Nick:
Silvar
tales (Deidaradanna93
sul forum)
Titolo:
Rose
Personaggi
principali: Itachi;
Shisui.
Pairing:
Shisui/Itachi;
accenni
Itachi/Sasuke.
Genere: drammatico;
introspettivo.
Avvertimenti:
lime;
missing moments;
one-shot; yaoi.
Rating:
arancione.
Introduzione:
Shisui
era sempre stato geloso di Sasuke.
Voleva
essere lui il più importante.
Voleva
essere lui ad avere stretto in pugno il suo cuore.
Voleva
essere tutto quello che era il piccolo erede.
E
Itachi sorrideva, pensando al curioso destino.
Shisui
era morto per adempiere allo sterminio degli Uchiha, mentre Sasuke
sarebbe stato salvato.
Rose
- l'ultimo canto dell'Altalena -
Camminava
l'Uchiha, rasente ai muri,
con un muso indispettito stampato in volto.
Cercava di evitare qualsiasi
conoscente, qualsiasi anima quindi, dal momento che
si trovava
nella magione del clan.
Era stato un giorno a dir poco
sconcertante, persino per lui. Era appena tornato da un incarico
affidatogli dagli anbu, una cosa veloce da sbrigare, che avrebbe
dovuto risolvere in un giorno.
Ne erano passati tre. Tre, tre
giorni persi.
Non lo avevano toccato i rimproveri di
Fugaku, né lo sguardo dispiaciuto della madre.
Quel piccolo fallimento bruciava a lui
stesso, teneva i suoi rantoli stretti nel cuore e li alimentava,
finché qualcuno non lo avrebbe rassicurato che, in fondo,
poco
valevano quei due giorni in più.
Che non erano certo quelli a demolire
la sua figura geniale.
Così camminava con un nodo in gola e
gli occhi che gli bruciavano, dalla rabbia.
Dato che era abituato a non esternare
nulla, a non lasciar trapelare niente dall'espressione o dalla voce,
il suo corpo si sfogava così: tanti pungiglioni sugli occhi,
e un
paio di unghiate sulla pelle.
Camminava
l'Uchiha, rasente ai muri,
desideroso unicamente di raggiungere un posto isolato e meditare.
Tutta quella responsabilità, quella tensione, quella
fiducia, quelle
aspettative.
Erano troppo per un tredicenne.
Deglutì a vuoto, sentendo l'aria
primaverile solleticargli il naso.
Alzò gli occhi e vide il luogo in cui
era giunto: un prato abbandonato, retrostante ai cortili ordinati
delle case.
Quell'intruglio di sterpaglie e
papaveri era addossato al muro di cinta che separava il clan Uchiha
da Konoha.
Un'altalena cigolante pendeva dal ramo
di un noce, che per la mancata potatura era stato lasciato crescere
selvaggiamente, e dilungava i suoi rami fin oltre la colata di
cemento del confine.
Il ragazzo si perse con il naso
all'insù, il suo sguardo seguiva quei rami che serpeggiavano
oltre
il muro. Si sentiva terribilmente, equivocamente, malamente come
loro.
Lui era come quel noce, nato dal sangue
di terra Uchiha, ma con i rami che tendevano le mani verso Konoha.
Verso quella parte di Konoha, di cui ben sapeva l'opinione e i
progetti sul suo clan.
Un po' stava di qua, un po' di là.
E con la sua illimitata altezza e
bravura, era riuscito a scavalcare le abilità della sua
stirpe.
Una folata di vento lo richiamò alla
realtà, bruciandogli ulteriormente gli occhi già
feriti dal sole.
“Itachi”.
Non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi.
Conosceva quella voce, e la conosceva
abbastanza da sapere di non volerla sentire. Non in quel momento.
Il ragazzo non rispose, lanciò un
kunai contro il tronco del noce, facendo credere all'altro che era
lì
per allenarsi. Copertura poco credibile, dato che aveva una sola arma
con sé e fino a due secondi fa era del tutto perso nei suoi
pensieri.
“Guarda che lo so cosa ti passa per
la testa”.
Itachi abbassò lo sguardo, che nel
frattempo aveva ripreso quel colore apatico.
“Shisui, non mi piace essere
disturbato mentre mi alleno”. Detto questo, dopo aver
raccolto
nuovamente il kunai da terra, lo riconficcò con forza nella
corteccia. Nemmeno con troppa eleganza e precisione, ad essere
sinceri. La mano gli tremava. Lo realizzò rabbiosamente,
guardando
le dita in preda a leggeri scatti.
I calli ancora accennati erano caldi e
arrossati, le falangi erano deboli e poco salde; risentiva ancora
della missione appena trascorsa.
Sospirò, mentre sentiva l'altro
ragazzo avvicinarsi con passi leggeri.
Si sentì circondare dalle sue braccia,
non più incerte e insicure come lo erano state nei loro
giorni di
infanzia.
Il primo istinto fu quello di
scacciarlo, e così fece, scrollando le spalle e girandosi a
fissare
Shisui con uno sguardo di ghiaccio. Nemmeno sua madre gli dedicava
più gesti del genere, perché sapeva che Itachi
non era più un
bambino. Sapeva che lui aveva cessato di essere un bambino da molto
tempo. Itachi non era cresciuto, era solo incredibilmente maturo,
più
maturo di un reale adulto.
Era una mente di ferro, con un'unica
perla calda rinchiusa dentro la cassa toracica. Avrebbe potuto
chiamarlo benissimo il suo punto debole: Sasuke.
Sasuke, ma non Shisui.
“Lasciami”, disse apatico.
Shisui lo guardò un attimo ancora,
prima di baciarlo. Gli prese con forza i capelli neri, con una mano,
mentre con l'altra gli toccava la schiena, con delicatezza.
Itachi aspettò che l'altro terminasse
con quell'assurda messinscena. Voleva forse chiedergli scusa?
Non ci sarebbe riuscito.
“Mi dispiace Itachi. Non ho mai avuto
occasione di dirtelo”.
Bugiardo.
Bastardo, infido bugiardo.
Aveva avuto più di un'occasione,
eccome se ne aveva avute.
Non lo sapeva, ma quella notte lui
aveva smesso di essere un amico per Itachi. E aveva iniziato ad
essere qualcos'altro. Un serbatoio di occhi.
“Non funziona così, Shisui. Io sono
un tuo amico”, disse l'Uchiha con falsa sincerità,
“non avrei
mai potuto essere qualcos'altro”. Non quello che volevi tu.
Shisui fece una smorfia, storse il naso
come se si trovasse davanti un insetto particolarmente orripilante.
Itachi distolse lo sguardo, voltandogli le spalle. Ma prima che
potesse interrompere il contatto visivo, l'altro lo afferrò
per le
spalle, costringendolo ad avvicinarsi al suo viso.
“Fai tante storie per una scopata?”
Gli sibilò all'orecchio. Itachi deformò il viso
in un'espressione
disgustata, al solo sentirsi porre quella domanda. Gli
rifilò una
risposta ancor più tagliente.
“Shisui, non
credere di diventare così importante per me. Lo sai che ci
sarà
sempre qualcuno che conterà di più”.
“Tuo
fratello, tuo fratello...! Sarebbe lui il moccioso che conta
più di
me?”
Itachi
non rispose, rimase apatico a fissare gli occhi rabbiosi dell'altro.
Shisui
continuò, affamato e voglioso di strappargli una parola di
più
dalle labbra, anche fosse una risposta a una provocazione. Qualsiasi
cosa, pur di sentirlo parlare coerentemente.
“Dici
di amarlo, eh? Ma quello che fai tu non mi sembra corrispondere
proprio all'amore fraterno...”
Non
poté continuare oltre, Itachi gli aveva tappato la bocca,
zittendolo
con un altro bacio.
Prima
che dicesse una parola, quella
parola di più.
“Ti
concedo un'altra notte, un'ultima...”
Sì,
faceva esattamente al caso suo.
*
Rimise
piede in casa solo dopo cena, per evitare domande sconvenienti o,
peggio, ulteriori critiche riguardanti la missione. Si diresse verso
il frigorifero, cercando di essere il più silenzioso
possibile.
Prese
un bicchiere dallo scolapiatti, e lo riempì di acqua fresca.
Aveva
bisogno di riflettere ancora un poco.
Non
tanto, giusto dieci minuti.
Almeno
dieci minuti di silenziosa solitudine.
Non
fece nemmeno in tempo a finire di bere che avvertì la porta
della
cucina aprirsi, e dei passi nella stanza. Non erano leggeri come
quelli di sua madre o di suo fratello.
“Itachi,
sarà meglio che dormi ora. Domani non vorrai fare la stessa
figura
pietosa, vero?”
Il
ragazzo rimase girato di spalle, cincischiò la lama del
kunai
togliendo le briciole di legno che la sporcavano.
“Guardami
in faccia mentre ti parlo”.
Si
girò, rivolgendo i suoi occhi inespressivi a quelli severi
del
padre.
“Vado”.
Rispose,
semplicemente, superandolo e varcando la porta.
Raggiunse
la camera, cercando di fare ancor più silenzio in
prossimità di
quella di Sasuke.
Una
volta entrato, la prima cosa che sentì fu caldo.
Un
tremendo caldo soffocante, come se tutta l'aria contenuta in quei due
metri quadri fosse stata bruciata.
Come
se tutto l'ossigeno fosse stato consumato e l'ambiente fosse
diventato saturo di anidride carbonica.
Arrancò
verso la finestra boccheggiando, sbloccò la maniglia e
aprì le
ante.
La
notte fuori era silenziosa, i fiori di campo che rompevano la
cementata dei marciapiedi erano chiusi nel sonno dell'aria
primaverile.
Nemmeno
un gatto animava quell'atmosfera immobile, statica al punto da
sembrare velenosa e morta.
Itachi
respirò quel volume leggero, sentendo nel naso i pollini e
la
polvere, quest'ultima così volatile e fresca da parere un
pugno di
briciole lunari.
La
disfatta degli Uchiha era vicina. Presto avrebbe agito, ma prima gli
serviva...
Gli
serviva lui.
Aveva
predisposto già tutto, con la freddezza e la
minuziosità propria di
una macchina calcolatrice.
Il
telo di plastica che l'avrebbe aiutato a trasportare il cadavere, una
vecchia catena incrostata di ruggine che gli avrebbe legato al collo
per facilitare l'affondamento, il biglietto astutamente stampato con
la sua calligrafia.
Adagiò
la schiena sul materasso duro, stringendo gli occhi in un attimo di
esitazione.
Sarebbe
stato abbastanza forte? Non avrebbe avuto il fiatone di un
principiante, come nella missione appena passata?
C'era
un meccanismo che gli stava facendo a pezzi la vita. Qualcosa di
più
grande di lui.
Gli
avevano costretto a reprimere ogni traccia di umanità, a
disintegrarla di un colpo, brutalmente.
Non
era pronto per questo. Era pronto per questo.
Era
pronto, in ogni caso, a tirare fuori tutto il coraggio che aveva per
salvare ameno lui.
Le
tende si scostarono lievemente, appoggiandosi su un lato con un
candido fruscio.
Itachi
chiuse gli occhi, stiracchiando le labbra in un magro sorriso.
Lasciò
entrare quell'ombra silenziosa, quel fantasma affamato del suo corpo
che profumava di lavanda e tabacco. Un sentore strano, un odore
insolito, un profumo pungente ed erotico.
Accolse
ben volentieri le sue labbra, schiudendole per cercare senza fretta
la lingua.
“Come
fai ad essere sicuro che sia io?” Mormorò la
sagoma, legando agli
occhi dell'altro una fascia.
“Shh...
Fai silenzio Shisui, e ascolta”.
L'altro
piegò la testa, con un'espressione dolcemente confusa in
volto;
“cosa?”.
Itachi
catturò nuovamente le sue labbra, invitandolo a piegarsi
ancora sul
suo petto, a sovrastarlo con il corpo.
“Ascolta
i tuoi ultimi respiri, i tuoi ultimi battiti”.
Non
lo prese sul serio. Come poteva, con quella convinzione di amarlo che
gli martellava in testa?
Ma
li sentiva lo stesso, i loro cuori pompare sangue, i loro sospiri
fondersi, fondersi ad ogni altro rumore dell'ambiente esterno. Ai
grilli, ai rapaci notturni, all'abbaiare dei cani.
Tastò
alla cieca i suoi pantaloni, cercando i muscoli sotto la stoffa,
cercando l'orlo della maglietta.
Sollevò
l'indumento scoprendo gli addominali poco pronunciati, mentre con
l'altra mano gli calò i boxer fin sotto le cosce,
approfondendo poi
il fresco contatto con la sua pelle scoperta.
Si
stava eccitando troppo in fretta, e questo avrebbe giocato a suo
svantaggio.
Eppure
mai era stato meno coinvolto che in quel momento. Aveva altro a cui
pensare, a partire dalla fastidiosa pressione sugli occhi, da quella
fascia che gli limitava la vista.
Perché
l'aveva bendato? Sospettava qualcosa?
Ma
no, impossibile. Non Shisui.
Eppure,
a ben pensarci, nemmeno lui avrebbe avuto motivo di sospettare di
Itachi, e invece stava guardando negli occhi il suo assassino.
Lui
non sospettava di Shisui come Shisui non sospettava di Itachi.
Ma
se si stessero sbagliando entrambi?
Non
solo Shisui, ma anche l'infallibile, il geniale, il futuro
reietto
Uchiha?
Con
un colpo di reni ribaltò le posizioni, bloccando l'altro
sotto
l'esile peso del suo corpo.
Doveva
agire in fretta, ma prima avrebbe dovuto liberarsi di quella dannata
benda.
Una
scusa, una scusa qualsiasi.
Cercò
di ragionare velocemente, mentre Shisui era impegnato a baciarlo sul
collo con ben poca grazia. Il sangue continuava a pulsare
furiosamente, il suo corpo umido fremeva in ricerca di attenzioni.
Inaspettatamente,
un impulso, dato da una sua congettura o da un input che di razionale
aveva ben poco, lo spinse ad abbassare il capo verso il suo basso
ventre.
Avrebbe
potuto ricattarlo.
“Itachi...”
Mormorò Shisui, con una nota euforica ben nascosta dietro al
tono di
voce. Una sua mano andò a strattonare i capelli secchi
dell'Uchiha,
spingendolo verso la sua erezione. In quel momento il ragazzo
alzò
la testa, non lasciandosi sfuggire l'occasione.
“Solo
se mi fai togliere la benda, non potrei mai sopportare di non fare un
buon lavoro”, mentì spudoratamente Itachi,
forzando un sorriso che
di casto non aveva proprio nulla.
Se
ne stava seduto su quell'altalena di metallo, pieno di aspettative.
Il
dondolo era sospinto un poco dai movimenti delle sue gambe. Quelle
gambe minute, così corte che non arrivavano nemmeno al
terreno.
Tra
le mani teneva un pallone, e lo fissava con fare arrendevole.
La
plastica, prima soda e rotonda, si stava sgonfiando a vista d'occhio,
seguita da un soffio veloce.
L'aria
correva fuori, uscendo da quel buco invisibile, celato
chissà dove
nel rivestimento.
Le
ginocchia sbucciate del bambino erano costellate di sassolini e
sabbia, attaccati cocciutamente alla pelle rossa.
Appena
un attimo prima la palla gli era sfuggita di mano, andando ad
impigliarsi nel vicino cespuglio di rose.
Aveva
provato a fermarla prima che raggiungesse le spine, con il solo
risultato di inciampare e cadere sulla ghiaia.
In
compenso una rosa si era sciolta dal cespuglio, colpita dal pallone.
Era
arrivata sul terreno senza perdere un petalo, come se fosse stata
recisa.
Il
bambino l'aveva raccolta, stando ben attento a non pungersi.
L'avrebbe
data a Itachi, il suo migliore amico sarebbe arrivato lì a
momenti.
In
cambio forse lui poteva aggiustare il pallone...
Stava
immerso in questi pensieri ingenui, quando una figura magra fece
capolino da dietro il noce.
Saltò
giù dalla dondola con un viso allegro, contento che l'amico
fosse
arrivato.
“Itachi,
lo sai cos'è successo? Guarda...”
La
voce gli si spense subito in gola, le sue aspettative finirono a
pezzi.
Qualcun
altro stava chiamando Itachi, una voce più debole,
più piccola
della sua.
“Fratellone...”
Sasuke
era comparso subito dietro la sua schiena, e si era affrettato ad
afferrargli timido la mano.
“Ah,
sei con lui...”
La
rosa che teneva stretta in mano, nascosta dietro la schiena, cadde a
terra sgualcita.
I
suoi petali bianchi vennero inglobati dalla ghiaia ruvida, uno per
volta.
Shisui
era sempre stato geloso di Sasuke.
Voleva
essere lui il più importante.
Voleva
essere lui ad avere stretto in pugno il suo cuore.
Voleva
essere tutto quello che era il piccolo erede.
E
Itachi sorrideva, pensando al curioso destino.
Shisui
era morto per adempiere allo sterminio degli Uchiha, mentre Sasuke
sarebbe stato salvato. Sarebbe stato l'unico.
In
quella situazione e più di ogni altra, Shisui avrebbe dovuto
desiderare per davvero di essere al posto del piccolo Sasuke. Aveva
mille e più motivi per farlo.
Ma
questo non sarebbe mai, mai potuto accadere.
Sia
per necessità, che per questioni reali.
Perché
Itachi non amava Shisui.
Non
l'aveva mai amato.
Non
l'avrebbe mai amato.
L'aveva
sempre visto e considerato come uno stupido, invaghito del suo
carisma, e di nient'altro.
L'aveva
pensato fino all'ultimo, fino a due minuti prima, mentre guardava per
l'ultima volta i suoi occhi neri fuggire nelle gelide spire fluviali.
L'esitazione
non l'aveva preso quando era arrivato il momento di agire, come
invece aveva temuto, ma nell'attimo subito dopo.
Si
era accasciato sul ponte, dimentico del fatto che invece avrebbe
dovuto allontanarsi il prima possibile da quel posto.
Aveva
fatto fatica a non vomitare, aveva una voglia incontenibile di
sputare tutto ciò che conteneva in corpo, dal sangue alle
viscere,
che continuavano a contorcersi come serpenti dentro alla pancia.
Non
si era mai sentito così sconvolto, così debole,
così vulnerabile.
Aveva
impiegato una manciata di minuti per riprendersi, il fiato pesante
premeva sulla gola e gravava sui polmoni.
Ancora
pochi secondi, prima di alzare la testa, e tornare ad essere Itachi
Uchiha.
Si
alzò in piedi, non sentendo più il tremore delle
ginocchia.
Avanzò
passi leggeri sul ponte di legno chiaro, dirigendosi verso casa.
Il
suo calore rimaneva ancora lì, intrappolato tra le sue gambe.
Rimaneva
ancora lì, quella macchia umida e appiccicosa che si portava
dietro
il suo odore.
Gliel'aveva
detto, un attimo prima che Itachi gli ficcasse le dita nelle orbite.
Ti
amo.
Ma
non era servito a nulla.
Anzi,
forse gli aveva dato più vigore, più forza in
quello che stava per
fare.
Una
motivazione in più, un brivido in più.
Annullare
tutte le persone che lo amavano, Shisui, i suoi genitori, l'intero
clan.
Era
esattamente quella la sua missione.
Quelle
due parole non erano servite ad altro che confermare ancora una volta
il suo compito.
“Itachi,
dove sei stato?”
Le
parole sottili della madre lo accolsero non appena mise piede in
casa.
Evidentemente
era stata alzata ad aspettarlo.
Il
ragazzo alzò le spalle, non dando spiegazioni, e Mikoto si
limitò a
credere che il figlio si fosse concesso un po' di tempo per pensare,
lontano dai chiacchiericci.
“Chi
c'era in camera tua, prima?”
Domandò
ancora la donna, prima che lui scomparisse dietro la porta della sua
stanza.
Sorrideva
appena, gentile, non intenzionata a caricare altro peso sulle sue
spalle.
Itachi
le rivolse uno sguardo infastidito e colpevole allo stesso tempo.
“Ho
soltanto fatto l'amore con il mio ragazzo”.
Asserì
statico, con una lieve nota dispiaciuta nel timbro di voce.
Prima
che Mikoto potesse aggiungere qualsiasi cosa, Itachi si chiuse
dolcemente la porta alle spalle, bloccando la serratura.
L'aria
della camera stavolta era fresca e ventosa, le tende si muovevano
come se un'altra ombra sarebbe dovuta entrare dalla sua finestra.
Il
ragazzo scivolò a sedere sulle piastrelle, appoggiando la
schiena
contro la porta.
Un
po' si rifugiò con il viso tra le mani, un altro po' si
decise a
pensare lucidamente.
Ma
sempre, costantemente, quella fissa in testa non lo lasciava.
“Fra
poco sarà il suo turno”.
~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ♠
Seconda classificata all' Uchihacest Contest! indetto da madychan, RuinNoYuki e niebo sul forum di efp.
Rose – l’ultimo canto dell’altalena (di Deidaradanna93, su EFP Silvar Tales): l’altalena è l’immagine della spensieratezza infantile; un tratto che i due protagonisti della storia, per due motivi diversi, non possiedono più. La caratterizzazione di Itachi soprattutto è stata particolare perché potrebbe fuoriuscire dalla linea dettata da Kishimoto, ma potrebbe anche non farlo; anche la caratterizzazione di Shisui, per quanto di lui sia stato dato uno scorcio molto veloce nella scena della rosa, che simboleggia l’amore spezzato, basta a dare le linee generali per la comprensione del personaggio. Il contesto è il classico, ma ben rende giustizia alla trama.
Al secondo posto:
Rose – l’ultimo canto dell’altalena di Deidaradanna93, su EFP Silvar Tales!
con voti:
grammatica: 8,7
originalità: 7,7
attinenza al tema:10
caratterizzazione: 8,7
stile e lessico: 9
apprezzamento personale: 8
voto totale: 52
~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ♠
Ringrazio ancora una volta le giudici, Niebo, Madychan e RuinNoYuki per i loro giudizi precisi e le loro valutazioni accurate. E naturalmente per il banner, super personalizzato! Lo adoro :3