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Autore: Sten__Merry    01/07/2011    7 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
*
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!!
Spero vi piacerà questa storia e spero di leggere tanti commentini *_*
Questa non è la mia prima FF, ma sono passati troppi anni dall'ultima volta che ho scritto con costanza e spero di riuscire a mantenere l'impegno, anche se non riuscirò a postare con troppa assidiutà fino al 13 luglio, poi spero di stabilizzarmi! :)
Grazie davvero a tutto coloro che perderanno il loro tempo a leggerla, mi auguro vi piaccia. Fatemi sapere.

Sten X.




 

Quella mattina Londra profumava di primavera, era una di quelle giornate in cui mi piaceva fermarmi per strada e prendere un'immensa boccata aria, andare oltre l'odore di smog e riconoscere le fragranze tipiche della città.

A Londra tutto aveva un profumo particolare; quella mattina il mio olfatto venne colpito dal profumo del sole, sì, perché a Londra anche il sole ha un suo caratteristico profumo. Avevo iniziato a notarlo poche settimane prima quando, lasciando il mio Hotel a Bloomsbury, non ero stata colpita dalla solita raffica di vento, ma la città mi aveva accolto con un dolce tepore, un benvenuto nel quale non avevo potuto far altro che sentirmi a mio agio.

Oggi il sole splendeva timido nel cielo offuscato solo da qualche rarefatta nuvoletta chiara, sembrava chiamarmi, così afferrai la giacca di pelle scura, la borsa color caramello e mi tuffai fuori dalla stanza.

Non c'era luogo in cui mi sentissi più a casa che non circondata dai robivecchi della zona di Portobello Road il sabato mattina, così mi diressi lì convinta di poter approfittare dell'ora presta per fare dei veri affari, uscii dalla fermata di Ladbroke Grove prima dello scoccare delle nove e nonostante non vi fosse ressa uscii dalla stazione metro con foga facendovi echeggiare fragorosamente i tacchi degli stivaletti.

Attraversai la strada, superai il negozio di fiori con le porte dipinte d'azzurro che si trovava proprio di fronte alla fermata, costeggiai una scuola elementare ignorando gli schiamazzi dei bambini in procinto di andare in gita, oltrepassai qualche casa e finalmente arrivai a destinazione. Una veloce occhiata alla via principale mi rese ben chiaro di essere arrivata con troppo anticipo così mi sedetti alla pasticceria francese poco lontana, ordinai un croissant ed un caffè nero, accesi una sigaretta e feci un tiro profondo, godendo di come, per la prima volta quel giorno, il fumo accarezzasse il mio palato. Di fronte a me passò una signora dai nobili lineamenti che portava a passeggio il suo cagnolino, mi sorrise, ricambiai. Quel mutuo scambio cortese non smetteva mai di sorprendermi, da piccola, quando ancora vivevo nel freddo e nebbioso nord Italia, nessuno mi aveva insegnato l'importanza di un sorriso regalato ad uno sconosciuto, nessuno mi aveva spiegato come quel semplice gesto poteva illuminare una giornata; avevo scoperto l'importanza dei sorrisi solo qualche anno prima quando, al bancone di un bar di Buenos Aires, la barista aveva risollevato la mia giornata infernale solo con quell'accenno di cortesia.

Avevo 17 anni e vivevo lì con un ragazzo di qualche anno più grande di me. Ero arrivata in quel paese un anno prima, lo avevo incontrato in aereo e da quel momento non ci eravamo più lasciati, fino a quel giorno, quando in quel bar mi aveva preso la mano e mi aveva confessato di avermi tradita, mi aveva detto che aveva smesso di amarmi e mi aveva chiesto di andarmene da casa sua la sera stessa, poi si era alzato ed era uscito dal locale incapace di affrontare la mia reazione, io mi ero avvicinata barcollante al bancone ed avevo ordinato una tequila, la barista mi aveva sorriso e scosso la testa

“Son solo le undici del mattino” mi aveva detto senza accennare a farsi seria in volto

“Ed è già una giornata terribile” le avevo risposto, alzando leggermente un angolo della bocca verso l'alto, mantenendo lo sguardo rivolto ai miei piedi

“beh in questo caso...” aveva tirato fuori due bicchieri riempiendoli con temprata professionalità del liquido trasparente che le avevo richiesto, aveva alzato il bicchiere lasciandomi intendere di brindare con lei

“è per un uomo?” mi aveva chiesto mentre avvicinavo il mio shot al suo

“Per che altro potrebbe essere?” avevo risposto, poi un sorriso spontaneo si era disegnato sulle mie labbra mentre osservavo la donna che stava decidendo il da farsi, passare al prossimo cliente o dedicarsi a questa ragazzina vestita di scuro al banco? Alla fine aveva deciso di dedicarsi a me, finii col raccontarle tutto tutto, di come ero l'anno prima ero scesa dall'aero mano per la mano con uno sconosciuto, e di come ora mi trovavo improvvisamente rimasta senza fidanzato e senza casa, lei mi aveva invitato a star da lei per un po'.

Avevo finito per vivere con lei per quattro anni. Solo mesi dopo mi aveva confessato che a convincerla a rimanere con me quel giorno era stato quel sorriso disegnatosi su un viso che tratteneva a stento le lacrime, un sorriso cacofonico che l'aveva conquistata.

Ora, ogni volta che vedevo un sorriso, ricordavo quel giorno in cui Marizza aveva deciso di accogliere in casa una sconosciuta, e capivo quanto quel gesto potesse significare per qualcuno.

Sì, negli anni ero profondamente cambiata, da bambina timida ad adolescente ribelle fino a diventare una giovane donna con un nuova visione del mondo. Oggi il mondo per me era solo un oceano da cui pescare migliaia di nuove possibilità, un mondo in cui la sconfitta di oggi è la vittoria di domani, in cui la regola chiave era solo una: essere felice.

Una ragazza sulla trentina appoggiò il caffè sul traballante tavolino in legno

“Può pagare dopo alla cassa” mi informò con un tono servile, annuii grata dell'informazione.

Cinsi la tazza con entrambe le mani e me la portai alle labbra, annusai il liquido scuro qualche istante prima di decidermi a prenderne un sorso, non appena arrivò a scaldare il mio stomaco scoppiai a ridere per l'ironia delle situazione. Ero un italiana, seduta in un caffè francese in Inghilterra mentre sorseggiava un caffè i cui chicchi eran stati raccolti in Brasile. Amavo ridere delle piccole cose, quelle talmente insignificanti che se espresse a parole non avrebbero reso ciò che avevan suscitato nel momento in cui eran state vissute, il fatto di saperle cogliere ed apprezzare mi soddisfaceva, finalmente stavo abbracciando tutto ciò che la vita aveva da offrirmi. Se mai un giorno avessi smesso di farla, beh, allora avrei smesso di vivere davvero.

Mi godetti la colazione lentamente poi, quando mi accorsi che la strada principale cominciava a brulicare di gente, mi buttai nelle mischia.

Iniziai a scontrarmi con gente di tutti i tipi, uomini di mezza età con le mani ben fisse dietro la schiena, donne eleganti in cerca di qualche capo vintage, ragazzini che si godevano il loro giorno di libertà portando le ragazzine a far compere, vecchie signore curve che già trascinavano pesanti borse ricolme di alimenti genuini. Presto decisi di fermarmi ad un paio di bancarelle in cui vendevano abiti usati e, come sempre, mi avvicinai mesta, intimorita dalle storie di quei capi, allungai un braccio e appoggia la mano su un foulard dalle tinte rosa, scorsi il dito sulla seta delicata e rivolsi un eloquente sguardo alla proprietaria dello stand

“E' un Hermes” puntualizzò, annuii e tornai a contemplarlo “è un usato” continuò “ma non lo posso lasciare per meno di duecento sterline” sorrisi imbarazzata incapace di allontanare gli occhi dal pregiato capo, riconoscendo a me stessa che il prezzo che mi proponeva era fin troppo basso per una delizia simile

“In tal caso non posso che smettere di immaginarmelo attorno al collo” mi rassegnai a malincuore

“Era di una famiglia recentemente caduta in disgarazia” continuò raccogliendolo dalla bancarella, mi prese per mano conducendomi di fronte allo specchio, poi si mise alle mi spalle, mi spostò i capelli e me lo appoggiò al collo

“Mi dispiace cara, sarebbe stato bene con i suoi tratti mediterranei! Lei non è inglese vero?” scossi la testa osservando la figura della donna riflessa avvolta in un abito troppo elegante per quelle ore del mattino

“Italiana” spiegai, lei mi accarezzò una mano, allontanando da me con delicatezza il pregiato articolo

“E' proprio vero, voi italiani avete occhio per i capi più raffinati” risi sarcastica facendo schioccare silenziosamente la lingua contro il palato

“Oh signora, davvero, conosco persone che la smentirebbero alla prima occhiata” salutai con un gesto della mano e feci per allontanarmi quando mi richiamò

“Ehy, buona fortuna. Spero che sia una giornata proficua”

'Lo sarà, lo è sempre qui a Londra' pensai mentre mi allontanavo a passo spedito.

Poche centinaia di metri incontrai alla mia sinistra una bancarella di libri usati, le copertine scure, la pagine ingiallite appoggiate su una tovaglia rossastra usurata dal tempo mi chiamavano a gran voce ed io non vi seppi resistere, scorsi i titoli delle opere ordinatamente impilate innanzi a me.

I miei occhi si lasciarono attirare da una versione illustrata de 'Le Avventure di Sherlock Holmes' degli anni quaranta, allungai la mano per afferrarla, ma qualcun altro mi precedette. Mi voltai, a meno di un metro da me due occhi scuri mi fissavano

“La tempestività è importante. Il tempo è denaro.” sottolineò con finto tono altezzoso altezzoso l'uomo di fronte a me, alzando le sopracciglia che naturalmente sembravano avere una buffa e leggera tendenza a scendere verso il basso, sbuffai

“La prego. Sarebbe il secondo acquisto che non va in porto oggi!” implorai, sicura di non essere ascoltata, lui mi fissò un attimo e i miei occhi indugiarono sul sorriso contagioso che gli si disegnò sulle labbra, non potei fare a meno di notare la fossetta tra i suoi incisivi

“Beh, è qualcosa su cui dovremmo discutere difronte ad una buona tazza di tè” esclamò, sorrisi

“Lei è sfacciato, lo sa?” dissi passandomi una mano tra i capelli e portando leggermente indietro la testa mostrandogli una porzione di collo fino a quel momento tenuta nascosta, tenni gli occhi incollati su di lui qualche istante, poi girai sui tacchi e iniziai a camminare

“Che fa? Non viene?” lo chiamai.

   
 
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