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Autore: Mirokia    24/06/2011    6 recensioni
Dave non aveva mai davvero pianto, se non per un ginocchio sbucciato o per un brutto voto scolastico.
Dopo aver baciato Kurt ed essere stato respinto, però, la sua prima vera lacrima aveva fatto capolino. Ma lui l’aveva pulita via all’istante, non voleva ancora piangere, si era costruito quella corazza durante tutti quegli anni e non voleva mollare per una stupidissima fatina sberluccicosa apparsa improvvisamente nella sua stupidissima vita priva di alcuna luce.
Ma adesso piange davvero. E’ la prima volta che versa così tante lacrime, la testa già gli pulsa e sente il cuore esplodergli nel petto. Ama Kurt tanto da piangere per lui, e mai l’aveva fatto. Di tutte le fregature che gli ha riservato la vita, questa è sicuramente la peggiore e la più dolce.
...
Se mai avesse detto a Kurt di amarlo, magari con quelle lacrime agli occhi, e magari gli avesse chiesto scusa come si deve, forse sarebbero state le prime parole sentite e sincere che avrebbe mai pronunciato nella sua stupida vita.
Stupida, orrenda vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se smetto di scrivere, muoio spiritualmente. Ecco come mi discolpo per aver scritto un’altra delle mie… cose.

Questa shot piuttosto lunga può rappresentare un “allungamento” di “How he fell for Him”, perché mi sono emozionata da sola quando ho scritto quella shot. E volevo scrivere qualcos’altro di simile, che non fosse incentrato solo su un paio di anni, ma tenesse in considerazione anche il passato e un ipotetico futuro.

E’ stato un lavoraccio, spero che qualcuno si degni di leggerla XD

 

 

Silly, silly life

 

 

 

David Karofsky era stato un bambino come tutti gli altri. Decisamente.

 

Amava stare tutta la giornata all’aria aperta, e se faceva brutto si chiudeva in cameretta a giocare coi videogiochi nuovi di zecca che gli portava lo zio dalla Germania. E’ vero, molti avevano come lingua disponibile solo il tedesco –come poteva essere anche lontanamente possibile?-, e a quel punto Dave premeva pulsanti a caso, e a volte s’innervosiva e andava a giocare con le piste di macchine, altre si divertiva e si fissava con lo stesso gioco anche per due ore di fila.

 

Se c’era il sole, preferiva sguazzare nella piscina di casa o stare nei dintorni con la propria bicicletta, a volte  col monopattino –i suoi non volevano che si allontanasse molto, tenevano particolarmente a quel loro unico figlio-.

 

Non amava molto la sua bicicletta. Era mezza scassata, e un suo vicino di casa lo prendeva in giro perché pedalava come una femminuccia e perché non sapeva tener fermo il manubrio, ma lui sapeva che era tutta colpa delle pessime condizioni in cui versava la suddetta bicicletta.

Un’altra bambina lo scherniva perché talvolta portava un papillon rosso sopra le camicie alle feste, ma lui si difendeva dicendo che era sua mamma che lo vestiva in quel modo, e lei rideva ancora di più.

Un’altra ancora era meno cattiva, si vedeva dal suo sguardo un po’ imbambolato, andava spesso da lui e gli chiedeva per quale motivo portava i capelli persino più lunghi dei suoi, che era una femmina.

 

Dave allora, che all’epoca aveva sì e no sette anni, aveva chiesto a sua madre com’è che gli faceva portare i capelli come una femmina, e quella gli rispondeva che non erano affatto da femmina e che erano adorabili, e che non doveva dare ascolto a quei velenosi dei loro vicini di casa.

Era andato anche da suo padre e gli aveva chiesto se per favore potesse avere una bicicletta nuova, possibilmente senza il cestino davanti, e magari di un colore diverso, da maschio. Paul gli aveva risposto con un distratto “Vedremo”, impegnato com’era col lavoro che s’era portato da fare a casa.

 

__

 

La ricevette una bicicletta, ma solo all’età di nove anni, quando ormai l’interesse per quel mezzo di trasporto era quasi sparito.

Ma forse fu proprio grazie –o a causa- di quella bicicletta nuova di zecca e di un bel blu elettrico che Dave era stato invitato alla festa di compleanno di Santana Lopez, appena trasferitasi da Lima Heights Adjacent a pochi isolati da casa sua.

Era stato piuttosto contento; era dura ammettere di non avere una vasta gamma di amici alla sua età, ma era così: forse era considerato troppo riservato e anche ingenuo per poter essere invitato ad ogni festa di quartiere.

Se solo avesse saputo quanto si sarebbe sentito male dopo quella festa, forse avrebbe deciso di rimanere a casa a giocare ai videogiochi, come se facesse brutto tempo: Santana Lopez e la migliore amica bionda Quinn Fabray l’avevano attirato con una scusa, poi l’avevano immobilizzato dalle braccia e ridevano mentre una terza bambina bionda, che di nome poteva fare Brittany –la stessa che rimaneva colpita ogni volta che vedeva i suoi capelli più lunghi del normale-, si divertiva a colorargli le unghie con lo smalto della madre dell’ispanica. Brittany adesso ripeteva che le sue dita sembravano l’arcobaleno, e non sembrava avere cattive intenzioni. Ma le altre due avevano fatto vedere le unghie dipinte di Dave agli altri bambini invitati, tra i quali c’era anche Scott Cooper, che aveva sghignazzato, gli aveva dato della femminuccia, aveva rubato una candelina dalla torta e aveva dato fuoco ai capelli di Dave. Quest’ultimo era rimasto immobile, avrebbe voluto piangere, ma sapeva di non doverlo fare, o sarebbe stato preso nuovamente in giro.

 

Paul Karofsky rimase molto offeso per quel gesto e preferì che suo figlio non andasse più ad alcuna festa di quartiere. Con una visita dal barbiere, i capelli folti e arruffati –e adesso anche bruciati- di Dave erano spariti lasciando la testa rasata e triste. Il barbiere gli aveva chiesto se volesse un disegno sulla testa, come per esempio un cicatrice. E lui aveva risposto che sì, ce la voleva.

Al suo ritorno a casa, le gomme della bicicletta erano state bucate e, non appena Burt era rientrato in casa, Scott Cooper era passato lì davanti con la sua, di bicicletta.

-Mio papà ha 40 anni ed è pelato, tu sei già pelato a nove anni!- gli aveva urlato. E ancora, Dave pensò che fosse poco saggio scoppiare a piangere, e che, invece, avrebbe dovuto iniziare ad arrabbiarsi.

 

Da quel momento, Dave decise di tenere i capelli sempre molto corti, badando però a non rasarli del tutto. Se aveva i capelli più lunghi di una spanna lo prendevano in giro, se li teneva più corti di un’unghia lo prendevano in giro lo stesso. Quindi trovò una via di mezzo e si sentì abbastanza a suo agio con quella scelta. Era anche potuto entrare negli scout, senza l’impiccio dei capelli o il timore di sembrare un deportato.

Stare negli scout lo teneva spesso fuori casa, e forse era più per quello che era entrato a far parte di quel gruppo, come l’aveva sempre spronato suo padre. Non è che volesse allontanarsi dai genitori, anzi, loro sembravano sempre protettivi e orgogliosi di lui, e questo orgoglio aumentava anche grazie ai buoni –buoni? Macchè, ottimi!- voti scolastici. No, lui voleva solo dimostrare ai suoi pseudo-amici che uno che entra negli scout non è una femminuccia, e tentare più che altro di dimenticare loro e i loro insulti.

 

__

 

Lo stesso giorno in cui compì tredici anni, suo padre perse il lavoro, ed era troppo dispiaciuto e frustrato per fare gli auguri come si deve al figlio. Gli organizzò la festa una settimana dopo, e Dave gli pregò soltanto di non ingaggiare clown e non mettere palloncini ovunque. Paul gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva detto  che era bellissimo vedere come suo figlio stesse crescendo sano, forte, onesto, buono e con un senso di civiltà fuori dal comune.

Alla festa invitò i suoi compagni di classe che, è vero, una volta erano soliti prenderlo in giro, ma da quando David era entrato negli scout e aveva iniziato ad allenarsi ad hockey, era diventato più robusto dei ragazzi della sua età, e il suo sguardo quasi sempre crucciato e severo lì fulminava, impedendo loro di sputare altre sentenze negative su di lui. Non riuscivano neanche a parlargli alle spalle.

Prima che arrivasse anche solo il primo invitato, Dave si era strappato di dosso il papillon rosso che sua mamma gli aveva raccomandato di indossare, s’era tolto la camicia a righe e l’aveva sostituita con una maglia più grande di almeno due taglie che s’era comprato di nascosto.

A quella festa si divertì, è vero, ma era stato tutto grazie a due ragazzi che s’erano trasferiti da poco nel quartiere: uno l’aveva conosciuto come Puck, ma non sapeva il suo vero nome, mentre il nome dell’altro era Finn. Loro si allenavano nel football, e sognavano di diventare degli atleti di fama quando avrebbero iniziato il liceo. Era lo stesso sogno che Paul Karofsky tentava di trasmettere a suo figlio, che adesso aveva le idee piuttosto chiare su quello che avrebbe fatto una volta al liceo.

 

__

 

L’anno dopo, si trasferì proprio nella casa accanto alla sua un’altra famiglia, e Dave pensò esasperato che non ne poteva più di questi trasferimenti. Se ne fosse andato almeno quel Cooper! Forse avrebbe vissuto meglio.

Il figlio della famiglia nuova arrivata non gli ispirava niente di buono, aveva l’aria particolarmente minacciosa. Più che minacciosa, diciamo spavalda. Era molto in carne per la sua età, e poi era di colore, e anche più rasato di lui. Dave aveva notato che i suoi genitori gli avevano raccomandato di andare a fare amicizia con lui, con David, perché talvolta lo indicavano con le dita e col capo. Poco carino da parte loro. Il ragazzo di colore diceva –Sì, sì, dopo ci vado.-, ma non si faceva vedere a casa Karofsky: forse anche lui trovava Dave poco amichevole, e scontroso, come se ce l’avesse col mondo. Poco importava: al momento aveva l’amicizia di Puck e Finn, e quei due bastavano e avanzavano.

Poi però, una fredda sera in cui aveva voglia di fare pazzie e di prendersi un accidente, Dave s’era ammollato nella piscina di casa, e il tipo di colore gli si era avvicinato a passo svelto.

-Posso usare la tua piscina?- aveva chiesto, anche se già s’era tolto la maglietta.

-Non sapevo ti piacesse fare il bagno nelle notti autunnali.- aveva risposto l’altro, e si sentiva anche piuttosto simpatico.

-Veramente non sai neanche come mi chiamo.- aveva ribattuto l’altro dopo essersi tolto anche i pantaloni. S’era tuffato senza ritegno e aveva mosso l’acqua in maniera incredibile, diciamo quasi svuotando la piscina. –Non credere che io sia frocio o roba del genere, mi hanno costretto a fare conoscenza con te.-

Dave aveva detto che lo sapeva, se n’era accorto, poi gli aveva stretto la mano, e gli aveva detto che poteva venire a fare il bagno quando voleva, tanto stava sempre solo.

 

Da quella volta, ogni sera i due si incontravano o in piscina, o sulla panchina del parco lì accanto, oppure giocavano a basket, si facevano due passaggi con la palla di football, e così Dave aveva scoperto che pure Azimio –quello era il nome del ragazzone di colore- giocava a football. Scoprì anche che uno dei motivi per cui si era trasferito era il fatto che i suoi genitori si ritrovavano a litigare coi genitori degli altri ragazzi del quartiere perché Azimio alzava “involontariamente” le mani su di loro. Era un suo difetto, non poteva farci niente.

E dopo parecchio tempo, Dave era riuscito a confidargli che per lui invece era stato l’opposto, lui era stato preso in giro dalla gente del quartiere e messo sotto pressione dai genitori che preferivano un taglio di capelli a un altro, un abbigliamento a un altro, e pretendevano che portasse sempre buoni voti a casa, e che fosse bravo anche nello sport. Azimio aveva scherzato dicendo che a questo punto, se avessero dovuto seguire gli schemi, lui avrebbe dovuto tirargli un pugno in faccia, così avrebbe fatto il suo dovere di bullo, e Dave sarebbe stato nel suo ruolo di vittima.

-Devono per forza esistere bulli e vittime?- aveva chiesto quella sera stessa Dave.

-Sì, è così che funziona, vedrai adesso che andremo al liceo. Abbatti gli altri, o gli altri ti abbatteranno. Tienilo bene a mente.-

-Mi fai la lezione adesso?-

Azimio aveva sorriso e aveva dato un pugnetto sulla spalla di Dave.

-Esatto, boy scout. Ci ritroveremo suddivisi in categorie al liceo, caro Karofsky. Io e te saremo i bulli e, perché no, anche gli sportivi fighi.-

-Non mi sembri per niente figo, tu.-

-Tu invece sei un adone, vero?-

-Io sono grasso. Esiste la categoria dei grassi?- aveva detto Dave palpandosi la pancia che lentamente cresceva insieme ai muscoli.

-Cheerleaders, sportivi, bulli. Queste sono le categorie che dovremo frequentare per mantenere alto il rispetto e la reputazione.- aveva risposto Azimio contando con le dita. –Nerd, secchioni, sfigati, emo, punk, froci e disabili. Questa è la gente a cui dovremo mostrare cos’è il rispetto.-

-Anche i disabili? Non ti sembra di esagerare?-

-Ascolta, i disabili sono sfortunati, no?-

-Penso di sì…-

-Quindi in poche parole sono sfigati. Sesta categoria: sfigati.- aveva messo in chiaro il ragazzo di colore col dito grassoccio alzato. –E’ così che va la vita al liceo. Fa’ in questo modo e sopravvivrai. Adesso magari anche tu fai parte di uno di questi ultimi gruppi, spero solo tu non sia frocio o emo, ma al liceo dovrai essere tu a prendere il controllo. Sei grande e grosso, dopotutto.-

-E ho abbastanza rabbia in corpo da spaccare la faccia a qualcuno.- aveva aggiunto Dave digrignando i denti.

-Ecco, vedi che ci capiamo? E poi, ecco, il Glee Club.- aveva continuato Azimio.

-Il Club canterino.-

-Sì, quello. Se mai tu dovessi entrare in quel Club di sfigati, non ti rivolgerei più la parola, sappilo. E diventeresti la mia prossima vittima.-

-Sei davvero temibile.- aveva scherzato Dave assumendo poi uno sguardo saccente.

-Non scherzo, potrebbe arrivarti la Distruzione sul muso.-

-La…Distruzione?-

-E’ il nome del mio destro. Dovresti darne uno anche al tuo.- gli aveva suggerito quello per poi dargli una pacca sulla spalla, salutarlo e andare a casa, ‘che era già troppo tardi per un ragazzino di 14 anni, anche se voleva tanto sembrare un duro.

Dave era rimasto solo sulla panchina e, anche se suo padre continuava a chiamarlo sul cellulare, preferiva prima dare un nome al suo destro. Era indeciso tra Rabbia e Furia. Era pieno di rabbia in corpo, e sentiva che se mai l’avesse scatenata, sarebbe diventato una furia. Poi però “Rabbia” gli sapeva troppo di malattia dei cani, e scelse Furia, convincendosi che fosse un nome abbastanza minaccioso.

 

__

 

Il primo giorno del liceo, Dave fu accompagnato in macchina da suo padre, e Cooper gli fece la pernacchia mentre se ne andava con il motorino e una ragazza a carico. Dave respirò forte col naso e si trattenne dal fargli un gestaccio con la mano giusto perché c’era suo padre in macchina con lui.

-Mi raccomando: Hockey oppure Football.- gli aveva detto Paul poco prima di mollarlo davanti a scuola. Quello aveva annuito mesto, ma pronto ad affrontare quegli anni di liceo, non dimentico di ciò che gli aveva detto Azimio.

 

Era riuscito a rientrare nella categoria dei bulli-sportivi, e si sentiva più agguerrito che mai. Aveva notato tre delle sue vecchie conoscenze, la Fabray, la Lopez e la Pierce, che se ne stavano lì nel centro del corridoio con addosso la divisa dei Cheerios, a truccarsi e a farsi belle, nonostante poco dopo avessero l’incontro con il Club della Castità. Lopez e Fabray non sembravano averlo riconosciuto, forse perché era diventato sin troppo alto e grosso, era un armadio ormai. E poi era un bullo, non poteva essere il bambino scemo e che pedalava come una femminuccia che conoscevano da piccole. Brittany invece s’era voltata quando l’aveva incrociato per la prima volta nei corridoi, e gli aveva fissato prima i capelli e poi le mani, e aveva borbottato: -Arcobaleni…- e forse si ricordava un po’ di lui.

Cooper stava nella squadra di Hockey e ci mancava poco che ne diventasse il capitano, così Karofsky cambiò orientamento e scelse il Football, tanto per non dover vedere la sua brutta faccia ogni santo giovedì.

La vita al liceo non gli piaceva, anche perché doveva indossare una maschera che non gli calzava nemmeno bene, sapeva di essere forse più uno sfigato –o anche un secchione, dati i continui voti alti- che un bullo cattivo, ma sicuramente la preferiva a ciò che aveva passato durante l’infanzia.

Ma, evidentemente, ancora non aveva visto niente.

 

__

 

-Ma chi è quello?- una domanda semplicissima, a cui Azimio aveva risposto sprezzante.

-Un frocio.-

-E come cazzo cammina?- aveva chiesto ancora Dave guardando disgustato il suo andamento particolarmente ondeggiante.

-Da frocio.-

-E come si veste?!- aveva esclamato notando quel corpicino efebico sommerso dai lustrini.

-Da frocio, cazzo, è un fottuto frocio, hai capito?!- aveva sbottato Azimio, che già aveva perso la pazienza. Dave era rimasto un attimo con gli occhi sgranati e si era chiesto come potessero anche solo ammetterli a scuola, degli elementi del genere.

-Slushie?- aveva chiesto Karofsky tirando una gomitata all’amico.

-Così da insozzargli la tenuta da circo? Volentieri!-

E quella checca aveva ricevuto la sua prima doccia di granita dal bullo Dave Karofsky. Si era pulito nervosamente gli occhi e aveva digrignato i denti fissandosi i vestiti.

-Oh, povera fatina!- aveva esclamato Dave che, non si sa perché, riteneva quel soprannome particolarmente adatto a quella ragazzina, ops, ragazzino così sberluccicoso.

 

Dave e Azimio andavano d’accordo con Finn e Puck, sì, finchè quei due non entrarono nel Glee sfigati Club, rendendoli ostili a tutta la squadra. Adesso Dave li chiamava col loro cognome e, evitando Puckerman che sicuramente sarebbe riuscito a tenergli testa, si divertì a placcare Hudson negli spogliatoi tentando di pasticciargli la faccia con qualche pennarello, magari di scrivergli “Sfigato” sulla testa a patata che si ritrovava, o semplicemente a riempirlo di insulti.

Ad un certo punto dell’anno, quei due s’erano quasi stufati di stare dietro ad Hudson, e s’erano decisi ad allargare i propri orizzonti di bulli. Azimio aveva portato a Dave la lista dei componenti del Glee Club, e quest’ultimo aveva letto tutti i nomi, dicendo di conoscere solo Quinn Fabray, Santana Lopez, Brittany S. Pierce, Mike Chang, Matt Rutherford, quel Finnpaticone di Finn e Puckerman. Gli altri non aveva idea di chi fossero, vista la loro improbabile popolarità. Ma era lo stesso deciso ad umiliarli per bene. Sentiva quasi di starsi riscattando dopo quegli atti di, sì, potevano definirsi bullismo, che aveva ricevuto da bambino. Era ora di riscattarsi, sì.

 

Rachel Berry: fatta. Finn Hudson: strafatto. Mercedes Jones: fatta. Tina Cohen Chang: fatta. Quinn Fabray: fatta, oh sì. Kurt Hummel: … chi era Kurt Hummel?

-Ehi, chi è questo?- aveva chiesto Dave mostrando ad Azimio il nome sulla lista.

-Il frocio.-

-La fatina?-

-Lui.-

Dave non ci aveva pensato due volte. Aveva riempito il bicchiere di granita ed era andato in cerca di quel Kurt Hummel. E sì, gli aveva rovinato un altro completo di Dior nuovo di zecca. E poi aveva ridacchiato. Gli dava veramente fastidio, quella fatina. Gli stancava gli occhi, irrimediabilmente. Sarebbe andato volentieri a dirgli di andarsi a guardare allo specchio e di rendersi conto di essere qualcosa di insopportabile che, davvero, gli faceva bruciare gli occhi. Più dello Slushie in faccia.

-E’ divertente fare la doccia ad Hummel.- diceva di tanto in tanto Dave negli spogliatoi, e Azimio gli chiedeva di smetterla, perché sentirselo nominare più di una volta al giorno gli danneggiava il padiglione auricolare. E poi com’è che lo nominava così spesso? Non voleva mica pensare male, Azimio. Ma Dave gli aveva risposto in malo modo chiedendogli di smettere di dire cazzate.

 

Quel Kurt Hummel sembrava essere ovunque: adesso era anche entrato nella squadra di football nel ruolo di kicker, e Dave quasi ringraziò di essere rimasto in panchina durante il soggiorno di Hummel nella squadra, perché sarebbe stato impossibile giocare sapendo che avrebbe giocato anche lui. Lo distraeva, gli dava fastidio. Come si muoveva, quei suoi modi di fare da checca, e la vocina che gli si insidiava nelle orecchie, quel tono saccente, gli sguardi altezzosi, quegli occhi così azzurri che a Dave veniva sempre la voglia di arrossarglieli con un paio di Slushie. A lui piacevano gli occhi chiari, ma gli si coloravano di un verde pallido solo quando c’era bel tempo, e Lima non era esattamente la città in cui il sole amava fare capolino. E così doveva tenersi quei fottuti occhi marroni, e aveva ragione quando si diceva che erano occhi di merda.

 

__

 

A sedici anni, la sua posizione al liceo era ormai del tutto affermata. Oramai faceva parte di quella categoria, quella dei bulli. Bulli-sportivi, sì.

Ma c’era qualcosa che ancora non quadrava. Si sentiva ancora in qualche modo legato alle altre categorie, si sentiva quasi emarginato da se stesso. Forse perché si sentiva un attimo invidioso quando passava dall’aula prove del Glee Club e notava quanto fossero uniti quegli sfigati canterini. Forse. Eppure non aveva mai avuto tutta questa passione per il canto. Certo, era un fan sfegatato di Michael Jackson, in camera sua o in doccia si sfogava canticchiando le sue canzoni, e magari azzardava qualche passo di danza. Nella danza non era male, forse. Ma la danza era da gay, era ben risaputo.

Aveva pensato alla parola “gay” e tra gli innumerevoli pensieri si era fatta largo l’immagine luccicante di quella fatina di Kurt Hummel, che ormai era diventato il suo obiettivo preferito sin dall’inizio del nuovo anno scolastico. Dopo le vacanze estive l’aveva trovato cambiato: in verità sembrava un’altra persona. Non che avesse perso il suo atteggiamento da checca mestruata e la sua vocetta fastidiosa, ma forse aveva fatto un leggero cambio di guardaroba, e aveva modificato la pettinatura, aveva il ciuffo all’insù. Ed era anche dimagrito, di sicuro. Ed era pure più alto, certo. Ma perché adesso stava facendo la descrizione dettagliata dell’aspetto fisico rinnovato di Hummel? Chi se ne importava! A lui non poteva importare di un frocio che brillava.

E si convinse che erano proprio i suoi vestiti brillanti ad attirare la sua attenzione quando lo incrociava per i corridoi.

 

-Picchiamolo.-

-Perché hai tutta questa voglia di picchiarlo?- aveva chiesto Azimio dopo l’ennesimo allenamento di football.

-Sento il bisogno di picchiarlo, per favore.-

-E va’ a picchiarlo da solo, allora!-

Dave dopo un po’ si convinceva finalmente ad andare a cercarlo e a picchiarlo, ma riusciva solo a indirizzargli una spintonata, e talvolta aiutava i suoi compagni a gettarlo nei cassonetti dell’immondizia. Ma non gli bastava, sentiva di volere di più.

-Ehi, femminuccia!- gli urlava, e poi lo bagnava con lo Slushie. Neanche si era accorto di essere diventato quasi come Cooper, quando lo prendeva in giro dicendogli che pedalava come una femminuccia.

-Signorina!- diceva Azimio, quello si voltava, e riceveva una doppia granita in faccia. Poi urlava come una checca e veniva aiutato dalle sue amichette del Glee club ad entrare nel bagno delle femmine per lavarsi via il liquido appiccicoso dalla faccia.

Però resisteva, era quello che faceva rabbia. Dave ricordava quanta fatica facesse a resistere, e quasi gli fece invidia quella fatina che se ne andava in giro sculettando, fiera di quello che era. Insopportabile, davvero. E allo stesso tempo invidiabile. Fosse stato come lui, forse… Ma che diavolo faceva, si metteva nei panni di una checca? No, non doveva ricapitare, mai più. Doveva fare il suo lavoro di bullo e opprimere i più deboli, senza chiedersi come loro si sentissero e, soprattutto, senza guardare loro gli occhi. Ultimamente incrociava spesso lo sguardo di quell’Hummel, e non era niente di buono. Non gli provocava sensazioni buone, ecco. Positive sì, ma non erano buone per niente, non per la sua salute mentale e fisica, almeno.

 

Si preoccupò un po’ di più quando si accorse che era la seconda volta che Hummel la fatina passava sculettando per i corridoi e il suo sguardo gli cadeva esattamente sul suo fondoschiena. Tentò di pensare al fatto che era stata solo una coincidenza, poteva benissimo succedere, e poi il suo sguardo era stato disgustato, mica ipnotizzato da quel lento ondeggiare a destra e a sinistra, per niente.

Pensò di stare impazzendo gradualmente, forse c’era qualcosa che non andava nel suo cervello, ecco perché non s’era davvero mai sentito a suo agio nella propria, stupida vita.

Quel ragazzo era apertamente gay, eppure sentiva che aveva una vita nettamente migliore della sua, una vita in cui non era necessario nascondersi dietro menzogne, e indossare una maschera diversa per ogni occasione. Lui di sicuro non faceva la faccia del perfetto figliolo davanti ai genitori, quella dello studente in gamba davanti ai professori, quello del cazzone con gli amici, e quello del lupo cattivo con gli sfigati della scuola. Lui era la fatina sberluccicosa, e lo era con tutti, in ugual modo. Non era giusto. Perché lui sì e Dave no? Aveva qualità migliori delle sue? Certo che sì, quello era ovvio: aveva un fisico minuto e appetibile, due occhi che facevano invidia al cielo di Lima quando era sereno –il che era un miracolo-, i capelli né lunghi né corti sempre tirati a lucido, due labbra che chissà che baci davano, e poi anche…

Quando si ritrovò a pensare per la prima volta che Kurt Hummel fosse di bell’aspetto, si mise le dita sugli occhi e se li massaggiò per poi scuotere più volte la testa, particolarmente frustrato.

 

Ci mancava solo quello. La sua vita non era ancora abbastanza stupida e inutile, mancava quel pizzico di follia utile soltanto a rovinargli del tutto l’esistenza.

Perché adesso era invidioso di Kurt Hummel? Perché non riusciva a pensare a lui come a un fottuto frocio? Perché vedeva la sua camminata ridicola, i suoi vestiti altrettanto ridicoli, e sentiva la sua voce da femminuccia eppure fottutamente angelica nei suoi sogni? Inizialmente una volta alla settimana, poi tre volte, alla fine si ritrovava la sua immagine davanti agli occhi quasi ogni notte. Frustrante e fastidioso. Dave avrebbe volentieri spaccato qualcosa, ma sapeva che si sarebbe trattenuto come al solito, che avrebbe assorbito tutta la rabbia e l’avrebbe riposta nella sua Furia, che un giorno avrebbe colpito qualcosa. O qualcuno. Magari quell’Hummel.

Gliel’aveva presentata, una volta, la sua Furia, ma quelle minacce sembravano non avere avuto effetto sul più piccolo, e Dave ne era rimasto infastidito e in qualche modo stupito. Hummel gli aveva risposto a tono. E qualcosa nel suo addome s’era mosso, forse gli si era chiusa la bocca dello stomaco. Sì, perché a pranzo non toccò cibo e passò tutto il tempo a pensare a Kurt Hummel.

 

Dave non andava a chiedere da un po’ di tempo ad Azimio di picchiare Hummel, perché preferiva farlo da solo. Non è che lo picchiasse, ovviamente, però un po’ di spintonate gliele dava, quasi sentisse il bisogno di avvertire la consistenza del ragazzo. Era roba da pazzi, Dave ne era convinto, eppure non sapeva fare altro. Era consapevole che, forse, in quel modo non avrebbe fatto altro che terrorizzare il povero Hummel, ma sentiva che fare chiarezza sui propri sentimenti fosse più importante in quel momento.

Chiarezza. Sui propri sentimenti. Erano chiari come il sole, e lui si ostinava a volerci vedere qualche nuvola davanti.

Nuvole. Le nuvole sono bianche, la pelle di Kurt era bianca. Riusciva a paragonare qualsiasi cosa a quell’insopportabile fatina di Hummel. Pensiero ossessivo? Forse.

 

Lo vide un’altra volta, mentre sorrideva come una checca davvero ben riuscita a un cellulare, e chissà cos’è che stava leggendo di tanto interessante da farlo sorridere a quel modo. Un’altra bella spintonata, e mica si sarebbe aspettato che quello l’avrebbe seguito.

Attualmente, Dave non si ricorda l’esatto discorso fra lui e Kurt, ma la voglia così intensa di toccargli il viso bianco e di sentire il sapore di quelle labbra che si muovevano così velocemente sputando parole particolarmente offensive –l’aveva anche preso in giro sui capelli, e questo l’aveva ferito parecchio- se la ricorda eccome. E si ricorda anche di come sembrava che il mondo si fosse fermato quando in un attacco di non si sa che cosa, si era letteralmente fiondato sulla bocca di Kurt, ancora aperta nell’ultima parola che aveva pronunciato. E si ricorda anche il suo sguardo del tutto shockato e il viso pallido dopo il primo contatto di labbra. Ah, il secondo non ci fu, è vero, Kurt lo allontanò con entrambe le mani e Dave fuggì quasi piangendo.

 

Aveva scoperto di avere un segreto da custodire nel momento in cui s’era accorto di essersi come infatuato di Kurt. E in quel momento l’aveva praticamente svelato alla persona che proprio non doveva venirne a conoscenza. Si sentiva male da far schifo. E neanche era sicuro che fosse davvero un’infatuazione; probabilmente lo amava. Sicuramente lo amava. Lo amava da fare schifo. Lo amava tanto da dimenticarsi di studiare, tanto da ignorare i rimproveri dei propri genitori, tanto da non impegnarsi nel football. Lo amava tanto da sentirsi un’altra persona, per la terza volta nella sua vita. Era partito come lo sfigato di turno, poi come il bullo cattivo, adesso era il frocio represso. Un’altra maschera da indossare s’era appena aggiunta alla sua collezione. E sperò che non dovesse mai indossarla per davvero. Forse solo davanti a Kurt. No, nemmeno, non ce l’avrebbe fatta, avrebbe continuato con quella del bullo cattivo ancora per un po’, non era ancora pronto ad affrontare gli amici, i genitori, la scuola, il mondo. La facciata da bullo era più sicura, di certo.

 

Ma quanto lo amava.

Nonostante fosse consapevole di averlo spaventato, lo cercava di continuo, e lo spingeva contro gli armadietti, come faceva sempre. Con la facciata del bullo riusciva ad avvicinarsi a lui, a puntargli il dito sul petto, a spingerlo lentamente, ad osservarlo da vicino. Era riuscito anche a sottrargli la statuetta di due sposini e se l’era messa in tasca, e Kurt non poteva sapere che la stringeva tra le mani ogni volta che si trovava da solo. Lo amava sino a quel punto.

 

__

 

 

Dave non aveva mai davvero pianto, se non per un ginocchio sbucciato o per un brutto voto scolastico.

Dopo aver baciato Kurt ed essere stato respinto, però, la sua prima vera lacrima aveva fatto capolino. Ma lui l’aveva pulita via all’istante, non voleva ancora piangere, si era costruito quella corazza durante tutti quegli anni e non voleva mollare per una stupidissima fatina sberluccicosa apparsa improvvisamente nella sua stupidissima vita priva di alcuna luce.

 

__

 

 

Kurt adesso s’è trasferito, a causa sua. Aveva paura di lui, se n’è andato, è andato in una scuola piena di finocchi. Piena di finocchi dichiarati e migliori di Dave. E Kurt si innamorerà inevitabilmente di uno di loro, uno coi capelli ben fatti, col fisico asciutto e la divisa elegante. Di un altro fottuto frocio.

Dave adesso piange. E’ la prima volta che versa così tante lacrime, la testa già gli pulsa e sente il cuore esplodergli nel petto. Ama Kurt tanto da piangere per lui, e mai l’aveva fatto. Di tutte le fregature che gli ha riservato la vita, questa è sicuramente la peggiore e la più dolce.

 

Se mai avesse detto a Kurt di amarlo, magari con quelle lacrime agli occhi, e magari gli avesse chiesto scusa come si deve, forse sarebbero state le prime parole sentite e sincere che avrebbe mai pronunciato nella sua stupida vita.

Stupida, orrenda vita.

 

 

 

§

 

 

 

Lavoraccio, lavoraccio, lavoraccio. Non so se mi impelagherò più in lavoroni del genere, ma mi sentivo quasi in dovere di farlo, non so… Dave Karofsky, è sempre lui la causa delle mie seghe mentali. Ti odio Karofsky, seriamente. No, scherzo, ti amo da matti, un bacio <3

Spero vivamente che qualcuno si sia fermato a leggere questa mia faticaccia, anche se non ne vale la pena. Ma almeno un’occhiata…con la speranza che abbia emozionato e reso consapevole (paroloni degne di una ancora sveglia a scrivere alle 4 di mattina) la maggior parte di voi ^^

Sempre quello è il mio obiettivo: suscitare emozioni. Spero di esserci riuscita :)

 

 

 

 

Mirokia

 

 

 

   
 
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