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Autore: SeptemberRain    05/07/2011    4 recensioni
Così Robert non pensa, ha smesso di pensare, ha messo da parte il futuro e chiuso il passato in una valigia, perché mentre la sua macchina correva e le sue dita tremavano al volante, la verità gli era giunta come una folgorazione: la verità è che non conta nulla di tutto ciò, che il passato e il futuro e le indecisioni e i piani elaborati e la paura e il dolore sono soltanto illusioni, macchie sbiadite di una foto, ricordo di un dito nell'obiettivo che non esisterebbe se qualcuno non glielo avesse messo dentro erroneamente.
Ciò che conta è lui. Sono loro.
Fa un passo avanti e l'altro non si sposta. L'americano si sente rallentato, o forse è solo il suo cuore che corre più veloce della Terra che lo circonda. Afferra il viso distrutto di Jude tra le mani e gli sfiora la ferita, mentre l'altro chiude gli occhi.
Quell'attimo dura un'eternità, prima che Robert si avvicini alle labbra troppo rosse dell'altro e gli getti addosso il proprio respiro «Perdonami» lo supplica, solamente.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Fireworks light the Time, tonight.

            

·        For Love only lasts till tomorrow

Erano insieme nella sua camera ed egli fremeva di impazienza e di ansia. Ma più di ogni altra cosa, egli strepitava d'ira. Da qualche parte, nascosto in qualche oscuro meandro della sua persona, c'era anche l'amore. Povero, triste amore soffocato da quel mostro di consistenza quasi gelatinosa, viscida, che lo stava lentamente fagocitando e che lo avrebbe fatto sprofondare negli oblii dell'inesistenza senza che quel misero sentimento di fuoco potesse in alcun modo difendersi dalla furia della sua rabbia. 

«Lo sai benissimo perché» erano state le parole giunte alle sue orecchie, che in qualche secondo provocarono in lui un'ilarità finta.

«Ho cambiato idea, a questo proposito» aveva dichiarato quasi solennemente, con la sua aria un po' altezzosa. Le labbra schiuse in un'espressione beffarda e quell'amore che sprofondava sempre più, sempre più. «Stavo appunto riflettendo su questo: io non ho alcuna voglia di fingere, solo per essere reputato benevolmente da quelle persone così false che cambierebbero opinione su di me dopo aver saputo cosa sono veramente»

L'uomo che si trovava ai piedi del suo letto era intento ad allacciare i lacci delle sue scarpe da tennis; lo aveva guardato con molta serietà e i suoi occhi erano apparsi ancora più scuri del solito.

«Non è così semplice» aveva ribattuto.

«Certamente!» il ghigno dell'inglese si fece più arcuato «Sappiamo quanta difficoltà si celi dietro le tue misere scuse»

L'altro aveva finito di lottare con le stringhe e si era alzato in fretta «Non ho voglia di continuare questa discussione» aveva detto, indossando il cappotto nero e cercando di ordinare i propri capelli con le mani.

«Oh, va pure. Il mio dovere l'ho già fatto, giusto?»

«Jude »

«Cosa?» lo aveva interrotto «È così che funziona no? Tu vieni qui, noi »

«Che cos'è che vuoi, Jude?» era stata la domanda che aveva permesso all'amore di lasciarsi inghiottire dall'ira, dal risentimento, da quei mostri tetri che albergavano dentro l'uomo. Aveva cercato in fretta una risposta che non fosse patetica.

Sì, perché chiedergli di non abbandonarlo, di non andarsene via, di non prendere quel fottuto aereo chiedergli di mollare tutto e amarlo come lui lo amava, era patetico, oltre che idiota, stupido e senza senso, in quella camera intrisa del suo profumo.

Quindi era rimasto immobile e aveva cacciato via tutto ciò che avrebbe potuto fargli del male, lasciando che il gelo si impadronisse di lui e lo proteggesse dal dolore.

L'uomo che aveva iniziato ad ossessionarlo dal primo istante in cui lo aveva incontrato, forse non aveva mai capito cosa si celasse dietro i suoi occhi gelidi e i suoi sorrisi stanchi, dietro i suoi cambi d'umore e i suoi sguardi che si facevano distanti solo per paura che fosse possibile trovarvi qualcosa di troppo, qualcosa che avrebbe potuto far capire qualcosa qualcosa di così sbagliato che non immaginava neanche, perso nei suoi giochini che riuscivano solo a fargli del male. L'inglese restava sempre in disparte e lo lasciava fare, lo lasciava giocare perché quella finzione era l'unico modo che aveva per sentirlo vicino come avrebbe voluto.

E chi lo avrebbe detto.

Quell'uomo, quell'americano, quell'amante, quel

«Io ho bisogno di quell'approvazione di cui blateri» la sua voce scura, scura come quella stanza e come quella città, come quel pomeriggio di pioggia, aveva interrotto i suoi pensieri «Io non sono come te, ci sono persone che non aspettano altro che un mio passo falso per …»

Jude aveva chiuso gli occhi, e non voleva nemmeno sentire ciò che sarebbe uscito dalla propria gola, perché forse avrebbe fatto più male a sé stesso che all'altro «Certamente, perché tu non sei più il Robert di una volta, no» aveva quasi cantilenato «Tu hai la tua cazzo di vita perfetta, con la tua casa gigante e una moglie che ti ama» non voleva sapere cosa stesse dicendo, aveva solo bisogno di farla finita.

Farla finita.

Farla finita.

Prima che fosse troppo tardi «E anche tu la ami, e lo dici sempre anche a me, e lo dimostri a tutti però, guarda un po', nel frattempo ti scopi il tuo collega non appena hai un cazzo di minuto libero»

E non sapeva nemmeno come, ma aveva iniziato ad urlare e a odiarlo, e a odiare tutto quello che gli causava, quelle sensazioni alla bocca dello stomaco e ora quel vuoto, quel bisogno di sentirgli dire che non sarebbe andato via.

Patetico, patetico. Era solo patetico, e lo sapeva. Ma l'altro non doveva saperlo.

Robert fissava la porta chiusa «Io devo »

«Oh, ma pensa se lei facesse la stessa cosa! Ci hai mai pensato?» aveva continuato «No, perché non pensi mai a qualcuno che non sia te stesso o qualcuno che può servirti per salvarti il culo» e via così, senza controllo. Sputava, vomitava tutto perché ormai non riusciva più ad accettare le sue condizioni, voleva cambiare, e sapeva che cambiare significava farla finita.

«Sei ubriaco» si era limitato a constatare l'altro. Non riusciva a guardarlo, voleva soltanto immaginare che in quella stanza ci fosse qualcun altro non importava chi, bastava che non fosse il suo Jude.

L'inglese rideva, rideva «Mai stato così lucido» aveva detto, e non mentiva: i vaghi effetti dei bicchierini di vino a pranzo erano stati dissipati già da tempo, già da quando l'altro lo aveva posseduto, già mentre non gli importava più dei gemiti, del calore e delle gocce di sudore che scivolavano sulle tempie «Su, avanti» lo aveva incitato «Tu penseresti davvero che lei ti ami nonostante si faccia il primo che passa?»

«Basta» aveva cercato di zittirlo, e forse in quel momento aveva anche capito il perché di quelle parole, di quel bisogno di chiudere le loro vite in due bolle separate, di far scendere il ghiaccio tra i loro respiri. Ma forse era solo cieco accecato dalle parole di quell'uomo che gli aveva dato tutto e a cui non poteva rendere nulla. Teneva i pugni stretti e le braccia dritte lungo i fianchi, e la carne faceva quasi male, mentre le unghia la conficcavano, esangui, imperterrite.

«No!» aveva urlato Jude, le sue labbra così belle, spalancate e straripanti di parole che come proiettili aspettavano solo di essere lanciate, e di colpire, di far male «Tu crederesti a una puttana che dice di amarti?» gli aveva urlato a pochi passi dal viso, e la sua gola sembrava bruciare «Tu ameresti una puttana?»

Poi sembrò che non accadesse nulla.

Il silenzio aveva riempito lo spazio tra i loro corpi.

Robert non aveva neanche capito cosa fosse successo, aveva visto soltanto il viso perfettamente levigato dell'inglese allontanarsi, come in una scena al rallentatore, e contrarsi e piegarsi e voltarsi, mentre i suoi occhi non smettevano di guardarlo, spalancati. E poi aveva visto Jude perdere l'equilibrio e scivolare giù, raggomitolarsi.

E il suo braccio.

Steso davanti al proprio viso.

Robert aveva capito che quella mano tesa a mezz'aria era sua, gli apparteneva, e gli apparteneva anche mentre si era mossa e lo aveva colpito. L'uomo realizzò che quel pugno chiuso dinnanzi a sé era la sua mano, ed era il suo braccio quello che vedeva tornare accanto al fianco, senza che se ne rendesse conto, come spinto da una forza che non fosse sua, che prescindesse dalla sua volontà.

Non sapeva cosa avesse fatto, non voleva saperlo, non voleva stare al gioco, non voleva che finisse così O forse non voleva che finisse, e basta.

Jude si era rialzato velocemente, senza guardarlo, mentre l'americano non riusciva a spostare lo sguardo da quel graffio sullo zigomo. Aveva balbettato qualcosa, avvicinandosi all'altro, ma Jude aveva indietreggiato.

Lo aveva perso. Lo aveva perso. Lo aveva perso già da prima, ogni mese che passava durante le riprese, era un granello di sabbia in meno dal recipiente della clepsamia che segna il tempo ancora da vivere. Ma in quel momento aveva perso anche tutti i ricordi che lo accompagnavano, aveva perso la gioia che riempiva i loro giorni passati insieme.

Jude fissava il muro bianco «Vattene» aveva sibilato.

Robert lo aveva guardato per quella che gli era sembrata l'ultima volta, poi si era voltato ed era uscito dalla camera, attraversando il corridoio e scendendo in strada, nel vuoto di una città a cui non apparteneva.

Jude si era seduto sul pavimento, e non provava nulla, o forse si convinceva di non provare nulla.

Era rimasto lì per minuti, o forse per ore il tempo non contava nulla se non era scandito da lui.

*

Ed è lì che Sienna lo trova, seduto, con uno zigomo rosso di sangue e un pallore quasi spaventoso.

Lo vede ai piedi del proprio letto disfatto e pensa, pensa, pensa a lungo. Non dice nulla perché non vuole sapere, non le importa conoscere la storia dietro quella pelle lacerata e quei vestiti indossati a metà, di quel letto che forse è ancora caldo. Lo supera e si chiude in bagno, ed egli non la degna di uno sguardo, la lascia passare ordinandole, col suo silenzio, di non provare neanche a sembrare interessata; lei ubbidisce e mentre getta l'acqua fresca sul viso giovane, continua a pensare. Ma non pensa a Jude, non pensa a cosa cucinare né a cosa fare quella sera. Sienna esce dal bagno e sa già qual è la propria decisione: non può più pensare, ha pensato per troppo tempo e ormai non ha più nulla da perdere, e non c'è nulla che vale la pena di salvare. Cammina ancora davanti al suo uomo che forse non le è mai appartenuto davvero e si dirige in salotto.

Ha deciso.

Ha capito o forse è più esatto dire che ha accettato di aver capito che lei vuole di più, e non sa se lo merita o meno, se è giusto o no, non sa quanto farà male a lei e agli altri, ma sa che così non si va da nessuna parte. Con quei sorrisi di circostanza e quelle scene familiari che nulla hanno a che fare con la famiglia, sarebbero rimasti per sempre due ombre vuote di quella casa vuota che in quel weekend era privata persino dell'unica fonte di unione di cui era provvista. Ma Sienna sa che i bambini non sono una condizione, una colla, un rifugio di normalità. Eppure pensa che forse c'è ancora una possibilità ed è questo che la ferma, ogni volta. Si ritrova a domandarsi se il suo Amore debba coincidere con l'offrire possibilità, ed è una domanda a cui non sa o non vuole rispondere.

«Vado a quella festa, stasera» dice dalla cucina, mentre un sensore del suo cervello avvia una ricerca del vestito da pescare dal guardaroba.

Il suo uomo, ancora fermo come lo ha trovato, non risponde, ed ella ha improvvisamente voglia di piangere e urlare e vomitare. Ma non lo fa. Non muta espressione e continua a passeggiare tra la cucina e il salotto «Potremmo andarci insieme» azzarda, fissandosi le unghia finte. E sa già la risposta, ma deve chiederlo, perché lei ci crede ancora e magari quella ferita è la fine di una storia e magari lui tornerà da lei e magari capirà di amarla e

Lo sente sbuffare.

«Sai che non mi piacciono queste cose» sbotta.

No, non sa niente di lui, e non vuole saperlo.

«E poi …» continua quello, bloccandosi subito dopo.

E poi come spiego questa ferita? completa lei la frase, nella sua mente.

Il suo uomo è tornato in silenzio ed ella adesso sorride. Si deride da sola, perché si è sempre considerata una donna forte, e forse non lo è affatto.

Un muro e un corridoio circondato da quadri scelti da lei la separano dal suo uomo.

E si ritrova a chiedersi di chi sia veramente quest'uomo.

Suo di chi?

Di chi?

«Okay» approva, e ha deciso che questa è l'ultima.

Ha deciso che non si va avanti.

Ha deciso.

Torna a scegliere mentalmente il vestito da indossare alla festa, e nel frattempo tira fuori la valigia dal ripostiglio.

 

 

·        Love fostered in flame and fire

Robert guarda la fotografia che troneggia sul suo comodino. Ha deciso che quella sarà l'ultimo oggetto che riporrà nelle sue nere, tetre, tristi valigie. È seduto a gambe incrociate su un letto che non gli appartiene, ma che ha fatto suo per lunghi mesi. Le coperte di raso sono lucide e sfumate dei colori del tramonto, e rosso è il tendaggio che ricopre le grandi vetrate con vista sulle vie del centro di Londra.

Rosso è anche il vestito della donna che gli sta accanto nel ritratto, mentre è intento a sorridere verso la macchina fotografica, sfoggiando un abito scuro e il suo sguardo penetrante che riesce a trasparire anche da una fotografia. Prende il cartoncino ed è come toccare un oggetto, nella prima mattina, e ricordare improvvisamente il sogno fatto durante la notte: ricorda quella serata londinese, una delle tante sotto la sapiente guida di Guy, circondato da tanta gente che non sentirà la sua mancanza, e da Jude. Ricorda quella serata come un insieme di succhi d'arancia e sorrisi, fruscii di abiti femminili e sguardi nascosti, rubati, illegali. E profumo di Jude.

E gli sembra già così lontano.

Continua a guardare la fotografia con i due sposi in primo piano e un bar sullo sfondo, e pensa soltanto a ciò che manca, e ciò che manca è lui.

L'altro.

Gli piace immaginare che la figura luminosa di Jude sia soltanto coperta da quel dito stampato per sbaglio nella fotografia, ma la verità è che Jude non c'è, non c'era in quella foto e non ci sarà mai, alla sua sinistra, a riempire il vuoto dove nuota il suo braccio in attesa dei fianchi stretti dell'inglese.

Succede in quell'istante, avviene allora che il suo pensiero assuma altre forme, e ogni forma ha una sola ombra costante che continua a ripetersi, che continua a dirgli che non basta. Susan non basta.

Tutto gli pare un po' più chiaro e lentamente la sua intera esistenza si riassume in quella fotografia, che in fondo non è altro che un pezzo di carta rigida e lucida. Susan è lì con il suo amore rosso e il suo sorriso libero di esprimere ciò che vuole, mentre Jude chissà dov'era in quel momento è sostituito dal vuoto, da un dito sfocato, da tutto ciò che non può nemmeno immaginare di riempire la sua mancanza, con quell'impalpabilità che la rende quasi ridicola.

Quindi Robert sposta lo sguardo sul lusso che lo circonda, sui vestiti ripiegati con cura dentro il suo bagaglio, sul mondo che gli gira intorno ed è solo un intruso, un malandrino dito nell'obiettivo che disturba l'autore della fotografia della sua esistenza, che la rende senza senso.

Sospira, chiude gli occhi perché non può fare altro.

Si alza dopo qualche secondo e continua ad accartocciare i calzini e a lanciarli dentro la valigia, mentre passeggia lungo la stanza vuota, udendo in lontananza lo scroscio dell'acqua della doccia.

È quasi felice di esser stato al gioco di Jude, anche se ha fatto male, e anche se non è più sicuro che quello sia stato soltanto un gioco e quelle parole non siano state nient'altro che la manifestazione dei suoi veri pensieri. Ma va bene. Hanno reso tutto più cattivo, più sporco, facendo del loro amore un pallido capriccio del destino, una volgare storia di voglie e desideri nascosti, di verità sussurrate e menzogne in mondovisione. Perché così doveva essere, sin dall'inizio.

Ma loro sono solo due uomini, e sono indifesi come una spiaggia nuda in balia di un maremoto, di un'onda che travolge e distrugge tutto ciò che trova e lascia solo la verità, a galleggiare tra i detriti.

Conta soltanto una cosa, adesso: sopravvivere.

E non importa se bisogna rifugiarsi nella rabbia, o nell'indifferenza, o nei ricordi soffocati di una vita che ha iniziato a scorrere quando ormai era troppo tardi.

Deve sopravvivere, a quell'addio, a quell'amore, a quelle immagini vivide di lui e di tutto ciò che lo circondava. Pensa questo, alla sua esistenza senza nucleo centrale delle proprie emozioni, quando l'ennesimo paio di calzini arrotolato finisce tra i piedi della donna sulla soglia della stanza.

«Non hai ancora finito?» gli chiede, volendo mostrare fastidio ma come al solito evidenziando tanta dolcezza. Indossa soltanto un grande asciugamano azzurro avvolto attorno al corpicino sottile, e i suoi capelli bagnati e ondulati le scendono lungo le spalle incorniciando il viso fresco e privo di trucco.

Robert sembra risvegliarsi da un incubo, ed è anche sudato, nonostante il freddo di Londra sia notevole in quei giorni invernali. Pensa se lei facesse la stessa cosa! continua a pensare, e il suo cuore diventa un po' meno caldo, quando lei si avvicina e lancia i calzini dentro la valigia.

L'uomo sa che se Susan facesse la stessa cosa, egli si sentirebbe un fallimento anzi lo sarebbe davvero. Ma, allo stesso tempo, pensa a Susan e a quanto sia tutto meno che un fallimento, e alla loro storia, a loro due.

E allora perché non gli basta?

«Ma partiremo soltanto domattina» protesta senza riuscire a trattenere un sorriso affettuoso, attirando la donna a sé.

«Però tu sei veloce quanto un bradipo» cantilena, e l'uomo non sa perché ogni volta che la sente parlare, le sue orecchie percepiscono la sua voce come una musica.

Probabilmente, succede solo perché gli piace ascoltarla.

Le cinge la vita con le braccia forti, posandole un bacio sul naso.

(Pensa se lei facesse la stessa cosa)

(Pensa se lei facesse la stessa cosa)

Scuote la testa.

È qualcosa che potrebbe farlo impazzire, non vuole pensarci, non più tanto ormai non ha più importanza.

«È la nostra ultima sera a Londra» gli sussurra quella, ondeggiando tra le sue braccia in una danza involontaria «Come vuoi passarla?»

Robert la guarda muto per qualche istante «Restiamo qui» dice, stringendola più forte, affondando la testa nell'incavo del suo collo, e Susan riesce solo a intuire quanto dolore rimarrà sospeso nel fumo londinese quando di loro resteranno soltanto i ricordi.

 

*

Sienna torna presto. Mancano venti minuti a mezzanotte quando varca la soglia di casa e si spoglia delle scarpe scomode, abbassandosi di dieci centimetri. Jude è ancora sveglio, non perché la stia aspettando, ma solo perché non riesce a chiudere occhio. La vede entrare di corsa nella stanza da letto, a piedi nudi, e inarca la schiena alzandosi per metà dal materasso.

«Già di ritorno?» vorrebbe chiedere, ma la donna non lo degna di uno sguardo mentre apre l'armadio e lo interrompe prima che possa pronunciare la prima sillaba.

«Sono venuta a prendere le mie cose, dormo fuori» annuncia, e per un attimo s'illude anche di provocare in lui un qualsivoglia sentimento: curiosità, stupore, gelosia magari.

Invece l'altro annuisce apatico «Va bene»

Sienna guarda l'armadio strapieno davanti a sé e si convince che è la cosa giusta.

È la cosa giusta.

Nonostante tutto quello che comporterà.

«E non penso che tornerò più a dormire qui» dice velocemente, rivolta al fondo dell'armadio. Il gelo delle sue parole è affilato come un pugnale «Anzi, ne sono proprio sicura, stavolta»

Si volta.

L'uomo non muta espressione.

La guarda senza permettere a nessuna emozione di trasparire dagli occhi cobalto «Mi dispiace» sussurra soltanto, dopo un po'.

Quella scuote la testa e si siede ai piedi del letto «Non è vero» ribatte sorridendo tristemente.

Jude abbassa lo sguardo «Io …» inizia, ma in realtà non sa cosa dire «… Ho provato a »

«Lo so» La donna lo guarda con tenerezza, ed egli si rende conto per la prima volta del male che le ha fatto.

«Io ti ho amato davvero, Jude» dice, con tanto dolore negli occhi e un'espressione rassegnata stampata sul viso camuffato da colori che non sono suoi.

Jude la immagina pallida, sotto gli strati di trucco, e non la guarda.

Pensa soltanto di non essere sicuro di poter reggere due addii in un solo giorno.

«Mi dispiace» le risponde, ancora, perché non sa cos'altro dire, che non sia una menzogna e le ha già mentito abbastanza, in quegli anni.

La donna piega la schiena e lo bacia lentamente, leggermente, quasi timidamente sulla guancia destra. È forse il gesto più romantico che abbia mai compiuto.

«Addio, Jude» mormora, e poi si allontana continuando a guardarlo con quegli occhi vuoti di speranza.

 

*

È notte e il buio è impenetrabile in quella stanza dai tendaggi rossi appena percettibili nel vago riverbero lunare. In lontananza, si sentono soltanto i rumori della Londra notturna automobili che sfrecciano, vociare confuso. Qualcuno è ancora in piena attività, nel palazzo risuonano i rumori dei passi e delle sedie trascinate sul pavimento. Susan dorme già da mezz'ora, il suo viso pulito e i suoi capelli spettinati la rendono bellissima nel suo pallore disordinato. Si è addormentata guardando l'uomo al suo fianco, come sempre. Robert, accanto a lei, è ancora sveglio e ha il vago sentore che durante quella notte non dormirà nemmeno un po'.

Ha ragione, ma non per i motivi che immagina.

Continua a pensare a Jude, e continua a rimuginare sul viaggio e sulla cena che gli è rimasta sullo stomaco; ma c'è un motivo ben più palese, e si manifesta a lui con una vibrazione.

Sente il lamentoso trrtrr del cellulare che vibra sbattendo contro la superficie del comodino e non ci pensa neanche per un secondo: si getta sull'aggeggio, preme un tasto e mentre urla un «Pronto?» affannato, si accorge di quanto il suo cuore stia scalpitandogli nel petto.

Passano alcuni secondi, e all'orecchio gli giunge soltanto il silenzio.

«Pronto?» riprova, e sente che ha bisogno di sentire la sua voce.

Rispondi.

Rispondi.

Rispondi.

«Chi è?» biascica Susan, rigirandosi sul letto.

In quel momento, dall'altro capo risponde una voce sussurrata piena di terrore, «RRob» balbetta, e l'uomo ha dimenticato tutto e non gli importa più di quello che è successo, di quello che sta facendo, di quella donna che si è svegliata e lo guarda con aria interrogativa.

«Ciao, Jude» mormora soltanto, guardandola. Ella gli sorride un po' a disagio.

«È Jude? Salutalo da parte mia»

«È andata via» sussurra l'inglese, e Robert ha paura, anche se non sa bene di cosa.

Vorrebbe dire qualcosa, ma non è sicuro di aver intuito bene, e ci sta ancora pensando mentre dall'altra parte giunge un sospiro che somiglia più a un singhiozzo «Per sempre!» urla Jude, mentre l'americano guarda il vuoto e non sa cosa dire.

 Sente di nuovo un singhiozzo strozzato, lontano, soffocato «Jude, non » cerca di fermarlo, perché sa che se continuasse, potrebbe dire qualunque cosa, lì in quella stanza.

«Non ce la faccio» lo interrompe l'altro, in un soffio, e Robert ha già preso una decisione.

Annuisce al vuoto «Sto arrivando» annuncia, chiudendo la chiamata e impedendogli di replicare.

Susan ha l'aria preoccupata «Che cosa succede?» chiede «È qualcosa di grave?» aggiunge poi, vedendo il marito che si veste in fretta e furia.

«Sì» le risponde velocemente, prendendo le chiavi della macchina e quelle di casa «Torno subito» promette, e la bacia velocemente prima di volare via.

 

 

·        And if death and severing come tomorrow …

Arriva dopo meno di dieci minuti e spinge col dito sul campanello fino a che la porta non si apre timidamente, rivelando il viso di Jude, salato di lacrime, sporco di una cicatrice rossa, pallido di terrore e ricoperto di pelle quasi trasparente, da cui emergono le piccole vene delle tempie. Robert lo guarda per alcuni secondi e pensa che non lo ha mai visto così bello, ma non c'è tempo per contemplarlo, non c'è tempo di parlare né di restare fermi ad aspettare, e il terrore che si fa sempre più vivo sul viso dell'inglese ne è la prova.

Così Robert non pensa, ha smesso di pensare, ha messo da parte il futuro e chiuso il passato in una valigia, perché mentre la sua macchina correva e le sue dita tremavano al volante, la verità gli era giunta come una folgorazione: la verità è che non conta nulla di tutto ciò, che il passato e il futuro e le indecisioni e i piani elaborati e la paura e il dolore sono soltanto illusioni, macchie sbiadite di una foto, ricordo di un dito nell'obiettivo che non esisterebbe se qualcuno non glielo avesse messo dentro erroneamente.

Ciò che conta è lui. Sono loro.

Fa un passo avanti e l'altro non si sposta. L'americano si sente rallentato, o forse è solo il suo cuore che corre più veloce della Terra che lo circonda. Afferra il viso distrutto di Jude tra le mani e gli sfiora la ferita, mentre l'altro chiude gli occhi.

Quell'attimo dura un'eternità, prima che Robert si avvicini alle labbra troppo rosse dell'altro e gli getti addosso il proprio respiro «Perdonami» lo supplica, solamente.

Jude apre gli occhi e affonda i propri oceani nei pozzi scuri dell'altro «Anche tu» dice, e le sue guance si riempiono ancora di lacrime.

Robert lo bacia come non succedeva da tempo, con quell'aria timorosa, con quel terrore di sottofondo, che si sprigiona nelle piccole vibrazioni delle sue labbra. Jude lo percepisce e per un attimo torna all'istante in cui si erano sfiorati per la prima volta, una vita fa, e sorride. Cinge l'americano in un abbraccio e spinge sulla sua bocca, tanto da sentire male alle labbra. Ed è un dolore piacevole, un bruciore che lo riscalda, che lo riempie, ed egli ha un disperato bisogno di essere completato.

Dura una vita anche quel bacio a labbra strette, o forse è solo il tempo che rallenta il suo corso per allontanare l'istante in cui tutto finirà.

Il tempo si distorce, si allunga, si è sformato in un'ellissi che li ricopre e li avvolge, proteggendoli dal mondo che li aspetta, appena fuori da quel cancello bianco.

Passa un'altra eternità e loro sono già dentro la grande casa, la porta chiusa alle loro spalle e Robert seduto sul letto. Guarda l'altro e lo ascolta, anche se non sta dicendo nulla. Ascolta i suoi silenzi, lo aspetta, lo osserva, mentre gli sta accanto e i suoi occhi, ora asciutti, sono distanti e le labbra meravigliose torturate tra i denti.

Non sa nemmeno come sono giunti fin lì abitudine, gli verrebbe da pensare; ma gli piace immaginare che qualcosa di più alto li stia guidando. Il tempo, o l'Amore stesso non vuole saperlo, gli basta sapere che è lì e li estrania dal resto della realtà.

«Vuoi parlarne?» gli chiede, e Jude scuote la testa. In effetti, non c'è niente da dire, e mentirebbe se ammettesse di non aspettarsi un gesto simile da Sienna.

«Non sa niente» si limita a rassicurarlo, e l'americano annuisce con un'espressione un po' svagata.

Jude si fissa le mani bollenti «Ho creduto per tutta la vita di avere un problema, una specie di malattia» inizia dopo qualche secondo, con un sorriso stanco che fa capolino nel suo viso illuminato dalla pallida luce artificiale «Guardavo la gente innamorata, per strada, tra i miei amici, vedevo te e lei. E poi vedevo me. Ed è assurdo, perché non mi sono mai immaginato come il resto degli uomini, non ho mai provato niente verso qualcuno» non si accorge nemmeno che sta sussurrando quelle frasi con voce così tenue che persino Robert, che gli sta accanto e lo stringe con un braccio, fa fatica a sentirlo «Invece ho sempre sbagliato tutto e cercato la gente sbagliata, mi sono sforzato di»

Robert ride giusto un po', per quanto ne è capace, in quella notte, e Jude nota di parlare da dieci minuti di qualcosa, senza aver specificato l'argomento, e che l'altro probabilmente non può neanche intuire dove stia andando a parare.

L'inglese abbassa lo sguardo «Sono un idiota» dichiara.

«Non è vero» ribatte l'altro, mentre egli tira su le gambe sul letto e gli si pone di fronte, e lo può veder sorridere dolcemente.

«Sì, invece, perché tutto questo dovrebbe soltanto introdurre qualcosa, e non so» annaspa, e Robert pensa solo a quanto sia bello e a quanto gli mancheranno i suoi discorsi persi e i suoi sguardi lontani.

«Cosa?» chiede, e non ha nemmeno il coraggio di sperare in una certa risposta.

Jude sta zitto e poi lo bacia a lungo. Probabilmente lo sta soltanto assaporando per l'ultima volta prima che cambi tutto.

«Che sono patetico» dice infine, sulle sue labbra. Robert lo guarda senza capire, in parte perché quando lo bacia, perde ogni pensiero coerente.

«Perché?» gli domanda senza allontanarsi, sfiorando la pelle del suo viso con le dita lunghe, e sfumando le sue lacrime. L'inglese lo guarda a lungo.

«Perché non voglio che te ne vada» ammette, mentre i suoi occhi sembrano pieni di fuoco. Posa ancora le proprie labbra su quelle del moro in un bacio disperato, e l'altro non riesce nemmeno a muoversi.

Jude lo libera e lo scruta, riuscendo quasi a specchiarsi nelle iridi dell'altro «Perché ho bisogno di te» continua, ancora avvinghiato a lui e tremante dalla testa ai piedi. Lo bacia ancora, e ancora, in piccoli stampi quasi timidi e l'altro lo lascia fare, ricambia, suda, vorrebbe dire qualcosa ma non ha il tempo di pensare, ché già l'altro ha aperto la bocca e sta per dire qualcosa, aspettando soltanto il momento giusto.

«Perché mi sono innamorato di te» lo dice, e basta.

È appena un sussurro, ma Robert lo ha sentito bene e resta fermo a guardarlo, immobile tra le sue braccia, in attesa di qualunque cosa.

Robert vorrebbe urlare, stritolarlo, prenderlo e infilarlo in valigia, e invece fa soltanto una cosa: lo bacia. Ed è un bacio vero, è infinito e appartiene soltanto a loro.

L'altro chiude gli occhi e lascia che lo conduca in quel bacio che non ha niente a che fare con la passione, con i preliminari, con i loro corpi è l'unione delle loro anime, ed è l'amore e nessuno può impedirgli di farlo, perché è l'Amore stesso che li guida.

«Ti amo» replica l'americano, non gli importa più di mostrarsi forte e distaccato, ormai niente ha più importanza, sono loro e basta così.

Basta così.

«Abbiamo rovinato tutto» sussurra l'altro, sorridendo per metà.

«Jude, io ugualmente non »

«Lo so» l'inglese sorride, dolce, senza riuscire a staccarsi dalle sue labbra.

Lascia che le mani dell'altro scivolino lungo il suo collo e corrano a liberarlo dalla camicia «Promettimi che non è un addio» soffia Jude, mentre l'altro sta respirando a pochi millimetri dal suo collo.

«Non lo è» gli assicura, e bacia la sua pelle «Ci saranno le interviste al Letterman» sussurra, scivolando verso il torace «… Gli Oscar»

«Ci hanno nominato?» gli chiede Jude, piegando la schiena fino a giacere disteso sul materasso.

«No, li presenteremo»

«Ah, mi pareva strano»

Robert ridacchia e gli molla un morso sulla pancia «E poi, le premiere …» continua, sganciandogli la cintura «I … Golden Globes?»

Gli sfila i pantaloni in silenzio, lo spoglia con lentezza l'eternità è lì per loro, quella notte.

Il tempo scorre come nei sogni, sono trascinati negli istanti come in un uragano che li converge verso il centro, l'inizio, la fine di tutto. Non sanno come, non gli importa, non è rilevante ma sono lì, e adesso l'uno è il luogo dell'altro, e naufragare è come trovare la fine del mondo e gettarsi giù dal precipizio, nel nulla. Sono insieme e sono l'uno nell'altro, le loro pelli sono un caleidoscopio e lo spazio che li contiene ha la loro stessa forma.

Sono due luci che vibrano nell'oscurità, due supernove che esplodono nel nero, e poco importa se i gemiti fanno quasi paura, ché li avvicinano alla fine, e se nessuno pensa più che sia qualcosa di sbagliato ~perché non può essere sbagliato, perché chi può dire cosa è sbagliato?

Poco importa se l'estasi è dolore e l'amore è nei corpi e nelle anime, e non potrà mai essere nelle loro vite.

Non importa nulla, non importa perché loro sono lì, e domani non lo saranno più. Nulla può cambiare questo, e niente potrà mai impedirgli di essere, in qualche modo di esistere, uniti, ancora, fino alla fine e al giro di boa, fino a che non tornerà tutto all'inizio.

… I have our kisses, swet heart, today ~

Sono entrambi distesi su un fianco, l'uno di fronte all'altro, e nessuno dei due ha il coraggio di parlare.

Robert lo sta sfiorando con le dita della mano destra, contemplando quella bellezza esterna che non riesce a proteggere la fragilità dell'uomo al suo interno. La sua mano scivola lungo il petto, il torace, il ventre, i fianchi, le cosce e Jude lo vede osservare ogni lembo della propria pelle, guarda i suoi occhi e li percepisce persi in un mondo di Bellezza, e quel mondo è lui.

«Ti appartiene» mormora «Tutto»

Robert alza lo sguardo, che è un po' malinconico, un po' lontano, un po' innamorato, un po' perverso, e un po' di tutto «Mio» conferma, e l'altro annuisce sapendo già che nulla del genere uscirà mai dalla bocca dell'americano.

Ma non gli interessa, sa che l'amore di Robert è in parte anche suo, e gli basta. Non oserebbe chiedere di più.

Jude chiude gli occhi e si crea un solco nel cuscino, dove poggiare la testa «Resta qui, stanotte» lo implora, ma Robert sta già evitando il suo sguardo.

Guarda distrattamente l'orologio sul comodino, è fermo e segna le undici e dieci.

«Non posso»

«Resta comunque»

«Ti amo»

«Non andare» riapre gli occhi, e Robert si è già voltato, ha raccolto i suoi vestiti e li sta tenendo in mano mentre gira intorno al letto cercando qualcosa.

Non può stare lì finché non se ne va, non può restare a guardare mentre varca la soglia di quella stanza e sparisce nella nebbia.

«Resti finché non mi addormento?» si sente dire quelle parole e sembra quasi pazzo. Non riesce a credere di aver detto qualcosa di tanto stupido.

Robert si costringe a sorridere e torna sul letto, alle sue spalle stavolta così può nascondersi e nasconderlo alla propria vista e immaginare ancora che vada tutto bene.

Lo abbraccia da dietro «Sì» gli sussurra sulle spalle.

Jude percepisce soltanto il suo respiro che lo tocca, il suo profumo che gli riempie la testa, e i suoi vestiti freddi contro la pelle nuda.

Fino a che tutto non diventa fumo.

*

 

Quando Jude si risveglierà, alle dieci e trenta del mattino, Sienna avrà già chiamato i suoi e li avrà avvertiti del proprio ritorno a casa, Londra si sarà già stupita del sole tetro che farà capolino dalle nubi, un paio di messaggi sarà già stato registrato nella segreteria, le coperte saranno già arrotolate disordinatamente ai bordi del letto, e Robert sarà già in volo sull'Oceano da più di un'ora.

L'uomo si rigirerà sulle lenzuola ad occhi chiusi, e odorerà il profumo di Robert a lungo. Alzerà la schiena dopo qualche minuto, e lentamente il mondo intorno a lui prenderà forma, e i pensieri s'impossesseranno della sua mente.

Ma non sarà abbastanza, perché l'odore di Robert sarà così intenso da convincerlo che l'altro sia ancora lì, in quella casa, in cucina a fare il caffè.

L'illusione durerà per qualche istante, e sarà meravigliosa, tanto che forse una parte di lui vorrebbe non risvegliarsi mai e continuare a immaginare. Però, il mondo sarà lì a circondarlo e la realtà sarà tanto dura quanto vera, e se ne renderà conto quando il suo sguardo si sposterà lungo l'altra metà del letto. Così vuoto, bianco, così perfetto nella propria mancanza, e così improprio nel bisogno di essere riempito e di elevarsi a una realtà in cui il bagnato delle proprie lenzuola non trovi mai il vuoto ad attenderlo, al mattino.

Jude non avrà tempo di concentrarsi e riflettere, e ricordare, e pensare, e forse piangere.

La sua attenzione è sempre stata flebile, e in quel mattino poco luminoso, sarà totalmente attratta dalla macchia scura vicino al cuscino. La vedrà da lontano e la identificherà come una chiave.

Gli torneranno in mente quei momenti dentro il proprio appartamento, quando gli aveva consegnato la chiave senza sapere bene perché, forse perché sapeva già che quella casa sarebbe dovuta essere riempita soltanto da loro, in un'altra vita.

Durerà un attimo, prima che gli occhi appannati di Jude non notino che quella non è la sua chiave, ma una chiave qualsiasi, che potrebbe aprire qualunque cosa meno che la porta di quella casa.

Si deciderà finalmente a prenderla, chiedendosi cosa potrebbe mai significare una chiave e forse anche cosa potrebbe mai aprire.

Troverà la risposta in un foglietto bianco finito sotto il cuscino, attaccato con una corda alla chiave, che tirerà fuori attirando l'oggetto a sé.

Il foglio sarà ripiegato in due, e Jude scoprirà il tremore delle proprie mani mentre lo scartano come un regalo, vedendolo come potrebbe vedere l'ultimo respiro di un moribondo, l'ultimo sguardo di un viaggiatore prima che il treno sparisca all'orizzonte.

Riconoscerà la calligrafia regolare e un po' grande dell'americano, mentre rigirerà un lembo del foglio, con tanta lentezza, perché non vorrà che quell'ultimo respiro prima della fine duri troppo poco.

Jude guarderà il foglio per molto tempo, leggerà le lettere una alla volta, osservando ogni piccola curva dell'inchiostro sulla pagina, scrutando il leggero tremolio di alcuni tratti. Su quel foglio troneggerà un'unica parola:

"Scoprilo"

 

 

***

 

 

Note:

Prima le cose serie e poi passo alle cavolate, promesso.

·         *Le frasi che vedete sparse qua e là in rosso, sono tratte da alcune poesie di Oscar Wilde, e in particolare:  la prima fa parte di "Ye Shall be Gods", così come la seconda, tratta dalla στροφη Β, mentre le ultime due sono versi di Love Song.

·         *Il finale è aperto perché sono sadica perché be', mi piaceva l'idea di lasciare questo stralcio di vita in sospeso.

·         *Probabilmente ci saranno degli errori riguardanti ad alcuni particolari della vita di entrambi, a dire il vero sono un po' impazzita per trovare date e cose del genere, ma in tal caso mi scuso D:

Inoltre, devo puntualizzare, per chi se lo fosse chiesto, che né Robert né Jude né Sienna né Susan mi appartengono, ebbene è così ._.

E sono perfettamente a conoscenza del fatto che questa cosa è successa solo nella mente di giovani fangirl fantasiose, già.

Poi, volevo solo dire che sento di aver sbagliato tutto, e che probabilmente non è niente di che, e che magari è un'idea già utilizzata (oddio, in questo caso linciatemi pure ._.), ma provo a postarla, e sono pronta a ogni tipo di consiglio/critica/quellochevipare.

Voglio ringraziare una persona che non fa parte di questo fandom, per averla letta e per non avermi preso per pazza.  E voglio anche ringraziare Vane, che mi ha dato alcune informazioni importanti ed è stata gentilissima con me (♥)

Spero che abbia fatto sognare o abbia reso la giornata un po' meno noiosa a qualcuno, come è successo a me quando l'ho scritta x'D

Grazie a chiunque sprecherà il suo tempo a leggerla.

   
 
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