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Autore: Blackvirgo    26/06/2011    4 recensioni
C'è una vecchia attorno al fuoco che racconta la storia del mondo quando ancora c'erano gli spiriti. C'è una bambina sicura che un giorno incontrerà uno spirito. C'è un bardo che, ascoltando la storia della vecchia e osservando la bambina, si chiede se in quella storia anche lui - per uno strano scherzo del destino - abbia un ruolo. E, prima della fine, ognuno - in un modo o nell'altro - troverà ciò che cerca.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Naraku, Nuovo personaggio, Sesshoumaru, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 17

Di spiriti, di anime e di preghiere


È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti.
Otello, William Shakespeare -




Il giovane spettro capì che qualcosa di irreversibile era accaduto. Qualcosa che aveva desiderato da sempre, da quando era arrivato in quel luogo.
Salutò in fretta e furia Myoga e Totosai da cui si era recato per accertarsi che stessero bene. Non erano mai diventati una nuova famiglia per lui, ma lo avevano tenuto con loro, offrendogli conforto e saggezza. Erano stati ottimi maestri di vita, ora Shippou avrebbe dovuto avvalersi di tutto quello che aveva imparato. Da loro e non solo. Si era avviato verso quel refolo d’aria ormai diventato un turbine di acqua e vento. Aveva lasciato Sesshomaru in quel posto, ma ora del guerriero bianco non c’era traccia. “Forse è già passato,” pensò Shippou. Dopotutto Sesshomaru non era mai stato socievole, ma sicuramente non si poteva tacciare di essere un vigliacco.
Shippou osservò quel passaggio fatto di acqua, vento e turbini: sembrava un temporale. Si avvicinò, lento, con una sensazione crescente di vuoto nello stomaco. L’antica paura non era passata, ma Shippou non aveva intenzione di ascoltarla: oltre quel passaggio avrebbe ritrovato quel mondo per cui aveva provato nostalgia ogni momento, ogni respiro. Fece per muovere un passo, ma si fermò: qualcuno gli aveva detto che avrebbe forse ritrovato quel mondo, ma non Kagome e Inuyasha, non Sango e Miroku. Avrebbe dovuto far i conti con il tempo degli uomini e con il proprio.
“Smettila di frignare,” gli avrebbe detto Inuyasha.
“Stai attento,” gli avrebbe raccomandato Kagome.
Gli pareva di sentirli, come se fossero stati a pochi passi da lui, come se lo chiamassero. Il giovane spettro inspirò profondamente l’aria fresca che veniva dall’altro mondo e mosse un passo e poi un altro, sempre più sicuro del proprio coraggio, sempre più determinato ad affrontare il tempo e i temporali.
Ma una forza tanto invisibile quanto potente lo respinse in quel mondo che pareva immobile anche mentre stava cadendo a pezzi.

***

Gli abitanti del villaggio erano troppo presi dal terremoto appena avvenuto per preoccuparsi del cantore. Si erano formati piccoli gruppi che parlottavano concitati e alcune vecchie stavano già sgranando il rosario al ritmo di pater, ave e gloria.
“Torniamo tutti a letto, ché domani dobbiamo lavorare,” dicevano taluni.
“Tanto non potrei mai dormire con terrore che la casa mi crolli addosso,” rispondevano altri.
“Ma perché dovere sempre pensar male?” chiedevano alcuni.
“Perché a pensar male è peccato, ma ci si prende,” rispondevano altri.
“Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum...” cantilenavano i restanti.
E, ad un tratto, calò il silenzio.
Un essere bianco passò fra di loro incurante della loro presenza. Camminava leggero con i piedi che pareva non sfiorassero neppure il terreno, il mento sollevato, il naso appena arricciato per l’odore della paura, lo sguardo puntato sulla luna.
Gli abitanti del villaggio seguirono il suo passaggio, gli occhi calamitati dal lucore che aleggiava attorno alla sua figura, dalla sua indifferenza. Per un momento il tempo parve fermarsi. Quando sparì dalla loro vista, nessuno seppe dire se avevano visto un uomo, un angelo o una bestia.
Chi iniziò a gridare, chi ricominciò a pregare cadendo in ginocchio, chi iniziò a piangere. Pochi rimasero in silenzio, molti corsero verso il vecchio parroco che fu trascinato di peso in canonica e fatto vestire in quattro e quattr’otto. Nonostante l’ora tarda, la statua della Madonna venne portata in piazza e fu celebrata una messa per ringraziare il buon Dio e per scongiurarlo di tener lontane altre sciagure del cielo, della terra e del Maligno.
In quell’atmosfera di follia collettiva, nessuno notò Corinna trotterellare dietro lo spirito bianco per nulla spaventata né notarono l’assenza della bambina e della vecchia alla tanto importante quanto improvvisata funzione.

***

Sesshomaru camminava osservando la luna, annusando la paura e lasciando guidare i suoi passi dalla percezione di un potere antico, contro cui aveva combattuto e contro cui aveva perso. Un ringhio salì dalla sua gola, mentre il brusio degli uomini alle sue spalle diventava sempre più forte e davanti a sé vide un’altra luce brillare, una luce che non era la luna e che non era in cielo.
Sesshomaru socchiuse gli occhi e osservò meglio la scena: una vecchia reggeva il monile tra le mani e un uomo – lo stesso che non aveva creduto alla sua esistenza – era lì con lei. Non sapeva ancora se erano nemici, ma lo avrebbe scoperto molto, molto presto.
Proseguì il suo cammino e si fermò di fronte ai due umani.

***

La donna alzò il viso sofferente e il suo sguardo incredulo seguì la sua figura e i suoi movimenti fino a che non si parò innanzi a lei. A quel punto ogni dubbio era scemato dal suo volto e i suoi occhi piccoli e scuri cercarono quelli dello spirito e li trovarono. Parevano chiedergli di ricordare e Sesshomaru lo fece: la esaminò alla luce della luna e vide un’anima antica che aveva vissuto il tempo che a lui era stato negato, un’anima che non era cambiata, uno spirito mutevole e un corpo consumato. Ecco di cosa erano fatti gli uomini, eppure erano stati capaci di sopravvivere anche senza gli spiriti. “Forse non siete così indispensabili,” mormorò una vocina nella mente di Sesshomaru. “Forse, in quel luogo, non ti è mancata solo la luna...”
E vide altri occhi sul volto di un’altra vecchia. Vide un’altra radura, altri occhi e altri volti determinati a sconfiggere la Sfera e, ancor di più, a sconfiggere Naraku. C’era la cacciatrice e il portatore della maledizione, c’era una bambina umana e un cucciolo di volpe, c’era la fanciulla e c’era Inuyasha. Ora erano rimasti solo loro due. Eppure il cane nero aveva detto che voleva l’anima di Naraku e la voleva prima della luna piena. Ma quando sarebbe arrivata la luna piena? Sesshomaru non lo sapeva: per lui la luna era sempre lì, tranne in quei giorni in cui Inuyasha tornava a essere uomo e un grande essere bianco lo seguiva da lontano. E in ogni caso perché aspettare altro tempo?
Sesshomaru tese la mano verso la Sfera, ma la vecchia lo fermò: “Non puoi farlo da solo, Sesshomaru. Da solo sei già stato sconfitto.”
Un ringhio salì dalla gola dello spirito, rabbia e umiliazione lampeggiarono nei suoi occhi: avevano combattuto in tanti, ma non insieme. La cacciatrice voleva vendetta, il maledetto redenzione, la fanciulla voleva difendere, Inuyasha voleva affermare. Ed egli voleva rispondere alla sfida di Naraku e vincere. Nessuno di loro aveva fatto i conti con quello che voleva la Sfera.

Il tossicchiare della vecchia lo riportò alla realtà e le sue parole risposero alla sua domanda inespressa: “Successe tutto nell’attimo in cui i vostri colpi si abbatterono sulla Sfera: un lampo accecante disegnò sulla terra la sagoma di un’enorme bestia nera. Da quel momento il mondo non fu più lo stesso: voi e tutti gli spiriti scompariste da questo mondo, le sembianze di Kagome, Inuyasha e Naraku sparirono dentro la Sfera stessa mentre i loro corpi privi di vita rimasero a terra. Sango e Miroku rimasero a osservare la fine della loro battaglia e delle loro speranze: sono morti e ora si è estinta anche la loro stirpe.” Un colpo di tosse poi la vecchia inspirò profondamente: “Tuttavia l’ultimo erede ha lasciato un testamento e qualcuno l’ha raccolto,” terminò indicando il bardo.
Sesshomaru girò appena il volto e il suo sguardo si poggiò sull’uomo, ma, sebbene fosse vicino alla vecchia, la luce della luna non lo lambiva, protetto dall’ombra del ciliegio. Aveva odorato la sua paura sin da quando aveva negato la sua esistenza attraverso il lago, ma ora, lo stava studiando, di questo Sesshomaru era sicuro. Una volta avrebbe strappato la testa a chiunque avesse osato molto di meno.

“Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum. Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Jesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae.”

Le preghiere della gente giungevano dalla piazza come un lontano mormorio e il bardo, senza emettere alcun suono, formava con le labbra quelle parole, a scudo contro lo spirito che aveva davanti. Contro il destino che lo raggiungeva un’altra volta. Contro la paura che lo attanagliava.
“Mi era parso di capire che non andaste molto d’accordo con preti e orazioni,” commentò la vecchia, il suo sguardo acuto negli occhi dell’uomo. Il bardo si interruppe, rendendosi conto solo in quel momento che stava pregando con il cuore più che con le parole. Una risatina imbarazzata uscì dalle sue labbra.
“State bene?” chiese Corinna avvicinandosi. Solo allora il bardo smise di fissare lo spettro e spostò lo sguardo sulla bambina fradicia: si tolse la giacca leggera che portava e gliela mise sulle spalle, per ripararla dall’aria della notte. Quel gesto, un brivido sulla pelle e il suono della sua stessa risata lo riscosse: si alzò in piedi e fissò prima Sesshomaru, poi la Sfera e quindi la vecchia. Era convinto che la paura potesse salvare la pelle, ma che fosse la curiosità il vero motore delle umane gesta. Ma al punto in cui era arrivato neppure la paura avrebbe potuto salvarlo, tanto valeva finire la partita e farlo su gambe salde. “Sembra che quella vecchia storia fosse vera dopotutto,” commentò con un sorriso. “E sembra che siamo noi o dover scriverne la fine.” E forse anche a cantarla, un giorno, aggiunse mentalmente.
Come in risposta a quelle parole, la Sfera scivolò dalle dita della vecchia rotolando nel cerchio che il quartetto aveva formato. La sua luce aumentò, pallida e fredda, a sfidare persino la luna.

***

La dormiente si alzò in piedi e si avvicinò ai due guerrieri: fece un giro attorno a loro, osservando quanto fossero cambiati durante quella prigionia. Per quanto tempo avevano lacerato le proprie anime in quella battaglia che non voleva consacrare né un vinto né un vincitore? Per quanto tempo lei aveva dormito, dimentica – seppur consapevole – delle loro battaglie?
Naraku non le aveva tolto gli occhi di dosso: la figura della fanciulla risvegliava in lui il desiderio di una carne che ormai non gli apparteneva più. Allungò una mano per sfiorare la pelle bianca e liscia, per sentire il sangue scorrere sotto di essa, per assaporarne la vita. Desiderò poter accarezzare i suoi capelli, contare le vertebre della sua schiena, delineare il profilo delle sue coste, sentire i suoi seni caldi fra le mani. sfiorarle il petto e il ventre e farla fremere di piacere mentre l’accarezzava con le dita, mentre la penetrava con il suo sesso. Possedere il suo corpo per possedere la sua anima, la sua bellezza. Perché fosse sua. Non era importante se come Kikyo o come Kagome. Non era importante se subito dopo l’avesse uccisa e con lei la sua ossessione. Solo, doveva essere sua...
Fu lo sguardo nero e gelido della fanciulla a fermare la sua mano: trasudava disprezzo, stillava disgusto. Comprendeva il suo folle desiderio e, per l’ennesima volta, lo rifiutava. E lo dannava.
Inuyasha non le aveva tolto gli occhi di dosso: non voleva che si avvicinasse tanto al combattimento, non voleva che lei venisse ferita. Da sempre, le ferite della fanciulla gli avevano fatto più male delle proprie. Allungò una mano per portarla al sicuro, per farle scudo con il proprio corpo. Allungò una mano per una fugace carezza, per il desiderio si sentirla viva, per darle il coraggio di resistere e per trovare quello per combattere.
Fu il colpo di Naraku a fermare la sua mano.
La battaglia era ricominciata. Ma qualcosa era cambiato: la sua consapevolezza, la sua percezione, lo stesso potere che aveva usato per sopravvivere. Lo sentiva di nuovo scorrere nella sua anima, pulsare di nuova vita, aspettare di essere usato. Non doveva farsi tentare un’altra volta: quella prigione era durata fin troppo. Ma non avrebbe potuto abbatterla da sola. Né avrebbero potuto farlo i due contendenti. Ma era passato il tempo in cui loro tre erano soli, in un luogo buio, stretto e caldo, ma troppo piccolo per essere l’Inferno.
“Sono arrivati,” mormorò la fanciulla, lo sguardo perso in un punto lontano, in alto. I due combattenti si fermarono ad ascoltare le sue parole.
“Sono tornati a finire ciò che hanno lasciato in sospeso.”
La battaglia ricominciò ancora più serrata mentre un sorriso luminoso distendeva i dolci lineamenti della fanciulla.

***
Note dell’autrice: ebbene sì, c’è voluto molto più tempo del previsto... ma abbiate fede! Baci a tutti!
  

   
 
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