“
Non puoi neanche sapere se una persona ti vuole
bene,
puoi
soltanto crederlo o sperarlo,
ma
rimane comunque più importante per te del fatto che
la
somma
degli angoli interni di un triangolo sia sempre centottanta
gradi.”
(Il mondo di Sofia - J.
Gaarder)
Scendo dal
treno,
un po’ intontito dal viaggio notturno in cui lo stress ha
fatto russare tutti i
miei compagni di scompartimento. Un coro di grugniti, sbuffi e ansiti
degni di
una sit-com di serie zeta, ovviamente con me protagonista. Me nel senso
di me
stesso, intendo. Simone Lascari nel ruolo di se stesso, passato dalla
vita di
studente delle superiori solo come un cane e orfano di padre, a quello di gloriosa
matricola universitaria, ugualmente mezzo orfano, ma di
certo meno solo. Più felice, di sicuro.
<<
Dov’è
l’idiota? >> chiede Sara, con uno sbadiglio,
accanto a me. La sua
faccetta imbronciata è avvolgente come un grosso drappo di
velluto. Cerco di
non ridere. Sono due anni che la conosco e la capisco anche: Gian
Mattia
avrebbe già dovuto essere qui. L’idiota,
si capisce.
Mi stringo
nelle
spalle. Che colpa ne ho se i miei due migliori amici si detestano al
punto che
l’unica cosa --Persona,
correggo da
me (non si farebbero fermare neanche dalla corsia di sorpasso di
un’autostrada
nell’ora di punta) – che impedisce loro di saltarsi
al collo ogni secondo sono
io?
<<
Avremmo
dovuto prendere l’aereo. >> continua Miss-
buona- famiglia, incrociando le braccia sul petto. Sbadiglio,
la mano
davanti alla bocca, perché sono un ragazzo educato ma non ho
dormito affatto, e
ha ragione lei, ma …
<<
Volevo
vedere la luna. >>
sbotto un po’
imbarazzato e lei ammutolisce.
Allunga la
sua
piccola mano tintinnante a scompigliarmi i capelli.
<<
Non me
l’avevi detto. >> mi rimprovera più
addolcita.
E’
vero. Non mi piace
parlare molto di queste cose e non credo che mi abbia capito davvero,
però sa
che è importante, perciò non infierisce. Ci sono
come dei fotogrammi, delle
immagini che mi s’incastrano nel cuore e riviverli fa male ma
è bello e non li
voglio perdere. Così Sara può pensare che sono un
cretino romantico, se vuole,
ma io posso ricordare che quando con mamma sono andato a vivere nella
città di
Giamma e Sara, che non è mai diventata anche la mia, abbiamo
viaggiato di
notte, come adesso, con tutte le nostre cose imballate nello
scompartimento
solo per noi, e lei aveva scelto il lettino di sopra, e c’era
una grande
finestra con un piccolo spiraglio aperto, perché era uno di
quei treni vecchi e
noi non siamo riusciti a chiuderla, e fiottava aria fresca e rumori
sconnessi,
e lei credeva che io dormissi e piangeva, e c’era la luna
piena e non l’avevo
mai guardata tanto, tutta la notte, e il treno urlava, la mamma
piangeva e io
tremavo, e avrei voluto chiudere gli occhi ma non avrei potuto.
Le prendo la
mano.
Ha il polso sottile sotto gli infiniti
braccialetti tintinnanti, colorati, pieni di campanellini colorati,
minuscoli
ciucci ed elastici fluo che lo imprigionano.
<<
Vuoi
aspettare seduta? >> chiedo. Siamo circondati dalle
nostre valigie,
ancora poco distanti dalla scaletta del treno, e sono rimasti solo
pochi
passeggeri , che viaggiano verso le porte della stazione. Il binario
più vicino. Forse dovremmo
aspettarlo fuori. Sara
Mistràl scrolla il capo, facendo svolazzare i soffici e
sottilissimi capelli
biondi. Mi piacciono i suoi capelli. Sembrano una graziosa nuvola di
fili
d’oro. Una nuvola transgenica, magari.
<<
No,
voglio vedere l’idiota per prima, così
potrò riempirlo di calci come si merita.
>> dice soddisfatta. Le stringo più forte la
mano. Non posso lasciarglielo
fare, ma ricambio il sorriso.
<<
E’ presto,
forse non ha trovato un taxi. >>
<<
O forse
sta ancora dormendo. – puntualizza acida – E noi
siamo qua preda di ladri e
chissà che altro. >>
Scoppio a
ridere.
<< Tranquilla, Mistràl, ci sono io a
difenderti! >>
Lei sbuffa.
<<
Sì,
l’amante della luna! Ma fammi il piacere! >>
Continuo a
tenerle
la piccola mano, chiara nonostante l’abbronzatura dal tono
aragostino della sua
pelle italo-francese. Qualunque cosa possa dirne Giamma, sono contento
che ci
sia anche lei. Anche se forse l’idea
di
dividere una casa noi tre sembra una minaccia all’ordine
pubblico … o un degno
segno di un’Apocalisse imminente.
<<
Ragazzi! Simone,
Ragazza – di – buona - famiglia! >>
urla una voce, facendo girare tutta
la stazione. O come se. Anche noi ci giriamo. Giamma sta percorrendo
tutto il
breve corridoio che ci separa dall’entrata della stazione,
tutto t-shirt e
jeans tagliati al ginocchio, e il solito paio di Adidas blu
metallizzato, ormai
semisfasciato, ma che è il suo preferito. Sento Sara
augurargli sottovoce
di inciampare nei laccetti sciolti e finire
sotto un treno, e
la strattono appena, scoccandole un’occhiataccia quando si
gira a guardarmi
esasperata. Torno a guardare Giamma, che ora è ansimante e
sorridente davanti a
noi. Ha lasciato crescere i capelli da quando lui e Mario Felici si
sono
lasciati.
<<
Era ora,
Gentilizio! >> lo rimbrotta Sara.
Lui si
limita a
rivolgerle un sorriso da Stregatto, quello che ha sempre quando sta
pensando
cose impronunciabili, e a prendere il mio trolley e il borsone,
lasciandomi a
prendere i bagagli di Sara, che rimane a mani vuote perché
sono costretto a
lasciarla. Spero solo che non ne approfitti per andare ad ammazzare
Giamma,
mentre penso che solitamente è più affettuoso con
me. Lo guardo camminare
svelto davanti a noi, scattante,
direbbe mia madre. Mi chiedo se sarà sempre tanti passi
avanti a me, sempre lo
stesso ragazzo che correva veloce verso la scuola, tentandomi con
l’infinita
quantità di ragazze che mi avrebbe presentato, sempre lo
stesso che mi ha
confessato la sua omosessualità seduti in camera sua e di
suo fratello, e che
mi ha sorriso esitante il giorno che mi ha raccontato di lui, Biagio e
Sara, e
di come è cominciato il loro odio adolescenziale. E’ così coraggioso,
mi dico. Così
forte.
Anche Sara
è
forte, sotto i suoi capelli tanto soffici, dietro quei suoi occhi
chiari
liquidi, dentro la sua struttura ossea così sottile si
nasconde una Valchiria
infuriata e mordace, e io lo so bene.
<<
Che cosa è quello?
>> sussurra, fioca,
appena fuori dalla stazione, e io mi giro a guardare il mezzo che
Giamma ha
trovato per noi, e rimango paralizzato. Non è affatto il
tassì che avevamo
concordato, proprio no. È una vecchia moto ape azzurra, una
bi-posto col sedile
del guidatore già occupato da un ragazzo che Giamma sta
salutando con
entusiasmo. Sara si lancia verso l’idiota
e non mi viene neppure in mente di fermarla. Sta gesticolando verso il
cassone
posteriore del mezzo, urlando ai quattro venti che lei dentro quel coso non ci starà mai e poi mai, dovesse andare a piedi
fino al nostro nuovo
indirizzo.
Giamma le
rivolge
di nuovo il sorriso da Stregatto e commenta asciutto che se vuole
è libera di
farlo, ma che mademoiselle
può
accomodarsi sul sedile del passeggero, se preferisce, e che lui ed io
divideremo il cassone con i bagagli se lei non se la sente. La vedo
restare
esterrefatta per un attimo, tanto stupita che neanche gli risponde, e
prende subito
posto accanto al guidatore, forse per impedirgli di cambiare idea. Io
invece mi
avvicino e porgo a Giamma le valigie di Sara, e lui le dispone nel
cassone in
silenzio, poi ci salta dentro con un’agilità
figlia della pratica, sicuramente,
e mi tende una mano per aiutarmi a salire.
<<
Puoi
andare, Gerolamo! >> urla felice, il nostro mezzo inizia
a vibrare e
sferragliare, e noi ci mettiamo più comodi, spalla a spalla,
e finalmente mi da
una piccola spinta laterale, e io gli sorrido, e capisco che ha
organizzato
tutto così apposta e so che dovrei avercela con lui ma non
ci riesco davvero,
perché lo capisco, e perché è Giamma,
la persona migliore che conosco
nonostante tutti i suoi casini.
<<
Mademoiselle si starà divertendo! – fa soddisfatto
– A Girolamo piacciono le
bionde! – sorride smagliante – E’ il
nipote della padrona di casa, ci ha fatto
un gran favore. Un tour gratis! >>
Scoppio a
ridere. <<
Sì, vacanze romane! Questo
non è un film, non siamo a Roma e tu sei completamente
pazzo. E non ci penso nemmeno
a fermare Sara quando cercherà di ammazzarti.
>> gli faccio presente.
<<
Seeeeee,
deve prima prendermi! -
urla sopra il
fracasso – Raccontami del viaggio, Lascari! C’erano
tanti grassoni nel tuo
scompartimento? >>
Rido, come
sempre,
alla sua espressione scanzonata che fa sembrare non gli pesi mai niente.
<<
No, c’era
un ragazzo di colore, un fotografo, penso, con una copia del National
Geographic. E una signora anziana, che ha proseguito. E russavano forte
tutti e
due. >>
<<
E Sara?
Aah, devi dirmi se Mistràl russa come un corno francese!
>>
Ah, il
giorno in
cui vedo
l’università,
per la prima volta dal vivo, è il migliore
dopo tantissimo tempo. Il campus è magnifico, le classi
luminose, e penso che
sarà fantastico. Neanche la fila alla segreteria mi
scoraggia, e Giamma ghigna
accanto a me mentre il suo gay-radar funziona a pieno regime. Da quando
è
entrato ha già individuato quattro ragazzi, e Sara,
altrettanto munita, lo
guarda mettendo il muso e confermando a denti stretti quando lui la
provoca. Mi
chiedo se c’entri la sua amicizia decennale con Biagio, il
primo ragazzo di
Giamma. Mi chiedo se tra dieci anni anch’io sarò
in grado di decifrare così
facilmente queste sfumature, se saremo ancora amici, se questi due
avranno mai
bisogno di me, se … Se.
Ho un gran
groppo
in gola, e cerco di deglutirlo prima che se ne accorgano ma sono
felice. Giamma
mi si appoggia discretamente contro la spalla per un attimo, Sara mi prende un dito
nella mano, e questo
conforto fisico è così potente che per un
momento, uno solo, posso sentirmi il
padrone del mondo. Se ho questi due accanto, l’Apocalisse
può raggiungerci se
vuole. Sarà fantastica anche quella.