Sai
cosa significa quando non si ha
l’ispirazione? Ecco. Io mi sentivo così.
Annebbiato dalla rabbia e con una certa fretta me ne andai da casa
lasciando
mio fratello sul divano che guardava un programma sulle auto. Presi le
chiavi
della macchina e sbattei la porta anche se non era mio intento farlo.
Arrivato in garage mi accorsi che in mano non avevo le chiavi giuste,
quelle
della Q7, ma avevo quelle di mio fratello. Sbuffai, perché
in quella giornata
poche cose erano andate come saprebbero piaciute a me.
Mi decisi e salii sull’R8 anche se odiavo quella macchina
perché era scomoda e
rigida mentre la mia si guidava che era un piacere: marce lunghe,
visibilità
della strada molto migliore rispetto a questa che praticamente sta
sotto terra
come visuale.
Accesi e uscii in strada.
Una mano si infilò nei miei capelli senza che fossi stato io
a deciderlo e li
scompigliai in segno di confusione, stanchezza, noia, tristezza ma
molto più
probabilmente perché mi era caduto un ciuffo davanti agli
occhi che non mi
permetteva di vedere bene anche se in realtà sapevo
benissimo che non era così.
Tutti credono che sia facile, una passeggiata.
“L’hai voluta tu questa vita!”
“Ma lasciali perdere quei cretini che ti danno del
pezzente” anche se
“pezzente” non è esattamente la parola
che ordinariamente usano.
“Hai successo, sei bello… cosa vuoi che ti
manca?”
Pochi sanno che mi manca TUTTO in realtà!
Mi mancano quei pomeriggi a cazzeggiare vicino la fontana in piazza, mi
mancano
le giornate a giocare senza pensare a lavorare, mi mancano le stupende
colazioni di mia madre e mi manca l’unica che mi ha sempre
sostenuto in quegli
orrendi momenti che passavo a scuola!
L’ho dovuta lasciare, non l’ho più vista
eppure so che abita da queste parti ma
non ho idea di dove.
Se potessi rivederla, se potessi riabbracciarla e dirle quanto
è stata
importante per me e quanto lo è ancora adesso che penso a
lei.
Ma le probabilità sono quasi nulle ed è tempo che
la smetta di sognare ad occhi
aperti perché tanto non tornerà mai e io ho
gettato all’aria quella ragazza che
mi amava già prima di diventare ciò che sono ora.
Mi accorsi di piangere solo quando la lacrima che era scesa silenziosa
sul viso
mi cadde sul dorso della mano e come per convincermi che non fosse
accaduto
niente, la scacciai con un movimento rapido e secco del polso.
Parcheggiai lì, più lontano possibile da occhi
indiscreti anche se era
difficile passare inosservato con quest’auto.
Scesi e cominciai a camminare lungo l’entrata del parco:
sotto ai miei piedi la
ghiaia scricchiolava e affondavo leggermente ad ogni passo che facevo.
Amavo quel luogo silenzioso, pieno di stagni e cigni, pieno di alberi,
di
verde…
Respirai e presi una grande boccata d’aria per scacciare i
pensieri negativi e
liberarmi la mente da tutto quello che poteva fare male alla mia anima.
Con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo basso, passeggiavo
automaticamente mettendo un piede di fronte all’altro poi mi
accostai ad un
albero e appoggiai la schiena al suo maestoso tronco: mi sentivo
vulnerabile ma
al tempo stesso protetto da quell’albero.
Pian piano scivolai e mi sedetti a terra.
Tolsi gli occhiali e mi stropicciai gli occhi quando una folata di
vento mi
sembrò chiamare e io mi voltai: pochi metri più
lontano da me c’era una ragazza
che leggeva. Aveva i capelli castani lunghi fino a metà
schiena e sedeva sotto
un ciliegio con tutti i suoi fiori che cadevano attorno a lei.
Un raggio di sole attraversò i rami di
quell’albero accarezzando i suoi capelli
che rifletterono lo spiraglio di luce con un riflesso quasi ramato
degli
stessi. Si muovevano leggiadri trasportati dal vento e io rimasi
così a
fissarla finché lei non alzò lo sguardo e io
capii che mi stava guardando.
Allora cambiai all’istante prospettiva eppure credevo di
averla vista ridere
per un certo frangente.
Ancora una volta mi girai piano per paura, credo, che lei mi stesse
ancora
fissando.
Ma… non c’era più… se
n’era andata.
Feci spallucce e sorrisi a me stesso dicendomi che questa era
l’ennesima sfiga
di quella giornata da cancellare dal calendario.
Dopo pochi istanti però…
-Hey, ma che fai? Non mi saluti?- la ragazza di prima, quella che
pensavo fosse
scappata dal mio sguardo credendomi un pazzo in un parco in un
pomeriggio di
primavera era là che parlava con me!
-Ehm, scusa ma ci conosciamo?- lei sorrise, con una mano teneva il
libro
stretto in grembo mentre con l’altra si sistemava una ciocca
dietro l’orecchio.
-Tu sei Bill, Bill Kaulitz- ecco fatto. Finita la magia, era solo
un’altra fan
che probabilmente mi avrebbe chiesto un autografo.
-Già, che fortuna eh? Hai incontrato il cantante dei Tokio
Hotel in un parco
della Germania, se vuoi ti firmo il libro.- stavo per prenderglielo
dalle mani
senza pensarci.
-Perché dovresti? Io ho un sacco di tuoi ricordi ma forse TU
li hai
dimenticati, non è vero?- mi alzai da terra e tolsi lo
sporco dai pantaloni.
C’era qualcosa di lei che conoscevo anche io ma cosa?!
Poi il riflesso dei suoi capelli, il colore dei suoi occhi, fecero
scattare
qualcosa che dentro di me mi squilibrarono come un tornado.
-Non possibile…- la fissavo pensando che tutto questo fosse
solo un sogno.
Un’allucinazione.
Lei tirò leggermente in su una manica della maglietta dove
scoprì un
braccialetto che riconobbi subito: era un MIO regalo per il SUO 17esimo
compleanno!
-Ciao Bill… è da un sacco che non ci si
vede…- LEI. LEI. LEI.
Tornata.
Lei.
Qui.
Io: immobile, aspettando di capire come parlarle mentre
l’ispirazione che era
appena arrivata sarebbe diventata, col tempo, il CD dei Tokio Hotel
più
venduto…
©B.K.