Titolo: Andrea Gettava Riccioli Neri
Autore: Nemeryal
Fandom: Nessuno
Rating: Giallo
Genere: Slice of
Life, Drammatico, Introspettivo
Avvertimenti: Shonen-Ai, Het
Personaggi: Andrea del Berceto ©, Andrea di Vallombrosa © [Manco a dirlo,
i due Andrea di cui parla de Andrè nella sua canzone sono suoi e di chi tiene oggigiorno
i copyright –credo Dori Ghezzi- ] Il ©
è dunque da intendersi per Andrea del Berceto e Andrea di
Vallombrosa come personaggi creati dalla mia mente malata, ma non per i
personaggi della canzone di De Andrè. Spero si capisca XD
Pairing: Andrea del BercetoxAndrea di Vallombrosa
Ambientazione: 1915
Trama: Mi chiamo Andrea e le scuole
non le ho fatte, quindi non so parlare bene.
Perché io ci ho tanto dentro.
E’ qualcosa di grande, grande come la notte quando
togli la luna dal cielo e rimani con solo le stelle sopra la testa e giù, giù
fino all’orizzonte e anche oltre, oltre Parma, oltre l’Emilia, e sono tante, ma
così tante, che non riesci a contarle.
[ Andrea aveva un amore
Riccioli neri. Andrea aveva un dolore Riccioli neri. ]
Dedica: a Silentsky
Note: Ecco, lo sapevo. De Andrè si rivolterà nella tomba. Me lo sento, lo so. E
Dori Ghezzi verrà a cercarmi e mi taglierà la testa. Bene, ottimo.
No è che..io
amo de Andrè e amo questa canzone. E, ascoltandola e ascoltandola e
ascoltandola, le parole sono uscite da sole. Ovviamente, essendo questo più che
un capitolo vero e proprio, un prologo, un’introduzione, è piuttosto corto. Gli
altri saranno più lunghi, decisamente.
Che poi
Andrea del Berceto non è stupido, anche se il suo modo di parlare è tutt’altro
che aulico e forbito. No so perché ho voluto scrivere in prima persona,
solitamente non lo faccio mai perché non mi ci ritrovo affatto. Però..questa
non potevo non scriverla in prima persona e ci ho provato ad immaginarla
narrata in terza persona, eh.
E così,
Andrea del Berceto è qui per narrarvi la sua storia. Non sarà lunga, solo di
quattro capitolo.
Spero vi
piaccia e non vi sentiate, boh, in qualche modo offesi dal modo di parlare di
Andrea. Non è scemo, ripeto, non è affatto quella l’idea che voglio far passare
di lui. E’ una persona semplice, che non ha fatto le scuole, ma dentro ha così
tanto, ma così tanto..è come il verso de Un
Matto “Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con
le parole”. Esattamente, è questa l’ottica con cui vorrei leggeste e vi
immedesimaste in Andrea.
E poi, ho
fatto un po’ di rimandi ad altre canzoni di de Andrè. Che poi, Piero fa tanto
lo sborrone, ma è un bravo Cristo.
Bene, buona
lettura e a presto!
Ispirata da Andrea - Fabrizio de Andrè
Questa canzone la dedichiamo a quelli che Platone chiamava, in modo
poetico, i figli della luna; alle persone che noi chiamiamo gay oppure,
per una strana forma di compiacimento, diversi, se non addirittura culi.
Mi fa piacere cantarla così, a luci accese, a dimostrare che oggi si
può essere semplicemente se stessi senza bisogno di vergognarsi."
[Fabrizio de Andrè, Presentazione durante il concerto tenuto al Teatro Smeraldo di Milano (19/12/'92)]
Andrea Gettava Riccioli Neri
1.
Andrea s’è Perso
~ e non sa tornare ~
Mi chiamo
Andrea e le scuole non le ho fatte, quindi non so parlare bene.
Non ho fatto
neanche la leva, quindi non so tenere in mano un fucile e non posso fare la
guerra. Non ho fatto la leva perché i genitori non ce li ho: la mamma è morta
quando sono nato e il babbo è caduto dalla mula mentre tornava in paese con i
lupini.
Io la leva
non l’ho fatta, ma Piero sì e dice che il fucile in mano lo sa tenere e quando
ci sarà la guerra lui sparerà forte e ammazzerà il nemico, così che non viene
in paese e ci ruba le galline.
Piero dice
così, ma io lo so che la guerra non gli piace, lo dice solo per piacere alla
Ninetta, ma tanto è inutile che faccia lo scemo così perché tanto alla Ninetta
piace già.
Una volta
gli ho chiesto chi è il nemico che vuole ammazzare, ma mi sa che non lo sa
neanche lui, perché ha messo il muso e mi ha guardato con certi occhiacci che
sembravano quelli del Nano.
Il Nano ha
fatto le scuole e dice che diventerà giudice e ce la farà pagare a tutti,
soprattutto a Piero che si diverte a pisciargli sulla testa o a tirargli contro
i sassi quando è girato o a mettergli i topi morti sotto le panche della
Chiesa.
Io non so
parlare bene, ma visto che il Nano ha fatto le scuole gli ho chiesto se poteva
insegnarmi, ma lui ha detto che dovevo andare a Parma quando ne ho avuto la
possibilità e quindi adesso mi arrangio. Ho provato a spiegargli che visto che
il babbo non ce l’ho e vivo dalla famiglia di Piero devo lavorare, ma lui mi ha
detto che se sono nato per fare il contadino non posso certo mettermi in testa
il grillo di voler imparare a leggere a fare di conto.
Glielo ho
detto a Piero e lui ha detto che il Nano è una carogna perché ci ha il cuore
troppo vicino al buco del culo.
Che poi io
so leggere anche se qualche parola non la conosco e mi fa inciampare, so fare
di conto piuttosto bene e anche scrivere il mio nome perché me lo ha insegnato
il parroco. Ma quel poco che so non mi basta, perché c’è qualcosa, qui, che mi
fa sudare anche quando ho freddo, ma scalda bene e fa piacere, che mi fa
sentire pieno e vuoto, è qualcosa di grande che quando la Ninetta mi chiede
cosa c’è, io le rispondo “Niente” perché non so come dirglielo.
C’era uno
che veniva da lontano, diceva che veniva dalle Americhe, e che suonava sempre
la chitarra per farsi dare un tocco di pane ed un bicchiere di vino in più dall’osteria
giù in paese. Suonava bene e la voce gli grattava la bocca, ma non era brutta,
mi piaceva molto e lo stavo ad ascoltare tanto la sera, quando Piero stava
qualche tavolo più in là e faceva lo scemo parlando di fucili e di guerra e
intanto inventava un altro modo per pisciare sulla testa del Nano.
La sera
prima che andava via gli ho chiesto come faceva a cantare così bene e con
parole tanto belle e lui mi ha detto che chiunque può dire parole belle se le
sente dentro e che non bisogna fare le scuole –lui non le aveva fatte, mi ha
detto-, perché se sono grandi e le sentiamo e ci fanno bene anche facendoci
male, allora ci escono fuori da sole.
Allora io ci
voglio provare.
Perché io ci
ho tanto dentro.
E’ qualcosa
di grande, grande come la notte quando togli la luna dal cielo e rimani con
solo le stelle sopra la testa e giù, giù fino all’orizzonte e anche oltre,
oltre Parma, oltre l’Emilia, e sono tante, ma così tante, che non riesci a
contarle.