Che
dire gente, ho cercato di tenere per me questa flash fic scritta dopo
aver rivisto per l'ennesima (emozionante) volta “Brokeback
Mountain” ma alla fine la voglia di provare a pubblicarla ha vinto
su tutto. E' un missing moment post-film, un momento di intimità
amara e dolce allo stesso tempo che Ennis Del Mar si ritrova a
vivere.
Amo Ennis Del Mar. Non so perchè ve lo sto dicendo ma...è
uno dei miei personaggi preferiti di sempre.
Spero vi possa
lasciare qualcosa, grazie a chi leggerà e grazie a chi mi vorrà
dire che ne pensa.
Buona Lettura!
He
couldn't be there
[Ennis – Jack ]
Il
respiro di Jack sul collo, le braccia di Jack attorno alla vita, il
profumo di Jack ovunque.
Dove ero finito?
“Cosa ci fai
qui?” domandai, sapevo che lui non doveva essere lì, che mi
aveva lasciato senza dirmi addio, che tutto ciò che stavo sentendo
era sbagliato. Ogni mia percezione, ogni mio fremito dovuto alla
vicinanza con quell'individuo era profondamente sbagliato.
“Dopo
tanto tempo hai solo questo da dirmi, Ennis Del Mar?”
La voce di
Jack era esattamente come me la ricordavo, intatta nel suo sembrare
di eterno ragazzo.
Mi venne voglia di scappare, andarmene da ciò
che stavo provando.
“Immaginavo che tu avresti detto una cosa
simile” parlai invece, lasciandomi stringere forte.
Avrei voluto
allontanarlo da me, porre fine a quella scena penosa che mi avrebbe
visto cadere nell'illusione di poter avere Jack totalmente,
incondizionatamente, eternamente.
Al solito ero io il più
riflessivo, lui continuava a toccarmi, a strusciare il suo viso sul
mio collo, il mio profilo, a sussurrare parole incapibili.
“Cos'è,
sei venuto a sfogare le tue energie?” dissi dopo un po' non potendo
più resistere ai suoi tocchi “mi sembri alquanto...” non finii
la frase perchè egli diede conferma alle mie parole più o meno
taciute: mi prese per un braccio e mi girò bruscamente verso di
lui.
Il volto di Jack non era cambiato di una virgola, intatto, la
copia identica di se stesso ai tempi delle nostre fughe.
Il mio
invece doveva apparire vecchissimo ai suoi occhi nocciola.
“Smettila
di pensare”
Lo scrutai a fondo, volevo cercare di leggere in
quelle iridi dannate perchè così limpide. Mi dicevano che lui
voleva me, era venuto solo per questo. Voleva me.
Mi venne voglia
di picchiarlo, di fargli sentire quanto male mi aveva fatto stare
ancora una volta lasciandomi solo e assetato, il cuore gonfio e
giuramenti che salivano alle labbra, incompiuti.
Alzai a
mezz'aria un pugno, senza che me ne accorgessi lo affondai contro la
sua camicia, dritto in pancia.
Lo vidi sorridere.
Poi mi venne
un pensiero che mi illuminò a giorno la mente: che fossi riuscito a
compiere il giuramento? Che fossi finalmente...
“Sono morto,
vero Jack?”
Lo presi per il colletto della camicia e lo
strattonai forte. Si fece grave.
Furono i suoi occhi a parlare.
A
quel punto mi ritornò la voglia di scappare, feci per abbandonare la
presa su di lui ma non riuscii: una parte di me mi mi fece piombare
addosso a quel corpo. L'altra parte, invece, perdeva in partenza, era
quella che mi urlava di andarmene prima che fosse troppo tardi, di
tornare alla roulette, aprire l'armadio e fissare per ore le nostre
due camicie appese l'una sopra l'altra nel susseguirsi dello scorrere
del tempo, fino alla fine.
“Dimmi che sono morto!” mi ritrovai
ad urlare e a picchiare coi pugni sul suo petto, a spingerlo, a farlo
cadere.
Fui sopra di lui.
Dapprima continuai a picchiarlo.
Poi,
nel vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime, mi bloccai.
Poi, nel
sentire il suo corpo fremere, circondai il suo volto con le mie
grandi mani.
Poi, nell'udire la sua anima chiamarmi, avvicinai il
mio volto al suo.
C'era la stessa elettricità di tutte le volte
assieme, lui ed io, nelle nostre fughe.
C'ero io, c'era lui.
C'eravamo noi. C'era la mia voglia che cozzava contro la sua.
C'era
la rabbia da trasformare in passione, la paura da convertire in
sfrontatezza.
“Nessuno ti farà del male” mi ritrovai a
dirgli, straordinariamente più socievole di lui.
Provai un gran
desiderio di piangere per lui, piangere come quel giorno davanti
all'armadio e alla nostra ultima unione simbolica, piangere per
noi.
Non so se piansi, le mie lacrime – se ci furono – le
asciugò Jack con le sue labbra morbide e ruvide.
Non feci nemmeno
in tempo ad ascoltare la parte di me contraria a tutto ciò che
subito mi ritrovai ad aver solo voglia di riempirmi d'amore.
Quell'amore devastante e appagante di sempre.
“Sono qui, Ennis.
Sono qui”
“Papà”
Un
respiro sul collo, un profumo forte, delle mani sul viso.
“Papà,
mi senti?”
Non il respiro
di Jack, non il suo profumo né le sue mani.
Jack?
La
prima cosa che feci fu portare lo sguardo oltre la spalla di mia
figlia, all'anta dell'armadio aperta: la sua camicia era
lì.
Ciò voleva dire solo una cosa, la peggiore tra tutte le
alternative possibili: avevo sognato ancora.