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Autore: Silvar tales    02/07/2011    6 recensioni
Shisui era sempre stato geloso di Sasuke.
Voleva essere lui il più importante.
Voleva essere lui ad avere stretto in pugno il suo cuore.
Voleva essere tutto quello che era il piccolo erede.
E Itachi sorrideva, pensando al curioso destino.
Shisui era morto per adempiere allo sterminio degli Uchiha, mentre Sasuke sarebbe stato salvato.
[Seconda classificata all'"Uchihacest Contest!" indetto da madychan, RuinNoYuki e niebo]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Nick: Silvar tales (Deidaradanna93 sul forum)
Titolo: Rose
Personaggi principali: Itachi; Shisui.
Pairing: Shisui/Itachi; accenni Itachi/Sasuke.
Genere: drammatico; introspettivo.
Avvertimenti: lime; missing moments; one-shot; yaoi.
Rating: arancione.
Introduzione: Shisui era sempre stato geloso di Sasuke.
Voleva essere lui il più importante.
Voleva essere lui ad avere stretto in pugno il suo cuore.
Voleva essere tutto quello che era il piccolo erede.
E Itachi sorrideva, pensando al curioso destino.

Shisui era morto per adempiere allo sterminio degli Uchiha, mentre Sasuke sarebbe stato salvato.


Rose

- l'ultimo canto dell'Altalena -




Camminava l'Uchiha, rasente ai muri, con un muso indispettito stampato in volto.
Cercava di evitare qualsiasi conoscente, qualsiasi anima quindi, dal momento che si trovava nella magione del clan.
Era stato un giorno a dir poco sconcertante, persino per lui. Era appena tornato da un incarico affidatogli dagli anbu, una cosa veloce da sbrigare, che avrebbe dovuto risolvere in un giorno.
Ne erano passati tre. Tre, tre giorni persi.
Non lo avevano toccato i rimproveri di Fugaku, né lo sguardo dispiaciuto della madre.
Quel piccolo fallimento bruciava a lui stesso, teneva i suoi rantoli stretti nel cuore e li alimentava, finché qualcuno non lo avrebbe rassicurato che, in fondo, poco valevano quei due giorni in più.
Che non erano certo quelli a demolire la sua figura geniale.
Così camminava con un nodo in gola e gli occhi che gli bruciavano, dalla rabbia.
Dato che era abituato a non esternare nulla, a non lasciar trapelare niente dall'espressione o dalla voce, il suo corpo si sfogava così: tanti pungiglioni sugli occhi, e un paio di unghiate sulla pelle.

Camminava l'Uchiha, rasente ai muri, desideroso unicamente di raggiungere un posto isolato e meditare. Tutta quella responsabilità, quella tensione, quella fiducia, quelle aspettative.
Erano troppo per un tredicenne.
Deglutì a vuoto, sentendo l'aria primaverile solleticargli il naso.
Alzò gli occhi e vide il luogo in cui era giunto: un prato abbandonato, retrostante ai cortili ordinati delle case.
Quell'intruglio di sterpaglie e papaveri era addossato al muro di cinta che separava il clan Uchiha da Konoha.
Un'altalena cigolante pendeva dal ramo di un noce, che per la mancata potatura era stato lasciato crescere selvaggiamente, e dilungava i suoi rami fin oltre la colata di cemento del confine.
Il ragazzo si perse con il naso all'insù, il suo sguardo seguiva quei rami che serpeggiavano oltre il muro. Si sentiva terribilmente, equivocamente, malamente come loro.
Lui era come quel noce, nato dal sangue di terra Uchiha, ma con i rami che tendevano le mani verso Konoha. Verso quella parte di Konoha, di cui ben sapeva l'opinione e i progetti sul suo clan.
Un po' stava di qua, un po' di là.
E con la sua illimitata altezza e bravura, era riuscito a scavalcare le abilità della sua stirpe.
Una folata di vento lo richiamò alla realtà, bruciandogli ulteriormente gli occhi già feriti dal sole.
“Itachi”.
Non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi.
Conosceva quella voce, e la conosceva abbastanza da sapere di non volerla sentire. Non in quel momento.
Il ragazzo non rispose, lanciò un kunai contro il tronco del noce, facendo credere all'altro che era lì per allenarsi. Copertura poco credibile, dato che aveva una sola arma con sé e fino a due secondi fa era del tutto perso nei suoi pensieri.
“Guarda che lo so cosa ti passa per la testa”.
Itachi abbassò lo sguardo, che nel frattempo aveva ripreso quel colore apatico.
“Shisui, non mi piace essere disturbato mentre mi alleno”. Detto questo, dopo aver raccolto nuovamente il kunai da terra, lo riconficcò con forza nella corteccia. Nemmeno con troppa eleganza e precisione, ad essere sinceri. La mano gli tremava. Lo realizzò rabbiosamente, guardando le dita in preda a leggeri scatti.
I calli ancora accennati erano caldi e arrossati, le falangi erano deboli e poco salde; risentiva ancora della missione appena trascorsa.
Sospirò, mentre sentiva l'altro ragazzo avvicinarsi con passi leggeri.
Si sentì circondare dalle sue braccia, non più incerte e insicure come lo erano state nei loro giorni di infanzia.
Il primo istinto fu quello di scacciarlo, e così fece, scrollando le spalle e girandosi a fissare Shisui con uno sguardo di ghiaccio. Nemmeno sua madre gli dedicava più gesti del genere, perché sapeva che Itachi non era più un bambino. Sapeva che lui aveva cessato di essere un bambino da molto tempo. Itachi non era cresciuto, era solo incredibilmente maturo, più maturo di un reale adulto.
Era una mente di ferro, con un'unica perla calda rinchiusa dentro la cassa toracica. Avrebbe potuto chiamarlo benissimo il suo punto debole: Sasuke.
Sasuke, ma non Shisui.
“Lasciami”, disse apatico.
Shisui lo guardò un attimo ancora, prima di baciarlo. Gli prese con forza i capelli neri, con una mano, mentre con l'altra gli toccava la schiena, con delicatezza.
Itachi aspettò che l'altro terminasse con quell'assurda messinscena. Voleva forse chiedergli scusa?
Non ci sarebbe riuscito.
“Mi dispiace Itachi. Non ho mai avuto occasione di dirtelo”.
Bugiardo.
Bastardo, infido bugiardo.
Aveva avuto più di un'occasione, eccome se ne aveva avute.
Non lo sapeva, ma quella notte lui aveva smesso di essere un amico per Itachi. E aveva iniziato ad essere qualcos'altro. Un serbatoio di occhi.
“Non funziona così, Shisui. Io sono un tuo amico”, disse l'Uchiha con falsa sincerità, “non avrei mai potuto essere qualcos'altro”. Non quello che volevi tu.
Shisui fece una smorfia, storse il naso come se si trovasse davanti un insetto particolarmente orripilante. Itachi distolse lo sguardo, voltandogli le spalle. Ma prima che potesse interrompere il contatto visivo, l'altro lo afferrò per le spalle, costringendolo ad avvicinarsi al suo viso.
“Fai tante storie per una scopata?” Gli sibilò all'orecchio. Itachi deformò il viso in un'espressione disgustata, al solo sentirsi porre quella domanda. Gli rifilò una risposta ancor più tagliente.
“Shisui, non credere di diventare così importante per me. Lo sai che ci sarà sempre qualcuno che conterà di più”.
“Tuo fratello, tuo fratello...! Sarebbe lui il moccioso che conta più di me?”
Itachi non rispose, rimase apatico a fissare gli occhi rabbiosi dell'altro.
Shisui continuò, affamato e voglioso di strappargli una parola di più dalle labbra, anche fosse una risposta a una provocazione. Qualsiasi cosa, pur di sentirlo parlare coerentemente.
“Dici di amarlo, eh? Ma quello che fai tu non mi sembra corrispondere proprio all'amore fraterno...”
Non poté continuare oltre, Itachi gli aveva tappato la bocca, zittendolo con un altro bacio.
Prima che dicesse una parola, quella parola di più.
“Ti concedo un'altra notte, un'ultima...”
Sì, faceva esattamente al caso suo.



*


Rimise piede in casa solo dopo cena, per evitare domande sconvenienti o, peggio, ulteriori critiche riguardanti la missione. Si diresse verso il frigorifero, cercando di essere il più silenzioso possibile.
Prese un bicchiere dallo scolapiatti, e lo riempì di acqua fresca.
Aveva bisogno di riflettere ancora un poco.
Non tanto, giusto dieci minuti.
Almeno dieci minuti di silenziosa solitudine.
Non fece nemmeno in tempo a finire di bere che avvertì la porta della cucina aprirsi, e dei passi nella stanza. Non erano leggeri come quelli di sua madre o di suo fratello.
“Itachi, sarà meglio che dormi ora. Domani non vorrai fare la stessa figura pietosa, vero?”
Il ragazzo rimase girato di spalle, cincischiò la lama del kunai togliendo le briciole di legno che la sporcavano.
“Guardami in faccia mentre ti parlo”.
Si girò, rivolgendo i suoi occhi inespressivi a quelli severi del padre.
“Vado”.
Rispose, semplicemente, superandolo e varcando la porta.
Raggiunse la camera, cercando di fare ancor più silenzio in prossimità di quella di Sasuke.
Una volta entrato, la prima cosa che sentì fu caldo.
Un tremendo caldo soffocante, come se tutta l'aria contenuta in quei due metri quadri fosse stata bruciata.
Come se tutto l'ossigeno fosse stato consumato e l'ambiente fosse diventato saturo di anidride carbonica.
Arrancò verso la finestra boccheggiando, sbloccò la maniglia e aprì le ante.
La notte fuori era silenziosa, i fiori di campo che rompevano la cementata dei marciapiedi erano chiusi nel sonno dell'aria primaverile.
Nemmeno un gatto animava quell'atmosfera immobile, statica al punto da sembrare velenosa e morta.
Itachi respirò quel volume leggero, sentendo nel naso i pollini e la polvere, quest'ultima così volatile e fresca da parere un pugno di briciole lunari.
La disfatta degli Uchiha era vicina. Presto avrebbe agito, ma prima gli serviva...
Gli serviva lui.
Aveva predisposto già tutto, con la freddezza e la minuziosità propria di una macchina calcolatrice.
Il telo di plastica che l'avrebbe aiutato a trasportare il cadavere, una vecchia catena incrostata di ruggine che gli avrebbe legato al collo per facilitare l'affondamento, il biglietto astutamente stampato con la sua calligrafia.
Adagiò la schiena sul materasso duro, stringendo gli occhi in un attimo di esitazione.
Sarebbe stato abbastanza forte? Non avrebbe avuto il fiatone di un principiante, come nella missione appena passata?
C'era un meccanismo che gli stava facendo a pezzi la vita. Qualcosa di più grande di lui.
Gli avevano costretto a reprimere ogni traccia di umanità, a disintegrarla di un colpo, brutalmente.
Non era pronto per questo. Era pronto per questo.
Era pronto, in ogni caso, a tirare fuori tutto il coraggio che aveva per salvare ameno lui.
Le tende si scostarono lievemente, appoggiandosi su un lato con un candido fruscio.
Itachi chiuse gli occhi, stiracchiando le labbra in un magro sorriso.
Lasciò entrare quell'ombra silenziosa, quel fantasma affamato del suo corpo che profumava di lavanda e tabacco. Un sentore strano, un odore insolito, un profumo pungente ed erotico.
Accolse ben volentieri le sue labbra, schiudendole per cercare senza fretta la lingua.
“Come fai ad essere sicuro che sia io?” Mormorò la sagoma, legando agli occhi dell'altro una fascia.
“Shh... Fai silenzio Shisui, e ascolta”.
L'altro piegò la testa, con un'espressione dolcemente confusa in volto; “cosa?”.
Itachi catturò nuovamente le sue labbra, invitandolo a piegarsi ancora sul suo petto, a sovrastarlo con il corpo.
“Ascolta i tuoi ultimi respiri, i tuoi ultimi battiti”.
Non lo prese sul serio. Come poteva, con quella convinzione di amarlo che gli martellava in testa?
Ma li sentiva lo stesso, i loro cuori pompare sangue, i loro sospiri fondersi, fondersi ad ogni altro rumore dell'ambiente esterno. Ai grilli, ai rapaci notturni, all'abbaiare dei cani.
Tastò alla cieca i suoi pantaloni, cercando i muscoli sotto la stoffa, cercando l'orlo della maglietta.
Sollevò l'indumento scoprendo gli addominali poco pronunciati, mentre con l'altra mano gli calò i boxer fin sotto le cosce, approfondendo poi il fresco contatto con la sua pelle scoperta.
Si stava eccitando troppo in fretta, e questo avrebbe giocato a suo svantaggio.
Eppure mai era stato meno coinvolto che in quel momento. Aveva altro a cui pensare, a partire dalla fastidiosa pressione sugli occhi, da quella fascia che gli limitava la vista.
Perché l'aveva bendato? Sospettava qualcosa?
Ma no, impossibile. Non Shisui.
Eppure, a ben pensarci, nemmeno lui avrebbe avuto motivo di sospettare di Itachi, e invece stava guardando negli occhi il suo assassino.
Lui non sospettava di Shisui come Shisui non sospettava di Itachi.
Ma se si stessero sbagliando entrambi?
Non solo Shisui, ma anche l'infallibile, il geniale, il futuro reietto Uchiha?
Con un colpo di reni ribaltò le posizioni, bloccando l'altro sotto l'esile peso del suo corpo.
Doveva agire in fretta, ma prima avrebbe dovuto liberarsi di quella dannata benda.
Una scusa, una scusa qualsiasi.
Cercò di ragionare velocemente, mentre Shisui era impegnato a baciarlo sul collo con ben poca grazia. Il sangue continuava a pulsare furiosamente, il suo corpo umido fremeva in ricerca di attenzioni.
Inaspettatamente, un impulso, dato da una sua congettura o da un input che di razionale aveva ben poco, lo spinse ad abbassare il capo verso il suo basso ventre.
Avrebbe potuto ricattarlo.
“Itachi...” Mormorò Shisui, con una nota euforica ben nascosta dietro al tono di voce. Una sua mano andò a strattonare i capelli secchi dell'Uchiha, spingendolo verso la sua erezione. In quel momento il ragazzo alzò la testa, non lasciandosi sfuggire l'occasione.
“Solo se mi fai togliere la benda, non potrei mai sopportare di non fare un buon lavoro”, mentì spudoratamente Itachi, forzando un sorriso che di casto non aveva proprio nulla.

Se ne stava seduto su quell'altalena di metallo, pieno di aspettative.
Il dondolo era sospinto un poco dai movimenti delle sue gambe. Quelle gambe minute, così corte che non arrivavano nemmeno al terreno.
Tra le mani teneva un pallone, e lo fissava con fare arrendevole.
La plastica, prima soda e rotonda, si stava sgonfiando a vista d'occhio, seguita da un soffio veloce.
L'aria correva fuori, uscendo da quel buco invisibile, celato chissà dove nel rivestimento.
Le ginocchia sbucciate del bambino erano costellate di sassolini e sabbia, attaccati cocciutamente alla pelle rossa.
Appena un attimo prima la palla gli era sfuggita di mano, andando ad impigliarsi nel vicino cespuglio di rose.
Aveva provato a fermarla prima che raggiungesse le spine, con il solo risultato di inciampare e cadere sulla ghiaia.
In compenso una rosa si era sciolta dal cespuglio, colpita dal pallone.
Era arrivata sul terreno senza perdere un petalo, come se fosse stata recisa.
Il bambino l'aveva raccolta, stando ben attento a non pungersi.
L'avrebbe data a Itachi, il suo migliore amico sarebbe arrivato lì a momenti.
In cambio forse lui poteva aggiustare il pallone...
Stava immerso in questi pensieri ingenui, quando una figura magra fece capolino da dietro il noce.
Saltò giù dalla dondola con un viso allegro, contento che l'amico fosse arrivato.

Itachi, lo sai cos'è successo? Guarda...”
La voce gli si spense subito in gola, le sue aspettative finirono a pezzi.
Qualcun altro stava chiamando Itachi, una voce più debole, più piccola della sua.

Fratellone...”
Sasuke era comparso subito dietro la sua schiena, e si era affrettato ad afferrargli timido la mano.

Ah, sei con lui...”
La rosa che teneva stretta in mano, nascosta dietro la schiena, cadde a terra sgualcita.
I suoi petali bianchi vennero inglobati dalla ghiaia ruvida, uno per volta.



Shisui era sempre stato geloso di Sasuke.
Voleva essere lui il più importante.
Voleva essere lui ad avere stretto in pugno il suo cuore.
Voleva essere tutto quello che era il piccolo erede.
E Itachi sorrideva, pensando al curioso destino.
Shisui era morto per adempiere allo sterminio degli Uchiha, mentre Sasuke sarebbe stato salvato. Sarebbe stato l'unico.
In quella situazione e più di ogni altra, Shisui avrebbe dovuto desiderare per davvero di essere al posto del piccolo Sasuke. Aveva mille e più motivi per farlo.
Ma questo non sarebbe mai, mai potuto accadere.
Sia per necessità, che per questioni reali.
Perché Itachi non amava Shisui.
Non l'aveva mai amato.
Non l'avrebbe mai amato.
L'aveva sempre visto e considerato come uno stupido, invaghito del suo carisma, e di nient'altro.
L'aveva pensato fino all'ultimo, fino a due minuti prima, mentre guardava per l'ultima volta i suoi occhi neri fuggire nelle gelide spire fluviali.
L'esitazione non l'aveva preso quando era arrivato il momento di agire, come invece aveva temuto, ma nell'attimo subito dopo.
Si era accasciato sul ponte, dimentico del fatto che invece avrebbe dovuto allontanarsi il prima possibile da quel posto.
Aveva fatto fatica a non vomitare, aveva una voglia incontenibile di sputare tutto ciò che conteneva in corpo, dal sangue alle viscere, che continuavano a contorcersi come serpenti dentro alla pancia.
Non si era mai sentito così sconvolto, così debole, così vulnerabile.
Aveva impiegato una manciata di minuti per riprendersi, il fiato pesante premeva sulla gola e gravava sui polmoni.
Ancora pochi secondi, prima di alzare la testa, e tornare ad essere Itachi Uchiha.
Si alzò in piedi, non sentendo più il tremore delle ginocchia.
Avanzò passi leggeri sul ponte di legno chiaro, dirigendosi verso casa.
Il suo calore rimaneva ancora lì, intrappolato tra le sue gambe.
Rimaneva ancora lì, quella macchia umida e appiccicosa che si portava dietro il suo odore.
Gliel'aveva detto, un attimo prima che Itachi gli ficcasse le dita nelle orbite.
Ti amo.
Ma non era servito a nulla.
Anzi, forse gli aveva dato più vigore, più forza in quello che stava per fare.
Una motivazione in più, un brivido in più.
Annullare tutte le persone che lo amavano, Shisui, i suoi genitori, l'intero clan.
Era esattamente quella la sua missione.
Quelle due parole non erano servite ad altro che confermare ancora una volta il suo compito.
“Itachi, dove sei stato?”
Le parole sottili della madre lo accolsero non appena mise piede in casa.
Evidentemente era stata alzata ad aspettarlo.
Il ragazzo alzò le spalle, non dando spiegazioni, e Mikoto si limitò a credere che il figlio si fosse concesso un po' di tempo per pensare, lontano dai chiacchiericci.
“Chi c'era in camera tua, prima?”
Domandò ancora la donna, prima che lui scomparisse dietro la porta della sua stanza.
Sorrideva appena, gentile, non intenzionata a caricare altro peso sulle sue spalle.
Itachi le rivolse uno sguardo infastidito e colpevole allo stesso tempo.
“Ho soltanto fatto l'amore con il mio ragazzo”.
Asserì statico, con una lieve nota dispiaciuta nel timbro di voce.
Prima che Mikoto potesse aggiungere qualsiasi cosa, Itachi si chiuse dolcemente la porta alle spalle, bloccando la serratura.
L'aria della camera stavolta era fresca e ventosa, le tende si muovevano come se un'altra ombra sarebbe dovuta entrare dalla sua finestra.
Il ragazzo scivolò a sedere sulle piastrelle, appoggiando la schiena contro la porta.
Un po' si rifugiò con il viso tra le mani, un altro po' si decise a pensare lucidamente.
Ma sempre, costantemente, quella fissa in testa non lo lasciava.
“Fra poco sarà il suo turno”.


~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ♠

Seconda classificata all' Uchihacest Contest! indetto da madychan, RuinNoYuki e niebo sul forum di efp.

Rose – l’ultimo canto dell’altalena (di Deidaradanna93, su EFP Silvar Tales): l’altalena è l’immagine della spensieratezza infantile; un tratto che i due protagonisti della storia, per due motivi diversi, non possiedono più. La caratterizzazione di Itachi soprattutto è stata particolare perché potrebbe fuoriuscire dalla linea dettata da Kishimoto, ma potrebbe anche non farlo; anche la caratterizzazione di Shisui, per quanto di lui sia stato dato uno scorcio molto veloce nella scena della rosa, che simboleggia l’amore spezzato, basta a dare le linee generali per la comprensione del personaggio. Il contesto è il classico, ma ben rende giustizia alla trama.

Al secondo posto: 
Rose – l’ultimo canto dell’altalena di Deidaradanna93, su EFP Silvar Tales! 
con voti: 
grammatica: 8,7 
originalità: 7,7 
attinenza al tema:10 
caratterizzazione: 8,7 
stile e lessico: 9 
apprezzamento personale: 8 
voto totale: 52

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Ringrazio ancora una volta le giudici, Niebo, Madychan e RuinNoYuki per i loro giudizi precisi e le loro valutazioni accurate. E naturalmente per il banner, super personalizzato! Lo adoro :3




   
 
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