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Autore: Karmilla    08/07/2011    4 recensioni
“Oh, Georgie! Scusami. Io non avevo capito. Mi sono lasciato prendere dal mio rancore e non ho mai pensato che potesse esserci un'altra spiegazione. Ma se le cose stanno così...allora...possiamo ricominciare?”
Georgie alzò lo sguardo e fissò quegli occhi azzurri dei quali era stata tanto innamorata, ma all'istante si sovrapposero ad essi due occhi blu scuri come l'oceano tanto amato dalla persona alla quale appartenevano, una persona che ormai faceva parte di ogni fibra di Georgie.
“No, Lowell. Io non tornerò più indietro. Io voglio andare avanti. Voglio tornare in Australia con Abel. E con Arthur, non appena guarirà.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Australia11

Salve, popolo di questo fandom! Dopo mesi di latitanza, eccomi qui ad aggiornare. Lo so, no ho scusanti, quindi vi lascio alla lettura e basta. Vi annuncio già che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, questa storia è giunta al termine. Come sempre, ogni vostro commento, critica, suggerimento, è sempre ben gradito. Buona lettura!




La vita della neo famiglia Buttman procedeva tranquilla, i mesi si susseguivano l'uno all'altro vedendo non solo l'affiatarsi di quella giovane coppia, abituata a vivere insieme da sempre e ora intenta a scoprire quanto fosse diversa la vita da marito e moglie, ma anche l'evolversi e il concretizzarsi dei loro progetti lavorativi.

Il cantiere navale stava prendendo forma ogni giorno di più, Abel aveva trovato in città un edificio che era riuscito ad acquistare e che stava un po' alla volta sistemando con tutto ciò che era necessario al suo lavoro: libreria, pantografo, tecnigrafo, campioni di materiale navale e tessile, carte nautiche e tantissime altre cose che a volte riusciva a reperire da solo, altre si faceva mandare direttamente dall'Inghilterra dal signor Allen.

Anche la fattoria si stava trasformando, dato che Abel aveva costruito un piccolo studio al quale si accedeva direttamente dalla cucina. Erano stati necessari mesi di lavoro, ma l'esito era stato più che soddisfacente, tanto che Georgie spesso gli chiedeva se invece dell'ingegnere navale non fosse stato meglio se avesse fatto quello edile.

Inoltre, perché Georgie non sentisse troppo la mancanza delle comodità conosciute nella residenza inglese del padre, aveva anche progettato e costruito una stanza da bagno, con tanto di vasca, un vero lusso per la selvaggia Australia!

Dal canto suo, anche Georgie non era stata con le mani in mano. Aveva rifiutato la proposta di Abel di aprire un piccolo atelier vicino al cantiere, però aveva trasformato in sartoria la sua vecchia cameretta, ricavandone una saletta dove poteva disegnare, cucire e ricevere le clienti che, piano piano, stavano diventando sempre più numerose.

Tutto andava per il meglio, i due riuscivano a gestire sia le proprie attività lavorative e la fattoria, aiutati anche dallo Zio Kevin che trascorreva con loro tutto il tempo che poteva.

La situazione era talmente serena, benché spesso pesante e faticosa, che Georgie aveva addirittura cominciato ad essere meno angosciata dalla mancanza di un figlio, sogno che continuava a coltivare e che sperava di vedere realizzato presto.

Abel, invece, da un po' di tempo era preoccupato per la salute di Georgie. Sembrava sempre stanca, affaticata ed era anche diventata pallida, forse perché riusciva a mangiare con difficoltà. Una sera decise di affrontare seriamente il problema con la sua cocciutissima moglie.

“Georgie!”, esclamò spazientito “senti, non puoi continuare a sostenere che non c'è niente!”

“Uffa, Abel, ma quante volte devo ripetertelo? Sto bene, basta!”

“No, non stai bene! Guardati, non fai altro che dormire...”

“E dov'è la novità?”, gli chiese lei, un po' ironica.

“Sì, è vero che in confronto a me e ad Arthur tu sei sempre stata la più dormigliona, ma adesso non hai più limite! E sì che la sera vai a letto presto...da un po' di tempo...mi trascuri anche un po'...”, le rispose Abel con fare sornione, giocando la carta del marito trascurato.

“Ecco, forse è colpa tua...mi hai talmente sfinita che adesso devo recuperare”, disse Georgie, sfuggendo dall'abbraccio di Abel e facendogli l'occhiolino.

“Ah sì, è così? Bene, allora non ti disturberò più finché non verrai tu a cercarmi!”

Georgie rise, ben sapendo quanto fosse assurda la frase di Abel.

Poi Abel la prese di nuovo tra le braccia, facendola sedere sulle sue ginocchia.

“Georgie, ascoltami, ti prego. Sono preoccupato davvero per te. Ti vedo troppo strana...non è solo per il sonno...mangi poco, sei pallida, hai spesso dei capogiri...”

Georgie sbiancò leggermente.

“Sì, me ne sono accorto...cosa credi, che non ti osservo abbastanza, forse?”

“No...non è quello...è che...”

“Senti, adesso non mi interessano le tue scuse. Domani esigo che tu venga in città con me e che  vada a farti visitare dal dottor Steward. Guarda che se rifiuti ti porto di peso!”

Georgie lo guardò per un po', perdendosi in quegli occhi blu che sapevano scrutarle dentro come nessun altro e accettò. Forse era davvero giunto il momento di andare da un medico e verificare se i suoi sospetti erano fondati o meno, e poi non era giusto che Abel si preoccupasse così.

“Va bene, domani verrò con te. Ma adesso io vorrei andare a dormire, sono stanca...”

“Ecco, come non detto...”, le disse lui sorridendole e portandola in camera in braccio.

Ma la mattina dopo, Georgie si svegliò da sola.

“Abel?”, lo chiamò piano e, non udendo risposta, uscì dalla camera.

“Abel? Ma dove sei?” ripeté.

“Ma guarda, prima dice che devo andare con lui e poi se ne va...che testa!”

Poi lo sguardo le si posò sul tavolo, dove trovò un biglietto:

Ciao tesoro, scusa se sono uscito da solo, ma ieri sera mi sono ricordato che stamattina doveva passare un corriere per consegnare della merce, e siccome generalmente passa molto presto, non ho voluto svegliarti. Ho preso il cavallo, tu vieni con il calesse e poi torniamo a casa insieme. Ti aspetto. Abel.

“Ecco spiegato il motivo...va bene, allora vestiamoci e non lasciamo aspettare troppo il maritino!”

E così, non appena pronta, Georgie si mise alla guida del calesse, diretta dal Dottor Steward, sperando di poter presto dare ad Abel una bella notizia.


Dopo aver trascorso quasi tutta la mattina in città, impegnata prima nella visita, poi in acquisti necessari per l'atelier, Georgie si recò al cantiere ed entrò, ben sapendo che probabilmente Abel era al piano superiore intento a lavorare a qualche progetto.

Fece un paio di scalini e poi si fermò, impietrita, sperando di aver frainteso la voce che sentiva provenire dallo studio. Rimase in attesa, poi la sentì nuovamente.

“Mi stai ascoltando? Ti ho chiesto perché non sei mai venuto a trovarmi da quando sei tornato!”

Era lei, non poteva sbagliarsi. Jessica. Jessica era di sopra con Abel.

“Jessica, se non sono venuto a trovarti non pensi che sia perché non mi andava di farlo?” rispose Abel, un po' scocciato.

“Ah sì? Dopo tutto quello che c'è stato tra di noi, tu mi rispondi così?”

“Ancora quella storia...Jessica, mettiti l'animo in pace! Sono passati tanti anni, siamo cambiati tutti, e inoltre sai benissimo che per me non sei stata altro che un ripiego...”

Il suono di uno schiaffo fece sussultare Georgie, che nel frattempo era rimasta sulla scala, indecisa se salire o scappare via. Sapeva che non era corretto ascoltare una conversazione privata, ma quella non era una normale conversazione, erano Abel e Jessica, il suo Abel e la donna che per un certo periodo gliel'aveva portato via.

No, non me l'ha portato via lei...è Abel che ha cercato di fuggire da me...ma io...non sapevo...non potevo...

“Certo, un ripiego...una donna qualsiasi con la quale dimenticare il tuo grande amore, la tua Georgie!”, rispose Jessica, quasi urlando.

“Jessica...ti prego...”

“E adesso chi c'è a farti dimenticare il tuo grande infelice amore, eh?”

“Cosa intendi?”, chiese Abel, un po' perplesso.

“Non dirmi che un uomo come te vive da solo rimpiangendo la cara sorellina irraggiungibile...”

Abel alzò la mano sinistra e le fece notare la fede che portava al dito.

“Ohhh, non ci credo, ti sei sposato! E dimmi, per amore, o per disperazione?”

Abel rise.

“Per amore, Jessica, solo per amore!”

Georgie sorrise, la risposta schietta e sincera di Abel trasmetteva lo stesso sentimento che lui, in quel momento, stava proclamando.

“Ma dai! E così esiste una donna che è riuscito a far dimenticare al gelido Abel Buttman la cara Georgie! Vorrei conoscerla, dev'essere una gran donna...”

“Oh, non immagini quanto!”, rispose Abel, sorridendo.

“E dimmi, quando ti sei sposato?”

“Quasi due anni fa, a Londra.”

“E Georgie lo sa?”

“Beh, direi proprio di sì...”

“E non ti ha ostacolato?”

“No, per niente, anzi...”

Abel si stava divertendo da morire, mentre Jessica si stava irritando sempre di più.

“Tua moglie adesso è qui in Australia, con te?”

“Certo, Jessica. Che domande fai?”

“E tua sorella?”

“C'è anche lei...”

“Non dirmi che vivete ancora tutti insieme? Ma sei davvero impossibile...”

Georgie ascoltava in silenzio, e non poteva che congratularsi mentalmente su come Abel si stesse prendendo gioco di Jessica.

“Sì, viviamo tutti insieme, perché?”

“Come perché? Tua moglie sa del tuo amore per tua sorella?”

“Certo che lo sa, sa tutto di me”, continuò Abel, troppo divertito per mettere fine a quel gioco crudele.

“Mh, però, che donna strana...mi piacerebbe conoscerla...”, aggiunse Jessica.

“La conoscerai molto presto, dovrebbe essere qui a momenti...anzi, adesso che mi ci fai pensare...è in ritardo...”, disse Abel, perplesso.

Georgie lo sentì e scappò subito nell'atrio, aprendo la porta di scatto, in modo da far rumore.

“Abel, sei qui?”, gridò dall'ingresso.

La voce giunse dal piano superiore.

“Sono su, Georgie, sali.”, rispose lui, felice.

“E ti pareva che non arrivasse tua sorella!”, esclamò Jessica.

Georgie salì lentamente, il cuore le martellava in petto e si pregustava il momento in cui lei ed Abel avrebbero messo finalmente a tacere una volta per tutte quella strega.

Il sorriso di Abel fu il più bel benvenuto che lei potesse ricevere.

“Abel...” sussurrò, guardandolo negli occhi.

Abel le si avvicinò e la baciò, lasciando Jessica di stucco.

“Jessica, ti presento mia moglie, Georgie Gerald”

Jessica rimase immobile, con gli occhi spalancati, incapace di proferire parola.

“E' così”, le venne in soccorso Abel “a Londra ci siamo ritrovati e, finalmente, innamorati. Ora lei è mia moglie e come vedi, non sono un povero sognatore illuso...”

Georgie continuava a guardare Jessica e improvvisamente lo sguardo che vide negli occhi di lei la fece tremare. Era uno sguardo di odio, di cattiveria, di vendetta.

“Bene, congratulazioni!”, esclamò la mora, “così ora posso parlare ad entrambi. Sai Abel, il motivo per cui sono venuta a trovarti, e per il quale speravo che tu passassi da me, uno di questi giorni, è che vorrei presentarti una persona.”

Abel la guardò con aria interrogativa.

“Chi?”

“Tuo...anzi...nostro figlio!”, gli disse Jessica, senza abbassare lo sguardo.

Abel aprì la bocca, ma senza riuscire a parlare, mentre sentì Georgie irrigidirsi vicino a lui.

“Non è possibile, Jessica, e tu lo sai...”, le rispose Abel.

“Sai, Abel...non è sempre facile stare attenti ed evidentemente...almeno una volta...hai sbagliato momento...”, disse Jessica, ridendo, “e così, otto mesi dopo la tua partenza alla volta di Londra, è nato James. Quando verrai a conoscerlo? Sai, lui ci tiene tanto a conoscere il suo papà...”

Abel era livido di rabbia. Era certo che Jessica lo stesse prendendo in giro, ma come provarlo? Era sicuro di essere stato sempre attento e di non aver mai sbagliato momento, a differenza di quello che diceva lei, ma la verità era che era la sua parola contro quella di lei, che però aveva una carta a sua favore: un bambino.

Voleva voltarsi e guardare Georgie, ma temeva di leggere negli occhi di sua moglie, delusione, odio, disprezzo. Jessica stava sbattendo loro in faccia tutto il doloroso passato di casa Buttman, tutti i loro errori e soprattutto, stava rivelando a Georgie che razza di uomo era stato suo fratello.

“Jessica...vattene...”, le disse.

“Abel...non fare così...capisco che tu possa essere sconvolto”, cercò di intervenire Jessica, con voce falsamente dolce.

“Jessica, te lo dico per l'ultima volta...vattene...”, le ripeté lui, senza neanche guardarla in faccia.

“E va bene, me ne vado, immagino che avrete delle cose da discutere tra voi....Georgie, noi non siamo mai state amiche, ma mi auguro che non ti metterai in mezzo...non vorrai tenere un padre lontano da suo figlio...”, disse Jessica passando vicino a Georgie, che, furiosa, le regalò un'occhiata di puro disprezzo.

Abel e Georgie rimasero da soli, in silenzio, per molto tempo. Georgie era seduta su una poltrona e guardava Abel, seduto per terra, le mani a sorreggere la testa, il viso nascosto dalla lunga frangia scura. Era evidente che Abel stesse combattendo contro sé stesso, ed era anche evidente che stava aspettando una sua parola, ma cosa dirgli?

Alla fine si fece forza e si inginocchiò davanti a lui.

“Abel...”, lo chiamò piano, poggiando una mano sulla sua.

E Abel davvero non aspettava altro, perché si gettò su di lei, piangendo, e caddero sul pavimento, l'uno addosso all'altra, come era successo tanti anni prima, in una notte di temporale, quando quell'abbraccio aveva spaventato entrambi. Anche adesso avevano paura, ma era una paura diversa. Era la paura di una notizia più grande di loro, paura di perdersi, paura di ammettere un errore che poteva costare un'intera vita di felicità.

“Georgie...Georgie...”

Abel continuava a ripetere il suo nome tra i singhiozzi, come se il suo nome fosse un'ancora di salvezza, un appiglio che potesse salvarlo da quella tempesta che li stava travolgendo.

“Abel...calmati...ti prego...”, gli sussurrava Georgie tra le lacrime, accarezzandogli i capelli, cercando di tranquillizzarlo.

“Abel, dimmi cosa vuoi che faccia...” gli disse, temendo la sua risposta.

Abel si tirò su e la guardò negli occhi.

“Cosa vuoi dire?”

“Dimmi cosa vuoi che faccia! Vuoi che ti lasci libero? Vuoi andare a conoscere il bambino? Cosa vuoi fare...”, disse Georgie, con gli occhi pieni di pianto.

“Georgie, io non voglio nulla di tutto ciò! Ma come ti viene in mente?”

Georgie lo guardò allibita.

“Come no? Abel, hai sentito o no cosa ha detto Jessica? Voi due avete un figlio!”

“No! Quello non è mio figlio, ne sono certo! Io non voglio andare da lei, io voglio restare con te!”

“E tu non sai quanto lo voglio io...ma ha ragione Jessica, non posso privare il bambino di un padre...”

“Georgie, no! Io non voglio lasciarti, né ora né mai! Io...vorrei...solo...sapere che tu mi ami...comunque...anche se sai..ciò che ho fatto...con lei...”

Georgie prese il volto di Abel tra le mani e lo baciò, come non aveva mai ancora fatto, mettendoci tutta la passione e l'amore che poteva, sperando che lui lo percepisse.

“Io ti amo adesso e per sempre, Abel Buttman. So perfettamente cosa è successo tra te e Jessica, e non sono certo qui per giudicarti. Non serve rivangare la disperazione che attraversavamo tutti in quel periodo. Abbiamo fatto degli errori imperdonabili, errori che purtroppo hanno segnato la vita di tante persone. Mamma Mary è morta per colpa nostra, ma ora, almeno tu, hai la possibilità di rimediare...”

“No, Georgie...no”, Abel la teneva stretta a sé e non voleva sentire ragioni. Per lui quel bambino non esisteva punto e basta, non avrebbe permesso a Jessica di intromettersi nella sua vita con Georgie.

“Senti, Georgie, che ne dici se torniamo a casa? Ce ne stiamo un po' sul dondolo nel portico, o ci facciamo un bel bagno caldo insieme, così magari ci rilassiamo e riusciamo a parlare con più calma, che ne dici?”, le chiese Abel con dolcezza, accarezzandole una guancia.

Georgie annuì, e si lasciò guidare a casa dal suo Abel.

Ma la piccola pace e ritrovata intimità di quella sera non furono altro che una piccola tregua prima dell'ennesima tempesta che il giorno dopo li avrebbe colpiti.

Abel uscì per andare al cantiere, felice perché aveva trascorso una notte d'amore con Georgie e l'aveva sentita vicino a sé, e si dimenticò della visita che lei aveva fatto il giorno prima.

Georgie, invece, aveva deciso di non dire nulla ad Abel perché non voleva influenzare la sua decisione di accettare o meno il figlio di Jessica. Aveva amato il suo Abel con passione, con amore, con tutta se stessa, quasi fosse l'ultima volta che aveva la possibilità di farlo.

Con gli occhi velati di lacrime si apprestò ad andare nella sua camera per terminare dei vestiti, ma come si alzò vide tutto nero, e cadde.



Abel cavalcava verso casa come un pazzo. Aveva ricevuto il messaggio dello Zio Kevin che lo informava di aver trovato Georgie a terra priva di sensi e aveva sentito una voragine inghiottirlo al solo pensiero che le potesse succedere qualcosa.

Quando giunse a casa, spalancò la porta con la mano e si trovò davanti lo Zio Kevin e il dottor Steward.

“Abel, benedetto ragazzo! Che modi sono? Vuoi farci morire d'infarto?”, lo rimproverò il vecchio zio.

“Zio, dov'è Georgie? Cosa è successo?”, chiese lui, sconvolto dalla preoccupazione.

“E' in camera. Sta dormendo”

Abel andò da lei e la trovò a letto, pallida, sudata, ansimante. Stava soffrendo molto, era evidente.

“Dottore, cosa è successo alla mia Georgie, cos'ha?”

“Ha una violenta febbre, molto alta. Stanotte dovete vegliarla e fare in modo che la febbre non salga. Non fatele mai mancare un panno bagnato sulla fronte, e se dovesse sudare troppo, cambiatele spesso i vestiti. Io passerò domani mattina a vedere come sta, e spero di trovarla meglio.

Certo che, nelle sue condizioni, una febbre così non ci vuole proprio...”

Abel, che stava riempiendo il catino con dell'acqua fresca, si voltò di scatto.

“Quali condizioni? Cosa mi nascondete?”

“Come? Non te ne ha parlato? Ieri Georgie è venuta da me, credevo lo sapessi...”

“Sì, lo sapevo...ma poi...ecco...non ne abbiamo parlato. Dottore, cosa sta succedendo?”

“Abel, Georgie è incinta.”

La brocca che Abel teneva tra le mani si infranse sul pavimento e lui cadde in ginocchio, battendo i pugni sul pavimento.

Il dottore e lo Zio Kevin si guardarono spaventati.

“Abel...oddio...Abel...non fare così...vedrai che Georgie si riprenderà”, disse lo zio mentre cercava di aiutarlo a tirarsi su.

“No Zio, tu non capisci, non puoi capire...adesso è tutto chiaro...adesso ho capito perché Georgie ieri si è comportata così...”

“Abel...io non capisco cosa tu stia dicendo...”

“Nulla, zio, nulla....Per favore, lasciami solo con Georgie.”

“Ma Abel, non puoi fare tutta la notte di veglia accanto a lei, lasciati aiutare.”

Ma Abel fu irremovibile. Prese una sedia e si mise accanto a Georgie, le prese una mano e la tenne stretta tra le sue, mentre sorridendo disse allo zio di andare a casa.

“No Zio, baderò io a mia moglie e a nostro figlio. Ma ti ringrazio, e ti prometto che ti farò subito chiamare se avrò bisogno di aiuto.”

E così fece. Si occupò di Georgie tutta quella notte, e quella dopo, e quella dopo ancora perché, nonostante le cure e le aspettative del medico, Georgie continuava a non riprendere conoscenza.

Abel non si allontanava mai da lei, notte e giorno, ed era ormai sfinito. Lo Zio Kevin si era trasferito da loro nonostante tutte le rimostranze di Abel che alla fine aveva dovuto ammettere che senza il suo aiuto, non ce l'avrebbe fatta. Insieme cercavano di nutrire Georgie con brodi e la facevano bere, ma erano entrambi preoccupatissimi del fatto che lei non si riprendesse.

Era cosciente, questo sì, perché passava le ore a chiamare il nome di Abel, e lui, ogni volta che si sentiva chiamare, le prendeva una mano, si sedeva accanto a lei e le parlava, sperando che questo l'aiutasse a riprendersi.

Il quinto giorno, il Dottor Steward chiamò Abel e gli disse che aveva intenzione di chiamare un suo collega da Sidney, perché non riusciva a trovare una motivazione scientifica a quella febbre.

“Motivazione scientifica? Cosa vuol dire, Dottore, non vi capisco...”

“Abel...ti parlerò con franchezza....Quando è venuta da me, Georgie era terrorizzata dal possibile esito della visita. Voleva con tutte le sue forze che fosse positivo, continuava a ripetere che il suo più grande desiderio era quello di darti un figlio, che lo considerava il modo migliore per dimostrarti il suo amore. Ora...scusa la domanda...ma tu...questo figlio lo desideri?”

Abel lo guardava perplesso.

“Sì, certo. Che domande mi fa?”

“Quindi Georgie non avrebbe dovuto temere il momento in cui te lo avrebbe confessato, giusto?”

“No, assolutamente. E lo sapeva! Dottore...state dicendo che può essere un motivo di origine...emotiva...o mentale...?”

“Esatto. Ora, se lei non aveva motivo di aver paura della tua reazione, perché non te ne ha parlato?”

Abel ripensò a quel giorno, e scoppiò a piangere.

“Abel! Che succede? Scusami, io non voglio intromettermi tra di voi, ma se vogliamo aiutare Georgie, devo sapere tutto...”

E così Abel raccontò tutto ciò che era successo, non tralasciando nessun particolare, affinché il medico avesse un quadro chiaro della situazione. A fine racconto, il medico scoppiò a ridere.

“E' assurdo! E' assurdo! Ora ho capito...”, disse, ridendo.

“Dottore, per favore...”

“Sì, Abel, scusa, ora ti dico tutto”, continuò sempre ridendo “Oddio, scusami. Ecco, adesso posso raccontare tutto, Vedi, il fatto è che Jessica ti ha raccontato una miriade di fandonie!”

Abel sgranò gli occhi.

“Ne siete certo?”

“Sì, ragazzo mio, sì. Sono io che ho fatto nascere il bambino di Jessica e mi ricordo perfettamente quella sera, perché avevo appuntamento con tuo zio per andare a prendere la lapide per tua madre.”

“Mia madre? E cosa c'entra mia madre?”, chiese Abel, un po' perplesso.

“Vedi, Abel, qualche settimana prima un violento temporale aveva arrecato danni al cimitero e la lapide di tua mamma si era rotta, così lo zio Kevin ne ha ordinata un'altra, questa volta in marmo e mi ha chiesto di aiutarlo a montarla.”

“E quindi?”

“Il fatto è che il giorno in cui dovevamo montare la lapide era il primo anniversario della morte di tua mamma, quindi se ti fai due conti, capirai da solo che non puoi essere tu il padre di quel bambino!”

Abel si alzò in piedi di scatto.

“Dottore, è sicuro di ciò che dice?”

“Ma certo! Lo ricordo come se fosse ieri!”

Abel rise felice, talmente felice che prese in braccio il dottore, ringraziandolo all'infinito, dopodiché andò in camera da Georgie, si stese accanto a lei e cominciò a ripetere, come una litania che doveva aprire gli occhi, che aveva scoperto la verità, che il suo unico figlio era quello che aveva in grembo lei.

Sapeva che Georgie poteva sentirlo, per tanto la vegliò nuovamente tutta la notte, coccolandola, parlandole, cullandola e quando finalmente alla mattina sentì la fronte di lei più fresca, pianse di gioia.

Ci vollero altri due giorni, ma alla fine, una mattina Abel, che si era appisolato vicino a Georgie, stremato dalla fatica, si svegliò con la sensazione di essere osservato e si trovò i grandi occhi verdi di lei puntati addosso.

Non le disse nulla, la strinse a sé e pianse di gioia, godendosi quel momento che sembrava non voler arrivare mai.

“Abel...” si sentì chiamare, con il cuore che stava esplodendo dalla gioia.

“Shhh, Georgie. Non dire nulla...abbiamo tutto il tempo per parlare.”

Lo Zio Kevin, svegliato dalla voce di Abel, li scoprì abbracciati e rimase un po' a guardarli, incerto se interrompere quel momento tanto privato, ma quando Georgie alzò lo sguardo e lo vide, corse anche lui a stringere i suoi nipoti.

Quella giornata trascorse serena, i due aiutarono Georgie ad alzarsi, a lavarsi, a vestirsi e attesero anche il responso del Dottor Steward che, dopo aver visitato Georgie, in presenza di Abel, come lei aveva imposto, confermò che anche il bambino sembrava stare bene.

“E certo!”, esclamò Georgie “è un Buttman, ovvio che sia forte!”

Abel le schioccò un bacio, e poi decise di giocare un po' con lei

“Perché un Buttman? Magari è una Buttman...”

“No no, è un lui, fidati. Lo so, me lo sento. Sarà un lui, che mi farà disperare tanto come suo padre...”, disse Georgie, scherzando.

Lo sguardo di Abel si oscurò.

“Georgie, potrai mai perdonarmi?”, le chiese, affranto.

“Abel io non ho nulla da perdonarti, lo sai...”

“Non è vero. Ho rischiato di buttare tutto all'aria, di perdere tutto...di perdere te, e il bambino...”

“Ma non è successo, ed è questo quello che conta. Basta, non mi interessa più il passato, quello che è stato è stato, adesso pensiamo solo a noi, vuoi?”

“Certo. E giuro che non permetterò mai più a nessuno di interferire nella nostra vita...”

Georgie si accoccolò tra le braccia di Abel, beandosi di quel calore che lui le riusciva a trasmettere e si addormentò, finalmente serena.

Quella sera, quando tutti lasciarono la casa, Abel si mise a guardare Georgie mentre dormiva e si commosse nel vederla così forte, determinata, ma anche tanto fragile. Era la sua Georgie, la bambina che aveva amato dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei, e adesso era lì con lui, viveva con lui, per lui, soffriva con lui e per lui, sognava con lui e di lui. Era la sua Georgie, nella loro camera, che dormiva serena, ed era incinta. Tutto il suo mondo era in quella camera da letto, non aveva bisogno di altro e così, dopo aver trascorso un tempo infinito ad ammirarla, si stese accanto a lei, a loro, per trascorrere una notte serena finalmente insieme.


 



   
 
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