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Autore: Aesir    30/06/2011    2 recensioni
Non so se sia proprio storico... è ambientata in Nordafrica, nel Cretaceo Medio, e il protagonista è un giovane Deltadromeus agilis che lotta per sopravvivere in un mondo di terribili predatori e magnifiche creature
Solo una volta riuscirà ad intravedere di nuovo la creatura, una sagoma sfumata all’orizzonte, confusa nella bruma.
Ma ne sentirà spesso l’impressionante grido squarciare le nebbie della costa.
Il ruggito dello Spinosaurus aegyptiacus…
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
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Alone

Il giovane Deltadromeus agilis si sente solo e spaesato.

E’ alla ricerca della sua famiglia, da cui si è separato a causa di un uragano che due giorni fa ha devastato le coste del Nordafrica.

Il Deltadromeus lo ricorda bene: era riuscito a sfuggire alla sua potenza distruttiva soltanto nascondendosi sotto ad un enorme tronco che protetto chissà perché dalla furia degli elementi aveva resistito, mentre tutt’intorno a lui le raffiche di vento sollevavano anche i possenti Paralititan del peso di 40 tonnellate, per poi scagliarli al suolo e ucciderli.

Ricordava ancora più intensamente il giorno successivo al disastro.

Aveva aperto gli occhi arancioni come piccoli soli per la prima volta dall’inizio del disastro naturale e, voltando qua e là il capo aguzzo, si era guardato intorno.

Una cappa di nebbia color piombo copriva la laguna salmastra nei pressi della quale aveva trovato riparo e oscurava il sole.

Enormi alberi ostruivano il cammino, perciò bisognava o scavalcarli o girare attorno ad essi.

Erano piante di tale mole che mai il Deltadromeus avrebbe osato pensare che potessero essere abbattuti.

Vicino ai tronchi d’albero c’erano masse d’alghe e pezzi di corallo.

Tutt’attorno, poi, c’erano le carcasse degli animali meno fortunati di lui.

Piccoli pterosauri erano adagiati sulla sabbia, il delicato patagio lacerato dalla caduta conseguente le raffiche di vento.

Strane creature, nascosti abitanti degli abissi si erano venuti a trovare all’esterno del loro elemento e dopo aver boccheggiato sulla sabbia, avevano incontrato la fine.

Bizzarri animaletti con sei zampe che correvano di lato uscivano dagli scogli dai quali avevano tratto riparo per nutrirsi del materiale in decomposizione.

Ovunque un odore penetrante di salmastro, di piante recise e di cadaveri.

Della sua famiglia nessuna traccia.

Aveva strepitato e strepitato, chiamando invano gli altri Deltadromeus, ma senza esito.

Probabilmente aveva passato indenne quel giorno solo perché altri e più grandi predatori erano troppo impegnati a nutrirsi delle carcasse per badare a lui.

Oggi finalmente un raggio di sole ha bucato la coltre di nubi, illuminando il “nostro” Corridore del Delta, accucciato sotto un altro tronco per passare la notte.

Il Teropode si è mostrato essere di corporatura slanciata, con un grosso cranio, arti anteriori lunghi e quattro dita per mano di cui tre munite di artigli, quello sul primo dito più grosso, e il quarto atrofizzato e più sottile.

Poi è emerso dalla vegetazione, stiracchiando al sole i suoi 8 metri di lunghezza, dalla punta del muso fornito di creste davanti agli occhi fino a quella della lunga coda per il controbilanciamento.

Il cranio di grandi dimensioni, come detto, è fornito di due paia di creste ossee, uno davanti agli occhi, uno sopra.

Dalla punta dal muso fino alle creste, grigie con i bordi blu, il muso è nero, tracciando fino alla mandibola un disegno simile a quello che sarà il logo della Nike.

Per il resto il cranio è marroncino chiaro, le palpebre sono blu e gli occhi arancione chiaro.

Dalla nuca parte una fila di lunghe spine cornee che terminano in fondo alla coda, ogni spina mostra bande trasversali nere, marrone e bianco.

Il corpo è marrone chiaro, più scuro sulla sommità del dorso, l’addome grigio chiaro.

Le lamelle conee sulle dita sono di un marrone più scuro rispetto a quello del corpo, gli artigli di un nero lucido.

Dalla gola fino alla base del collo scende una giogaia rosso acceso orlata di spine cornee nere

Altre spine cornee, stavolta marroni, ornano la mandibola, il rilievo corneo che delimita l’orbita e i gomiti.

Il Teropode sbadiglia mettendo in mostra un’impressionante chiostra di zanne affilate e poi si volta, pensando a come procurarsi il pasto.

Non si è rassegnato nella ricerca di altri membri della propria specie, ma ci sono altre necessità più urgenti…

Il branco di Nigersaurus pascola tranquillo nella radura.

I grandi animali, ognuno di essi tranne i cuccioli misura 15 metri circa, rumina con il proprio buffo muso le piante della radura.

Ogni tanto un animale alza il lungo collo per sorvegliare i dintorni, poi riprende a mangiare.

Il loro cranio, così diverso da quello degli altri sauropodi da suscitare ilarietà, è la chiave del successo di questi animali.

Quando vuole nutrirsi un Nigersaurus spalanca la larga bocca e chiude sull’obiettivo 600 piccoli denti che recidono efficacemente i vegetali.

Il corpo dei Sauropodi è verde oliva con strature orizzontali più scure, le parti inferiori giallo ocra.

Il nostro Deltadromeus osserva già da tempo i dinosauri dal collo lungo.

Si è spinto lontano dalla costa per evitare alcune grandi sagome che ha visto muoversi all’orizzonte.

Con cranio gigantesco e arti anteriori ridotti.

Carcharodontosaurus saharicus.

Ha già avuto pessime esperienze con questi animali… l’anno prima lo zio, fratello della madre, era tornato al nido con orribili ferite provocate dalle immense fauci di un Carcha, il più grosso predatore della regione, al quale aveva tentato invano di rubare la preda.

Il solo cranio è lungo un metro e 60 centimetri, la lunghezza totale può oltrepassare i 13 metri per un peso di 3-4 tonnellate.

Lo zio era morto quella notte per dissanguamento, è la loro tecnica di caccia, adatta ad aggredire grandi prede come i Titanosauri.

Un Deltadromeus giovane sarebbe facilissimo da uccidere per tali predatori.

Il dinosauro scaccia questi pensieri dalla mente e torna a concentrarsi sui Nigersaurus dalla bocca a spatola, cercando di individuare nel branco un esemplare più debole.

E sì, tra i corpi dei giganteschi sauropodi scorazzavano alcuni animali più piccoli…lunghi circa un metro.

Cuccioli.

Il Deltadromeus si sposta in silenzio dietro le piante, attento a non sollevare il benchè minimo rumore.

Qualche fruscio, sì, ma nulla di allarmante per i giganteschi animali.

Come spesso accade, anche questa volta i cuccioli sono creaturine irruente, e la presenza degli esemplari adulti infonde loro una sensazione di sicurezza che li porta ad abbassare la guardia contro i pericoli del mondo esterno.

I dinosaurini giocano allegramente nella radura, nascondendosi dietro le enormi zampe degli adulti.

Un piccolo Nigersaurus, forse più coraggioso degli altri, si allontana dal branco nascondendosi dietro ad alcune foglie di felce.

Dietro le quali ovviamente c’è qualcuno che lo aspetta.

Il muso aguzzo del Deltadromeus cala e prima che il piccolo possa emettere un gemito gli spezza il collo.

Il Teropode solleva di scatto il capo, guardingo, per prevenire eventuali reazioni aggressive da parte degli adulti.

Che non si sono accorti di nulla e continuano a brucare ignari.

Che animali ottusi.

La lingua rosata e barbata del dinosauro struscia contro le ossa dell’animaletto, cercando di afferrare minuti pezzetti di carne che ancora resistono attaccati alle ossa.

Il Deltadromeus con uno scatto della testa strappa gli ultimi brandelli dalla carcassa del piccolo, ormai completamente scarnificato.

Quindi con una torsione del capo spezza le costole, alzandosi in piedi.

Il poco che resta del corpo sarà a disposizione degli spazzini della foresta.

Il nostro Teropode si volta e, incerto se lasciare la sicurezza della foresta, infine si decide e torna verso la costa, dove ritiene ci siano più possibilità di trovare gli altri.

Il Nordafrica in questo periodo è molto diverso da come sarà fra milioni di anni, e d è composto in gran parte da lagune ed estesi delta fluviali.

A far da contorno alle sponde dei fiumi sono le foreste di mangrovie, che con le loro radici aeree si sono adattate perfettamente a quest’ambiente.

Nelle zone in cui l’acqua si confonde con la terra si è insidiato un notevole ecosistema di spazzini, quali granchi, tartarughe acquatiche e coccodrilli, alcuni di questi enormi animali in grado di affogare i Sauropodi quali il Sarcosuchus imperator lungo più di dieci metri, altri agili predatori terrestri come il Kaprosuchus saharicus, una feroce creatura dotata di zanne affilate e lunghi arti che le permettono di raggiungere una discreta velocità, che misura circa sei metri, e altre forme più piccole ma ugualmente bizzarre.

Una densa nebbia si è alzata sulla costa, impedendo di vedere oltre un paio metri di distanza.

Il giovane Deltadromeus comprende dai rumori e dagli odori che si sta muovendo in una laguna, sente lo scrosciare dell’acqua e occasionalmente il terreno sotto i piedi, banchi di sabbia trasportati dalle maree, e con il naso riesce a percepire gli odori del mare, sommati a quelli delle devastazioni: piante recise…carcasse…pesci morti…più un misto di pesce marcio e animali morti, un qualcosa che non riesce ad identificare.

D’improvviso una folata di vento solleva la nebbia e il Deltadromeus impietrisce.

Dinnanzi a lui, al massimo una decina di metri, c’è una creatura orrenda.

E’ un enorme teropode di almeno quindici metri e probabilmente di più.

Il suo muso è lungo, simile a quello di un coccodrillo, con lunghi denti che si incrociano quando la bocca è chiusa.

Subito davanti agli occhi c’è una piccola cresta ossea e sotto la gola una giogaia orlata di spine che cade formando pieghe cutanee.

Il resto del corpo è grande e massiccio, con un collo allungato e una lunga coda.

Gli arti posteriori sono piuttosto corti, quelli anteriori lunghi e possenti, terminanti con enormi artigli curvi, in special modo quello del dito più interno di ciascuna “mano”.

Ma la caratteristica più impressionante del mostro è un’enorme struttura sul dorso, una sorta di gobba o vela, in alcuni punti lacerata a lasciar intravedere la struttura ossea sottostante.

Una fila di lunghe spine cornee parte dalla nuca per orlare tutto il corpo.

La gigantesca creatura poggia il piede su un pesce Sarcopterigio di 4 metri morto.

Il cranio e la vela sono di un rosso scuro che talvolta, spesso sui bordi della stessa, diviene nero, la giogaia sotto il collo sfuma in giallo ocra con il corpo grigio alabastro screziato di nero.

Le creste davanti e sopra gli occhi sono azzurre.

Gli artigli sono marrone chiaro.

Il Deltadromeus non aveva mai visto un animale simile prima d’ora.

Non si fa illusioni: i denti e gli artigli lo indicano quasi certamente come un carnivoro.

Il mostruoso Teropode ruggisce violentemente.

Poi, avanzando, ripete il suo maestoso verso.

Al secondo ruggito il nostro dinosauro capisce che il vela sul dorso sta solo difendendo la preda.

Ben lieto di lasciargliela, corre al riparo.

Il grande Teropode lo osserva ancora per un po’, poi volta la testa e riprende il pasto dove lo aveva interrotto.

E’ un dinosauro che discende da una stirpe di avi europei, creature che chissà perché si erano adattate a vivere sulle coste e lungo i fiumi, cacciando i pesci e nutrendosi talvolta di carcasse.

Forse alla ricerca di cibo, o spinti da malattie, o per qualche altra causa hanno attraversato il mare grazie ad alcune lingue di terra alcuni milioni di anni fa.

Qui hanno trovato un habitat ideale, ma per proteggersi dagli altri carnivori locali, sono aumentati di dimensioni esponenzialmente.

La forma attuale, la più grande della famiglia, misura da adulta circa 16 metri per più o meno 6 tonnellate di peso, e possiede sulla schiena una cresta che la rende ancora più impressionante.

Il suo aspetto spaventoso serve a terrorizzare gli altri Teropodi quando deve appropriarsi del loro cibo, e anche per incutere timore ed evitare di essere attaccati, in quanto, sebbene sia un potente predatore non è molto abile nel combattimento.

Fra una settimana il Deltadromeus riuscirà a ricongiungersi con il proprio nucleo familiare.

Si stabiliranno lì, in quella zona abitata dal pescatore unghiuto.

Al nostro animale capiterà non di rado, durante le cacce, di trovare feci con lo stesso odore acuto e penetrante e sovente marchiature sui tronchi d’albero.

Solo una volta riuscirà ad intravedere di nuovo la creatura, una sagoma sfumata all’orizzonte, confusa nella bruma.

Ma ne sentirà spesso l’impressionante grido squarciare le nebbie della costa.

Il ruggito dello Spinosaurus aegyptiacus

   
 
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