Strano ma
vero, due aggiornamenti in tre giorni XD questa storia l’avevo iniziata tempo
fa, ma non l’avevo mai finita. Credo sia davvero la shot
più lunga che io abbia mai scritto, e se arrivate fino alla fine.. beh,
complimenti! (: e ATTENZIONE: è una fic mpreg, ergo un uomo rimane incinto. Se vi infastidisce
chiudete!
Anyway, la volevo dedicare ad ErisValentine
(non mi ricordo se questo è il tuo nome su EFP però .-.) perché con lei è nata
l’idea, e mi ha dato la spinta per finirla.
Come al solito i personaggi non mi appartengono, non vengo pagata e tutte
quelle cose lì D:
Ora mi zittisco, e buona lettura.
~*~
«Ma devi per
forza?»
«Ian su, smettila. Stiamo solo andando a prenderci una birra!
«Ma tu non bevi»
«Una birra ogni tanto non uccide nessuno»
«Ma..
«Ian dai, è da una marea di tempo che non ci vediamo più!
«Umpf, okay..
Sean lo guardò a metà tra l’arrabbiato e l’intenerito, si avvicinò e lo baciò:
«Niente broncio..
Ian ripeté il versetto fatto poco prima.
Il biondo lo baciò ancora, poi uscì di casa, mormorando qualcosa sul “non
aspettarlo sveglio”.
Il maggiore si preparò allora a passare una serata da scapolo –ma che cosa faceva
la sera prima di andare a vivere con Sean? Non riusciva a ricordarselo! –
buttato sul divano, con il cartone della pizza a domicilio sulle gambe e i
piedi poggiati sul tavolino lì di fronte. Accese la TV, e cercò qualcosa da
vedere. Non che gli interessasse molto, tutto gli sembrava noioso senza i
commenti del biondo.
Ian si svegliò di botto, sentendo rumori strani provenire dal bagno. Guardando
accanto a lui vide che Sean non era a letto. Si alzò e andò controllare; trovò
il biondino chinato sulla tazza del bagno intento a vomitare anche l’anima.
Rimase sulla porta a guardarlo: «E meno male che non avevi bevuto ieri sera,
eh!»
L’altro provò a mandarlo a quel paese, ma in quel momento sentì un altro conato in gola e fu costretto a
chinarsi di nuovo.
Il moro sospirò e gli si avvicinò. Quando finì il più piccolo gli si strinse
addosso.
«Mi sento un po’ uno schifo» mormorò con voce stanca.
«Non hai bevuto proprio ieri sera?»
«Un paio di birre..»
«Ti avrà fatto male qualcosa – alzò le spalle - vuoi metterti a letto?»
L’altro ragazzo annuì e allungò le braccia, come un bambino, per farsi prendere
in braccio. Il maggiore lo tirò su e lo portò in camera, stendendosi poi
accanto a lui.
Sean gli si accucciò addosso, appoggiandosi al suo petto, addormentandosi dopo
poco.
O aveva bevuto più di quel che credeva, o aveva mangiato qualcosa che non
andava. Questo era quello che pensava Ian, ignorando la strana sensazione che
gli attanagliava lo stomaco, quasi volesse avvertirlo che c’era una terza
alternativa che non aveva considerato. Dopotutto se non una di quelle due, che
cosa poteva essere?
In ogni caso rimase lì, con il biondino attaccato a lui. Aveva veramente tante
cose da fare, ma alzarsi avrebbe voluto dire svegliare Sean, e non ne aveva la
minima voglia. Era così bello, rilassato e appoggiato a lui, come se
nient’altro avesse importanza. Sorrise piano, e se lo strinse meglio addosso.
Il moro sentì qualcuno strusciarsi al suo petto e aprì gli occhi – non
ricordava neanche di aver ripreso sonno. Vide Sean che passava il naso sul suo
petto, tipo cucciolo in cerca di attenzioni. Sorrise, e con una mano gli andò a
scompigliare i capelli.
Il più piccolo sorridendogli in risposta, si stese sopra di lui, iniziando a
baciare e a mordere la pelle sensibile del collo di Ian.
«Non eri – sospirò – malato tu?
«Mi sento – morse piano- molto meglio.
Il moro sorrise, sistemò meglio la testa sui cuscini e chiuse gli occhi,
abbandonandosi alle attenzioni dell’altro. Ma questo durò poco. In breve tempo
ribaltò le posizioni, e in breve fu di nuovo lui a prendere le redini del
gioco.
Sean pensò che andava sempre a finire in quel modo, ma in fondo a lui andava
bene così.
La mattina dopo Sean quando si alzò si diresse verso la cucina, dove trovò Ian
intento a litigare con la macchinetta del caffè. Lo strinse da dietro,
iniziando a mordergli e baciargli il collo.
«Buongiorno» gli sussurrò all’orecchio con voce vagamente roca.
Ian ridacchio: «Buongiorno. Ancora voglie?
L’altro annuì. Il maggiore si voltò per baciarlo, ma in quel momento l’odore di
caffè iniziò a spargersi per la cucina.
Era forte, troppo forte.
Sean sentì un conato salirgli in gola,e fu costretto a correre in bagno a
vomitare, di nuovo.
Sean gli si spalmò sulle spalle: «Ian.. ho fame»
«Ma hai appena finito di scofanarti! Il tipo del
ristorante non riusciva a portare le buste per quanta roba avevi ordinato, e ti
sei pure finito tutto!»
«Ma ho ancora fame.. Voglio il gelato..»
«Ce ne dovrebbe essere ancora nel congelatore..»
«C’è solo quello alla nocciola, voglio quello al cioccolato..»
«E non puoi accontentarti per stasera?
Sean mise il musetto e tornò a sedersi sul divano con le braccia incrociate.
Il maggiore gli si avvicinò: «Piccolo, ma quello alla nocciola non ti va
proprio bene?
«Voglio quello al cioccolato.
«Ma non c’è, cosa vuoi fare? Farlo tu a mano?
«Voglio che esci e me lo compri..
«Sean è notte, sono tutti chiusi ormai.. Non puoi aspettare domani?
Il biondo non rispose.
«E se ti faccio una cioccolata calda? Come la vedi?
Gli occhi del più piccolo si illuminarono e annuì. Ian si alzò e lo baciò: «Sai
che ultimamente sei più capriccioso del solito?» ridacchiò e si diresse in
cucina a preparare la cioccolata.
Quando fu pronta Sean si sedette al tavolo della cucina e iniziò a berla con
aria soddisfatta, l’altro, pensieroso, era appoggiato al ripiano della cucina.
Il biondo, dopo qualche attimo di riflessione, guardò Ian profondamente offeso:
«Mi hai detto che sono capriccioso?
Il moro boccheggiò un paio di secondi, non sapendo come rispondere senza
offenderlo: «Ma era in maniera carina, non volevo offenderti..
Sean si prese un attimo per pensare alla risposta che gli aveva dato l’altro,
ma alla fine evidentemente sembrò soddisfatto e tornò a bere la sua cioccolata
come se niente fosse successo.
Ormai erano un paio di mesi che andava avanti così: Sean si svegliava,
vomitava, si scofanava, faceva i capricci e tornava a
letto. Sì, questo poteva sommariamente essere il riassunto delle loro giornate.
E la cosa lo convinceva ben poco. Se Ian non avesse provato più volte quanto
effettivamente Sean fosse un uomo avrebbe iniziato a pensare che il suo ragazzo
fosse incinto – quasi rise al pensiero, ma evitò; non sarebbe stato facile
spiegare a Sean il motivo per il quale aveva iniziato a ridere da solo come un
povero matto.
La mattina dopo, dopo essersi svegliato a aver trovato di nuovo Sean accanto al
water, decise che era abbastanza. Lo prese quasi di peso e lo caricò in
macchina.
«Ian.. ma dove stiamo andando?
«All’ospedale»
«Ma non mi sento male»
«Ah no? Allora spiegami perché ogni cazzo di mattina ti trovo accanto al cesso
a vomitare l’anima.
Sean non seppe rispondere.
Erano seduti nella sala d’attesa da un paio d’ore, le analisi ormai dovevano
essere pronte.
Poco dopo un’infermiera li venne a chiamare e li fece accomodare in uno studio
dove trovarono un medico con la cartella delle analisi di Sean tra le mani.
«Chi di voi due è il signor Smith?
Sean fece un cenno.
«Beh, in tutta la mia carriera è la prima volta che mi trovo tra le mani una
cartella come la sua.. – Sean iniziò ad impallidire – sono casi estremamente
rari, ma può capitare. Signor Smith, lei aspetta un bambino.
Il biondo già di solito non molto colorito sbiancò del tutto: «L..lei sta
scherzando vero?
«No, gliel’ho detto, sono casi rari. Lei attualmente è si trova all’inizio del
terzo mese di gravidanza.
Il più piccolo, sconvolto, guardò il suo ragazzo accanto a lui il quale si
alzò, ringraziò il dottore, prese Sean e lo riportò in macchina.
«Ian, per favore basta. E’ il terzo medico da cui andiamo e ci dicono sempre la
stessa cosa, è inutile..
«L’ultimo…
«Non ce la faccio più, è una giornata che mi fanno prelievi.. Ho il braccio
massacrato.
Il moro lo vide sull’orlo delle lacrime.
«Okay..andiamo a casa..
Sean annuì, e arrivato a casa si andò ad accucciare a letto senza neanche
cambiarsi.
Ian arrivò poco dopo e lo strinse.
«Che facciamo ora?» chiese il più piccolo tirando su con il naso.
«Non ne ho davvero idea piccolo..» gli rispose l’altro asciugandogli gli occhi.
«Tu non mi lasci vero?»
«No.. Non ti lascio»
Sean gli si accucciò tra le braccia: «Ma come è possibile? Cosa si fa in questi
casi? Dobbiamo tenerlo o no? Non so niente…»
Il maggiore cercò di tranquillizzarlo, dicendogli di dormire, che ci avrebbero
pensato poi con calma, ma il punto era che neanche lui aveva la minima idea di
che cosa avrebbero potuto fare. Erano due uomini, e stavano per avere un
figlio. Gli sembrava assurdo. Ma allora come poteva essere fisicamente
possibile una cosa del genere? Non aveva senso, non ne aveva neanche un
po’. E se anche avessero deciso di
tenerlo, sarebbero stati in grado? E se non lo fossero stati?
Tutto questo gli girava per la testa mentre cercava di tranquillizzare Sean, ma
come poteva farlo quando neanche lui sapeva dove mettere le mani?
Troppe domande gli affollavano la testa.
Forse il consiglio che aveva dato a Sean non era del tutto sbagliato, dopotutto
una bella dormita avrebbe fatto bene anche a lui.
Si prese un attimo per osservare il suo ragazzo, che nel mentre era scivolato
esausto nel mondo dei sogni. Vide le sue braccia martoriate dai segni delle
varie analisi, e si sentì in colpa. L’aveva trascinato tra medici per farsi
dire sempre la stessa cosa, solo perché non voleva crederci. Gli guardò il viso
più rilassato, quasi come se le varie preoccupazioni non potessero toccarlo nel
sonno. Il suo sguardo scivolò lungo il corpo dell’altro, e per la prima volta
notò il rigonfiamento della sua pancia; si vedeva appena attraverso la
maglietta. Involontariamente ci poggiò la mano e sorrise piano. Avrebbe potuto
dire il contrario, ma la verità era che lui, la sua decisione in proposito,
l’aveva già presa.
Qualche giorno dopo Ian sonnecchiava sul divano davanti uno stupido programma
di cucina che in realtà non stava neanche seguendo, quando vide Sean
avvicinarsi a lui – dal giorno della scoperta non avevano più parlato molto del
bambino. Ian stava facendo in modo che l’altro avesse il tempo per decidere con
calma che cosa fare. Il moro poteva anche volerlo, ma non sarebbe stato lui a
portarselo in grembo per altri sei mesi.
«Ian?
«Mh?
«Dormivi? Posso parlarti un attimo?
Il maggiore annuì, si tirò su e si sedette per bene, facendo mettere Sean in
braccio a lui – da quando era rimasto incinto aveva ancora più bisogno del
solito di avere un contatto fisico con il maggiore.
Il biondo si sedette e si appoggiò per bene all’altro: «Io.. ehm.. stavo
pensando di tenerlo, se per te non ci sono problemi. Il bambino, dico… E…
Ian non lo fece continuare, lo baciò. Il più piccolo si accucciò, se possibile,
ancora di più.
«Solo non mi lasciare..» mormorò quello, nascosto nel collo del maggiore.
L’altro lo baciò ancora, lo strinse meglio e lo rassicurò. Non lo avrebbe
lasciato, per niente al mondo. Ma questo a Sean non lo disse, non gli aveva
neanche mai detto neanche che lo amava! Ebbene sì, Ian Watkins, scrittore di
testi, con le parole aveva sempre avuto un problema. Almeno sul campo
affettivo. Ma questa cosa il biondo ormai l’aveva capita e, benché non avesse
mai sentito Ian che lo diceva, sapeva che l’altro lo amava. Non sapeva spiegare
come, lo sapeva e basta: se lo sentiva, ecco.
Passavano le settimane; le nausee di Sean diminuivano, e aumentavano i suoi
capricci. Più di una volta Ian si era ritrovato a dover correre in giro per la
città ad orari improponibili per evitare che il suo ragazzo mettesse il muso.
La gravidanza procedeva bene, la pancia cresceva e più di una volta Gavin era venuto a trovarli e si era messo a parlare con la
pancia di Sean con una vocetta più scema di quella
con cui parlava al suo gatto. E in quelle occasioni Sean lo guardava sconvolto
e con nonchalance si alzava dicendo che doveva andare in bagno/prendere
cibo/qualunque cosa che lo avrebbe portato lontano dallo schizzato che si
trovava come amico, che nel mentre gli urlava dall’altro capo della casa
qualcosa del tipo “so già che sarò il suo zio preferito!”
Quella sera, dopo che si erano messi a letto, Sean si era accucciato al petto
di Ian: «Sai che giorno è oggi?
«Ehm.. se dico di no mi uccidi?» chiese il moro di rimando, terrorizzato per la
reazione che l’altro avrebbe potuto avere.
Ma quello si limitò a ridacchiare: «Ho ufficialmente superato il sesto mese di
gravidanza. Siamo fuori da ogni tipo di rischio.
Ian sorrise e lo baciò a lungo, finché Sean non riprese a parlare: «E sai cosa
vuol dire questo?
Il maggiore scosse la testa.
«Vuol dire che ora è più che ufficiale. Avremo un bambino. E dobbiamo iniziare
a pensare ad un nome decente.
Passarono la nottata a cercare dei nomi proponibili, Ian dovette soffocare due
o tre scoppi di risa particolarmente rumoroso – svegliare i vicini non era
proprio quello che voleva – quando Sean iniziò a proporre i nomi dei
protagonisti dei cartoni animati che vedeva da bambino – e che Ian aveva
pescato a vedere tutt’ora spesso e volentieri, con una tazza di latte e cereali
davanti e il cucchiaio sospeso a metà strada, bloccato lì perché Sean era
troppo preso dalla puntata per mangiare.
Alla fine Sean si addormentò, senza avere ancora idea di che nome avrebbero
dato a loro figlio.
Ian timoroso si avvicinò alla pancia: «Ehm..ciao? Oddio, mi sento un po’ uno
scemo.. Non so neanche se riesci a sentirmi, ma non importa. Comunque piacere,
sono Ian.. tuo padre. Beh, uno dei due. Sì, quello che ti tiene nella pancia è
l’altro, Sean.
E’ una delle persone migliori che abbia mai incontrato, e lo amo. E tu.. Beh,
di certo non ci aspettavamo ci sarebbe potuta capitare una cosa del genere, e
invece eccoci qui. So già che sarà un vero inferno starti dietro, che ci
dimenticheremo per anni che cosa vuol dire dormire una nottata intera senza
nessuno che ti sveglia piangendo perché ha fame, e tutte quelle cose lì. Ma sai
che c’è? Non vedo l’ora che tutto questo accada. Buonanotte.
Finito il discorso si tirò su. Non seppe mai se Sean aveva sentito quello che
aveva detto o no, quello di cui era certo era che mentre si stringeva a lui,
l’altro stava sorridendo.
Passò qualche altro mese, e una mattina accadde. Ian si svegliò, e Sean era
accanto a lui, con il terrore dipinto in volto. Corsero all’ospedale, e qualche
ora dopo diedero il benvenuto a James Smith-Watkins.
Alla fine il nome era venuto da sé, senza che lo avessero cercato.
Quando diedero a Ian il permesso di entrare nella stanza vide Sean seduto nel
suo lettino con in braccio, avvolto in un lenzuolo, un bambino; il loro
bambino. Ian sorrise, si sedette accanto al più piccolo, senza riuscire a
staccare gli occhi da James.
Con questa immagine ancora negli occhi Ian si svegliò. Si diede un pizzicotto,
tanto per accettarsi di essere davvero sveglio, e quello fece male; decisamente
non stava sognando, non più almeno. Sean non era accanto a lui; lo trovò seduto
al tavolo della cucina con la faccia di chi si è appena svegliato. Nessun
pancione. Fu allora che si ricordò il discorso che avevano fatto la sera
precedente. Si avvicinò e lo strinse da dietro. Il più piccolo ancora
insonnolito lo baciò.
«Sì» disse improvvisamente Ian.
«Sì?» chiese l’altro perplesso e ancora semi addormentato.
«Parlavo di ieri sera: sì, voglio adottare un bambino con te»
Il biondo saltò in piedi, improvvisamente sveglio. Passò le braccia intorno al
collo dell’altro e lo baciò a lungo.
Rimasero così finché Ian non mormorò qualcosa sul fatto che doveva farsi una
doccia e poi andare in studio, così, a malincuore si staccò e diresse verso il
bagno.
Era arrivato alla porta quando si fermò e, senza girarsi, ma voltando solamente
la testa, disse: «Ah, Sean? Ti amo.
Sparì dalla cucina, lasciando l’altro sconvolto, ma felice come non mai.