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Autore: Annette85    30/06/2011    4 recensioni
Arthur balzò in piedi a tempo di record non appena sentì il gallo del vicino cantare.
Era una mattina come tante, in un’estate come ce n’erano state molte, solo una cosa era diversa: il giovane Arthur Weasley aveva compiuto da pochi mesi undici anni e non aspettava altro che la lettera di Hogwarts. [...]
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Arthur Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Nota: Storia scritta per il contest "Le prime volte non si scordano mai" di Robinki e classificatasi quarta.

Buona lettura^^


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Il Magico Mondo Babbano

Arthur balzò in piedi a tempo di record non appena sentì il gallo del vicino cantare.

Era una mattina come tante, in un’estate come ce n’erano state molte, solo una cosa era diversa: il giovane Arthur Weasley aveva compiuto da pochi mesi undici anni e non aspettava altro che la lettera di Hogwarts.

I suoi fratelli più grandi frequentavano la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts già da qualche anno e gli avevano raccontato tante storie affascinanti su quel luogo così misterioso.

Cedrella lo vide arrivare in cucina come un uragano e per poco non travolse Phineas, il gatto di casa, che stava ciondolando davanti alla porta ancora leggermente assonnato.

«Buongiorno, Arthur», iniziò la strega. «Hai dormito bene?»

«È già arrivata la posta?» domandò in risposta il ragazzino, spostando lo sguardo da sua madre alla finestra.

«No, tesoro, il gufo deve ancora passare», rispose comprensiva Cedrella, facendo finta di nulla alla non risposta del figlio. Sapeva molto bene quanto fosse ansioso di ricevere una lettera su pergamena, con la scritta verde e il sigillo della scuola.

«Ma quanto ci mette da Hogwarts a qui?» chiese più a se stesso che alla madre, imbronciandosi.

Cedrella sorrise comprensiva e gli riempì il piatto di salsicce appena tolte dal fuoco per consolarlo un po’. «Ci mette il tempo che gli serve», rispose a un tratto. «Non avere fretta».

Arthur sospirò prima di addentare una salsiccia e dedicarsi completamente alla colazione. Phineas, silenzioso, dopo essersi ripreso dallo choc provocatogli dal ragazzino e sedutosi di fianco alla sua sedia, osservava bramoso il cibo preparato da Cedrella, stando bene attento nel caso in cui fosse caduto dritto dritto nelle sue fauci.

Dopo svariati minuti in cui lo sbatacchiare delle stoviglie che si stavano lavando da sole e il raspare della forchetta nel piatto di Arthur erano gli unici rumori, si sentì un picchiettio sempre più insistente alla finestra. Subito il ragazzino si alzò dalla sedia e iniziò a saltellare per tutta la stanza: al di là del vetro c’era un maestoso gufo grigio con stretta nel becco una lettera ingiallita.

«È arrivata! È arrivata!» ripeté più volte, mentre Cedrella apriva la finestra al rapace, che subito entrò in cucina, diede un frullio d’ali e lasciò cadere la lettera tra la brocca del succo di zucca e il piatto di Arthur, prima di volare via, di nuovo verso Hogwarts.

Il giovane mago prese la lettera con mani tremanti, mentre il sorriso continuava ad albergare sul suo volto. Sulla busta recava la dicitura:

Signor A. Weasley
Camera del secondo piano
Il Rifugio
Midhurst
West Sussex

Sul retro il sigillo con lo stemma di Hogwarts confermava la provenienza della lettera.

«Hai visto? Bastava avere un po’ di pazienza», sorrise Cedrella osservando il figlio aprire con cura quasi maniacale la lettera stando bene attento a non rompere il sigillo.

«Andiamo a Diagon Alley, vero?» chiese speranzoso non staccando gli occhi dai fogli che sbucavano dalla busta.

«Certo», rispose sua madre. «Ma non oggi. Devo accompagnare tuo fratello al San Mungo».

Il sorriso di Arthur si spense in un istante: «Oh», esalò solo, afflosciandosi sulla sedia.

«Papà, però, mi ha detto che ti porterà in paese: deve fare alcune commissioni e ha bisogno di un aiuto», cercò di consolarlo Cedrella, appoggiandogli una mano sul braccio.

«Va bene», rispose ancora mogio il ragazzino. «Hai detto in paese?» chiese incredulo dopo aver ripensato alla risposta di sua madre.

Cedrella annuì e sorrise mentre Arthur ricominciava la danza interrotta quando aveva preso tra le mani la lettera di Hogwarts: la strega non aveva mai visto un bambino tanto felice di andare a fare spese in un paese Babbano.


***


Arthur Weasley era già stato altre volte in paese, a Midhurst, ma non aveva mai avuto occasione di visitare qualche negozio. Di solito i suoi genitori gli permettevano di andare a giocare con gli altri bambini nel parco giochi di fronte alla scuola, mentre loro erano impegnati, ma non si era mai divertito particolarmente.

Quando arrivò a Midhurst con suo padre, il sorriso andava da un orecchio all’altro. C’erano così tante cose da vedere, scoprire e provare che, a ogni vetrina, Arthur si fermava e si appoggiava con tutto il proprio peso contro il vetro, quasi a voler entrare nei negozi da lì.

A un tratto l’attenzione di Arthur venne catturata da un negozio con degli strani aggeggi in vetrina: avevano tutti due ruote e una strana cosa che probabilmente doveva essere stretta tra le mani. Il ragazzino ne restò affascinato al primo sguardo, chiedendosi come funzionassero e a cosa servissero.

Suo padre si fermò poco distante, quando si accorse che Arthur era rimasto indietro ritornò sui propri passi. «Si chiamano biciclette», disse sorridendo quando vide gli occhi del ragazzino sgranati e luccicanti.

«E a cosa servono?» chiese dopo un po’.

«I Babbani le usano per viaggiare», spiegò Septimus appoggiando una mano sulla spalla di Arthur e spostandolo verso la porta del negozio. «Certo, non vanno veloci come le nostre scope, ma sono un ottimo mezzo di trasporto non magico».

«Come funzionano?» domandò ancora il ragazzino, ammaliato dalla spiegazione di suo padre e dalla bicicletta rossa fiammante che si intravedeva dalla vetrina.

Septimus non rispose subito, ma si limitò a entrare nel negozio, dove un grande pupazzo stava pedalando su una bicicletta forse troppo piccola per la sua stazza. «Vedi? Ci si siede sul sedile, si mettono le mani su quella specie di asta e i piedi sui due poggia-piedi».

«Buongiorno», intervenne un omino magro da dietro il bancone. «Posso esservi utile?»

«Mio figlio è rimasto affascinato dalle vostre biciclette», disse il mago sorridendo. «Si potrebbe provare quella laggiù in fondo, rossa con l’asta dorata?»

«Certamente», rispose il commesso dirigendosi verso la bici e slegandola dalla catena che la assicurava alle altre.

Arthur la fissò per qualche istante, insicuro su cosa dovesse fare, poi guardò un’ultima volta il pupazzo e salì anche lui in sella, imitandolo. Quando mise entrambi i piedi sui pedali non ci volle molto tempo per rendersi conto che non fosse affatto facile stare in equilibrio né che fosse come sollevarsi qualche centimetro da terra con una scopa volante.

Il contatto della sua spalla col freddo e duro pavimento, fu la prova che il pupazzo era molto più bravo di lui a stare in sella e pedalare. Alcune lacrime punsero gli occhi bramose di uscire, ma Arthur fu più forte di loro e le ricacciò indietro: non voleva che qualcuno lo vedesse piangere per una cosa del genere.

Septimus e il commesso lo guardarono sorridendo e, dopo qualche istante, lo aiutarono a rimettersi in piedi.

«Devi solo fare un po’ di esercizio», assicurò il commesso mentre gli spazzolava via la polvere dalla maglia.

«Magari un’altra volta», rispose a testa bassa Arthur, ancora in imbarazzo per essere caduto come una pera cotta subito, senza neanche muovere un piede.

«Per caso», intervenne Septimus non appena gli balenò in testa l’idea. «Prestate le biciclette?»

«Sì, è uno dei servizi che offriamo ai nostri clienti», rispose prontamente il commesso. «Può scegliere la bici che vuole e tenerla per tutta la giornata».

Septimus si voltò verso suo figlio e gli mise una mano sulla spalla: «Che ne dici?» bisbigliò. «A Hogwarts sarai invidiato da molti perché sai andare in bicicletta, non è una cosa che i maghi fanno di frequente».

Arthur annuì non molto convinto, ancora leggermente spaventato dall’idea di finire un’altra volta lungo disteso a terra, ma si fece coraggio e afferrò il manubrio della bicicletta conducendola all’aperto.

Una volta in sella, si rese conto che forse non sarebbe stato molto difficile imparare, bastava solo fare un po’ di pratica, come in tutte le cose. Come quando aveva imparato ad andare sulla scopa. In fondo per tutto c’è una prima volta e alcune delle cose babbane non sono poi così diverse da quelle magiche.

   
 
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