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Autore: Mandy93    06/07/2011    2 recensioni
Ehm vediamo...Io sono una delle tantissime player italiane di Alfred F. Jones su Facebook. La sera del 03 Luglio 2011 mi era passata la malsana idea di scrivere un monologo riguardo all'imminente "compleanno" del ragazzone americano. Questo è il risultato. Alfred si ritrova a pensare e ripensare a tante cose, molti pensieri affollano la sua mente. Tra cui uno. Il ricordo del 04 luglio di diversi secoli fa. Ci vuole una premessa qua: il mio Alfred è coinvolto in una pairing alquanto singolare: USAxFem!Prussia, anche se ce n'è solo un accenno alla fine. Comunque volevo condividerlo. Credo sia il mio primo monologo da Alfred. Magari sono solo stupidaggini quelle che ho scritto, che magari vengono contro le vostre teorie riguardo al rapporto tra Alfred ed Arthur, suo fratello [nella mia FanFiction]. Ma sono stupidaggini che mi sono piaciute, parecchio. Davvero tanto. E, dato che è tutto farina del mio sacco, e vaneggiamenti della notte fonda del 03 luglio, spero solo che vorrete rispettare un mezzo copyright, e non copiarla o scopiazzarla. Beh, ora, prima di farvi passare la voglia di leggere, smetto di parlare xD
Ciao, buona lettura e grazie per l'interessamento al mio primo lavoretto pubblicato!^w^/
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera era così calma. Forse troppo.

 

L’americano, quella stessa sera sembrava indaffarato. In realtà non aveva il ben che minimo impegno. Era libero. Aveva il giorno di permesso; non che servisse poi a molto concederglielo. Ma almeno era ufficiale.

Era davvero molto pensieroso. Faceva su e giù per uno dei tanti salottini della Casa Bianca, che quella sera sembrava così deserta e vuota. Il mondo intero sembrava essersi svuotato intorno a lui. Erano le 23:34 del 3 Luglio 2011. Consultò un attimo l’orologio a pendolo che con il suo oscillare sembrava tagliare l’aria che si stava facendo tersa e pesante intorno a lui. Quel ticchettio era l’unica cosa che forse poteva fare una qualche compagnia al ragazzo. Ma a poco serviva, dato che non se ne curava minimamente. Aveva troppi pensieri nella sua testa. Quell’orario. Tsk. 23:34. Gli ricordava troppo, per essere solo un fatto puramente casuale, la sua età di Nazione234. 234 anni. Anche se ancora per 26 minuti26 minuti lo separavano al 235° anno. Il giorno che tra26 minuti sarebbe dovuto cominciare, sarebbe stato un giorno di grandi festeggiamenti.

Era il suo compleanno. Avanti!...

Ma era giusto che quello fosse un giorno gioioso?...

Quella data di quasi 235 anni fa… La scelse come data della sua nascita. Come se davvero fosse nato solo 235 anni fa. Sapeva benissimo che non era la verità. 235 anni faera la data della sua libertà. L’aveva ottenuta ufficialmente dopo quella data. Era libero. Da quel giorno. Non più uno Stato vassallo di nessun altro. Ma una vera NazioneLibera.

Ma era davvero un giorno da festeggiare, quello?

 Nella mente di America passavano davvero tantissimi pensieri, rimpianti forseForse no.

Ad un certo fu stanco di quel pendolare lungo la stanza, come faceva quell’arnese di rame dorato dentro la sua teca.

Si gettò quasi a peso morto su di una poltrona imbottita. Riosservò quell’aggeggio che gli somigliava tanto.Le 23:35. Eccoli. Ancora. “Pesano.”

Disse, quasi senza rendersene conto. Ma lo disse.

Si coprì il volto con un braccio, esasperato da quei pensieri che lo affliggevano. Rimase per un po’ nel silenzio assoluto, scandito solo da quel fastidioso e tedioso ticchettio dell’orologio.

Che 235 anni orsono abbia fatto solo un grandissimo ed imperdonabile errore?...

Qualcosa di cui pentirsi terribilmente?

 

Forse.

Non riusciva a compiere un pensiero che fosse un qualcosa di assolutamente esatto o sicuro. Tutto si risolveva nella possibilità. Nel dubbio che fosse giusta o sbagliata. In un -forse-.

Girò lo sguardo alla sua sinistra. Ebbe modo di incrociare lo sguardo sulla sua baionetta; quella baionetta. Quella piena di graffi. Quella di 235 anni fa. Riguardandola, ricordò come in un flashquel maledetto giorno. Quando erano uno di fronte all’altro. Lui, e suo fratello. Ricordò come quello cadde sulle sue ginocchia, arrendendosi. Dandogliela vinta. Forse, l’inglese avrebbe dovuto accanirsi contro di lui. Il traditore, l’ingrato. Non poteva considerarsi Nazione vassalla. Aveva tanti di quei diritti e libertà già quando era con Arthur.

Ma non gli bastava. Ne voleva di più. “Damn it.”

 

Dalla sua posizione, riuscì a guardare verso l’ampia vetrata completamente trasparente. Qualcosa di quasi inaspettato accadde.

 Riuscì a vedere le stelle. Quel fatto quasi lo convinse che nel mondo quella sera non ci fosse davvero più nessuno in giro. Perfino lo strato di inquinamento e smog quella sera era scomparso. Rivide le stelle. Un sorriso per qualche nano secondo si appropriò delle sue labbra. “The night sky…The stars.”  Gli riportarono alla mente meravigliosi ricordi. Piano socchiuse gli occhi. Cominciò allora un onirico viaggio, nei suoi ricordi. Ricordò come una sera, una meravigliosa serata, forse simile a quella, di parecchi, davvero tanti anni fa.

Ricordò un prato meraviglioso. Era notteNon era da solo. Era insieme a lui, il suo big brother. Guardavano le stelle. Ah, quanto gli piacevano. Ricordò come le guardava, come desiderava ardentemente essere come loro. Essere libero. Ricordò di come Inghilterra gli diede retta. Già allora, pur avendo al suo fianco l’unica cosa che forse lo rendeva felice e non lo faceva sentire solo ed abbandonato, desiderava altro. O almeno quello fu ciò che disse. Lui era veramente grato e felice di vivere col suo fratellone.

Ma…odiava, oh quanto odiava esser lasciato solo. E Inghilterra, lo abbandonava, ogni volta. Partiva e lo lasciava lì, solo, in quell’enorme casa. Ogni volta si sentiva morire, in solitudine.Decise allora un giorno, quando crebbe abbastanza, di non sopportare più quella tristezza.

Decise che non voleva più rimanere solo ed aspettare che qualcuno tornasse.

Doveva diventare indipendente per esser esule da quell’attesa, che non faceva che rivelare successivamente un’altra agonia.

Doveva diventare libero.

Quello era ciò che America aveva sempre pensato fosse il motivo di quel giorno triste di più di due secoli fa. Però quel ricordò che riaffiorò così, troppo stranamente per essere solo un fatto vago, cominciò a minare le sue convinzioni di secoli e secoli.

Forse era solo un suo capriccio alla fine dei conti. Un qualcosa di non meditato infondo. Era solo un sogno avido.

Un piano troppo alto, nel quale non aveva contato le conseguenze. Quanti rimpianti forse avrebbe avuto.

Ma quelli erano davvero rimpianti?...

Avrebbe davvero preferito rimanere al fianco di Inghilterra per sempre?...

Forse però non avrebbe vissuto la sua attuale vita. Non avrebbe mai conosciuto la sua Gil.

Oh, lei. Lei non era un qualcosa di cui riusciva a pensare una vita senza.

Forse aveva fatto la scelta giusta.

O forse…La scelta giusta doveva farla Arthur?...

Avrebbe dovuto passare molto più tempo con Alfred e così rinunciare all’essere il grande flagello dei 7 mari e la grande potenza mondiale che era diventato?

O forse avrebbe forse dovuto uccidere l’americano quando ne ebbe la possibilità?

 

Quando quell’ultimo macabro, ma corretto, pensiero lo attraversò, si risvegliò. Guardò allora l’orologio. Il fedele compagno di quella sera. Segnava le 23:59. “Ci siamo, eh?”.

Continuava a guardarlo, contemplandolo e raccogliendo ora gli ultimi pensieri.

Continuava anche a non sapersi dare una risposta. Una certezza nelle sue opinioni: non la trovava.

Quel giorno sarebbe stato un giorno da festeggiare, o un giorno da compiangere?

 

In quel momento non sapeva proprio dirlo. Rimase fermo su quella poltrona. Non aveva molta voglia di fare. Gettò un’ultima occhiata sull’amico meccanico, sua  unica compagnia della serata.

Segnava mezzanotte in punto. “Shit. Eccolo. Well…Happy birthday to me. Ah-…Ah-…Ah.”  La sua solita risata, quello che lo contraddistingueva come l’esuberante Alfred, adesso sembrava davvero molto spenta.

Dopo pochissimo il suo cellulare suonò. Un messaggio. Sicuramente qualcuno che si era ricordato del suo “compleanno”. Aprì la simpatica letterina elettronica. Era la sua ragazza. « Alles Gute zum Geburtstag, Liebe! :D Kesesese ». Rise di gusto. Quel messaggio era riuscito a farlo allontanare da quei pensieri cupi. “Mitica.”

Alla fine si lasciò al sonno. Quella poltrona fu il suo letto. Il ticchettio dell’orologio inevitabilmente la sua ninna nanna.  

 

Quel giorno sarebbe stato triste o gioioso?

La maschera era pronta per essere indossata.

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