fatto che quando i loro occhi si erano incontrati aveva sentito dentro di sé i propri poteri ancora acerbi agitarsi, rischiando di sfuggire al suo controllo.
Era una sensazione che non aveva mai provato prima.
Non poteva sapere che gli occhi che stava fissando lo avrebbero accompagnato per tutta la sua vita.
Non poteva sapere che quegli occhi appartenevano all'uomo che un giorno sarebbe diventato il suo più grande amico.
Non poteva sapere che quegli occhi appartenevano a quello che un giorno sarebbe diventato il più grande Re che Camelot avesse mai conosciuto.
Aveva appena incontrato l'altra faccia della medaglia.









† † †









«Non so come ringraziarvi, Gaius».

Hunith varcò la soglia della porta, mentre un venticello leggero portava con sé un po' di sollievo dall'afa dell'estate.
Era felice, perché avere qualcuno su cui poter contare nel momento del bisogno era davvero una gran soddisfazione.

Il vecchio cerusico le posò comprensivo una mano sulla spalla e le sorrise cortesemente. «Non devi. Per me sarebbe un piacere occuparmi di Merlin, nel caso i suoi poteri dovessero realmente confermare la loro esistenza».

La donna sorrise e gli strinse amorevolmente una mano fra le sue. «Chissà che cosa ci riserva il futuro...».









† † †









«Merlin!».

La voce di sua madre lo fece sobbalzare bruscamente: era ancora intontito e turbato da ciò che era appena successo.
Voltò appena il capo e vide Hunith correre verso di lui, l'espressione del volto preoccupata.

«Ma che cosa ti è successo? Perché sei seduto nella polvere?», gli chiese la donna, prendendolo in braccio e scrutando attentamente il suo viso, in cerca di ferite o di lividi.

A volte era fin troppo apprensiva nei suoi confronti.

«Sono caduto», si giustificò il piccolo Merlin, cercando di rassicurarla.

«Oh, sei tutto sporco di terra...».

Hunith lo strinse più forte a sé, spolverandogli amorevolmente i vestiti con una mano. Merlin approfittò di quel momento per guardare ancora una volta il punto in cui poco prima aveva visto scomparire il bambino biondo, aspettandosi quasi di vederlo uscire di nuovo dal castello, confermando quella strana sensazione che aveva provato dentro di sé quando lo aveva guardato negli occhi.
Di lui, col tempo, non avrebbe ricordato altro che quelli.

«Andiamo a casa», mormorò piano Hunith, abbracciandolo un'ultima volta e rimettendolo coi piedi a terra.

Merlin le prese la mano e insieme si avviarono lungo la strada che li avrebbe riportati ad Ealdor.
Sarebbero trascorsi anni, prima che il piccolo mago rimettesse piede a Camelot.
Merlin non era pronto per conoscere e compiere il suo destino.
Arthur non era pronto per diventare Re.
Per il momento, le loro strade dovevano restare separate.









† † †









Col tempo, il ricordo del loro incontro andò sbiadendo in entrambi, fino a quando non scomparve completamente dalla loro memoria.
Forse era così che doveva andare.
Le due facce della stessa medaglia non erano ancora pronte per essere unite.









† † †









«Ehi... Avanti, basta così».

Arthur inarcò un sopracciglio e guardò basito quel ragazzo dai capelli corvini e dalle grandi orecchie a sventola che aveva appena interrotto il suo allenamento quotidiano; anche se, più che allenarsi, si stava letteralmente facendo beffe del suo servitore. «Cosa?».

Merlin sorrise e scrollò le spalle. «Ti sei divertito, amico mio».

Il Principe corrugò la fronte e gli andò in contro. «Ti conosco?».

«Ah, sono Merlin».

«Quindi non ti conosco».

«No».

«Ma mi hai chiamato "amico mio"».

Merlin imbronciò appena le labbra. «È stato un mio errore».

«Sì, lo penso anch'io».

«Già... Non ho mai avuto un amico così asino».









† † †









Le due facce della stessa medaglia, ora, erano finalmente pronte per essere unite.
Ed è così che la storia inizia.






















NdA: Come al solito, ecco qua una delle mie stupide idee. In un momento di noia totale, la mia mente malata si è messa a fantasticare su Merlin - sarà l'astinenza? Non ce la faccio più: voglio la quarta stagione! - e questo è il risultato.
Arthur e Merlin in formato mini e patatoso mi sembravano troppo teneri. ♥
Sappiamo che si conosceranno soltanto da grandi, ma mi piaceva l'idea di farli incontrare prima, in circostanze diverse. Ho quindi cambiato e anticipato un paio di cosette, sperando di non aver fatto troppi casini.
Spero vi piaccia.
Dedico la storia ad Agnese e ad Elisabetta, senza le quali non saprei come fare.
Buona lettura! ;)
   
 
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