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Autore: La Mutaforma    29/06/2011    2 recensioni
L'aeronave vola, e volando, lascia dietro di sè un canto. Un inno che riecheggia nelle ere. Ma stavolta non è un canto di speranza. E' una voce di battaglia. E immerso nei suoi pensieri, Tidus riflette sulla sua storia.
Mentre la nave vola. E porta con sè le voci degli abitanti. La voce di Spira.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tidus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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There’s a ship flying in the sky

“… C’è una nave che vola nel cielo. Quando la vedrete, cantate con noi…”

Era questo il messaggio di tutti gli Albhed. L’aeronave degli Albhed volava su ogni cosa, su ogni casa, sull’oceano, sulla gente, e lasciava alle sue spalle il canto di Yevon, l’inno intercessore.

“… C’è una nave che vola nel cielo. Quando la vedrete, cantate con noi…”

Una nave che volava nel cielo di Spira. Il cielo. Anche quel giorno era azzurro, come sempre, limpido come lo specchio che rifletteva le pene di Spira.

Il cielo. Lo specchio che ingannava i silenziosi guardiani dell’universo. Il terso orizzonte che tradiva tutti i fuochi di rivolta, il dolore e la morte che stavano mangiando lentamente il loro pianeta.

Tidus si sporse prudentemente verso il basso dalla coperta della nave e gettò uno sguardo in basso. Il vento trasportava nelle sue spire le note dell’inno di Yevon.

Tutta Spira stava cantando. Cantava per la salvezza del loro mondo. Cantava perché non aveva perso la speranza, perché erano ancora vivi e volevano la felicità sottratta dal credo.

Cantavano per le vite smorzate, per le vittime di Sin, per i caduti in battaglia, per i deceduti nell’Operazione Mihen.

Per gli invocatori di tutti i tempi. Per Yocun, per Braska, per Yuna.

Per tutti i guardiani sacrificati.

Per tutti i credenti.

Spira era dilaniata dalla guerra, era sull’orlo della distruzione. E ora più che mai. Eppure la gente aveva la forza di cantare, di sperare ancora. Avevano perso tutto, chi la casa, chi la famiglia, chi non aveva nulla già da prima.

Si sentì onorato e vagamente orgoglioso di essere stato lui a pensare a tutto quello, che fosse lui la causa di quel vento di rivolta. Che anche Spira fosse diventata come l’acqua. L’elemento del cambiamento.

Se con la sua testardaggine non si fosse opposto alla pratica degli invocatori per salvare Yuna, se con lui non ci fossero stati gli altri, se non ci fosse stato Auron, se non ci fossero stati gli Albhed…nessuno avrebbe cantato. Oppure il canto della gente non si sarebbe mai alzato fin lassù. Fino a Sin. Cosicché potesse finalmente sentire che mentre cantavano, lui non avrebbe più mosso terrore in nessuno.

“… C’è una nave che vola nel cielo. Quando la vedrete, cantate con noi…”

Lanciò al cielo un sorriso soddisfatto. Il vento sferzò sul suo viso mandandogli indietro i capelli biondi: il vento era benefico, spazzava via i dolori e li portava in alto. Tutti i sospiri si condensavano in nuvole lì, in alto, oltre l’atmosfera. In alto, nel cielo. Quello stesso cielo che avrebbe creduto di non vedere mai da così vicino.

Tidus non aveva mai immaginato che il cielo avesse quel colore, quell’odore di fresco che gli bruciava quasi le narici.

E mentre il vento spazzava via le nuvole, le bandiere bianche, i vessilli della resa che da mille anni occupavano il cielo di Spira, il pianeta cantava l’inno di Yevon. Ad una voce, senza esclusioni. E per una volta, al cielo si alzava un inno di speranza e non sospiri di disperazione.

“… C’è una nave che vola nel cielo. Quando la vedrete, cantate con noi…”

Aprì le braccia, mentre il vento lo investiva. Gli gonfiò i capelli e gli si infilò tra le membra.

Ebbe un vago senso di nausea, di solitudine, di malinconia. Anche se era un momento di speranza generale.

Spira cantava l’inno di Yevon. La gente cantava da Besaid, Kilika, Luka, dalla via Mihen, dalla via Micorocciosa, dal Fluvilunio, da Guadosalam, dalla Piana dei Lampi, da Macalania, da Bevelle, dalla Piana della Bonaccia, dal Gagazet, da ogni angolo del mondo, chiunque cantava. Cantavano per la salvezza del mondo. Il loro mondo, quel mondo di cui lui non avrebbe mai fatto parte.

Cominciò a cantare anche lui. Lo aveva fatto anche altre volte in passato, a volte mentre pensava a suo padre, che cantava quell’inno all’infinito.

Anche lui cantava, eppure il suo canto si perdeva tra le spire del vento, le sue note forse imprecise si dividevano e correvano a nascondersi tra gli stracci di nuvole. La sua voce, compressa nei polmoni, proruppe nel cielo terso di un mondo malato, eppure pieno di speranza. Ma la sua voce non si unì a quella dei credenti, agli speranzosi, a colori che lì, dabbasso, permettevano che le note dell’inno raggiungessero l’aeronave, a metà strada tra la terra e il cielo, quella linea sottile che separa i due elementi all’orizzonte. Avevano perso tutto. Ma non la speranza. Perché la vita orbita intorno ad un nucleo comune, come la speranza. Le speranze d’amore, di vita, di gioia. Di fine.

E anche se cantavano allo stremo, erano pieni di speranza. Ma per quanto lui avesse voluto, non avrebbe mai potuto prendere parte pienamente a quel canto di gioia. Perché la nave che vola nel cielo portava speranza a tutti, ma questa speranza era un dono inestimabile, destinato solo ai credenti, solo agli abitanti tormentati di Spira.

A coloro che dopo quella vicenda non sarebbero spariti per sempre.

E più la nave che volava nel cielo si avvicinava a Sin, più la consapevolezza di dover sparire si sostituiva alla speranza che lui aveva lasciato agli abitanti di Spira.

Non gli serviva sperare. Sapeva che sarebbe sparito. E sapeva che avrebbe vinto.

Un sorriso gli si strappò in viso e, gridando di gioia, Tidus sguainò la spada per combattere Sin, per realizzare le concrete speranze di Spira; le note che non avrebbe mai potuto cantare, ma che avrebbero potuto accompagnare ad un dolce sonno la sola persona per la quale aveva scatenato tutto ciò.

   
 
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