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Autore: Cara_Sconosciuta    02/07/2011    1 recensioni
Cara Daisey,
Prima di tutto, so che questa lettera non verrà mai spedita... sono troppo orgoglioso per farlo e nessuno lo sa meglio di te.
Mi hai ferito, però, e dimostrarti che so vivere bene anche lontano da te o, meglio, senza di te, è un ottimo modo per sfogarmi.
Non faccio più lo psicologo... per lo meno non finchè la dottoressa Brennan e l’agente Booth non saranno tornati a lavorare insieme.
Non ho smesso perché mi manchi tu, né perché mi sia pentito di non essere venuto a pescare perle alle Molucche.
Ho deciso di cambiare vita almeno per un po’perché ho ritenuto e ritengo a tutt’ora lo scioglimento della squadra del Jeffersonian il mio più grande fallimento.
Comunque ti devo ringraziare... è grazie al tuo consiglio di riprendere a suonare che ho trovato il mio nuovo lavoro.
Lavoro che, tra parentesi, mi piace da impazzire.
Dedicata al mio Piccolo Chopin...
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qui, una piccola storiella scritta di getto appena prima di partire per le vacanze... ho provato a immaginare cosa possa aver spinto Sweets a mettersi a suonare in pubblico dopo la partenza di Daisey e della Brennan per le Molucche...chissà se almeno un po’ci ho azzeccato J

La canzone è “Piano Man” di Billy Joel... ascoltatela, se non la conoscete: è davvero stupenda!!!

Fatemi sapere che ne pensate!!!

Cara Sconosciuta

 

Piano Man

It’s nine o’clock on a Saturday

The regular crowd shuffles in

There’s an old man sitting next to me

Makin’love to his tonic and gin

 

Cara Daisey,

Prima di tutto, so che questa lettera non verrà mai spedita... sono troppo orgoglioso per farlo e nessuno lo sa meglio di te.

Mi hai ferito, però, e dimostrarti che so vivere bene anche lontano da te o, meglio, senza di te, è un ottimo modo per sfogarmi.

Non faccio più lo psicologo... per lo meno non finchè la dottoressa Brennan e l’agente Booth non saranno tornati a lavorare insieme.

Non ho smesso perché mi manchi tu, né perché mi sia pentito di non essere venuto a pescare perle alle Molucche.

Ho deciso di cambiare vita almeno per un po’perché ho ritenuto e ritengo a tutt’ora lo scioglimento della squadra del Jeffersonian il mio più grande fallimento.

Comunque ti devo ringraziare... è grazie al tuo consiglio di riprendere a suonare che ho trovato il mio nuovo lavoro.

Lavoro che, tra parentesi, mi piace da impazzire.

Qui, negli Stati Uniti, dove l’amore di un fidanzato è più importante di un mucchio di ossa vecchie come il mondo, è sabato sera e io, come ogni fine settimana, sto seduto su uno sgabello bianco, dietro ad un pianoforte nero e suono per pochi spiccioli di mancia quello che i clienti del bar mi chiedono.

Oh Daisey, sapessi... ogni psicologo dovrebbe fare un lavoro del genere per un po’. È un’occasione rara, quasi unica, per capire come funzionano gli esseri umani, quali sentimenti provano e come ognuno li gestisce a modo suo, che sia giusto o sbagliato.

Ho visto ogni sorta di individuo entrare qui ed ordinarsi una birra e almeno la metà di loro, ogni tanto si sente romantico o arrabbiato o nervoso e mi chiede una canzone che non c’entra assolutamente nulla con lui.

Ho sentito un harleysta grosso come una montagna e scorbutico come un orso chiedermi di suonare “Goodbye My Lover” per la sua moto andata a pezzi in un incidente... e credimi, ho avuto anche casi più particolari.

Sono le nove e alle nove arrivano loro, i miei clienti, puntuali come orologi svizzeri. Chissà per chi suonerò stasera...

Seduto accanto a me, su una sedia così malconcia da poter essere definita vittima di mutilazione, c’è un uomo dai capelli di un bianco incredibilmente candido. Di sicuro ha salutato i sessant’anni da un pezzo.

Dovresti vederlo, Daisey... sta attaccato a quel bicchiere di gin tonic come un assetato nel deserto. Sembra quasi che ci si aggrappi, che non voglia lasciarsi scappare troppo in fretta anche quel piacere effimero, ma allo stesso tempo non riesce a bere lentamente.

Forse aveva una moglie, ma lei quasi di certo non c’è più. I figli? Lontani, sposati, con il maggiore non parla più. I suoi occhi sono quelli di chi ha vissuto così tanto da esserne quasi stufo.

 

He says: “Son, can you play me a memory?

I’m not really sure how it goes

But it’s sad and it’s sweet and I knew it complete

When I wore a younger man’s clothes”

 

“Ehi, ragazzo...” Mi chiama, un po’alticcio già a quest’ora, posandomi una mano sulla spalla. “Quanto vuoi per una richiesta?”

Sorrido all’ingenua domanda.

“Solo che mi ringrazi alla fine.”

Anche lui mi regala un sorriso mezzo sdentato ed estrae dal portafogli una banconota da cinque dollari.

“Di gratitudine non è mai campato nessuno. Vedrai, non farai questo mestiere tutta la vita... ce ne saranno di molto peggiori. Io ho fatto tutti i mestieri del mondo, lo sai, pianista? Ma il più bello è stato durante la guerra. Ero giovane e pazzo allora. Abitavo a Trieste, in Italia, nel paese più bello del mondo, e mi lanciavo con il paracadute. Poi ho finito la leva e mi hanno mandato a Fiume, col D’Annunzio...ma te sei americano e che ne sa un pianista americano del D’Annunzio?”

Non lo interrompo... adoro ascoltare storie di vita. Sono le persone come queste che mi ricordano perché sono diventato psicologo.

“Alla sera, a Fiume, quando la vita da soldati ce lo permetteva, andavamo giù alla balera per vedere se si trovava qualche signorina che, a pagamento, si intende, fosse disposta a stare con noi. E c’era un pian bar, anche là, e un vecchio, perché i giovani erano tutti in guerra, cantava sempre, ogni sera, una canzone vecchia quanto lui, che faceva più o meno così...”

Canticchia un motivo che non ho mai sentito. Lo sai, non mi intendo di musica italiana...

“Non credo di...”

“Oh, lo so, lo so, non la puoi conoscere: non eri ancora nemmeno un pensiero nella testa dei tuoi quando questa canzone è stata scritta, ma potresti provare a starmi dietro, anche se probabilmente verrà una schifezza. La sapevo bene, una volta... era bella, triste e dolce, ma la mia memoria non è più quella di una volta...”

E riprende a cantare e io lo seguo come posso.

I suoi occhi si chiudono e lui pare sognare ed è questa la parte più bella del mio nuovo lavoro: suonare per ogni persona il suo ricordo più caro.

 

Now John at the bar is a friend of mine

He gets me my drinks for free

And he’s quick with a joke and he’ll light up your smoke

But there’s some place he’d rather be

He says: “Lance, I believe this is killing me”

And his smile ran away from his face

“Well, I’m sure that I could be a movie star

If I could get out of this place”

 

Non lavoro da solo, qui, sai? Anche un piccolo piano bar può avere una squadra e io sono entrato a farne parte a pieno titolo solo grazie a John.

È il barista, quel ragazzo altissimo e muscoloso che ti ho presentato lo scorso anno. Lo abbiamo incontrato al parco con sua figlia, Chloe... non so se te li ricordi.

Siamo stati a scuola insieme... era quello che mi difendeva dai bulli e oggi, forse, è l’unico amico vero che ho fuori dal posto di lavoro.

È un bel ragazzo e non ho mai conosciuto nessuno tanto divertente ed abile con le mani: vederlo preparare i drink è uno spettacolo degno dei migliori teatri. È gentile e almeno ogni sera mi offre un paio di bibite gratuite, quelle che voglio, da una lattina di coca cola ai cocktail più complicati.

La vita, però, Daisey, non è onesta con tutti e con lui è stata una vera stronza.

Sognava Hollywood ed era anche bravo. I suoi occhi blu e la sua voce profonda e morbida come il velluto ne avrebbero fatto un artista incredibile, ne sono certo... ma il destino, o chi per lui, non ha voluto così.

Aveva diciassette anni quando la sua ragazza è rimasta incinta. Ne aveva diciotto e un mese quando lei è morta mettendo al mondo Chloe. Era stato felice di rinunciare al suo grande sogno per la sua Linda...

“Ciao, Lance. Birra?”

Eccolo qui, John, con il suo fedele asciugamano appeso alla spalla sinistra. Continuando a suonare gli faccio segno di no.

E poi, all’improvviso, il sorriso sparisce dal suo viso e lui si lascia cadere sulla sedia che fino a poco fa era occupata dal vecchio italiano.

“Mi ucciderà, Lance... questo posto, questo lavoro mi faranno fuori, un giorno dei prossimi. Chloe... Chloe ha iniziato la scuola, quest’anno, e io devo fare gli straordinari per pagarle la retta. Non la manderei in nessun altro posto, sia chiaro... Linda voleva così. Lavoro fino a notte fonda, lo sai... e lei ieri mi ha chiesto perché non mi trovo una fidanzata, così lei può avere una mamma vera e non una foto su una lapide. È intelligente, Lance... e le somiglia tanto... avrei potuto darle una vita migliore, potrei essere un grandissimo attore, a quest’ora, lo so che potrei, ma dovrei andarmene di qui e non ho i soldi per farlo...”

E la sua confessione continua ancora e ancora, finché un cliente frettoloso non lo richiama all’ordine dietro al bancone.

Sai, credo che potrei dedicare tutta la vita allo studio degli esseri umani senza mai capire per quale motivo il mondo sembri avercela a morte con i migliori di loro.

I migliori di noi.

 

Now Paul is a real estate novelist

Who has never had time for a wife

And he’s talkin’ with Davy, who is still in the Navy

And he probably will be for life

 

Finita la tirata di John, nessuno sembra più interessato alle mie canzoni e io posso suonare quel che voglio.

Penso che mi darò a Billy Joel, il mio cavallo di battaglia: lo conosco talmente bene che non ho bisogno di partitura per suonare e posso guardarmi intorno, studiare “l’ecosistema piano bar”.

Uno dei tavoli più interessanti è di sicuro quello in fondo in fondo, mezzo coperto da quell’osceno ficus che Dean, il proprietario, si ostina a tenere vicino all’ingresso.

Paul McFee è un romanziere, uno vero, che campa dei suoi libri. Ed è esattamente come un romanziere deve essere: bello e dannato, capelli brizzolati, barba incolta, fascino magnetico e omosessualità molto ben celata.

Lo conosco da anni e non ha mai avuto nemmeno una relazione oltre ai singoli flirt, quelli che durano una sera e si esauriscono tra le lenzuola della sua romantica e mezza distrutta roulotte. Dice che la vita è troppo impegnativa per permettersi di amare.

Paul McFee scrive romanzi d’amore, se ti può interessare.

E, in fondo, forse lui ha capito davvero che cosa vuol dire amare... una notte sola, forte, intensa quanto una vita, e poi via, ognuno per la sua strada, meraviglioso ricordo di un’altra persona.

Con lui siede Davy Roland... Davy di nome, Roland di cognome, soldato della gloriosa marina americana. Avrebbe dovuto restarci non più di un anno, su quelle navi esposte ad ogni pericolo... e se glielo chiedi nemmeno lui ti sa dire perché, da quando è salito a bordo la prima volta, di anni ne sono già passati dieci.

Credo che in fondo non gli dispiaccia, si sente una sorta di eroe americano, ma io, che so osservare i dettagli, più di una volta l’ho visto tirare fuori una fotografia dalla tasca del pantaloni. È sgualcita e stropicciata, ma la tenerezza nei suoi occhi quando la guarda è ancora scintillante come doveva esserlo all’inizio.

Non so chi ci sia su quel rettangolino di carta... forse una donna, una giovane che oggi non saprebbe più riconoscere, o magari un ragazzo, bello abbastanza da compensare il suo grosso naso e il viso dalla pelle rovinata dal sole.

Su di loro sto solo una cosa, stasera: per amore o per disperazione tra non molto saranno nello stesso letto.

 

And the waitress is practicing politics

As the business slowly gets stoned

Yes, they’re sharing a drink they call loneliness

But it’s better than drinkin’alone

 

“Accidenti, signorina, dovrebbero farla presidente, altro che cameriera!”

L’esclamazione, proveniente da un tavolo vicino a me, cattura la mia attenzione e mi volto appena in tempo per vedere Sarah sorridere e ringraziare, modesta, il cliente seduto davanti a lei.

Ci risiamo, quella ragazza è incredibile... non so perché sia qui, è decisamente troppo, troppo colta per non volere un mestiere un poco più coinvolgente dal punto di vista culturale.

Dovresti vederla, Daisey... non è bella, proprio per nulla, ma le sue parole catturano chiunque, è impossibile non rimanere affascinati.

Dallo sguardo perso dell’uomo in giacca e cravatta, deduco che nemmeno lui sia immune a questa magia...

“Non ho mai sentito una donna discorrere di politica con tanta facilità... e intelligenza, se mi permette. Vorrei offrirle da bere...”

Sarah sorride di nuovo, ma è fredda: non le interessa quell’uomo e si vede da lontano.

“Forse un’altra volta... ora sto lavorando, sa...”

L’uomo arrossisce un poco, sorpreso e forse irritato da questa risposta, ma Sarah non ci fa caso: lei è fatta così. Le piace regalare ai clienti un poco del suo tempo, forse perché sa che a casa non l’aspetta che un divano troppo grande e troppo freddo. Si sa, d’altra parte, essere soli in due è sempre meglio che esserlo in solitudine.

Forse è proprio questo che siamo sempre stati noi, non credi? Due persone sole che, per un po’, si sono tenute compagnia.

 

It’s a pretty good crowd for a Saturday

And the manager gives me a smile

‘cause he knows that is me they’ve been coming to see

To forget about their life for a while

 

C’è tanta gente stasera, Daisey: non ti piacerebbe.

Io, invece, ho scoperto che adoro stare in mezzo alla gente, cercare di captare i loro pensieri e le loro emozioni.

E sai una cosa? Loro adorano me.

Dean è soddisfatto del mio lavoro come mai avrebbe pensato, perché da quando suono qui la clientela del bar è raddoppiata.

Non so perché la mia musica piaccia così tanto; dopotutto, non sono poi un pianista eccezionale. Forse loro sanno che amo fare questa cosa, forse sentono che non sarà per molto e cercano di goderlo al massimo... o forse è solo gente triste che trova in un piccolo bar di periferia una scarsa consolazione alla vita di ogni giorno.

Non so se ciò che suono li faccia in qualche maniera star meglio... di sicuro loro stanno aiutando me.

Mi stanno dando la forza di dirti che tra noi è finita: ci sono troppe donne al mondo, Daisey, perché io perda il mio tempo con qualcuna che preferisce delle mummie alla mia compagnia.

 

And the piano, it sounds like a carnivore

And the microphone smells like a beer

And they sat at the bar and put bread in my jar

And say: “Man, what are you doin’here?”

 

Mi asciugo una lacrima e penso che sì, in fondo me la sono cercata.

Non ti avrei dovuto abbandonare e ora sei stato tu  a lasciare me.

Con una lettera che non volevi spedire e che termina con la tua brutta e intelligente cameriera che ti invita a cena.

Non so, Lance, la vita è la tua, ma io non so che ci fai a suonare cattiva musica in un pessimo bar.

Odio tutto, odio la cameriera, il tuo amico John, il pianoforte, che mi sembra una bestia malvagia, e il microfono che sicuramente puzzerà di birra stantia.

Odio quegli imbecilli che ti incoraggiano, riempiendoti di soldi il cappello o qualsiasi altro recipiente tu utilizzi.

Perché tra quegli imbecilli non c’è nessuno che ti chiede che accidenti ci fai lì, Lance?

Perché a nessuno importa niente di quello che stai buttando via?

O forse non stai buttando via niente e io non capisco... non capisco te, non capisco il tuo lavoro e la tua musica... però vorrei tanto che una volta, una volta sola, invece che per dei perfetti sconosciuti il tuo pianoforte avesse suonato per me...

 

Sing us a song, you’re the piano man

Sing us a song tonight

 

 

   
 
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