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Autore: Bikachu    02/07/2011    1 recensioni
Quando non trovi le parole, quando tutto sembra vuoto e nullo, nessuno meglio di te sa capire quello che provi.
Ed è proprio quando niente ha più senso che il passato torna a darti una mano per riportarti sulla via giusta...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sai cosa significa quando non si ha l’ispirazione? Ecco. Io mi sentivo così.
Annebbiato dalla rabbia e con una certa fretta me ne andai da casa lasciando mio fratello sul divano che guardava un programma sulle auto. Presi le chiavi della macchina e sbattei la porta anche se non era mio intento farlo.
Arrivato in garage mi accorsi che in mano non avevo le chiavi giuste, quelle della Q7, ma avevo quelle di mio fratello. Sbuffai, perché in quella giornata poche cose erano andate come saprebbero piaciute a me.
Mi decisi e salii sull’R8 anche se odiavo quella macchina perché era scomoda e rigida mentre la mia si guidava che era un piacere: marce lunghe, visibilità della strada molto migliore rispetto a questa che praticamente sta sotto terra come visuale.
Accesi e uscii in strada.
Una mano si infilò nei miei capelli senza che fossi stato io a deciderlo e li scompigliai in segno di confusione, stanchezza, noia, tristezza ma molto più probabilmente perché mi era caduto un ciuffo davanti agli occhi che non mi permetteva di vedere bene anche se in realtà sapevo benissimo che non era così.
Tutti credono che sia facile, una passeggiata.
“L’hai voluta tu questa vita!”
“Ma lasciali perdere quei cretini che ti danno del pezzente” anche se “pezzente” non è esattamente la parola che ordinariamente usano.
“Hai successo, sei bello… cosa vuoi che ti manca?”
Pochi sanno che mi manca TUTTO in realtà!
Mi mancano quei pomeriggi a cazzeggiare vicino la fontana in piazza, mi mancano le giornate a giocare senza pensare a lavorare, mi mancano le stupende colazioni di mia madre e mi manca l’unica che mi ha sempre sostenuto in quegli orrendi momenti che passavo a scuola!
L’ho dovuta lasciare, non l’ho più vista eppure so che abita da queste parti ma non ho idea di dove.
Se potessi rivederla, se potessi riabbracciarla e dirle quanto è stata importante per me e quanto lo è ancora adesso che penso a lei.
Ma le probabilità sono quasi nulle ed è tempo che la smetta di sognare ad occhi aperti perché tanto non tornerà mai e io ho gettato all’aria quella ragazza che mi amava già prima di diventare ciò che sono ora.
Mi accorsi di piangere solo quando la lacrima che era scesa silenziosa sul viso mi cadde sul dorso della mano e come per convincermi che non fosse accaduto niente, la scacciai con un movimento rapido e secco del polso.
Parcheggiai lì, più lontano possibile da occhi indiscreti anche se era difficile passare inosservato con quest’auto.
Scesi e cominciai a camminare lungo l’entrata del parco: sotto ai miei piedi la ghiaia scricchiolava e affondavo leggermente ad ogni passo che facevo.
Amavo quel luogo silenzioso, pieno di stagni e cigni, pieno di alberi, di verde…
Respirai e presi una grande boccata d’aria per scacciare i pensieri negativi e liberarmi la mente da tutto quello che poteva fare male alla mia anima.
Con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo basso, passeggiavo automaticamente mettendo un piede di fronte all’altro poi mi accostai ad un albero e appoggiai la schiena al suo maestoso tronco: mi sentivo vulnerabile ma al tempo stesso protetto da quell’albero.
Pian piano scivolai e mi sedetti a terra.
Tolsi gli occhiali e mi stropicciai gli occhi quando una folata di vento mi sembrò chiamare e io mi voltai: pochi metri più lontano da me c’era una ragazza che leggeva. Aveva i capelli castani lunghi fino a metà schiena e sedeva sotto un ciliegio con tutti i suoi fiori che cadevano attorno a lei.
Un raggio di sole attraversò i rami di quell’albero accarezzando i suoi capelli che rifletterono lo spiraglio di luce con un riflesso quasi ramato degli stessi. Si muovevano leggiadri trasportati dal vento e io rimasi così a fissarla finché lei non alzò lo sguardo e io capii che mi stava guardando. Allora cambiai all’istante prospettiva eppure credevo di averla vista ridere per un certo frangente.
Ancora una volta mi girai piano per paura, credo, che lei mi stesse ancora fissando.
Ma… non c’era più… se n’era andata.
Feci spallucce e sorrisi a me stesso dicendomi che questa era l’ennesima sfiga di quella giornata da cancellare dal calendario.
Dopo pochi istanti però…
-Hey, ma che fai? Non mi saluti?- la ragazza di prima, quella che pensavo fosse scappata dal mio sguardo credendomi un pazzo in un parco in un pomeriggio di primavera era là che parlava con me!
-Ehm, scusa ma ci conosciamo?- lei sorrise, con una mano teneva il libro stretto in grembo mentre con l’altra si sistemava una ciocca dietro l’orecchio.
-Tu sei Bill, Bill Kaulitz- ecco fatto. Finita la magia, era solo un’altra fan che probabilmente mi avrebbe chiesto un autografo.
-Già, che fortuna eh? Hai incontrato il cantante dei Tokio Hotel in un parco della Germania, se vuoi ti firmo il libro.- stavo per prenderglielo dalle mani senza pensarci.
-Perché dovresti? Io ho un sacco di tuoi ricordi ma forse TU li hai dimenticati, non è vero?- mi alzai da terra e tolsi lo sporco dai pantaloni. C’era qualcosa di lei che conoscevo anche io ma cosa?!
Poi il riflesso dei suoi capelli, il colore dei suoi occhi, fecero scattare qualcosa che dentro di me mi squilibrarono come un tornado.
-Non possibile…- la fissavo pensando che tutto questo fosse solo un sogno. Un’allucinazione.
Lei tirò leggermente in su una manica della maglietta dove scoprì un braccialetto che riconobbi subito: era un MIO regalo per il SUO 17esimo compleanno!
-Ciao Bill… è da un sacco che non ci si vede…- LEI. LEI. LEI.
Tornata.
Lei.
Qui.
Io: immobile, aspettando di capire come parlarle mentre l’ispirazione che era appena arrivata sarebbe diventata, col tempo, il CD dei Tokio Hotel più venduto…

©B.K.

   
 
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