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Autore: Sonecka    08/07/2011    2 recensioni
Tump Tump … Tump Tump … Tump Tump … Il battito del mio cuore si confondeva con il rumore sordo dei miei passi sulla superficie liscia su cui stavo camminando. Era tutto buio e non riuscivo a vedere niente tranne il mio riflesso messo in evidenza da una luce fioca proveniente chissà da dove. Mi guardavo attorno sperando di riuscire a trovare una via d’uscita da quel posto, ma ben presto il buio divenne sempre più fitto finchè non vidi più nemmeno il mio riflesso.
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 7^   Sorprese



Il sole batteva forte contro i vetri dei palazzi che fiancheggiavano le strade. Ogni tanto si potevano sentire deboli brezze marine provenienti dall’oceano vicino unite ai gas di scarico e ovunque la gente camminava freneticamente, senza mai fermarsi nel caos della città. Luci e semafori brillavano a intermittenza ostinatamente, le strade colorate di giallo dai taxi erano lunghissime, tanto che ogni volta che le attraversavamo avrei potuto vedere l’orizzonte se non fosse stato per le automobili. New York era una città caotica e piena di vita, non c’era segno di inquietudine, una città decisamente diversa dalla mia Tokio, desolata dalla guerra.

I sedili della nostra macchina erano duri e odoravano di pelle, un profumo di deodorante alla menta mi riempiva le narici mentre il vento mi scompigliava i capelli raccolti in una treccia ormai disordinata.

“Devi proprio andare così lontano?” Aveva chiesto Sakura mentre teneva stretta la mano di Naruto, cercando di non piangere. Eravamo all’aeroporto e mi stavo per imbarcare.

“S-sì … papà vuole portarci al sicuro, lo sai che prendono in ostaggio gente che ha a che fare con politica ed economia …”  avevo faticato a dire quelle parole, spacciare mio padre per uno a cui stesse veramente a cuore l’incolumità di tutta la famiglia diventava sempre più difficile. Ma ancora più difficile era non badare agli occhi che pizzicavano per le lacrime che volevano venire fuori: la guerra diventava sempre più vicina e pericolosa, una realtà prima a me sconosciuta avrebbe colpito presto anche la mia migliore amica. Avrei voluto portarla al sicuro con me, ma naturalmente mio padre aveva rifiutato, usando la scusa che anche il padre di Sakura possedeva un’ingente quantità di denaro e si sarebbero trasferiti presto. Ma non sarebbe stato così.

“Sicura di non volertene andare …? Neanche spostarti a Nord?”

La razza aveva scosso la testa ripetutamente. “No, ci  sarà bisogno di dottori una volta che gli scontri si sposteranno qui … devo rimanere.” Aveva sorriso debolmente cercando di sembrare rassicurante.
“Non ti devi preoccupare per lei! Ci sarò io qui a difenderla!” Naruto le aveva messo un braccio attorno alle spalle, facendola arrossire “Costruirò delle barricate e delle trincee inespugnabili!” Aveva sorriso come faceva di solito mostrando tutti i denti, poi il sorriso era diventato amaro.

Avevo annuito e frugato nella tasca dei pantaloni. “Tenete.” Avevo allungato la mano verso Sakura, ponendole un bigliettino. “Questo è l’indirizzo della casa a New York. Appena potete contattatemi.”
La ragazza aveva preso il bigliettino. “Va bene. E se vuoi mandare qualche lettera o chiamare Sasuke, ti basterà chiamare la caserma.”

Sospirai ripensando alla giornata precedente. L’auto svoltò delicatamente e si fermò davanti  ad un grattacielo in vecchio stile, l’autista scese e mi aprì la portiera.

“Grazie.” Farfugliai sorridendogli. Scesi e guardai attentamente l’edificio: aveva ampie finestre con alcuni vetrini colorati, davanti alla porta in vetro lavorato c’era un portinaio  in divisa, nell’atrio una scrivania dietro cui una donna con auricolare scribacchiava su un registro.  Sorrisi ironica, come sempre dovevamo alloggiare in una casa enorme e lussuosa, anche in tempo di conflitto.


***


Ero rannicchiata con le braccia attorno le ginocchia su un divanetto bianco nel salotto del nuovo appartamento, inaspettatamente accogliente. Il pavimento in parquet e i mobili antichi davano un senso di calore, inoltre in una stanza con caminetto e poltrone rosse c’era una libreria ben fornita e varia, il che non guastava.  Stavo sfogliando un libro di poesie della Dickinson, cercando di dimenticare tutto quello che avevo lasciato e che forse non avrei più ritrovato.

“Sì, Hiashi siamo arrivate tre ore fa … certo tutto bene e lì a casa cosa succede?”

Mia madre parlava in tono timido, era incredibile come addirittura lei che ne era la moglie fosse succube e intimorita a volte da mio padre. Classico esempio di matrimonio combinato dalle famiglie che lasciava sempre un minimo di diffidenza e che non portava mai alla felicità. Eppure lei lo amava veramente, a volte sembrava quasi adorarlo. Mi rannicchiai ancora di più sul divano.

“Cosa? Ma perché?!”

La osservai mentre si prendeva delle ciocche di capelli tra le dite della mano, arruffandole. Era diventata improvvisamente agitata.

“Ma … caro! E se poi …” Fu interrotta bruscamente dalla voce forte dall’altra parte del telefono, ma non riuscii a captare nemmeno una sillaba di quello che mio padre stava dicendo, udivo solo un tetro brusio. Mia madre si lasciò stare i capelli e rimase immobile ad ascoltare.

“… capisco … allora quando arriverai?”
 
Trattenni il respiro.

“Fra quattro giorni …? Va bene, allora ci vediamo sabato … ciao, caro.”

Quattro giorni libera dal mio burattinaio. Sorrisi felice.  La donna riattaccò e si sedette demoralizzata su una sedia vicino al tavolo,  in soggiorno; teneva la testa tra le mani e guardava fisso le venature nel legno del ripiano.

 * Dovrei andarle a parlare … *

Con estrema fatica e riluttanza mi alzai e la raggiunsi, le appoggiai una mano sulla spalla studiando la sua reazione: non mi rifiutò.

“Come sta papà?”

“Bene.”

“La compagnia? Come stanno andando gli affari?”

“Vanno bene”

Annuii e increspai le labbra: le sue risposte brevi non mi aiutavano  a capire cosa succedeva in Giappone, inoltre, c’era qualcosa di strano nei suoi occhi, qualcosa che non riuscivo a cogliere … ansietà forse? No, era qualcosa di diverso.


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Faceva più caldo del solito in quel locale malfamato di Tokio frequentato solo dai soldati o da qualche brutta compagnia; una cortina di fumo avvolgeva ogni cosa, i segni della condensa dei bicchieri lasciati sui tavoli mi imbrattavano le braccia, nude, con la loro consistenza collosa. Goccioline di sudore percorrevano la mia fronte facendomi il solletico, mentre un ventilatore dei primi anni ’60 alzava noiosamente delle striscioline di carta attaccate alla gabbietta. Guardavo assente una piccola foto vicino al mio bicchiere ricolmo fino all’orlo di liquido giallo, mi asciugai col dorso della mano il sudore e bevvi. Il chiacchiericcio e le urla mi stordivano e non riuscivo a distinguere nessuna voce, ma ben presto ne riconobbi una, squillante e fastidiosa come al solito, al punto che a volte mi poteva perforare i timpani.

“Sasukeee!!”

Il proprietario della voce mi tirò una fortissima pacca sulla schiena, facendomi risputare un po’ della mia bevanda nel bicchiere. Imprecai sommessamente.

“Naruto!” Lo guardai infastidito cercando di fulminarlo con la forza del pensiero per farlo sparire … tutto inutile, non avevo ancora poteri telepatici.

“Sempre felice di vedermi eh?”

Sfoderò il sorriso più brillante del suo repertorio e si sedette di fronte a me. Ridacchiò con gli occhi ridotti a due fessure, rubandomi il bicchiere dalle mani; inclinò la testa all’indietro e bevette una grande sorsata per poi  deglutire, leccandosi le labbra, con espressione delusa e arrogante allo stesso tempo.

“Ma che diavolo bevi?! Non è birra …” Si dondolò sulla sedia portandosi le mani dietro la nuca “E’ aranciata! E per di più annacquata!” terminò la frase indignato e sbuffò. “Diavolo! Hai ventidue anni, goditi il piacere delle sbronze!”

Si grattò una guancia e con uno slancio tornò a sedersi normalmente.  Lo guardai di sottecchi.

“Non so che piacere ci trovi nel vomitare ed avere terribili mal di testa … e poi non è solo annacquata …” Naruto mi guardò interrogativo “Ricordi la pacca sulla schiena di poco fa? Beh ci ho sputato dentro.”

Sorrisi perfido: una sottile vendetta per tutte le volte che mi aveva infastidito. Il biondo sputacchiò per terra schifato e si passò ripetutamente due dita sulla lingua.

“Ma che schifo!”

Corse al bancone e ordinò una birra, non appena il barista fece scivolare il boccale sul piano di legno, il biondo lo afferrò e tracannò avido il contenuto, finchè la sua bocca non fu ripulita completamente dai residui della mia saliva.

 * Che reazione esagerata! *

Lo osservai mentre tornava a sedermi di fronte, offeso e ordinare un altro boccale alla cameriera di passaggio.

“Dovresti andarci più piano con quelle, altrimenti ti ubriacherai.”

Fece spallucce. “Stasera sono fuori servizio e Sakura deve fare il turno all’ospedale.”

La cameriera arrivò con la seconda birra e il mio collega cominciò a sorseggiarla.

“Aah, capisco.” Frugai nelle tasche dei pantaloni e ne tirai fuori un pacchetto di sigarette e un accendino, scossi il pacchetto per farne uscire una, la presi fra le labbra e l’accesi inspirando profondamente. Mi lasciai andare sullo schienale della sedia, con le braccia a penzoloni, buttando la testa all’indietro ed emisi il fumo grigio, semitrasparente.

“Uhm, vedo che comunque non hai smesso di fumare.” Mi fece notare il biondo.

Sorrisi lievemente. “Qualche vizio me lo concedo anch’io … e poi ci ho provato negli ultimi mesi, ma è inutile.” Feci un altro tiro.

“La gamba come va? Ho sentito che hai incontrato una bella infermiera!” Naruto sghignazzò.

“Io non la trovo molto bella” ripensai ai suoi occhi insolitamente rossi “E poi non è un’infermiera ma un tenente”

“Oh già, dimenticavo che per te è bella solo Hinata.”

“Fatti gli affari tuoi!” dissi glaciale con occhi storti.

“A proposito, l’hai sentita? E’ partita ormai da quattro giorni …”

“Sì.” Gli mostrai la foto. “Mi ha mandato una cartolina” Il biondo la prese e se la rigirò tra le dita, per poi voltarla per leggere cosa c’era scritto. “Uhm bella! Dice che New York è una città suggestiva e che la dovresti vedere anche tu. E le hai risposto?”

Mi irrigidii e deglutii voltando la testa.  “Sì. Ma la cosa non ti riguarda.”  Diventava sempre più difficile mantenere un atteggiamento inespressivo quando si parlava di lei. Naruto sbuffò frustrato restituendomi la foto. “Comunque …” Mi portai la sigaretta alla bocca e inspirai il fumo. “… ti vorrei parlare dello scontro della scorsa settimana, quando gli ostili hanno superato i confini.” Mi piegai sul tavolo per farmi più vicino al ragazzo.

“Ti ascolto.” Annuì lui.

“Durante l’attacco a guidare gli aerei nemici c’era anche Kabuto … che è riuscito a parlarmi via radio …” Naruto spalancò la bocca stupito.  “… e a dirmi che all’interno delle nostre forze c’è una talpa.”

“Una che?!?” Urlò.

“Shh! Non urlare, scemo! L’infiltrato potrebbe essere chiunque .”  Lo guardai serio negli occhi.  “Per quanto mi riguarda potresti esserlo anche tu.” Il ragazzo sgranò gli occhi e rimase immobile per qualche istante con il fiato mozzato.

“Non lo penserai davvero …” farfugliò stordito.

Aspettai un po’ prima di rispondergli:“Per adesso no.”  Distesi le labbra in un sorriso furbo.  “Ti scoprirei subito per la tua mancata intelligenza.”

“Sei davvero impossibile!” il ragazzo si alzò sulla sedia e si puntò con un pollice con i denti scoperti in una smorfia “Ti ricordo che faccio parte del Genio militare*!”

Mi voltai e mi portai una mano chiusa a pugno davanti alla bocca, alzando un sopracciglio. “Non so cosa ci sia di geniale in te.” Tossii.

 “Già, davvero impossibile.”

Una voce attirò la nostra attenzione, voce purtroppo a me famigliare. Mi voltai lentamente sapendo bene chi mi sarei trovato davanti: una donna dai capelli rossi che mi fissava con il suo sorrisetto impertinente.

“Non ti da mai soddisfazione.”

“E tu che vuoi?” chiese Naruto senza troppa riverenza, ancora scocciato dal mio comportamento; gli lanciai un calcio da sotto il tavolo per farlo stare zitto e lui inveì sottovoce guardandomi male. Schiacciai la sigaretta nel portacenere davanti a me e mi alzai in piedi sbattendo i tacchi in saluto al mio superiore.

“Tenente Karin.” Dissi quasi sbuffando.

“Te-tenente …?” il biondo si alzò precipitoso per rivolgerle il suo saluto. “Mi scusi per il mancato rispetto!”

Karin sorrise saccente. “Scuse accettate.” Mi guardò con sguardo avvenente. “Vedo che vi state dando alla pazza gioia voi due.” Indicò con un cenno della mano i boccali dietro di noi.

“Ci stiamo solo godendo il giorno di riposo.” Dissi atono e sbrigativo. “Posso chiederle come mai una del suo rango è venuta in un posto mal frequentato come questo?”

Dondolò sul posto scuotendo leggermente la testa e facendo così scivolare tra i capelli una delle tante spille nere che li tenevano fermi.  “Mi sono fatta dire dal Colonnello  dove potevo trovarvi, sergente. Voglio vedere come va la ferita al ginocchio.”

“Capisco.” Ancora quella luce nei suoi occhi, ancora il desiderio di allontanarmi da lei. Mi schiarii la voce. “Non ha motivo di preoccuparsi, non sento alcun dolore e i punti si stanno riassorbendo.”

“Allora ho fatto davvero un ottimo lavoro!” Rise insolente. “Penso che mi potrei fermare qui con voi a bere qualcosa, se solo non avessi da fare una cosa urgente!”  Si risistemò la spilla.  “Ci vediamo più tardi, Sasuke
Uchiha.” Sventolò una mano e rivolgendomi un veloce ‘bye bye’ uscì dal locale, seguita dallo sguardo di vari soldati ubriachi.

Corrugai la fronte e strinsi i denti, come diavolo faceva a sapere il mio nome? Non ricordavo di averglielo mai detto …

“Che tipa! Non mi ha guardato neanche per un secondo!” si lamentò Naruto, poi con aria bonaria mi tirò uno scappellotto. “A quanto pare gli interessi!”

“Ma sta zitto, idiota!” lo scansai. “Piuttosto, come ha fatto a chiamarmi per nome? Non dovrebbe saperlo.”

“Lo avrà chiesto a qualcuno, qui tutti ti conoscono per la tua bravura di pilota.”  

Scossi la testa. “Inoltre, mi sembra che mi stia pedinando da un po’ di tempo.”

“Cosa vorresti dire?”

“Voglio dire che ovunque io vada, ultimamente arriva sempre lei!”  Aggrottai la fronte.

“Te l’ho detto: le interessi!”

La spiegazione di Naruto non mi convinceva, fin troppo semplice, non chiariva la mia sensazione di riluttanza davanti a Karin e nemmeno il perchè mi stesse tenendo così tanto d’occhio.

“Io torno in caserma. Sono stanco.” Pieno di dubbi mi avviai alla porta metallica del pub.

“Come di già? E non vai a casa tua? In fondo non è così lontana …”

“Preferisco la caserma alla compagnia di un ubriaco e di un falso” Dissi pensando al sorriso fasullo di mio fratello e alle cantilene di mio padre. Feci un cenno di saluto a Naruto e uscii, ma appena prima che la porta si chiudesse potei notare un uomo che prima non avevo visto seduto dietro di noi. I capelli argentati e una maschera a coprirgli il volto. “Colonnello …?”


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Camminavo per quella scacchiera di strade rettilinee. Attorno a me la gente procedeva frenetica, alcuni parlavano al telefono, altri consultavano cartine indicando cartelli e vie. I turisti scattavano foto a quasi tutti i grattacieli dalle forme strane e moderne, i marciapiedi ospitavano piccoli chioschi. Era quasi il tramonto e una luce rosata velava lo squarcio di cielo tra i palazzi, i lampioni erano ancora spenti e le strade erano, così, illuminate dalle insegne che ricoprivano ogni edificio. Faceva quasi freddo a causa del vento proveniente dall’oceano, una folata mi fece rabbrividire e mi strinsi nella mia felpa con cappuccio. Arrivai a delle strisce pedonali e mi fermai sul ciglio della strada per aspettare che il semaforo diventasse verde.

 L’atmosfera in casa negli ultimi tre giorni era diventata insopportabile, non vedevo l’ora di poter uscire, a volte anche con Hanabi,  a  passeggiare o andare in biblioteca per immergermi nella lettura dei classici  in lingua originale, anche se il mio inglese non era dei migliori. E poi ero riuscita incredibilmente a scrivere a Sasuke, cosa di cui andavo molto fiera, perché finalmente stavo acquistando sicurezza e fiducia in me.
Scattò il verde. Subito tutti quelli che aspettavano insieme a me si buttarono in strada spingendomi in avanti, prontamente sostenni il passo e con agilità sgusciai tra la folla che sopraggiungeva dalla parte opposta. Percorsi vari isolati e finalmente raggiunsi la mia meta: Rockefeller Center con la sua Lower Plaza

 * Che peccato non poter pattinare … *

Dal momento che non era inverno al posto della pista di pattinaggio, la piazza ospitava un bar all’aperto circondato da vasi di siepi.  Scesi i gradini della piazza per sedermi a un tavolo, giusto per far passare un po’ di tempo prima di essere costretta a tornare a casa, ma un uomo  catturò la mia attenzione; era quasi completamente di spalle, perciò non mi poté vedere, tuttavia io lo  riconobbi immediatamente: i capelli castano scuro lunghi tirati indietro, gli zigomi alti e gli occhi uguali ai miei.

Hiashi era in compagnia di un uomo dall’aspetto giovane e  dai lunghi capelli argentei raccolti in una coda.
Mi fermai bruscamente e mi nascosi con uno scatto dietro a una delle siepi; gesto irrazionale perché in fondo non dovevo temere nulla, ma qualcosa dentro di me mi diceva di non farmi vedere.  Il loro tavolo era proprio vicino al mio nascondiglio, tanto che potevo sentire le parole che si dicevano.

 * Ma cosa ci fa qui? Doveva arrivare domani …! *
 
Sbirciai da dietro i rametti verdi della pianta.

“E perché mi stai facendo questa proposta?” Chiese Hiashi sospettoso incrociando le braccia sul tavolino. L’interlocutore, che non avevo mai visto prima, si sistemò gli occhiali tondi e grandi che gli erano scivolati sul naso aguzzo e sorrise insinuante. “Ma perché voglio rendere partecipe qualcuno del mio regno che sta per formarsi!” enfatizzò.

Spalancai gli occhi e corrugai le sopracciglia, socchiudendo le labbra; di che diavolo stavano parlando? Fissai lo sguardo sulla statua dorata di Prometheus che dominava la piazza attorniata dai giochi d’acqua delle fontane, mentre sentivo quella conversazione andare avanti.

“Tsk certo! E una volta che io ti avrò reso comproprietario della società tu ti sbarazzerai di me e io non centrerò più nulla. E poi ti stai approfittando di me, dal momento che io possiedo la più grande azienda del Giappone, sarà più facile, poi, sottomettere tutti .”

“Mmh hai ragione sul ‘rendere più facile la conquista’, ma ti assicuro che non mi libererò di te. Anche perché sarebbe un regno troppo grande da comandare da solo.” Rise scherzoso l’uomo.

Hiashi si raddrizzò sulla sedia pensieroso, stringendo ancora di più le braccia. Sbattei più volte le palpebre, come se quel gesto avrebbe potuto farmi capire meglio la conversazione; strinsi i pugni e guardai attentamente i due uomini: i due si guardavano diffidenti ma allo stesso tempo con un che di benevolo. Hiashi fece cadere quasi completamente il capo in avanti.

“Quindi la tua idea sarebbe di conquistare Tokio per conto dei Sudisti, ma poi di tradirli con il tuo esercito di fedeli …” Mio padre rialzò la testa e fissò il suo interlocutore con occhi vitrei “ … e di prendere il potere per poi condividerlo con me?”

L’uomo dai capelli argentati si sistemò ancora una volta gli occhiali sul naso scoprendo i denti in un ghigno orrendo. Annuì. Il respirò mi si mozzò in gola. Mi nascosi del tutto dietro la siepe e istintivamente mi coprii la bocca con una mano per impedirmi di gemere e strinsi i denti per  non emettere alcun suono.

“Sei davvero perfido, Kabuto.” Mio padre sorrise a sua volta maligno. Fece per porgere la mano a Kabuto per suggellare l’accordo ma esitò. 
“E cosa mi garantisce che non mi tradirai?” Chiese circospetto. Kabuto appoggiò un gomito sul tavolo sorreggendosi il mento.

“Non ti fidi proprio eh?” rise a denti stretti e assottigliò lo sguardo. “Se non mi sbaglio hai una figlia di diciannove anni, vero?”

“E con questo? Cosa c’entra Hinata?”

“Hinata … che bel nome …”

Sobbalzai alla voce subdola dell’uomo, mordendomi il labbro inferiore.

  * Cosa vuole da me? *

“Beh potrebbe diventare la mia compagna, mia moglie magari. Così noi due diventeremmo definitivamente parenti e non potrò sbarazzarmi di te.”

Sgranai gli occhi e rimasi immobile, atterrita, la vista divenne annebbiata e mi dovetti piegare e trattenere la testa tra le ginocchia per riuscire a riprendermi. Cominciai a tremare impercettibilmente: avevo paura di quello che avrebbe risposto mio padre.

“Sposarla dici?” Hiashi aggrottò la fronte e grugnì guardando la sua mano sospesa nel vuoto e quella di Kabuto pronta a stringerla. “Va … va bene.”  

Mi alzai di scatto guardandolo esterrefatta e disgustata i due che si stringevano la mano. Boccheggiando in cerca di aria, sentii gli occhi pizzicare, pronti a far cadere le lacrime di rabbia e delusione. Avrei voluto gridare e lo stavo per fare, ma il pensiero di quello che avevo appena origliato mi trattenne: se avessero saputo che avevo sentito tutto, mi avrebbero presa e allora non ci sarebbe più stato scampo per me, ma se facevo finta di nulla avrei potuto ancora scappare. Con la coda dell’occhio vidi che si stavano per alzare e venire verso di me, se non mi allontanavo mi avrebbero vista, ma per lo shock non riuscivo a muovere un passo e tenevo gli occhi sbarrati davanti a me.  

La voce di un cameriere mi fece sobbalzare, ridestandomi dal panico. “Miss? Miss are you ok?”

“E-eh? Come?” farfugliai  arretrando di un passo finendo nella siepe. Il ragazzo mi prese per il polso e mi raddrizzò delicatamente.

“Are you ok? Can I help  you?”  Chiese di nuovo il ragazzo preoccupato per la mia espressione: avevo attirato gli occhi di tutti su di me compresi quelli di mio padre e di Kabuto, per fortuna rimanevo ancora nascosta dalla pianta.

“D-don’t worry, I’m fine.  Thank  you.  ”  Risposi annuendo ripetutamente e infilandomi il cappuccio per coprirmi e non farmi riconoscere dai due uomini che ormai mi avevano raggiunto. Corsi via verso la prima stazione metropolitana e con mio sollievo, constatai che mio padre non mi aveva vista.


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Un vento soffocante sferzava la facciata della caserma, facendo tremare i vetri sottili delle finestre.  Percorsi la stretta galleria che si apriva nell’edificio per portare ai cancelli. Una sentinella era appoggiata all’inferriata col berrettino calato sugli occhi. La raggiunsi e sbattei piano un pugno sulle sbarre di ferro, il soldato alzò con un dito il berretto e con gesti lenti e sonnolenti. Lo oltrepassai e salii nelle camerate. I miei passi risuonavano solitari per le scale e i corridoi, nessuno si aggirava per gli alloggi, cosa che trovai strana.

Arrivai davanti alla porta del mio alloggio ed infilai la chiave nella toppa, feci per girarla, ma con mia grande sorpresa la porta si aprì da sola. Strano. Assolutamente strano:chiudevo sempre la porta a chiave, qualcuno l’aveva scassinata. Aggrotti la fronte e recuperai la pistola dalla cintura dei pantaloni, dando  un calcio alla porta e spostandomi di lato con scatto fulmineo. Rimasi con la schiena contro il muro per qualche secondo, poi, sentendo che non arrivava nessuno sparo, mi parai davanti alla porta con la pistola puntata nel buio, in cerca di un movimento qualsiasi, di qualcuno. Niente. Abbassai l’arma ed entrai guardandomi  intorno: ovunque erano sparpagliati oggetti, coperte e le piume del cuscino che era stato strappato.

“Che diavolo …”

Sibilai fra i denti. Accesi la luce e mi chiusi la porta alle spalle. Tirai un calcio a uno dei cassetti rovesciati e recuperai qualche oggetto e foglio da terra. Fu allora che notai, sotto una coltre di piume bianche una piccola spilla nera, la stessa che avevo visto tra i capelli rossi di Karin. Aggrondai ancora di più la fronte e la presi  osservandola attentamente. Frugai nei pantaloni  prendendo il cellulare, rapidamente composi il numero che mi interessava e premetti il tasto di chiamata. Uno, due, tre squilli. Nessuna risposta. Quattro, cinque …

“Prrrooontooo?”

“Tsk, ti lascio per dieci minuti e sei già sbronzo?!”

“Sas’ke! Uffa non mi criticare! Cosa vuoi?” Disse Naruto strascicando le parole, quasi potevo sentire la puzza di alcool attraverso il telefono.

“Cerca di fingere di avere almeno un briciolo di lucidità e vieni  in caserma immediatamente, alcolizzato.” Mi sedetti per terra e strinsi forte la spilla. “A quanto pare la nostra amica tenente si sta muovendo in modo sospetto.”





* Il Genio Militare è una delle formazioni dell'esercito, il cui compito è di supporto al combattimento.Il genio è un "corpo" molto versatile, i cui compiti principali sono: rimozione di ostacoli nel terreno, comprese strutture nemiche; realizzazione di ponti per il superamento di ostacoli; realizzare opere difensive ecc.  ... Evviva wikipedia XD


Spazio autrice:

Salve a tuttiiii!!!! Il mio fantacomputer che si era fulminato è stato riparato e finalmente riesco a pubblicare!! Spero che il cap vi piaccia, anche se io lo trovo un po’ fermo … riguardo al titolo del cap scorso so che è verameeeente banale ma non mi viene in mente nient’altro  -.-
 ringrazio chiunque legge la storia e chi ha recensito!!!!   Alla prossima ^.^
   
 
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