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Autore: Phenex    28/06/2011    3 recensioni
Odio la mia famiglia, odio i miei amici, ma senza di loro sono soltanto il nulla.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GoodBye

 

Quella era stata l'ultima goccia. Brian uscì di casa con i capelli ancora bagnati dopo la doccia, se fosse stato solo un altro minuto a discutere con i suoi genitori li avrebbe presi a pugni entrambi.

Superò il cancello dove vi era ancora la copia del giornale che era stata consegnata quella mattina. Sulla prima pagina c'era la foto di una ragazza molto carina di circa diciassette anni, più o meno la stessa età di Brian, che sorrideva a chi le aveva scattato la foto. Il suo bel sorriso era stampato su tutti i giornali, probabilmente perché la bocca ed i denti che lo formavano erano spariti, assieme a tutto il corpo della giovane. Brian chiuse il cancello, scaricando su di esso la sua collera e facendolo sbattere violentemente, tanto da far vibrare l'acuto suono del metallo fin sopra la vetta della sua abitazione, dove numerosi uccelli spiccarono il volo spaventati. Scrutò il sole che stava tramontando ed emetteva deboli scie color arancio sulla città, illuminandola lievemente e rendendo inutile l'accensione dei lampioni ai lati della strada. Brian, mentre sfilava dalla tasca il suo lettore mp3 e collegava le cuffie prima all'apparecchio poi al suo udito, pensò che andare a fare una passeggiata in quel momento avrebbe segnato il destino del suo stomaco, visto che al suo ritorno nessuno si sarebbe certamente degnato di preparargli qualcosa fuori orario. Tuttavia non sarebbe mai riuscito a rientrare in casa ed a mangiare allo stesso tavolo dei suoi genitori, che non perdevano occasione di tormentarlo riguardo a ciò che doveva fare della sua vita. Così si incamminò lungo il piccolo sentiero boscoso al di là della strada e fece partire quella canzone che ascoltava ogni volta che si ritrovava solo con i suoi penseri. Il testo della melodia era malinconico, trattava il suicidio e l'abbandono della vita terrena, ma insolitamente lo faceva sentire molto bene, quasi come se fosse una sorta di psico-farmaco per generare falsa allegria.

Mentre attraversava la piccola strada, adornata dagli alberi ai lati, la voce della cantante dava dei piccoli stop al suo flusso interminabile di pensieri, ripetendo ad ogni fine ritornello la solita parola per tre volte "GoodBye... GoodBye... GoodBye...". Grazie a questo la sua mente riusciva a trovare il giusto ritmo tra i passi e la musica, così riusciva a riordinare ogni stimolo di rabbia, ogni motivo di depressione ed ogni fonte di piacere.

Il motivo per cui Brian spesso usciva di casa, per fare lunghe passeggiate, era legato al fatto che non sopportava il mondo che lo circondava. In particolar modo odiava le aspettative che i suoi genitori ed i suoi amici attendevano da lui, anche su cose semplici, come essere presenti ad un battesimo o ad un compleanno per esempio. Lui odiava fare quelle cose, non riusciva a farle neanche per l'amicizia o per i legami di sangue, di conseguenza era stato etichettato come la pecora nera di turno. Non riusciva a comprendere perché se si rifiutava di andare al compimento degli anni di qualcuno questo si offendeva a morte, tanto da non parlargli più. Il non capire le motivazioni della rabbia altrui lo faceva alterare, ma ovviamente questi erano problemi superflui, che non avrebbero neanche avuto rilevanza se non fosse stato per quella cosa che faceva nascere ogni suo motivo di depressione: la famiglia.

I genitori di Brian si erano sposati giovani, all'età che aveva lui in quel momento circa, ed ovviamente si erano resi conto di aver commesso un grave errore solo dopo aver concepito un bambino. La sua infanzia non era stata tormentata, ma la sua adolescenza sì, allorché i genitori stessi gli fecero notare la loro situazione di squilibrio di coppia già quando di anni ne aveva tredici. Gli era stato detto che loro continuavano a stare insieme solo per lui e che avrebbe dovuto sbrigarsi a creare la sua vita, in modo da lasciarli liberi di vivere la loro.

Raggiunse a passo svelto, sotto la terza riproduzione della canzone, una panchina illuminata da ciò che restava del sole estivo e da un lampione dalla forma sferica. Si sedette sul legno scheggiato e portò lo sguardo verso l'alto, fissando il cielo e le nuvole del tramonto, che avevano appena assunto svariate sfumature cromatiche, mentre nei suoi timpani riecheggiava più volte quella parola del ritornello che sembrava avere una sorta di potere mentale su di lui: "GoodBye... GoodBye...Goodbye".

La piccola stradina tra la vegetazione era completamente deserta, vi era solo lui a quell'ora. I bambini avevano giocato per tutto il pomeriggio ed erano tornati a casa con i genitori, gli anziani si erano ritrovati ai bar a vedere la partita e gli adulti si concedevano qualche serata in famiglia. Quello era il motivo per cui Brian iniziava le sue passeggiate poco prima di cena, perché nessuno avrebbe potuto interrompere le sue macabre fantasie riguardo a quel mondo che si sarebbe lasciato alle spalle più che volentieri. Immaginò il suo amico, quello che gli aveva dato dell'egoista qualche giorno prima perché si era rifiutato di andare a festeggiare con lui il suo compleanno, mentre perdeva sangue dai moncherini che avevano sostituito le sue mani, ansimava "tanti auguri a me" e strisciava come un verme con le ginocchia rotte. La canzone di compleanno venne insonorizzata dalla serie di "GoodBye" emessa dalle cuffie. La sua mente balzò sui corpi dei genitori, lì pronti per lui, per essere smembrati come quello dell'amico di poco prima. L'immaginazione prese la testa dei due sposi e vi aprì un grosso buco, proprio al centro della fronte, che grondava litri e litri di liquido scarlatto, mentre loro piangevano lacrime su lacrime per scusarsi di come lo avevano trattato. Lui sapeva di non essere la causa della loro infelicità, ma con il tempo questo ruolo lo aveva come divorato, facendolo convincere che realmente la sua esistenza non fosse altro che una maledizione per loro.

Altri tre "GoodBye" bloccarono la tetra immagine dei genitori morenti, costringendo Brian a cambiare ancora soggetto . Questa volta, mentre socchiudeva gli occhi, la sua mente si accanì sui compagni, gli amici, i professori, chiunque gli avesse mai procurato anche il minimo dolore e cominciò ad odiarli nel profondo, a desiderare di farli sparire per sempre da quel pianeta e dalla sua vita. Se la sua esistenza era uno schifo la colpa era di tutti coloro che la avevano resa tale, a partire dal vicino di casa perfettino che lavora durante la scuola sino a raggiungere i suoi genitori che lo riempivano di colpe su colpe. Tutti sarebbero dovuti sparire, così lui non avrebbe più avuto nessun problema e sarebbe potuto vivere felice, come voleva e dove voleva. A bloccare questo suo desiderio non fù il primo "GoodBye", ma qualcosa di freddo che si era poggiato sulla sua mano facendolo sobbalzare dalla paura. Si voltò ed accanto a lui c'era una sua coetanea che gli stava accarezzando la mano sinistra con la sua. I suoi capelli, biondi e scompigliati, le cadevano su volto chinato verso il basso, indossava una camicia a maniche corte sgualcita e sporca di terra. La sua pelle era pallida e le sua mani talmente magre da far risaltare lo scheletro che stava sotto.

Qualcosa gocciolò sulla panchina, mentre la canzone riproduceva il primo "GoodBye". La ragazza alzò la testa, mostrando così i suo occhi vuoti e spenti, annebbiati come quelli di un cadavere. Brian sentì l'impulso di urlare vedendo che la gola della ragazza era stata tagliata e che il suo sangue colava copiosamente sulle vesti e sulla panchina, ma si sentiva paralizzato dalla paura e da quello sguardo morto, che lo scrutava privo di emozioni. Il secondo "GoodBye" rimbombò in modo strano, come se stesse subendo una sorta di interferenza, mentre lei allungava le braccia moribonde sul collo del ragazzo che si sentiva come imprigionato da una sorta di ipnosi che gli impediva di muoversi. Lei lo costrinse a scivolare con la schiena sulla panchina, spingendolo con il suo corpo freddo e morto che poi si distese sul petto caldo del ragazzo, macchiato dal sangue che fuoriusciva dalla vistosa ferita sul collo. Gli afferrò la testa con le mani e lo obbligò ad incrociare i suoi occhi assenti di vita, mentre il liquido scarlatto cominciò a sgorgare sempre più copiosamente, poi, mentre la canzone terminava con l'ultimo "GoodBye" mosse le labbra in sintonia con la voce della cantate. In quel momento, Brian chiuse gli occhi e tentò ancora invano di urlare. Lentamente sentì le mani fredde della macabra assalitrice svanire, assieme al sangue che aveva riversato su di lui, il tutto seguito da un forte tonfo, che venne poi succedutosi da un secondo. Brian aprì gli occhi e riuscì, dopo sviariati tentativi, ad urlare. Con sua grande sorpresa, non si trovava più su quella panchina, ma nel suo letto, dove le luci dell'alba filtravano dalle serrande illuminando la sua camera. Assaporò con sollievo il fatto che ciò che aveva vissuto altro non era se non un sogno o meglio, un incubo. Poggiò i piedi scalzi per terra ed uscì di camera, tentando di provocare il minor rumore possibile, se il suo urlo non aveva ancora svegliato i suoi genitori allora sarebbe stato meglio evitare di svegliarli inciampando o facendo una stupidaggine simile. Camminò con le braccia protese nel buioi corridoio privo di finestre, irraggiungibile dalla luce solare, tentando di arrivare al bagno che stava accanto alla camera dei genitori. Stare in assenza della luce un pò lo inquietava in quel momento, ma pensò che fosse normale, in fin dei conti dopo il sogno che aveva fatto era ovvio avere un pò di paura. Poi il suo piede toccò qualcosa di bagnato e di caldo. Sobbalzò nel vedere che da sotto la porta chiusa dei genitori stava fuoriuscendo del liquido scarlatto che altro non poteva essere se non sangue. Istintivamente afferrò la maniglia e tirò la porta verso di se, ma quello che vide fu sufficiente ad ammazzare l'istinto che gli aveva dato coraggio e l'impulsività. Sua madre giaceva a terra, con il volto rivolto verso il basso ed i lunghi capelli biondi mostravano alla radice il colore del sangue che usciva dalla testa per andare ad invadere la strada che portava alla porta. Suo padre era a sua volta disteso, ma verso l'alto, con gli occhi fissi sul soffitto, immerso in una pozzanghera di sangue che usciva dalla parte posteriore del suo cranio. Nelle mani di quest'ultimo vi era la pistola che teneva chiusa nella cassa forte e Brian, anche se spaventato, riuscì a collegare perfettamente cosa era successo ai suoi genitori: si erano ammazzati. Il suo odio ed il suo egoismo non lo portarono a piangere, bensì a pensare a cosa ne sarebbe stato di lui ora che la sua famiglia era morta in un lago caldo e scarlatto. Le sue mani si strinsero sulla testa quando ricordò che nel suo incubo era così che aveva immaginato quelle due odiose persone, ovvero con un proiettile in testa. Indietreggiò insicuro, lasciando sul pavimento vistose impronte rosse che portavano sino alla porta di ingresso. Uscì di casa ancora in pigiama, raggiunse il campanello dei vicini e lo premette con mano tremolante più e più volte, nessuno rispose, neanche dopo un'attesa di qualche minuto. Preso dal panico e non sapendo cosa fare suonò altri campanelli, ma nessuno rispondeva, così si ritrovò disperato ad urlare in mezzo alla strada, a chiedere aiuto in tono straziato e dolorante. Tuttavia, la strada sembrava deserta, neppure il camion delle nettezze urbane si fece vedere quella mattina, mentre lui, in preda alla paranoia ed alla paura, si era accovacciato sul marciapiede tentando di ragionare in modo calmo e lucido. Decise infine di raggiungere il bar poco distante da casa sua, magari lì avrebbe trovato il proprietario alle prese con le pulizie mattutine, oppure avrebbe incontrato qualcuno durante il tragitto. La sua seconda speranza era oramai svanita quando raggiunse il bar che prontamente si applicò per far svanire nel nulla anche la prima. Le tende del negozio erano tirate e la porta chiusa a chiave. Brian portò lo sguardo in giro, non c'era nessuno, ciò era impossibile visto che il sole era alto in cielo. Con il cuore in gola e l'intero corpo in preda al tremore si affrettò a muoversi verso il centro della città, ma anche lì tutti i negozi, tutti i super mercati, tutti i bar e tutte le edicole erano chiuse e sulla strada non vi era neanche una macchina. Urlò ancora, urlò fino a che la sua voce non diventò debole e la sua gola cominciò a bruciare. Il sangue si era congelato nelle vene ed il cuore lo pompava con una velocità senza pari, una velocità che aumentò quando ricordò che nel suo sogno aveva desiderato che tutti sparissero dalla faccia della terra. Improvvisamente però un suono ruppe il silenzio di quella città fantasma, si trattava di una voce debole, quasi morente, ma questo bastò a riaccendere in Brian le speranze di trovare qualcuno che lo aiutasse. Tentò di captare da dove provenisse il lamento, una volta capito cominciò a correre con rinnovata speranza, una speranza che appassì mentre, avvicinandosi, cominciò a comprendere cosa stesse dicendo la voce: " Tanti auguri a me... Tanti auguri a me... Tanti auguri a me... " continuava a ripetere, mentre nel volto di Brian si facevano largo dolore, disperazione e terrore trasformandolo in una smorfia cadaverica ed inumana. Di fronte a lui c'era quello che aveva immaginato, ma solo in quel momento si rese conto che non avrebbe mai voluto vederlo realmente. Il suo amico, quello che gli aveva dato dell'egoista, strisciava lungo la strada deserta, macchiando l'asfalto con il sangue che usciva dalle sue mani troncate e facendo sbattere le ossa rotte che fuoriuscivano dalle sue ginocchia. Brian rimase di sasso nel vedere il dolore di ciò che aveva solo immaginato e che adesso veniva riflesso nella realtà tramite sangue, desolazione ed agonia. Le lacrime cominciarono a solcare il suo viso per poi riunirsi sul mento e gocciolare su quel morto terreno appartenente ad una città altrettanto morta, dove l'unica cosa che si poteva udire era la disperata canzone di un ragazzo con il desiderio di avere una particolare persona al suo compleanno, desiderio che lo ha portato a diventare un essere privo di volontà che prova soltanto dolore.

Alla fine, in mezzo a tutto quel supplizio senza fine, qualcosa costrinse Brian a pulirsi lo sguardo ed a fissare la figura che si era parata di fronte a lui. Riuscì a riconoscerla, era la stessa ragazza del suo sogno e non solo, era anche la ragazza con lo stupendo sorriso che compariva nei giornali con il grosso titolo con su scritto: "Scomparsa.".

Lei lo guardò con i suoi occhi annebbiati e torvi, incurante del sangue sgorgante dalla sua gola maciullata da chissà quale pervertito che si era divertito con lei abusando della sua purezza e della sua libertà, poi gli tese la mano.

Brian impaurito, le chiese chi fosse, le chiese perché stesse accadendo tutto quello che aveva sognato, ma lei non rispose, si limitò soltanto ad allungare la sua mano, spronandolo ad afferrarla. Sapendo che altra scelta non gli rimaneva, se non quella di fidarsi, decise di afferrare quella morta e gelida mano e proprio nel momento in cui lo fece riuscì a sentire dentro la sua testa una parola: "GoodBye".

Il sole svanì, il buio divorò lo spazio ed il tempo, la città si inabissò e di fronte a Brian non rimasero che una serie di puntini luminosi gialli, rossi, bianchi e la debole luce lunare. Ben presto si accorse che i puntini cromatici altro non sono se non la sua città, vista da una sorta di pianura di periferia dove lui si trovava in quel momento. La ragazza era ancora con lui e gli indicò il terreno dove poggiava i suoi scalzi e pallidi piedi. Lui non comprese, le chiese ancora cosa stava succedendo, ma lei come risposta gli diede ancora una volta solo un cenno della mano che continuava ad indicare il terreno. Alla fine il ragazzo si chinò e lentamente iniziò a comprendere, mentre le sue mani si infilavano sotto la terra e cominciavano a scacciarla via lentamente. Continuava a scavare per diversi minuti, sotto lo sguardo inespressivo della ragazza scomparsa, e mentre lo faceva cominciava a comprendere il perché di molte cose. Cominciava a credere al sovrannaturale, ai fantasmi ed ai demoni, cominciava a farsi un'idea del perché quella ragazza avesse scelto lui. Forse per insegnargli la bellezza della vita, forse per fargli capire che sbagliava ed essere così vendicativo verso chi lo fa soffrire, forse per fargli capire che tutto quello che odi può essere anche tutto ciò che hai e se lo perdi altro non diventi se non il nulla. Dopo circa quindici minuti di scavo le sue mani iniziavano a diventare doloranti e le sue unghie cominciavano ad immagazzinare, oltre alla terra, piccoli sassolini appuntiti che gli procuravano numerosi taglietti, ma non de morse, questo perché sapeva cosa avrebbe trovato. Finalmente riuscì a toccare qualcosa di solido, rimosse le ultime zolle di terra e di fronte a lui c'era il corpo semi-decomposto e parzialmente divorato dai vermi di quella ragazza con la gola tranciata e la pelle cadaverica. Si distanziò dalla macabra ed insopportabile vista del corpo, si mise in piedi scrollandosi le mani tremolanti e piene di dolori per poi portare gli occhi verso lo spirito di quella mostruosità che si trovava sotto terra. Quando il suo sguardo si alzò, lei gli era già davanti e lo afferrò nuovamente per il viso, costringendolo ad incrociare i suoi occhi annebbiati dalla morte, e lo baciò sulle labra. Il bacio sembrava interminabile, con la coda dell'occhio Brian riuscì a vedere il corpo della ragazza guarire e tornare bello come era un tempo, ma poi le palpebre si fecero pensati, la testa si fece pesante ed infine tutto il corpo che crollò rovinosamente a terra sotto il suono di una parola: "GoodBye".

Quando riaprì gli occhi scoprì di trovarsi in quella panchina dove aveva incontrato per la prima volta la ragazza scomparsa, proprio dove era cominciato tutto. Il suo lettore musicale risultava bloccato inspiegabilmente, proprio mentre stava per risuonare il "GoodBye" che avrebbe dovuto porre fine all'intera canzone. Rimise l'apparecchio in tasca e si alzò incamminandosi verso casa, ancora dubbioso riguardo a ciò che era accaduto. Percorse la strada lentamente, tentando di comprendere se il suo era stato solo un viaggio mentale o qualcosa di diverso, ma alla fine si rassegnò all'idea di considerarlo un mistero, visto che anche la zona dove aveva trovato il cadavere era troppo buia e confusa per essere ritrovata. Una volta raggiunta la fine della strada sentì una voce femminile ridere allegramente, la voce di sua madre, non avrebbe mai pensato di essere felice di risentirla e soprattuto non avrebbe mai pensato di sentire nuovamente la sua risata. Raggiunse la propria casa proprio nell'esatto momento in cui la porta si apriva e lui si trova di fronte al cancello aperto, strano, ricordava di averlo chiuso sbattendolo quando se ne era andato. Dalla casa uscì prima il padre, anche lui estremamente allegro, cosa che Brian non vedeva da molti anni, seguito dalla madre che sembrava proporre a suo marito vari nomi di ristoranti dove sarebbero potuti andare a cenare. In quel momento il cuore di Brian cominciò a battere per l'eccitazione, i suoi genitori erano di nuovo felici? Questo per lui poteva significare la fine di uno dei peggiori momenti della sua vita! Già gli venivano in mente le scuse da fare al suo amico per la storia del compleanno e perché no? Magari di andare pure alla festa! Ma tutti quei pensieri furono distrutti dal padre, che non si fermò neppure alla sua vista, anzi lo investì in pieno trapassandolo da parte a parte. Brian deglutì. Il padre gli era passato attraverso? Non riuscì a rispondere al suo interrogativo, la madre eseguì la stessa azione, entrando dentro di lui come se fosse inconsistente come l'aria. Alla fine, dopo che la madre sparì dalla sua vista tutto gli fu chiaro, talmente chiaro da spaventarlo. Di fronte a lui c'era la ragazza fantasma, ma non era più moribonda e sporca, era bella, senza ferite e senza sporco sui vestiti. Lei si fermò un secondo a fissarlo poi gli sorrise e mentre, come il padre e la madre avevano già fatto, lo attraversava gli sussurrò una cosa all'orecchio o meglio, una parola: "GoodBye". Dopo averlo superato salì in macchina con i genitori e svanì lungo la strada che portava al centro della città. Brian si avvicinò al cancello con il cuore, sempre se di cuori ne avesse avuti, che gli batteva a mille, poi posò lo sguardo sul giornale e vide il suo volto sorridente in prima pagina con sopra la scritta "Scomparso.". Poco dopo aver letto il giornale il suo collo si squarciò ed iniziò a spruzzare sangue, la sua pelle si tirò sulle ossa e diventò sempre più pallida mentre i suoi vestiti si sporcarono di terra marrone. Il buio si fece strada sul mondo, sul suo mondo, e lo ricoprì come tante zolle di fango nero. L'unica cosa che riuscì a fare fu emettere un grido di disperazione, prima di venire sepolto.

 

 

 

 

   
 
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