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Autore: Akira14    01/07/2011    1 recensioni
“Sei felice, ora?” ti chiede, con una nota d’apprensione nella sua voce.
“Non lo so.” Rispondi, in tutta onestà. “Suppongo di sì.”
La certezza, ormai, l’hai persa per strada.
Tanto di quel tempo fa che ora, quasi, fatichi a ricordare.
La felicità secondo Arthur ed Eames.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Our hopes and expectations

Our hopes and expectations
(Black Holes & Revelations)




“Sei felice, ora?” ti chiede, con una nota d’apprensione nella sua voce.
“Non lo so. Rispondi, in tutta onestà. “Suppongo di sì.
La certezza, ormai, l’hai persa per strada.
Tanto di quel tempo fa che ora, quasi, fatichi a ricordare.

***



Quando ancora eri bambino credevi all'esistenza di diverse cose che, crescendo, si sono rivelate favole o sciocche illusioni.
Che a Natale un vecchio bacucco portasse i doni scendendo per un camino. Che quando saresti diventato grande avresti fatto l'astronauta o il pompiere o il dottore o il pilota di aerei. Che avresti trovato la tua metà, una bellissima principessa da salvare – anche se in effetti, allora, le principesse ti sembravano soltanto delle gran rompiscatole che sapevano soltanto andarsi a mettere nei guai – e che sareste vissuti per sempre felici e contenti.
La felicità, in fondo, per te era un bacio sulla fronte di tua madre e un “sono orgoglioso di te, Arthur” di tuo padre. Lavorandoci sodo, non ti sembrava poi un obbiettivo così difficile da raggiungere. Non ti sembrava impossibile che, quella felicità, potesse durare tutta una vita. Era tutta una questione d'impegno. Di dedizione. Null'altro.

****



Quando ancora eri bambino non ti fidavi di nulla che non potessi toccare con mano.

Avevi fatto piangere gli altri mocciosi ai grandi magazzini, quando avevi staccato la barba di quell’ impostore ed avevi rivelato loro che quello non era Babbo Natale.
E che Babbo Natale, in realtà, non era che un'invenzione degli adulti per togliersi dall'impiccio di non essere riusciti a trovarti il regalo giusto.
Così avrebbero sempre potuto dire “Smetti di essere un tale ingrato! Altrimenti la prossima volta ti porterà soltanto carbone. se osavi lamentarti. Molto conveniente, no?

Sì. Se c'era una cosa che avevi capito già allora era che l'inganno mascherato da buone intenzioni era non solo accettabile ma addirittura preferibile alla realtà stessa.
Che la felicità era qualcosa di effimero, che durava giusto il tempo del suo sorriso indulgente quando ne facevi una delle tue e finiva quando le sue labbra si attaccavano alla bottiglia maledicendo tuo padre e la sua ennesima scappatella.
Tanto valeva godersela senza troppi pensieri.

****



Con il passare degli anni, non sai come, ti eri fatto la fama del secchione incapace di divertirsi.

Soltanto perché non capivi che ci fosse di così grandioso nel perdere serate intere a distruggersi il fegato. O nell'accontentarsi di portarsi a letto ragazze ubriache, alle feste, salvo poi svegliarsi e scoprire di aver dimenticato entrambi gran parte di quanto successo la notte prima.

A te non serviva inebetirle con l'alcool; già erano positivamente colpite dal fatto che tu potessi essere realmente interessato a quanto ti dicevano
. Che da una volta all'altra ricordassi l'essenziale del discorso che avevate incominciato o delle confidenze che ti aveva fatto.

A ripensarci adesso, probabilmente molte ti avevano visto come “il ragazzo sensibile e sicuramente gay” e ciò aveva fatto di te il migliore amico che potessero desiderare
.
Tu, ovviamente, non ti lamentavi. Se capitava che qualcuna desiderasse più di un’amicizia e se l’interesse era reciproco, le concedevi un paio di appuntamenti. Senza un eccessivo coinvolgimento emotivo, certo: tu non avevi bisogno di certe distrazioni.

Dovevi lavorare per la tua felicità. Quella futura. Quella che sarebbe durata per sempre.

****



Con il passare degli anni, proprio come t'aspettavi, ti eri fatto la fama dello scapestrato che non pensa ad altro che a divertirsi.

I tuoi genitori avevano anche preso in considerazione di non pagarti la cauzione, una volta, giusto perché speravano che un po' di tempo dietro le sbarre ti facesse rinsavire. Poi, alla fine, aveva vinto la vergogna. Il 'non si deve sapere.'
Così hai potuto continuare ad agire indisturbato.

Farsi amici non era stato difficile, una volta compreso che cercavano soltanto qualcuno con cui far baldoria e che avesse le palle per “sfidare il sistema, le convenzioni”. Ancora oggi devi capire che cazzo volesse dire, ma allora ti faceva apparire un gran figo e questo ti bastava. Anche pretendere che avesse un senso, insomma...

Per le donne eri il 'dannato', quello che cercavano – inutilmente – di cambiare e d'ingabbiare in una relazione stabile.

Prendevi scampoli di felicità come venivano, nelle pacche sulla spalla di un amico o nel corpo morbido e caldo di una donna, compiacendoti ogni volta della tua maestria nell'ingannarli.

****



C’è stato un periodo, piuttosto lungo, in cui la tua unica preoccupazione era arrivare a fine giornata.
Completare la missione con il minimo dispendio di energie e di tempo, ritornando alla base possibilmente illeso e senza aver perso nessuno dei tuoi commilitoni.

In cui i tuoi superiori ti avevano insegnato che anche cullarsi in utopiche prospettive future era una di quelle ‘distrazioni’ da evitare.
L’ambizione era tollerata, se ti spingeva ad essere una macchina da guerra – efficiente e senza sentimenti – per arrivare ad occupare delle posizioni di rilievo. Incoraggiata, perfino.
Questo finché non diventavi una presenza scomoda. Una mina vagante di cui liberarsi quanto prima.

Gli unici sogni accettati erano quelli che eri stato addestrato a costruire e guai a te se uscivi dal seminato, se ti permettevi guizzi d’immaginazione non richiesta. Le botte che hai preso, per delle stupide fantasticherie, facevano sembrare lievi carezze i pestaggi subiti durante il liceo.
Così hai smesso. Finché non hai incontrato Mal.

****



C’è stato un periodo, alquanto breve, in cui hai perlomeno provato ad avere un minimo di lungimiranza. Non esattamente quella che si sarebbero auspicata il tuo ‘augusto parentado’ .
in realtà, ma più mirata ai tuoi scopi futuri.

Hai cominciato a frequentare assiduamente biblioteche e librerie, avido di approfondire, anche in ambito teorico, la tua conoscenza dell’animo umano e dei metodi più efficaci per prendersene gioco. Hai affinato i tuoi talenti artistici, già non indifferenti, con l’esercizio. Hai appreso i rudimenti di ogni campo che ti potesse tornar utile, che ti potesse permettere d’infiltrarti inosservato ovunque volessi.
Non saresti diventato semplicemente il miglior falsario al mondo, ma anche un leggendario ladro di identità.

Programmavi ogni cosa, anche a distanza di mesi, in modo che tutto si svolgesse secondo i tuoi piani. Funzionava a meraviglia; quando s'accorgevano dell'inganno tu ed i soldi che avevi spillato loro eravate già svaniti nel nulla.

Così hai continuato. Finché non hai incontrato Arthur.

****



Mal era stata la prima a mostrarti il vero potenziale dei sogni condivisi, in grado di ricreare qualsiasi tipo di scenario e non soltanto trincee o campi d'addestramento. Poter andare letteralmente a passeggio nella mente di qualcun altro e, volendo, carpirne i segreti.

Un 'luogo', per così dire, dove loro erano gli attori e tu il loro regista. Dove la tua eccellenza era vista come una risorsa, non come una minaccia.

Mal, così brillante ed amabile. Mal, che aveva un'insaziabile curiosità verso ogni sfumatura dell'onirico – ti chiedi, ora, come tu possa essere stato tanto cieco – e un entusiasmo contagioso.
Mal, che sapeva farti capire quando davvero chiedevi troppo a te stesso. A costo di fermarti con un proiettile in testa.

Avresti potuto anche amarla, se non ci fosse stato Dom.

****



Arthur non era stato il primo a svelarti i tuoi limiti, a puntare i riflettori sull'imperfezione della tua farsa. Nessuno altro, però, era mai stato in grado di smascherarti così velocemente. Nei sogni condivisi, poi, dove addirittura potevi arrivare a cambiare del tutto le tue fattezze – diventando una sventola mozzafiato, tanto per dirne una – riusciva sempre ad individuare al primo colpo che si trattava di te.

Arthur, così freddo ed analitico.
Arthur, che anticipava ogni tua mossa e rendeva controproducente avere un piano.

L'unica soluzione era prenderlo di sorpresa, visto che quell'uomo era l'antitesi dell'improvvisazione. Ed anche della fantasia, a giudicare dalle banalissime armi di cui si serviva – perché usare una pistola, quando avrebbe potuto tirar fuori dalla pura astrazione un bel bazooka? - o dalla stucchevole eleganza dei livelli in cui si era trovato ad affrontarlo.

Arthur, che sapeva farti capire quando ti adagiavi sugli allori e non chiedevi abbastanza a te stesso.
Avresti potuto anche odiarlo, se ci fosse stato qualcun altro alla sua altezza.


****



Non capivi. Cosa erano andati a cercare, scendendo tanto a fondo nell'inconscio da non riuscire più a tornare in superficie?
Insomma, avrebbero avuto ogni ragione per essere felici e soddisfatti di ciò che già possedevano.
L'amore reciproco, la famiglia, la salute ed i soldi procurati da un lavoro gratificante... Eppure no, non era abbastanza. Non per loro. Non per lei.

Non capivi e non volevi nemmeno sforzarti di farlo, cazzo. La comprensione non ti avrebbe restituito Mal. Piuttosto, avresti voluto prendere il cellulare e scaraventarlo contro il muro; come se frantumarlo potesse magicamente annullare quanto Dom ti aveva appena comunicato. Svegliarti.

Nervosamente prendesti in mano il totem, soppesandolo più volte. Facendolo scorrere tra le tue dita. Lasciando che gli angoli del dado premessero dolorosamente contro il palmo. Nessun incubo. Era la realtà. Ecco cosa accadeva a chi si perdeva per strada, cercando di crearsi un mondo a propria immagine e somiglianza. A chi si credeva la Regina, quando in realtà era poco più di un pedone.
Tu non avresti commesso lo stesso errore. No. Eri conscio di quale fosse il tuo ruolo. Coprire le spalle al gruppo. Far sì che l'Estrattore arrivasse ad ottenere le informazioni che vi erano state richieste dal committente del furto. Considerarti 'felice e soddisfatto' per un'ottima performance professionale e non avere ulteriori pretese.

Sapevi che Dom, ora più che mai, aveva bisogno di qualcuno come te. La lealtà – l'amicizia? - prevalse sull'istinto di fuggire, di trovarsi un altro team. Restasti al suo fianco.
E quando arrivò la chiamata della Cobol, naturalmente, lo seguisti.

Nonostante non considerassi Nash all'altezza del compito. Nonostante l'incapacità di Cobb di tenere Mal fuori dai propri sogni. Lo seguisti, perché avevi fiducia in lui. Ragione più che sufficiente, per te.

Il fallimento non ti smosse dalle tue convinzioni. Dubbi, tentennamenti... ti avrebbero portato ad indagare più a fondo e ciò non faceva parte delle tue mansioni.

Ariadne, qualche settimana più tardi, ti avrebbe accusato di non renderti conto o di voler ignorare quanto grave fosse l'ossessione di Dom per Mal. Senza chiedersi il perché.
Lei non aveva idea. Non poteva averne.

****



Capivi cosa li avesse spinti così in là. Perfettamente. Quanto era insoddisfacente il realizzarsi di ciò che avevi sempre sperato, in confronto a tutte le energie che avevi investito affinché accadesse... Era il tentare di afferrare l'uva, senza mai riuscire a coglierla, che dava gusto ad un'esistenza altrimenti insipida.

Ti saresti presto stancato di tallonare Arthur, per esempio, se questi ti avesse mostrato un minimo d'interesse.
Se si fosse fatto mettere al muro, ricambiando i tuoi baci, senza opporre resistenza... Ti saresti trovato un'altra 'preda'. Sicuramente.
Capivi e non pensavi che ci volesse chissà quale acume o empatia per esserne in grado, cazzo.

Quando ti arrivò la notizia, la tua unica paura fu che i tuoi avversari perdessero colpi in seguito al lutto. Non c'era gusto nel vincere contro qualcuno schiacciato dal dolore. Rispettavi sia lui sia Cobb, in fondo. Erano i migliori, esattamente come lo eri tu, nei loro ruoli.

Il fallimento con la Cobol sembrò confermare i tuoi timori.

Ciò nonostante, quando Cobb venne a chiederti di far parte del suo team tu accettasti seduta stante. Effettuare un innesto attraverso il sogno, ritenuto impossibile, era per te uno stimolo ben maggiore di qualsiasi antagonismo – o 'tensione sessuale inespressa' - ci potesse essere tra te ed Arthur.
Qualsiasi fosse stato l'esito, saresti stato già soddisfatto – felice, addirittura? - di aver preso parte ad un'impresa del genere.

Pianificasti ad arte il tuo ruolo nel manipolare il soggetto, giocando sul suo fragile rapporto con il padre, per impiantare il seme che l'avrebbe portato a sfaldare il proprio impero finanziario.
Progettasti nei dettagli, insieme ad Ariadne, il livello in cui saresti stato tu il sognatore.
Non ti chiese se avevi calcolato i rischi o la possibilità di fallimento. Quasi fosse spinta dalla tua stessa forza, dalla tua medesima scelleratezza.
Lei sapeva. Sapeva fin troppo bene.

****



Ammettilo. Hai trovato la presenza di Eames, nel team per l'innesto, inaspettatamente confortante.
Sei rimasto impressionato, sul serio, dalla professionalità con cui ha esposto i vari passaggi che vi avrebbero dovuto portare ad impiantare l'idea nella mente di Fischer con successo.
Certo, avresti desiderato più specificità riguardo alle possibili reazioni del soggetto... ma non c'era ragione di starsene lì a sindacare.

Ammettilo. Quando Dom e Yusuf vi hanno rivelato che morendo nel sogno non vi sareste svegliati, anche tu hai preso in considerazione di restare al primo livello. Insieme ad Eames.
Pagando il tuo errore, il non essere stato a conoscenza della milizia mentale di Fischer, con la vita.
Se proprio devi finire i tuoi giorni intrappolato nel limbo, dopotutto, potrebbero esserci compagnie ben peggiori... no?

Per fortuna è stata questione di un secondo, poi la tua sanità mentale ti ha fatto concordare con le parole di Cobb. È un grandissimo figlio di puttana, che vi ha portati praticamente al macello, ma ha ragione. Perché rimanere lì, a farsi ammazzare, quando invece potete portare comunque a termine la missione?
La vostra unica possibilità è continuare.

Man mano che scendete, cominci a dubitare che il Chimico sia in grado di garantire la vostra incolumità. Hai paura che Dom non riesca a tenere a bada Mal. Temi che Ariadne sia ancora troppo inesperta, anche se certo non le manca il sangue freddo o la concentrazione. Nemmeno quando l'hai baciata, s'è fatta distrarre. Non completamente, almeno, nonostante l'imbarazzo.
Che poi, perché l'hai fatto? Per dimostrare a te stesso di essere ancora capace di flirtare con una donna? Per avere la conferma che non era lei che volevi baciare?

Fatto sta che, esclusa l'assoluta fiducia che riponi nelle tue capacità, Eames è l'unico su cui fai il medesimo affidamento.
Sei sicuro che, a costo di abbandonare gli altri nel limbo, avrebbe portato in salvo la pellaccia.
La sua mancanza di nobiltà d'animo non è che ti disturbi. Che ritorni – torni da te – è ciò che conta.
Non ti sei chiesto cosa significhi né questa tua convinzione né il tuo sollievo nel vedergli riaprire gli occhi, sull'aereo.

Ti saresti lasciato tutto alle spalle, se lui non si fosse infilato nel taxi insieme a te. Hai cercato di ignorarlo, davvero, ma è stato più forte di te. Se fosse stato zitto, se non ti avesse rincretinito con quel suo accento assurdo... Ti sei voltato verso di lui e, forse per l'euforia di essere ancora vivo, lo hai preso per la nuca. Avvicinando le tue labbra alle sue, l'hai baciato.

Ha esitato un attimo a ricambiare, a sbatterti contro il sedile ignorando le occhiatacce del tassista.

Questo sì, che dovresti capire cosa significa.

****



Ammettilo. Hai trovato Arthur inaspettatamente destabilizzante.
Ti ha preso in contropiede, sul serio, quando è rimasto colpito dalla tua spiegazione dei punti chiave dell'innesto. Sotto tutta quell'ironia c'era della sincera ammirazione. Ti ha fatto piacere, ben più di quanto trasparisse dalla tua risposta, grondante dello stesso sarcasmo che lui ti aveva riservato.

Ammettilo, che ti saresti fermato davvero al primo livello se Arthur fosse restato con te. Coprendovi vicendevolmente le spalle, potevate sopravvivere ben più di una settimana.
In sette giorni soli contro un intero esercito di proiezioni, poi, chissà che piega avrebbero potuto prendere le cose tra voi due. Se, malauguratamente, foste finiti nel limbo... avresti forse potuto desiderare compagnia migliore?
Rimanere da solo a farsi massacrare, però, non avrebbe avuto alcun senso. L'unica possibilità era continuare. Andare più a fondo, come sosteneva quel coglione che vi aveva reclutati tutti come suoi personali kamikaze. No, non stai parlando di Saito. Anche perché lui avrebbe avuto da obiettare sull’uso improprio di quel termine, probabilmente.

Conti su Yusuf per la tua incolumità, quando vi addormentate sul furgone. Non ha ragione di lasciare che le proiezioni vi uccidano, anche perché se no può scordarsi sia la propria parte di compenso sia quella di Cobb.

Ariadne ti è sembrata abbastanza sveglia, ed è un ottimo Architetto. Forse è un po' troppo invaghita di Arthur per i tuoi gusti – non che tu la possa biasimare, eh – ma siccome è la sola capace di far ragionare Cobb sei più che disposto a passarci sopra. Chissà che non riesca anche a tenere a bada Mal.

Arthur. Be', lui è un punto fermo
. Ha la tua assoluta fiducia. Qualsiasi cosa possa succedere, quand'anche doveste metterci più tempo del dovuto al terzo livello e mancare il calcio, sei sicuro che s'inventerà qualcosa per farvi cadere. Perfino in assenza di gravità.
Tu, personalmente, non hai nulla di cui rimproverarti. Hai interpretato i ruoli che ti son stati richiesti alla perfezione. L’ha visto anche lui, dato che seguiva con lo sguardo ogni tuo movimento, no?

Nel momento in cui Fischer apre la cassaforte, fai scoppiare le cariche. Non puoi attendere; non ti sacrificherai per un uomo incapace di combattere i propri fantasmi o per una ragazzina incosciente che crede di poter salvare tutti. Al massimo potresti per Saito, per assicurarti di ricevere il compenso che meriti. Sarebbe già tanto che sapesse come si chiama, una volta sveglio, figuriamoci ricordarsi di doverti un lauto stipendio. Per quanto venale tu possa essere, però, tieni più alla tua incolumità che ai soldi. Tu devi svegliarti, tornare da Arthur.

Ve la cavate
per il rotto della cuffia, alla fine. Più per la testardaggine di Ariadne che per altro. La ringrazieresti, se non t’irritasse il suo stare costantemente appiccicata alla persona sbagliata. Atteggiamento del tutto ingiustificato, il tuo: come puoi sentirti minacciato da lei, temere che ti porti via qualcosa che non hai mai posseduto? È puerile, e lo sai, eppure non ti riesce di alzarti e dirle anche solo “grazie”.

Preferisci concentrarti sulle parole di Robert, augurandoti che rimanga dello stesso avviso una volta sveglio e non giudichi l’idea un’emerita stronzata. Si rivela essere un ottimo diversivo, almeno finché non lo vedi oltrepassare le porte scorrevoli dell'aeroporto.
Allora ti ritrovi nuovamente e totalmente focalizzato su Arthur. Che sta quasi per salire su un taxi, ma senza di te.

Non indugi troppo a buttare la tua valigia nel bagagliaio ancora aperto e a sederti accanto ad lui, sentendo di avere qualcosa di vitale importanza da dirgli che non può essere rivelato in una telefonata né tanto meno aspettare oltre.
Cosa sia, ne hai soltanto un vago sentore.
Certo non è l'offerta di un drink per festeggiare un lavoro ben riuscito, nonostante quella sia la prima cosa che t'è venuta in mente di dirgli. Non riguarda nemmeno le tue intenzioni sul come scialacquare il vostro compenso, o la tua sorpresa nell'esserti trovato perfettamente a tuo agio ad averlo nella tua squadra. Be sì, quest'ultima hai la sensazione che si avvicini già a quello che vorresti dirgli. Ma tu sei un maestro nell'aggirare le questioni, nel vendere fumo ed ora il tuo talento ti si sta ritorcendo contro. Gli parli di tutto e di niente e lui finge di ignorarti, come al solito. Nessuna variazione al copione che ormai conoscete a memoria.

Poi arriva, inaspettato, un guizzo d'improvvisazione e non hai neppure il tempo di renderti conto di cosa stia effettivamente accadendo che le sue labbra sono già sulle tue.
È come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Di quelli che ti riportano con violenza alla realtà e ti fanno capire che non sarà un bacio, o il fatto che Arthur ricambi il tuo interesse nei suoi confronti a farti cambiare il soggetto dei tuoi desideri.
Questo no, non vuoi proprio capire cosa significhi.


****



Le tue incertezze fanno presto a dissolversi: Eames è restato. Si è messo in gioco, almeno quanto te, e non ha la benché minima intenzione di perdere. Anche se volesse dire stringere i denti durante un'infinita sequenza di cattive mani, prima di avere tra le dita quella vincente.

Se qualcuno te lo domandasse non sapresti dire se questa è la felicità che hai cercato tanto a lungo, ma ormai non ha alcuna importanza. Stai bene, state bene insieme – e non solo per il sesso, anche se quello è un aspetto particolarmente appagante - e tu non chiedi altro.

****



Non ti ci è voluto molto a far luce su quel mistero: la sfida non è mai stata nel convincerlo a scommettere su di te, salvo poi lasciarlo a tasche vuote alla fine della vostra cosiddetta partita. No, è far sì che nessuno dei due abbandoni il tavolo da gioco. Anche nei momenti di stanca, anche quando le carte saranno mal assortite ed avrete l'impressione che sarebbe meglio ritirarsi per salvare almeno la faccia.

A chi te lo chiedesse, non saresti in grado di dire se questa che ti è capitata tra le mani sia quella che loro chiamano 'felicità'.
Stai bene, state bene insieme – anche se spesso vorreste strozzarvi reciprocamente... il che rende il sesso particolarmente interessante - e tu non chiedi altro.

  
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