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Autore: GreenSea    01/07/2011    0 recensioni
La nostra storia si svolge dietro una vecchia vetrina, in una bottega polverosa dove il tempo si è fermato. Soltanto una coscienza è rimasta viva, e osserva la vita aldilà della sudicia vetrina con una violenta invidia che le attraversa il petto freddo...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aldiquà della vetrina

 

 

Udii il pendolo che batteva le cinque di pomeriggio. Che giorno fosse, non avrei mai potuto dirlo. Ormai erano diventati tutti uguali: tutti monotoni ed insensati, mentre il tempo passava lentamente e le lancette ticchettavano ritmicamente, verso un futuro che non mi riservava alcuna sorpresa. Come faccio a dirlo? Be', quando hai passato anni nello stesso negozio malridotto, sulla stessa vetrina polverosa, circondata dagli stessi giocatoli resi morti e freddi dall'immobilità del tempo che aveva colpito soltanto quella piccola bottega, non puoi credere che per te esista un destino differente. Ormai, mi ero abituata a quella monotonia, mia compagna da tempi immemori.

Rinchiusa in quell'angusta prigione di solitudine, non potevo che recitare il mio ruolo di bambola giorno e notte, avvolta da un'opprimente coltre di polvere.

Non avevo un nome e, se me ne fosse mai stato dato uno, non lo ricordavo.

L'unico passatempo che mi era stato concesso era assistere, da – quasi – indifferente spettatrice, alla vita che scorreva dall'altra parte della vetrina.

Aldilà dell'inaccessibile finestra che mi separava dal resto del mondo, vedevo la vita che proseguiva frenetica, in un'esplosione di colori e di sentimenti che dipingevano il volto di ogni persona di tinte sempre diverse.

Ammiravo gli umani: al contrario mio, erano imperfetti nell'aspetto, ma erano anche talmente complessi e vivaci nei sentimenti... ammiravo come potessero essere dissimili e volubili in ogni loro aspetto...

Forse, però, il loro difetto peggiore era l'incostanza.

Un giorno, spiando dalla mia vetrina, vidi una giovane coppia che si teneva per mano, scambiandosi calde occhiate. Qualche giorno dopo, li vidi litigare per la strada poco affollata.

Eppure, non potevo evitare di invidiare anche quel loro aspetto: forse, era proprio la mia invidia che mi manteneva cosciente. La avvertivo pungente e velenosa, pesante come un macigno e opprimente come la polvere che toglieva colore al mio vestito blu.

Ogni giorno ed ogni notte, cresceva costantemente nel mio petto freddo, alimentandolo con un ardente desiderio di vivere. Perché quegli sciocchi umani non si rendevano conto della loro fortuna, vivendo circondati dall'entusiasmo e dalla complessità del mondo?

Passarono così gli anni, mentre l'invidia e l'amarezza riempivano sempre di più il mio petto vuoto, finché qualcosa cambiò. Il padrone del negozio, un signore così anziano che mi chiedevo addirittura come potesse camminare ancora, morì. Venni a conoscenza della notizia quando suo figlio entrò nel negozio con altri due uomini.

Qualcuno tossì. « Quanta diavolo di polvere c'è?! » imprecò.

« Già » convenne un altro uomo. « L'aria è quasi irrespirabile ».

« Tanto non durerà ancora a lungo » s'intromise un terzo. « Ancora qualche giorno e farò demolire il negozio. Dopo la morte di papà, è inutile portarlo avanti. L'edificio, inoltre, sta quasi per crollare ».

Demolire?, ripetei mentalmente, chiedendomi cosa potesse dire.

Pochi minuti dopo, i tre uomini se ne andarono, ed io tornai a contemplare il mondo, del tutto dimentica della conversazione di poco prima.

Passarono tre giorni. Il quarto, ebbi una spiacevole sorpresa: la strada era stata chiusa al traffico.

Mentre il disappunto prendeva il sopravvento in me, vidi avvicinarsi uno strano oggetto. Era simile alla giraffa giocattolo esposta con me nella vetrina; tuttavia, quella che avanzava sulla strada era centinaia di volte più grande e, al posto della testa, aveva, collegato al collo tramite una catena, una grande palla nera che mi ricordava l'orologio a pendolo nel negozio.

Mi chiesi a cosa mai servisse, ma, pochi istanti dopo, avrei preferito non scoprirlo.

E, mentre la palla nera si precipitava verso il negozio dove ero stata imprigionata per tanti anni, ripensai ancora a quanto crudele fosse stato il destino, facendomi nascere bambola e condannandomi a quella gelida esistenza pregna di solitudine e miseria.

L'ultimo rumore che udii fu il frastuono dei vetri che si frantumavano, mentre l'orologio a pendolo batteva le cinque del pomeriggio dell'ultimo giorno che avrei vissuto.


 

Commento:

Mi scuso con chi conviene che la parola “aldiquà” non esiste nel vocabolario. Tuttavia l'ho trovato appropriato, e ho deciso di fare uno strappo alla regola.

Grazie per aver letto il racconto

Fra

  
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