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Autore: TheBlazer    24/06/2011    1 recensioni
Tensai è un Absol come tanti altri, almeno fino al giorno in cui il Team Rocket non distrugge il suo luogo natale e uccide la bella Vaporeon di cui lui è segretamente infatuato. Imprigionato e trasportato ad Olivinopoli, Tensai è costretto a subire ogni genere di oscura sperimentazione. Ancora non sa che la sua vita sta per ricevere una brusca svolta... Ma qual è il vero fine dei Rocket? Perché la misteriosa Gilda dei Figli del Fato lo cerca e lo indica come ‘il padrone dello Zaffiro’? Qual è il suo legame con la Torre di Latta e i suoi tre sacri guardiani, Suicune, Entei e Raikou?
A Tensai spetta il compito di scoprirlo, insieme ai suoi amici Kiba, un Riolu geneticamente potenziato, e Misao, una Eevee dal bizzarro potere evolutivo.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
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tensaicata Seconda mia fiction, un po’ diversa dal solito ^.^ commentate e fatemi sapere cosa pensate di quest’ultimo delirio, per favore!
    
    Il PdV è il punto di vista. Quando anziché il nome ci saranno le barrette //, significa che la storia è in terza persona. Nello spazio qui in alto scriverò i miei pensieri personali. Per ora vi ringrazio di aver aperto questa fiction e vi auguro solo buona lettura ^.^

P.S.
Tensai significa 'catastrofe', Mizu significa 'acqua'.




§ Tensai della Catastrofe §
 
§ Al confine tra sogno e realtà §




    
     PdV: Tensai l’Absol
    
    Era una sensazione strana.
    Sotto i cuscinetti non sentivo le scaglie di ruggine che ricoprivano il pavimento metallico della Discarica, bensì un morbido strato di terreno e fili d’erba, soffici come velluto. L’aria profumava di fresco e di umido, un odore delizioso che avrei riconosciuto ovunque. E là, quegli spruzzi bianchissimi in mezzo al fogliame scuro… erano le Cascate Tohjo, con i loro splendidi giochi di luce.
    « Ciao, Ten. »
    Il mio cuore perse un battito. Il mio vero nome è Tensai, che significa ‘Catastrofe’ – un nome azzeccato, penserete, considerando che sono un Absol – e mi piaceva il sibilo inquietante del suo suono, l’istintivo brivido che evocava nei più deboli. Solo un essere vivente, al mondo, era autorizzato a chiamarmi Ten…
    Mi voltai e la vidi. Era distesa a terra, circondata da un’aureola di fiori in boccio, e mi scrutava con i suoi occhi grandi e dolci, neri come una notte di novilunio. Le piccole squame azzurre scintillavano come se irradiassero luce propria, e la lunga coda di sirena palpitava pigramente sull’erba.
    « Ciao, Mizu » mormorai di rimando.
    La Vaporeon mi rivolse un sorriso e si alzò in piedi con un gesto lento e aggraziato. « È da un po’ che non ci vediamo, vero? »
    « Quasi due anni. » Un anno, undici mesi e nove giorni, per la precisione, ma non avrei mai ammesso di aver contato e patito ogni singola ora di lontananza. Avevo pur sempre un orgoglio da difendere, io.
    Mizu rise piano, come se avesse esattamente intuito i miei pensieri. « So che non aprirai mai quel tuo cuore di pietra, Ten, ma io sono molto più generosa di te e ti dico in tutta franchezza che mi sei davvero mancato. »
    « Mizu, io… » Deglutii. Le parole mi salivano in bocca aride, faticose, come sassi malamente scheggiati. « Pensavo che fossi morta. »
    « Ten… » Lei pronunciò il mio nome con estrema gentilezza, con quella voce di miele che amavo più di ogni altro suono. « Io sono morta. Sono morta in questo posto un anno, undici mesi e nove giorni fa, come ben ricordi. I bombardamenti che hanno devastato le Cascate Tohjo non hanno risparmiato né me, né centinaia di piccole vite innocenti. »
    « Perché… » Il dolore mi fece venire un groppo in gola; dovetti fare un grosso sforzo per continuare. « Perché ci hanno fatto questo, Mizu? Perché quei bastardi non potevano restare dov’erano e lasciarci in pace? »
    « Quando ci ha attaccati, il Team Rocket si muoveva con un intento ben preciso. Il suo scopo era individuare il padrone dello Zaffiro, e temo che ci sia riuscito. » Mizu si oscurò. « Ascoltami attentamente. Adesso credi di essere prigioniero, ma dentro di te, nella tua testa, sei la creatura più libera di Johto. È una cosa invidiabile, sai? Mantieni la tua libertà intatta dentro di te, perché presto la tua vita giungerà ad una biforcazione, e tu dovrai compiere una scelta difficile senza essere assolutamente influenzato da nessuno. Ne va del destino di Johto. »
    « Non capisco… » dissi, confuso. « Che vuoi dire, Mizu? … Mizu! »
    La Vaporeon si stava dissolvendo lentamente, come evaporando nell’aria. Prima di scomparire del tutto mi regalò un ultimo, triste sorriso.
    « Scegli bene, Ten… »
    
    Ten… Ten… Ten…
    La voce di Mizu continuava ad echeggiare a vuoto nella mia testa, come il delicato rintocco di una campana di cristallo. Aprii gli occhi e mi tirai su, mentre i bagliori del sogno si scioglievano poco a poco, proprio com'era successo a Mizu. Per un attimo, desiderai di non aver sognato nulla: ora che avevo brevemente riassaporato la mia casa, la lussureggiante foresta che ammantava le Cascate Tohjo, la Discarica mi sembrava ancora più grigia e squallida. Non la chiamavamo Discarica per caso: prima che i Rocket la trasformassero nel loro magazzino, quella stanzona squadrata era stata un gigantesco immondezzaio, come testimoniato dal lezzo di pesce marcio e di decomposizione che ancora stagnava nell’aria fetida. La maggior parte dello spazio era occupato da gabbie: file e file di gabbie, accatastate anche le une sulle altre, e ciascuna ospitante almeno un paio di Pokemon. Grazie al cielo, il mio compagno di cella era un piccolo Riolu: il Poliwhirl del piano inferiore veniva giornalmente quasi soffocato dal molle corpaccione dello Snorlax con cui divideva la prigionia.
    « Tensai? » pigolò la voce assonnata di Kiba, il Riolu. Se ne stava acciambellato nel suo angolo di gabbia, i grandi occhi vermigli velati dal torpore. « Che diavolo ti prende? Saranno sì e no le tre di mattina… »
    « Non ho sonno » tagliai corto.
    Mi avvicinai alle sbarre, valutandone la resistenza e compattezza. Dovevano essere di acciaio rinforzato, fuso insieme a qualche elemento riflettente, perché se si provava a spezzarle quelle non solo si rifiutavano di scalfirsi, ma rispedivano l’attacco al mittente con forza raddoppiata (l’avevo già sperimentato sulla mia pelle almeno una dozzina di volte). Gli unici momenti in cui potevamo – per così dire – uscire erano le ore di sperimentazione: allora venivamo sedati o immobilizzati e trasportati fino al laboratorio, dove gli scienziati Rocket ci provavano addosso ogni genere di porcherie scientifiche. Non era raro che qualche Pokemon finisse intossicato: lo sfortunato in questione veniva quindi preso e gettato in mare, in modo da non contagiare i rimanenti.
    Non avrei saputo dire dove fossimo collocati precisamente, ma da alcuni frammenti di conversazione tra reclute avevo captato il nome ‘Olivinopoli’. Non ne avevo mai sentito parlare (doveva essere molto lontano da casa) ma immaginavo fosse una specie di porto. La Discarica doveva essere collocata un po’ in disparte rispetto alla città, in un posto più isolato. C’era solo un fatto certo: i Pokemon portati alla Discarica non rivedevano più la luce del sole. Eravamo tutti condannati a deperire gradualmente, strozzati da quell’oscurità umida e maleodorante, ed eccezione di coloro che finivano gettati tra le onde – molti dei quali non sapevano nuotare.
    Eppure Mizu aveva parlato di una biforcazione… di una scelta… e quel ‘padrone dello Zaffiro’ che aveva menzionato?
    Forse era stata solo una delle visioni agrodolci che di tanto in tanto Arceus si degnava di inviarmi, eppure ero convinto che non fosse del tutto così. C’era stato qualcosa di incredibilmente realistico, in quel sogno…
    Al ricordo di Mizu, mi sentii mozzare il fiato dall’amarezza. Una piccola, piccolissima parte di me aveva pregato che Mizu in qualche modo si fosse salvata dalle esplosioni che avevano sconvolto le nostre Cascate, e invece… invece anche lei, come molti altri, non aveva visto l’alba del giorno successivo. E tutto questo per colpa dei Rocket.
    La disperazione si rigirò dentro di me come una lama di ghiaccio incandescente. Insieme a Mizu era morto tutto, erano morti i giorni felici della mia infanzia, erano morti tutta la luce e i colori del mondo. Perché, anche se forse lei non l’aveva mai saputo, io l’avevo amata.



  
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