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Autore: Kary91    27/06/2011    13 recensioni
Una raccolta di brevi frammenti di racconto ispirati alla meravigliosa colonna sonora di questo telefilm.
1. Chances . Five for fighting [Jeremy] 11. Cut. Plumb [Anna & Jeremy]
2. It is what it is. Lifehouse [Tyler] 12. How to save a life. The Fray [Damon da piccolo, Giuseppe Salvatore]
3. We'll be a dream. We the Kings [Elena & Matt] 13. Say (All I need). One Republic [Stefan]
4. Run. Leona Lewis [Vicki ] 14. Brave. Tawgs Salter [Caroline & Tyler]
5. All we are. Matt Nathanson [Damon & Elena] 15. Longest Night. Howie Day [Jules & Tyler]
6. Be there. Howie Day [Caroline & Stefan] 16. The weight of the world. Editors [Jeremy]
7. Losing your memory. Ryan Star [Tyler] 17. Skinny Love. Birdy [Jenna]
8. Time of our lives. Tyrone Wells [Elena & Jeremy] 18. broken Strings. James Morrison [John]
9. Love's to blame. Joel and Luke [Damon & Stefan] (Spoilers 2x12) 19. You haven't lost me yet (Caroline & Matt)
10. Only one. Alex Band [Alaric & Isobel]20. Echo. Jason walker (Matt&Vicki)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Jeremy Gilbert, Tyler Lockwood, Un po' tutti | Coppie: Anna/Jeremy, Caroline/Tyler, Damon/Elena
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'There's a light. There's the sun.'
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Scritta per il TVG!Fest con prompt “Elena/Grayson/John – vieni a vedere tua figlia” (Grayson in realtà c’è a malapena, ma shhh)

Broken Strings.

 

It tears me up
I try to hold on, but it hurts too much
I try to forgive, but it's not enough to make it all okay

You can't play on broken strings
You can't feel anything that your heart don't want to feel

Broken Strings. James Morrison

 

 

“è una bambina!”

L’esclamazione entusiasta di suo fratello echeggiò per qualche istante nella sua testa.

“Lo so.”

Il tono di voce atono del John di allora gli sfiorò la mente, mentre la figura di un giovanotto con il capo chino e le mani in tasca prendeva forma di fronte ai suoi occhi.

“Dannazione John, piantala di startene lì come un idiota. Vieni a vedere tua figlia.”

 

 

***

 

 

John ubbidì. Le spalle ricurve in un vano tentativo di nascondersi. Da se stesso, dalla vergogna che gli ronzava in petto.

Sfiorò la maniglia della porta contraendo le nocche con violenza prima di convincersi a fare ingresso nella stanzetta. Si avvicinò al lettino in silenzio, ignorando i vagiti disperati che già risultavano insopportabili alle sue orecchie.

“Tutto nella norma, signori miei. E da come strilla la bambina, pare che non vedesse proprio l’ora scambiare due parole con te. Congratulazioni fratellino.”

Il tocco gentile sulla spalla avrebbe dovuto rincuorarlo; eppure quel sottile barlume di conforto venne eclissato dal suono della parola “fratellino” che  lo stuzzicò in maniera sgradevole .

Sapeva di essere il minore dei due fratelli Gilbert, e anche che il termine non si limitava ad indicare la differenza d’età. 

Grayson era il figlio, il marito, il fratello perfetto. Ambizioso e diligente; carismatico. Un uomo maturo e affidabile, con uno spiccato senso dell’umorismo.

John, al contrario, era un diciottenne schivo e scapestrato, troppo occupato a commettere  un errore dietro l’altro per accorgersi di avere altrettante possibilità di successo quanto il fratello.

E quello che vide sollevando lo sguardo in direzione del lettino alimentò nel giovane uomo la sensazione di aver appena commesso l’ennesimo sbaglio.

C’erano due bambine di fronte a lui.

Una respirava in fretta, piangendo, il volto terso di sudore. Non era esattamente una bambina, ma nemmeno la si poteva definire una donna; in quel momento ai suoi occhi risultò semplicemente una ragazzina fragile e spaventata. Isobel reggeva fra le mani un fagottino rosa e lo osservava in silenzio, un misto di paura e rassegnazione inciso agli angoli del suo sguardo.

E forse, per un attimo, John riuscì a riconoscere in quegli occhi chiari anche un pizzico di tenerezza.

Il fagottino era la seconda bambina.

Lei era Elena.

La rimirò per la prima volta, analizzando con aria diffidente i minuscoli pugni rossi che si agitavano in maniera insolita, quasi buffa, e le palpebre serrate che gli impedivano di guardarla negli occhi.

Era solo una neonata.

Un corpicino gracile percosso da un isterico piagnucolio.

Eppure Elena c’era.

Era lì, di fronte a lui. Non era più un semplice rigonfiamento nella pancia della sua fidanzata. Un agglomerato di cellule delle dimensioni di un frutto.

Elena era viva e agitava quei pugnetti come a volerlo rimproverare. Era così piccola, eppure già aveva compreso perfettamente che razza di padre l’avesse messa al mondo.

“Metterai la testa a posto?”

John era sicuro di aver riconosciuto quelle parole nei suoi lamenti.

“Lo farai per me?”

E gli risultava impossibile immaginare di prenderla e gettarla via come aveva ipotizzato di fare molte volte osservando il fotogramma di un’ecografia. L’immagine di una macchiolina dalle forme appena abbozzate gli saltò alla mente: una macchiolina che di umano non aveva proprio nulla.

Elena era una bambina. Un piccolo mosaico di dettagli che appartenevano un po’ a lui, un po’ a Isobel.

Era nata per sbaglio. L’ennesimo maledetto sbaglio. Dopotutto commettere errori era l’unica cosa in cui eccelleva veramente.

Eppure era sua. Quelle manine si agitavano per lui. Le urla estenuanti che gli rimbombavano nelle orecchie irritandolo sin da allora, erano una conseguenza della sua impulsività. Della sua sconsideratezza.

“John, non ha ancora i denti. Puoi avvicinarti, non ti morderà.”

L’ironia nel tono di voce di Grayson era mitigata da una sfumatura di comprensione.

John non era sicuro di volerlo fare veramente, eppure distese il braccio allungando una mano per sfiorare la guancia rosea della neonata.

Non era bella. Non riusciva a capire cosa ci trovassero le persone di tanto grazioso in quegli affarini raggrinziti.

No, non era bella.

E allora perché, osservandola, il cuore di John aveva incominciato a comportarsi in maniera così insolita? Inciampava nei propri battiti alimentando in lui una sorta di timore reverenziale.

Aveva soggezione di quella creatura. Così gracile e indifesa, nuda e sporca, eppure in grado di catturare l’attenzione di chiunque senza nemmeno sforzarsi più di tanto.

Le bastava piangere e agitare i pugni.

In silenzio John continuò a fissarla, domandandosi se non fosse il capo di allontanarsi nuovamente. Era diversa da lui, se lo sentiva. Aveva in sé una sicurezza che i suoi coetanei avrebbero imparato ad apprezzare e a invidiare al tempo stesso.

Una sicurezza che di certo non aveva preso da John.

Sarà incantevole e testarda. Proprio come Isobel.

Fece per ritirare la mano in tasca, quando qualcosa accadde senza dargli il tempo di reagire a dovere.

La minuscole dita della neonata si contrassero sul suo indice avvolgendolo in una stretta fin troppo salda per una mocciosa di appena pochi minuti di vita.

O per lo meno, questa fu l’impressione di John.

E poi gli occhi della bambina si aprirono.

John si trovò a sgranare i suoi, incantato dalla particolare sfumatura castana che giaceva in quello sguardo vigile.

Istintivamente attirò l’indice verso di se e sfiorò con il pollice il dorso di quella manina che si era aggrappata a lui con tanta intensità.

Un calore mai avvertito prima gli avviluppò lo sterno, mentre i suoi occhi e quelli di Elena continuavano a scrutarsi, presentandosi gli uni agli altri, sempre in silenzio.

Perfino il pianto della bimba era cessato.

E John avrebbe semplicemente voluto stringersi nelle spalle e sorriderle, come aveva fatto più volte con Isobel.

Inspirando a fatica si sforzava di aprire la bocca per augurarle il buongiorno. La buonanotte in realtà. Avvertiva il bisogno di salutarla, di darle il benvenuto in quella vita neonata proprio come lei.

Tutto ciò di cui sentiva di avere bisogno era un po’ di coraggio. Voleva riuscire a prenderla in braccio. Voleva sentirsi padre.

 

Voleva.

 

Ma non era mai stato un uomo forte.

Forse non era mai stato nemmeno uomo.

E dunque si limitò a ricambiare il suo sguardo, incantato dalla serietà di quelle iridi scure. Un’unica lacrima sfuggì al suo controllo rigandogli lo zigomo destro.

***

Quegli occhi castani lo fissavano anche in quel momento.

John si fece da parte mentre una bambina con i codini si intrufolava in cucina scrutandolo diffidente.

“Elena, hai salutato lo zio John?”

Miranda, sua madre, la ammonì in tono di voce severo.

La piccola Elena scosse il capo con aria decisa e tornò indietro sui suoi passi per raggiungere l’uomo appoggiato allo stipite della porta.

“Ciao a te zio John!”

Dichiarò seria abbracciandolo frettolosamente, comprimendo il piccolo corpo morbido della sua bambola sul fianco dello zio.

Miranda annuì con aria soddisfatta prima di accettare il bacio che la figlioletta corse a donargli saltandole sulle ginocchia.

Era una bambina vivace e determinata. Tremendamente sicura di sé.

Proprio come aveva previsto John.

La osservò a lungo, esattamente come aveva fatto il giorno in cui la incontrò per la prima volta.

Ed Elena ricambiò il suo sguardo con serietà  e un pizzico di curiosità.

Lo zio John non le piaceva molto – non sorrideva quasi mai – ma c’era qualcosa di lui, nel modo in cui la guardava, nei lievi tocchi impacciati che le sfioravano il capo, che le infondeva una particolare sensazione di calma e tranquillità.

Anche se non sapeva il perché.

John scoccò un’ultima occhiata pensierosa a madre e figlia prima di congedarsi con un breve cenno del capo e allontanarsi in silenzio, diretto verso il giardino di casa Gilbert.

Elena continuò a inseguirlo con lo sguardo fino a quando non scomparve dalla sua visuale.

“Torna a trovarci zio John!”

Cinguettò allora la bambina a voce alta, augurandosi che il fratello di suo padre riuscisse a sentirla ugualmente.

Non udì risposta, ma in un modo o nell’altro era sicura che lo zio avesse sentito comunque.

John si fermò un istante sull’ultimo gradino della scalinata contemplando le parole ingenue della piccola che portava il suo cognome, ma che non era sua figlia.

Non più per lo meno.

Se non altro –si trovò a riflettere-  quello era stato uno sbaglio, forse l’unico, che aveva portato a qualcosa di buono.

 I don’t ask for your forgiveness, nor for you to forget. I ask only that you believe this. Whether you are now reading this as a human or as a vampire, I love you all the same. As I’ve always loved you and always will. John.”

2x21. The sun also rises

 

Nota dell’autrice.

Alur, prima di tutto l’accostamento alla canzone è di un forzato che fa paura. Ma avevo promesso che avrei scritto anche su John oltre che di Jenna e ormai le canzoni ispirose della OST iniziano a scarseggiare, quindi mi sono arrangiata con quello che avevo XD Questa canzone mi ha sempre ricordato molto John per via del suo non essere più in grado di riparare agli errori commessi in passato. E dunque, ci ho provato.

Questa shot mi è venuta in mente su due piedi e in quanto tale fa un po’ schifo, ma ieri sera mi annoiavo e boh. Ho deciso di occuparmi un po’ John. So che quasi tutti lo detestano, ma era uno dei miei personaggi preferiti e ci tenevo a lasciare un tributo anche per lui.

Ringrazio al solito le meravigliose persone che hanno recensito i capitolo precedente e - al solito – risposte ai commenti e il bannerino arriveranno nei prossimi giorni (tanto è inutile che vi dico in serata, perché poi sapete perfettamente che non sarà così xD).

 

Laura

 

   
 
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