Eccoci qui, una piccola storiella
scritta di getto appena prima di partire per le vacanze... ho provato a
immaginare cosa possa aver spinto Sweets a mettersi a suonare in pubblico dopo
la partenza di Daisey e della Brennan per le Molucche...chissà se almeno un po’ci
ho azzeccato J
La canzone è “Piano Man” di Billy
Joel... ascoltatela, se non la conoscete: è davvero stupenda!!!
Fatemi sapere che ne pensate!!!
Cara Sconosciuta
Piano
Man
It’s
nine o’clock on a Saturday
The
regular crowd shuffles in
There’s
an old man sitting next to me
Makin’love
to his tonic and gin
Cara Daisey,
Prima di
tutto, so che questa lettera non verrà mai spedita... sono troppo orgoglioso
per farlo e nessuno lo sa meglio di te.
Mi hai
ferito, però, e dimostrarti che so vivere bene anche lontano da te o, meglio,
senza di te, è un ottimo modo per sfogarmi.
Non
faccio più lo psicologo... per lo meno non finchè la
dottoressa Brennan e l’agente Booth non saranno tornati a lavorare insieme.
Non ho
smesso perché mi manchi tu, né perché mi sia pentito di non essere venuto a
pescare perle alle Molucche.
Ho
deciso di cambiare vita almeno per un po’perché ho ritenuto e ritengo a tutt’ora
lo scioglimento della squadra del Jeffersonian il mio più grande fallimento.
Comunque
ti devo ringraziare... è grazie al tuo consiglio di riprendere a suonare che ho
trovato il mio nuovo lavoro.
Lavoro
che, tra parentesi, mi piace da impazzire.
Qui,
negli Stati Uniti, dove l’amore di un fidanzato è più importante di un mucchio
di ossa vecchie come il mondo, è sabato sera e io, come ogni fine settimana,
sto seduto su uno sgabello bianco, dietro ad un pianoforte nero e suono per
pochi spiccioli di mancia quello che i clienti del bar mi chiedono.
Oh
Daisey, sapessi... ogni psicologo dovrebbe fare un lavoro del genere per un po’.
È un’occasione rara, quasi unica, per capire come funzionano gli esseri umani,
quali sentimenti provano e come ognuno li gestisce a modo suo, che sia giusto o
sbagliato.
Ho
visto ogni sorta di individuo entrare qui ed ordinarsi una birra e almeno la
metà di loro, ogni tanto si sente romantico o arrabbiato o nervoso e mi chiede
una canzone che non c’entra assolutamente nulla con lui.
Ho
sentito un harleysta grosso come una montagna e
scorbutico come un orso chiedermi di suonare “Goodbye My Lover” per la sua moto
andata a pezzi in un incidente... e credimi, ho avuto anche casi più
particolari.
Sono
le nove e alle nove arrivano loro, i miei clienti, puntuali come orologi
svizzeri. Chissà per chi suonerò stasera...
Seduto
accanto a me, su una sedia così malconcia da poter essere definita vittima di
mutilazione, c’è un uomo dai capelli di un bianco incredibilmente candido. Di
sicuro ha salutato i sessant’anni da un pezzo.
Dovresti
vederlo, Daisey... sta attaccato a quel bicchiere di gin tonic
come un assetato nel deserto. Sembra quasi che ci si aggrappi, che non voglia
lasciarsi scappare troppo in fretta anche quel piacere effimero, ma allo stesso
tempo non riesce a bere lentamente.
Forse
aveva una moglie, ma lei quasi di certo non c’è più. I figli? Lontani, sposati,
con il maggiore non parla più. I suoi occhi sono quelli di chi ha vissuto così
tanto da esserne quasi stufo.
He
says: “Son, can you play me a memory?
I’m
not really sure how it goes
But
it’s sad and it’s sweet and I knew it complete
When
I wore a younger man’s clothes”
“Ehi,
ragazzo...” Mi chiama, un po’alticcio già a quest’ora, posandomi una mano sulla
spalla. “Quanto vuoi per una richiesta?”
Sorrido
all’ingenua domanda.
“Solo
che mi ringrazi alla fine.”
Anche lui
mi regala un sorriso mezzo sdentato ed estrae dal portafogli una banconota da
cinque dollari.
“Di
gratitudine non è mai campato nessuno. Vedrai, non farai questo mestiere tutta
la vita... ce ne saranno di molto peggiori. Io ho fatto tutti i mestieri del
mondo, lo sai, pianista? Ma il più bello è stato durante la guerra. Ero giovane
e pazzo allora. Abitavo a Trieste, in Italia, nel paese più bello del mondo, e
mi lanciavo con il paracadute. Poi ho finito la leva e mi hanno mandato a
Fiume, col D’Annunzio...ma te sei americano e che ne sa un pianista americano
del D’Annunzio?”
Non lo
interrompo... adoro ascoltare storie di vita. Sono le persone come queste che
mi ricordano perché sono diventato psicologo.
“Alla
sera, a Fiume, quando la vita da soldati ce lo permetteva, andavamo giù alla
balera per vedere se si trovava qualche signorina che, a pagamento, si intende,
fosse disposta a stare con noi. E c’era un pian bar, anche là, e un vecchio,
perché i giovani erano tutti in guerra, cantava sempre, ogni sera, una canzone
vecchia quanto lui, che faceva più o meno così...”
Canticchia
un motivo che non ho mai sentito. Lo sai, non mi intendo di musica italiana...
“Non
credo di...”
“Oh,
lo so, lo so, non la puoi conoscere: non eri ancora nemmeno un pensiero nella
testa dei tuoi quando questa canzone è stata scritta, ma potresti provare a
starmi dietro, anche se probabilmente verrà una schifezza. La sapevo bene, una
volta... era bella, triste e dolce, ma la mia memoria non è più quella di una
volta...”
E
riprende a cantare e io lo seguo come posso.
I suoi
occhi si chiudono e lui pare sognare ed è questa la parte più bella del mio
nuovo lavoro: suonare per ogni persona il suo ricordo più caro.
Now
John at the bar is a friend of mine
He
gets me my drinks for free
And
he’s quick with a joke and he’ll light up your smoke
But
there’s some place he’d rather be
He
says: “Lance, I believe this is killing me”
And
his smile ran away from his face
“Well,
I’m sure that I could be a movie star
If
I could get out of this place”
Non lavoro
da solo, qui, sai? Anche un piccolo piano bar può avere una squadra e io sono
entrato a farne parte a pieno titolo solo grazie a John.
È il
barista, quel ragazzo altissimo e muscoloso che ti ho presentato lo scorso
anno. Lo abbiamo incontrato al parco con sua figlia, Chloe...
non so se te li ricordi.
Siamo
stati a scuola insieme... era quello che mi difendeva dai bulli e oggi, forse,
è l’unico amico vero che ho fuori dal posto di lavoro.
È un
bel ragazzo e non ho mai conosciuto nessuno tanto divertente ed abile con le
mani: vederlo preparare i drink è uno spettacolo degno dei migliori teatri. È gentile
e almeno ogni sera mi offre un paio di bibite gratuite, quelle che voglio, da
una lattina di coca cola ai cocktail più complicati.
La
vita, però, Daisey, non è onesta con tutti e con lui è stata una vera stronza.
Sognava
Hollywood ed era anche bravo. I suoi occhi blu e la sua voce profonda e morbida
come il velluto ne avrebbero fatto un artista incredibile, ne sono certo... ma
il destino, o chi per lui, non ha voluto così.
Aveva
diciassette anni quando la sua ragazza è rimasta incinta. Ne aveva diciotto e
un mese quando lei è morta mettendo al mondo Chloe.
Era stato felice di rinunciare al suo grande sogno per la sua Linda...
“Ciao,
Lance. Birra?”
Eccolo
qui, John, con il suo fedele asciugamano appeso alla spalla sinistra.
Continuando a suonare gli faccio segno di no.
E poi,
all’improvviso, il sorriso sparisce dal suo viso e lui si lascia cadere sulla
sedia che fino a poco fa era occupata dal vecchio italiano.
“Mi
ucciderà, Lance... questo posto, questo lavoro mi faranno fuori, un giorno dei
prossimi. Chloe... Chloe ha
iniziato la scuola, quest’anno, e io devo fare gli straordinari per pagarle la
retta. Non la manderei in nessun altro posto, sia chiaro... Linda voleva così.
Lavoro fino a notte fonda, lo sai... e lei ieri mi ha chiesto perché non mi
trovo una fidanzata, così lei può avere una mamma vera e non una foto su una
lapide. È intelligente, Lance... e le somiglia tanto... avrei potuto darle una
vita migliore, potrei essere un grandissimo attore, a quest’ora, lo so che
potrei, ma dovrei andarmene di qui e non ho i soldi per farlo...”
E la
sua confessione continua ancora e ancora, finché un cliente frettoloso non lo
richiama all’ordine dietro al bancone.
Sai,
credo che potrei dedicare tutta la vita allo studio degli esseri umani senza
mai capire per quale motivo il mondo sembri avercela a morte con i migliori di
loro.
I
migliori di noi.
Now
Paul is a real estate novelist
Who
has never had time for a wife
And
he’s talkin’ with Davy, who is still in the Navy
And
he probably will be for life
Finita
la tirata di John, nessuno sembra più interessato alle mie canzoni e io posso
suonare quel che voglio.
Penso
che mi darò a Billy Joel, il mio cavallo di battaglia: lo conosco talmente bene
che non ho bisogno di partitura per suonare e posso guardarmi intorno, studiare
“l’ecosistema piano bar”.
Uno
dei tavoli più interessanti è di sicuro quello in fondo in fondo, mezzo coperto
da quell’osceno ficus che Dean, il proprietario, si ostina a tenere vicino all’ingresso.
Paul McFee è un romanziere, uno vero, che campa dei suoi libri.
Ed è esattamente come un romanziere deve essere: bello e dannato, capelli
brizzolati, barba incolta, fascino magnetico e omosessualità molto ben celata.
Lo
conosco da anni e non ha mai avuto nemmeno una relazione oltre ai singoli
flirt, quelli che durano una sera e si esauriscono tra le lenzuola della sua
romantica e mezza distrutta roulotte. Dice che la vita è troppo impegnativa per
permettersi di amare.
Paul McFee scrive romanzi d’amore, se ti può interessare.
E, in
fondo, forse lui ha capito davvero che cosa vuol dire amare... una notte sola,
forte, intensa quanto una vita, e poi via, ognuno per la sua strada,
meraviglioso ricordo di un’altra persona.
Con
lui siede Davy Roland... Davy
di nome, Roland di cognome, soldato della gloriosa marina americana. Avrebbe
dovuto restarci non più di un anno, su quelle navi esposte ad ogni pericolo...
e se glielo chiedi nemmeno lui ti sa dire perché, da quando è salito a bordo la
prima volta, di anni ne sono già passati dieci.
Credo
che in fondo non gli dispiaccia, si sente una sorta di eroe americano, ma io,
che so osservare i dettagli, più di una volta l’ho visto tirare fuori una fotografia
dalla tasca del pantaloni. È sgualcita e stropicciata, ma la tenerezza nei suoi
occhi quando la guarda è ancora scintillante come doveva esserlo all’inizio.
Non so
chi ci sia su quel rettangolino di carta... forse una donna, una giovane che
oggi non saprebbe più riconoscere, o magari un ragazzo, bello abbastanza da
compensare il suo grosso naso e il viso dalla pelle rovinata dal sole.
Su di
loro sto solo una cosa, stasera: per amore o per disperazione tra non molto
saranno nello stesso letto.
And
the waitress is practicing politics
As
the business slowly gets stoned
Yes,
they’re sharing a drink they call loneliness
But
it’s better than drinkin’alone
“Accidenti,
signorina, dovrebbero farla presidente, altro che cameriera!”
L’esclamazione,
proveniente da un tavolo vicino a me, cattura la mia attenzione e mi volto
appena in tempo per vedere Sarah sorridere e ringraziare, modesta, il cliente
seduto davanti a lei.
Ci
risiamo, quella ragazza è incredibile... non so perché sia qui, è decisamente
troppo, troppo colta per non volere un mestiere un poco più coinvolgente dal
punto di vista culturale.
Dovresti
vederla, Daisey... non è bella, proprio per nulla, ma le sue parole catturano
chiunque, è impossibile non rimanere affascinati.
Dallo
sguardo perso dell’uomo in giacca e cravatta, deduco che nemmeno lui sia immune
a questa magia...
“Non
ho mai sentito una donna discorrere di politica con tanta facilità... e
intelligenza, se mi permette. Vorrei offrirle da bere...”
Sarah
sorride di nuovo, ma è fredda: non le interessa quell’uomo e si vede da
lontano.
“Forse
un’altra volta... ora sto lavorando, sa...”
L’uomo
arrossisce un poco, sorpreso e forse irritato da questa risposta, ma Sarah non
ci fa caso: lei è fatta così. Le piace regalare ai clienti un poco del suo
tempo, forse perché sa che a casa non l’aspetta che un divano troppo grande e
troppo freddo. Si sa, d’altra parte, essere soli in due è sempre meglio che
esserlo in solitudine.
Forse
è proprio questo che siamo sempre stati noi, non credi? Due persone sole che,
per un po’, si sono tenute compagnia.
It’s
a pretty good crowd for a Saturday
And
the manager gives me a smile
‘cause
he knows that is me they’ve been coming to see
To
forget about their life for a while
C’è
tanta gente stasera, Daisey: non ti piacerebbe.
Io,
invece, ho scoperto che adoro stare in mezzo alla gente, cercare di captare i
loro pensieri e le loro emozioni.
E sai
una cosa? Loro adorano me.
Dean è
soddisfatto del mio lavoro come mai avrebbe pensato, perché da quando suono qui
la clientela del bar è raddoppiata.
Non so
perché la mia musica piaccia così tanto; dopotutto, non sono poi un pianista
eccezionale. Forse loro sanno che amo fare questa cosa, forse sentono che non
sarà per molto e cercano di goderlo al massimo... o forse è solo gente triste che
trova in un piccolo bar di periferia una scarsa consolazione alla vita di ogni
giorno.
Non so
se ciò che suono li faccia in qualche maniera star meglio... di sicuro loro
stanno aiutando me.
Mi
stanno dando la forza di dirti che tra noi è finita: ci sono troppe donne al
mondo, Daisey, perché io perda il mio tempo con qualcuna che preferisce delle
mummie alla mia compagnia.
And
the piano, it sounds like a carnivore
And
the microphone smells like a beer
And
they sat at the bar and put bread in my jar
And
say: “Man, what are you doin’here?”
Mi
asciugo una lacrima e penso che sì, in fondo me la sono cercata.
Non ti
avrei dovuto abbandonare e ora sei stato tu
a lasciare me.
Con una
lettera che non volevi spedire e che termina con la tua brutta e intelligente
cameriera che ti invita a cena.
Non
so, Lance, la vita è la tua, ma io non so che ci fai a suonare cattiva musica
in un pessimo bar.
Odio
tutto, odio la cameriera, il tuo amico John, il pianoforte, che mi sembra una
bestia malvagia, e il microfono che sicuramente puzzerà di birra stantia.
Odio
quegli imbecilli che ti incoraggiano, riempiendoti di soldi il cappello o
qualsiasi altro recipiente tu utilizzi.
Perché
tra quegli imbecilli non c’è nessuno che ti chiede che accidenti ci fai lì,
Lance?
Perché
a nessuno importa niente di quello che stai buttando via?
O
forse non stai buttando via niente e io non capisco... non capisco te, non
capisco il tuo lavoro e la tua musica... però vorrei tanto che una volta, una
volta sola, invece che per dei perfetti sconosciuti il tuo pianoforte avesse
suonato per me...
Sing
us a song, you’re the piano man
Sing
us a song tonight