Titolo: An
ordinary day
Genere: Generale
Personaggi (a parte Ace): Rufy, Sabo, Makino
Tipologia: one shot
Avvertimenti: Nessuno
Paring: Nessuno
An
ordinary day
Per
un narcolettico, ogni risveglio è una
rinascita. È come uscire dalle braccia di una fine per un
nuovo inizio. Questa
era una cosa che Ace sapeva bene.
Ogni
volta che stava con gli occhi chiusi,
abbandonato all’incoscienza senza sogni o pensieri, era come
essere di nuovo
rannicchiato nel grembo materno. Alle volte gli sembrava quasi di
sentire
ancora la voce di sua madre, ovattata, unico suono a differenziarsi dai
tanti
di un mondo esterno che non l’avrebbe mai accettato.
La
ragione era: che lui era il figlio di
un mostro, di un pirata, di un assassino, di qualcuno che aveva avuto
tutto e
sarebbe stato eternamente invidiato, anche se alla fine aveva avuto una
vita
infelice. Così, come suo padre, anche lui secondo la gente
non aveva diritto di
vivere. Perché lui potesse nascere, troppi altri infanti
erano morti. Le sue
mani si erano macchiate di sangue prima ancora che aprisse gli occhi.
Non
si sarebbero mai udite voci che
parlassero positivamente di suo padre. L’uomo che non voleva
cambiare il mondo,
ma solo essere totalmente libero, era stato marchiato con bel altre
credenze.
Di
lui si ricercava solo un fantomatico
tesoro. Da Gol. D, sulle bocche di tutti, era diventato addirittura
"Gold", perché la gente era interessata solo al suo oro,
alla fama e
alle ricchezze.
La
foresta non era così lontana dal luogo
in cui il piccolo Ace riposava, ma al bambino non arrivavano i
gradevoli odori
che provenivano da lì: né il profumo di fiori,
né quello dell’erba bagnata
dalla rugiada. Al contrario, le narici del piccolo, erano infastidite
dalla
polvere; giacché gli abitanti del covo lì vicino
non pulivano, men che meno
spazzavano.
Ace
starnutì, continuando a dormire, fregandosi
più volte il naso con un dito, per ostruire le narici.
Faceva
parecchio caldo, e alcune
goccioline di sudore lo infastidivano, scivolandogli umidicce sulla
pelle. Ace
non indossava altro che un paio di pantaloncini neri, molto corti, e in
una
mano, stretta spasmodicamente, c’era una spranga di ferro.
Dalle labbra gli
scivolava un rivolo di saliva, mentre il suo petto si alzava e si
abbassava
regolare.
Qualcosa
di molto duro impattò contro la
sua nuca, dando immediatamente origine ad un immenso bernoccolo.
Svegliatosi
di soprassalto, Ace guardò con
aria ancora confusa l'autore del misfatto. S'infilò un dito
nel naso e, dopo
aver scavato un bel po’, estrasse una caccola.
Davanti
a lui si stagliava un bambino, che
fino a un po' di tempo prima gli dormiva accanto. Era già
perfettamente
vestito, e si capiva che doveva avere natali nobili, non tanto dal
portamento,
quanto dalla foggia degli abiti, eleganti per quanto sgualciti. Sui
corti
capelli tendenti al riccio, di un biondo molto scuro, svettava un
gigantesco
cilindro nero.
“Su,
muoviti ad alzarti, prima che Otòto
si svegli” si disse Ace,
sfoggiando il suo solito strano sorriso, che, per quanto amichevole nei
confronti dei fratelli, risultava ugualmente alquanto allarmante.
Lì
a fianco, Rufy continuava a dormire
profondamente, in una posizione tanto scombinata che la maglia gli
lasciava
scoperto il pancino, aveva sul viso stampata l’espressione
goduriosa di chi
sogna di mangiare.
Ace
infilò una maglietta bianca in
silenzio e passò una mano tra gli scompigliati capelli mori,
finendo per
renderli ancora più scarmigliati di prima. I ciuffi che gli
ricadevano di lato
a malapena coprivano la fronte alta. Le sopracciglia erano piegate in
un’espressione severa, ma, visto che i suoi occhi erano
ancora socchiusi dal
sonno, sembrava solo l’espressione tenera di un bambino
confuso. Si guardò
intorno, riconoscendo la fisionomia ormai familiare del luogo, e
batté un paio
di volte le palpebre.
La
casa sull’albero non era solo il loro
rifugio, il luogo dove si sentivano padroni incontrastati, ma era anche
un
posto davvero molto ben congegnato e spazioso. Riusciva ad entrarci
addirittura
Dadan, la mastodontica creatura dalla forma vagamente femminile e dal
cuore
tenero nonostante l'apparenza, che capitanava i briganti.
L'inizio
delle giornate dei
tre fratelli era più o meno sempre lo stesso, e
così anche il resto della
giornata, ma il divertimento per i bambini era assicurato. Non facevano
parte
del mondo degli agi e della ricchezza dove si calpesta la gente, loro
preferivano girovagare conosciuti come due ladruncoli scrocconi e un
dolce
bimbo indifeso, che in realtà non combinava meno disastri
degli altri due.
Anzi, Rufy utilizzava proprio quel suo aspetto tenero per distrarre la
gente
che i maggiori derubavano. Credevano tutti che fossero Ace e Sabo ad
averlo
portato sulla cattiva strada, quando, invece, era lui a rubare
più cose di
tutti.
Anche
quel giorno, le
cose andarono nel solito modo. Dopo essersi svegliati e aver fatto
un’abbondante
colazione con i frutti che nascondevano nella loro tana, andava a fare
le loro
piccole razzie.
Per
quanto ogni mattina
i più grandi tentassero di andare a rubare per conto loro,
il minore si
svegliava quando stavano per uscire, e, una volta che apriva i grandi
occhioni,
non riuscivano mai a lasciarlo lì da solo. E si rivelava
giustappunto un aiuto
preziosissimo.
Rufy
si piazzava davanti
a coloro che consideravano delle ottime vittime. Dondolava i piedini
spingendosi avanti e indietro, prime sulle punte e poi sui talloni.
Teneva le
mani incrociate dietro la schiena e sorrideva a trentadue denti,
tenendo gli
occhioni chiusi.
"Allora,
cosa vuoi
piccolo?" gli chiedeva il malcapitato di turno.
La
gente della città,
per quanto ricca e spocchiosa, proprio non poteva cacciare quella
creaturina
deliziosa, dalle fattezze tanto tenere. Quel giorno, si trovavano alla
rosticceria
ed era toccato a un mercante trovarsi davanti quel fagotto di finta
dolcezza.
Rufy
lanciò un'occhiata
veloce sotto il tavolo della rosticceria, prima di tornare a guardare
il
mercante.
"Beh,
vede… "
iniziò. Aveva una parlantina vivace, ma spesso sbagliava le
parole, come capita
tipicamente ai bambini piccoli.
Un
pollo con patate
scivolò silenziosamente via dal suo posto, insieme ad altre
vivande.
Ace
e Sabo si muovevano
furtivi a gattoni sotto i tavoli, arraffando tutto ciò che
vedevano, attenti a
non farsi cogliere con le mani nel sacco, mentre il loro 'fratellino'
distraeva
gli adulti.
Dopo
aver 'depredato'
come dei veri piccoli pirati il villaggio, si dirigevano verso la loro
seconda
meta preferita. La montagna di spazzatura, a suo modo, pareva davvero
una
catena montuosa.
La
puzza di rifiuti, tra
bottiglie di liquore ormai finite e cibi rancidi, sembrava un pugno in
pieno stomaco,
ma tra i rimasugli buttati dai nobili, i tre bambini correvano senza
fermarsi
mai.
Ace
e Sabo, tenendo una spranga
con una mano e le vivande con l’altra, correvano
più velocemente che potevano
per arrivare ad una zona appartata, solo loro, in quell'immensa
'montagna'.
Sabo
ogni tanto si
voltava di poco, guardandosi dietro, per osservare di sottecchi il
piccolo
Rufy. Il più piccolo rideva come un pazzo, saltellando tra i
rifiuti.
Successivamente, il piccolo nobile, si girava verso Ace, richiamandolo
quando
si allontanava troppo. Ace, allora, si fermava e li aspettava. In
realtà ogni
tanto rallentava, ma non dava a vederlo finché non era il
mezzano a
richiamarlo.
Quello
era l'ultimo
luogo dove qualcuno sarebbe mai andato a cercarli. Nessuno della
città si
sarebbe spinto fin lì, disgustato, ed era quello che i
ragazzini volevano.
I
tre piccoli correvano
in fila indiana, ma ad ogni rumore sospetto, si affiancavano.
I
tre piccoli potevano correre su
e giù per ore. Organizzando assalti, evitando pirati, si
difendevano dalla
feccia che girava in quel luogo coi pugni e con le spranghe. Gli uomini
che
giungevano fino a quel luogo deserto, lo facevano sempre e solo per
sfuggire
alla legge.
I
tre piccoli
abbandonavano il loro parco giochi personale, stanchi e stremati, ma
mai senza
prima aver controllato il loro segretissimo tesoro.
Di
solito, quando
uscivano, il sole di mezzogiorno era già alto e le loro
pance dimenticavano
tutto quello che avevano sbocconcellato a colazione.
Quel
giorno, come tutti
gli altri, i loro stomaci brontolarono all’unisono.
“Sabo,
ci sono rimasti
dei soldi? Qualcosa da mangiare?” domandò il
figlio di Roger a muso duro. Come
se la risposta non fosse praticamente sempre la stessa.
Sabo
si raddrizzò il cappello
a cilindro e tirò fuori la stoffa delle tasche. Chiaro segno
che erano
nuovamente a corto di degne finanze o di qualsiasi cosa commestibile.
Rufy
osservò un attimo
le tasche di Sabo, poi Ace, poi il terreno.
"Io
ho FAME!"
si lamentò, gonfiando le guance, accompagnato da un sonoro
brontolio che
sottolineava la veridicità della frase.
"Sabo,
idee?" domandò
Ace, incrociando le braccia.
L'interpellato
si grattò
il capo - o meglio, il cappello - sedendosi su una roccia sporgente.
"Se
torniamo di nuovo in città ci scuoiano" disse.
Rufy
si accomodò a
terra.
"F-A-M-E!".
Continuò a lamentarsi.
Gli
occhi di Ace si
illuminarono leggermente, mentre ticchettava con le dita sulle braccia.
"Andiamo
da
Makino" propose, distogliendo lo sguardo.
Gli
occhi di Rufy
brillarono all'idea. Come una scimmietta, prese a saltellare sul posto,
sorrise
mostrando i suoi denti bianchissimi. Ripeté eccitato:
"Andiamo! Andiamo!
Andiamo!".
Makino
era una giovane
donna dai tratti gentili, di una bellezza semplice.
Gli
abiti da contadina
che indossava nascondevano un fisico ben proporzionato, anche se dalle
forme
minute. I suoi corti capelli verde scuro si aprivano in due ciuffi
più lunghi
sul davanti ed erano fasciati da un foulard rosa pallido punteggiato da
pallini
di una tonalità di rosa più scuro, tendente al
fucsia.
Rufy
era un suo cliente
- a scrocco – abituale, che, ogni volta, sorridendo,
prometteva le avrebbe
ripagato tutto una volta divenuto Re dei Pirati. Presentare alla
giovane i suoi
'fratelloni' gli era venuto molto naturale, e così
praticamente ogni giorno i
tre bambinetti andavano a pranzo dalla locandiera che li accoglieva
sempre
sorridendo e servendo prima loro rispetto a chiunque altro.
Ogni
volta che li
vedeva, la ragazza si illuminava. Puliva il banco e sorrideva gentile.
Quel
giorno, Makino si
preoccupò parecchio quando vide entrare Rufy nella
confusione dei suoi clienti,
e, ansiosa, si assicurò che non si facesse male a salire con
un sol balzo sullo
sgabello più alto di lui.
Di
Rufy si riusciva a
scorgere quasi solo il capello, con sotto una larga maglietta bianca.
Per
Makino, scorgere il visetto del bambino, era quasi impossibile.
Sabo
venne salutato
amabilmente dalla locandiera, in un modo analogo a quello di una madre
che
riserva dolcezze al figlio spigliato, ma molto amato. Prestò
attenzione anche
ad Ace, scompigliandogli i capelli. Quest’ultimo, per
risposta, sfoderò la sua
espressione più dura, cercando di apparire come un uomo
maturo e forte. L’effetto,
già poco credibile, era rovinato anche dal rossore che si
diffondeva sulle sue
guance spruzzate di efelidi.
Quando
Ace si trovava nel
locale di Makino, improvvisamente si dimostrava propenso ad aiutare.
Non
diveniva più gentile nei modi, ma si dimostrava volenteroso,
pronto a fare
anche fatiche o lavoretti manuali per agevolare il lavoro della
locandiera. Non
era un mistero, né per Rufy, né per Sabo, che
loro fratello avesse una cotta
per la ragazza. Non potevano però dirlo a voce altra,
perché chiunque osasse
negarlo, avrebbe rischiato di essere aggredito dal manesco bambino
più grande.
Ace
non dimostrava l’immenso
affetto che lo legava ai due fratelli, allo stesso modo non ammetteva
le altre
debolezze del suo cuore.
"Sabo,
Ace, sono
arrivate delle nuove botti, le portereste qui mentre inizio a
prepararvi da
mangiare?" domandò Makino. Da sola non riusciva a farlo, ed
era raro che
qualcuno degli altri clienti la aiutasse.
"Sabo,
muoviti" ordinò subito Ace, avviandosi verso l'ubicazione di
suddette
botti.
Sabo
stava già scendendo
dallo sgabello per dare una mano, quando Rufy fece un sorriso ancor
più grande
di quello di prima.
"Io
pure!"
decretò, saltando giù e precipitandosi dalle
botti.
Makino
e il piccolo
nobile si agitarono per la scelta del più piccolo, che,
allungando le braccine
di gomma, cercò di afferrare un barile grosso almeno dieci
volte lui.
Ace,
vedendo che la
botte stava per ricadergli addosso, l’afferrò con
forza e gliela strappò di
mano, allontanandogliela.
Per
un attimo, fu
tentato di dargli un pugno sul capo, ma non ne ebbe la forza, voleva
troppo
bene al piccolo.
"Faccio
io"
dichiarò, gonfiando il petto.
Makino
provò ad
aiutarli, ma i bambini erano convinti che era più probabile
che si sarebbe
fatta più male lei a tentare di sollevare le botti, che loro.
Quelle
tre piccole pesti
erano molto decise e tutti dicevano che, quando facevano qualcosa tutti
e tre
insieme, erano in grado di fare qualsiasi cosa.
Per
quanto fossero
minuti, anche Sabo dimostrò che per lui sollevare le botti
non era un problema.
Rufy non le sollevava direttamente, al contrario degli altri due, ma
eliminava
gli ostacoli sul loro cammino, aiutandoli a spostarle.
Non
era raro vederli
bisticciare tra loro, soprattutto Ace si lasciava andare a minacce
pesanti e
offese accese, ma in quei momenti erano coordinati al millesimo.
Sotto
gli occhi di una
meravigliata Makino, il lavoro fu completano in un batter d'occhio.
Un'impresa
di operai o demolitori non sarebbe stata rapida come potevano essere
solo quei
tre. Peccato che dimenticassero quella coesione perfetta non appena
iniziavano
a mangiare.
Nel
momento in cui gli
fu servito il cibo, Sabo perse all'istante l'aria pseudo-matura e
tranquilla
che lo contraddistingueva e si fiondò sul piatto, ma non
poté battere in
velocità gli altri due, che parevano due voraci bestie
feroci. Ricordavano le
locuste bibliche.
Anche
se il piatto era
ricolmo di pietanze, non era raro vederli litigare tra loro per lo
stesso
cosciotto.
Quel
giorno era riuscito
ad accaparrarselo Ace, lo stringeva a sé come un bottino e
utilizzava la gamba
per tenere lontano il minore, ma le braccia allungabili del
più piccolo lo
assaltavano da tutte le direzioni.
Makino
li osservava a
metà tra il perplesso e il divertito, mentre serviva loro
abbastanza cibo da
sfamare un esercito numeroso. I bambini, da parte loro, parevano ben
disposti a
divorare qualsiasi cibo gli venisse messo davanti.
Rufy
riempiva le guance
di cibo, fino a gonfiarle, come un roditore, masticando rapidamente e
ingoiando
porzioni più grandi di lui.
Ace
si comportava come
se ogni boccone potesse essere l'ultimo della sua vita e riusciva a
ingoiare
cosciotti interi, ignorando che l'osso avrebbe potuto affogare.
Quel
giorno si era
interamente sporcato il viso, ma invece di pulirlo, lo
affondò in un grande
boccale. Era un grande consumatore di alcolici e li beveva rapidamente
mentre
mangiava, rischiando spesso di affogarsi.
Makino
avrebbe preferito
non far bere Ace, ma se avesse provato a negarglielo, quel tipetto
sarebbe
stato capace di rubare i bicchieri agli altri commensali. Era
decisamente
meglio evitare facesse arrabbiare i pirati o la gentaglia che
frequentavano
quei posti.
Sabo
e Rufy, probabilmente
non avrebbero bevuto altro che aranciata, ma sembrava non potessero
fare a meno
di imitare il maggiore. Il giovane nobile era propenso al sake,
più raffinato,
mentre il minore sembrava poter bere qualsiasi cosa, senza distinzioni,
come
faceva con il cibo, divorando qualsiasi cosa gli capitasse a tiro,
certe volte
anche ciò che non era propriamente commestibili.
La
locandiera poteva
solo stare attenta non esagerassero, ma il concetto di 'troppo' era
relativo
con quelle tre pesti. Non si arrestavano finché non
sembravano due
circonferenze e un ovale molto gonfio.
Dopo
aver divorato di
tutto e di più, i piccoli si concedevano una buona
mezz’ora per rimanere stesi
a pancia in su godendosi la pace prodotta dalla sazietà.
Dopodiché non
riuscivano più a stare fermi. Soprattutto Rufy, che pareva
aver necessità
fisica di muoversi, saltare e giocare in spazi ampi.
Sabo
amava stare all’aria
aperta, ma al contrario degli altri due, sarebbe stato lieto ogni tanto
di
appartarsi per studiare.
Alla
fine, però, le
decisioni sul da farsi spettavano ad Ace- che in genere assecondava il
minore,
pur cercando di non darlo a vedere.
Quasi
sempre, Ace
decideva di andare nella foresta, resa pericolosa da bestie feroci e
bande di
pirati.
Era
il luogo che tutti e
tre più preferivano.
Lì,
Rufy poteva
saltellare sui rami come una scimmietta, dondolarsi sulle liane,
scivolare
sulle foglie immense, abbattere alberi per fare legna con un'ascia
dieci volte
lui o correre nei prati finché voleva, senza mai
allontanarsi troppo dai più
grandi.
Sabo,
invece, poteva
sedersi in un angolo riparato, al fresco, e lì poteva
sfogliare i suoi amati
libri e tenere al contempo d'occhio il più piccolo.
Per
quanto riguardava
Ace, si appartava tra le frasche e si allenava per realizzare il suo
sogno in
futuro: sarebbe diventato il più forte del mondo, e per
quello scopo si era
procurato percorsi di allenamento e strumenti per potenziarsi, tutti
rigorosamente in legno e corda. Li aveva costruiti con le sue mani, da
solo,
anche se con la scusa di 'perfezionarli' Sabo controllava regolarmente
che
fossero funzionanti e non probabili macchinari di morte.
Così
passavano i loro
pomeriggi, fino a quando il sole non tramontava.
Quel
giorno, quando il cielo si tinse di
una calda tonalità aranciata, Rufy sbucò a testa
in giù da un albero, spaventando
Sabo. Quest’ultimo spiccò un salto, e gli
strillò contro: "Baka!
Avvisa prima di apparire
all'improvviso!". Rufy, imbronciato, con una capriola cadde
giù
dall'albero, solo per tornare alla carica subito dopo. "Ace, Sabo, io
ho
fame!" incominciò a lamentarsi.
Sabo
sbuffò.
"Di
nuovo?"
chiese, con una leggera gocciolina sul capo, "appena dieci minuti fa ti
ho
visto mangiare un enorme mucchio di mele!".
"Ma ho voglia di carne!" protesto il
più piccolo, con un broncio infantile.
“Nessuna
idea su come
procurarcela?” domandò Ace.
“Se
torniamo al
villaggio ci scuoiano” fece presente Sabo.
Arrivati
a quel punto
c’era sempre un’unica soluzione, utile anche per
l’allenamento del figlio di
Roger: la caccia ai panda-orsi.
Si
trattava di creature
pacifiche, una delle rare specie mansuete di quella zona, ma che
potevano
divenire pericolose. A dir la verità non aveva un nome, la
loro specie, ma quel
modo di chiamarli derivava dal loro aspetto. Grossi come orsi bruni dei
boschi
più profondi, capaci di rizzarsi su due zampe e tirare fuori
denti spaventosi,
erano colorati di bianco e nero e raramente attaccavano. Per questo,
per Ace e
Sabo, era fin troppo facile spaventarli roteando le spranghe e
correndogli
dietro. Il punto debole delle bestie era il capo e, da quando erano in
tre, non
c'era nulla di più semplice che cacciarli. I maggiori,
infatti, rincorrevano
l'animale fino ad un vicolo cieco, e a quel punto Rufy saltava
giù colpendo il
panda-orso con la spranga proprio sul muso, stendendolo.
Se
fosse stato per Ace e
Rufy, la carcassa l'avrebbero divorata immediatamente, con tanto di
peli, senza
neanche cucinarla. Toccava a Sabo il duro lavoro di spellarla, e poi,
tutti e
tre insieme la mettevano sul fuoco.
Ace
tentava di non
mostrarlo, ma si notava che i suoi occhi neri brillavano davanti alle
alte
fiamme, tingendosi nel loro intimo di rosso, oro e arancione tenute.
Pareva più
vivo in quei momenti, per quanto sia lui che Sabo fossero interamente
assorbiti
a fare la guardia a Rufy, che altrimenti sarebbe stato capace di
bruciarsi.
Il
falò scoppiettava e
le fiamme vive si stagliavano contro il cielo di un blu cupo. Alcune
piccole
stelle dorate facevano capolino qua e là, punteggiando
timidamente di luce la
scura volta celeste della sera.
I
bambini non parlavano,
si limitavano a mangiare, lanciandosi di tanto in tanto qualche sguardo
di
sottecchi. Attorno a loro aleggiava un insolito silenzio, rotto
soltanto dai
rumori della foresta e dall'intenso lavoro delle loro
mandibole.
In
quei momenti non
c'era bisogno di parole. Stavano bene in reciproca compagnia.
Rimanevano lì,
tranquilli, ascoltando i suoni della natura selvaggia. Non tanto
più selvaggia di
loro, dopotutto.
I
minuti si trascinavano
lenti, finché non scendeva su di loro il velo del sonno.
Cominciavano allora a
sbadigliare a turno, sempre più spesso, mano a mano che il
tempo passava.
Sabo
era l'unico che
tentasse a mantenere un contegno, mentre, al contrario, il
più piccolo
spalancava la bocca fino quasi a slogarsi la mascella, ed il capo gli
ricadeva
in avanti di continuo.
Ace,
invece, senza
nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi di mettere una mano
davanti alla
bocca ai vari sbadigli, tentava di nascondere il fatto di faticare a
tenere gli
occhi aperti.
A
notte fonda, una volta
che il fuoco non più ravvivato s'era definitivamente spento
ed il luogo
cominciava a popolarsi delle creature notturne, tornavano stancamente
al loro
rifugio.
Lì
concludevano la
giornata, rannicchiandosi tutti e tre sotto le coperte e confondendosi
in
un'unica, dolce figura, con tre piccole testoline che facevano
capolino,
abbandonate sul cuscino.
Autore: Kamy
Trama - 7 Uno spaccato della vita degli ASL molto semplice, senza nessun colpo di genio, ma l'ho apprezzato perché storie di questo genere sono rare e la parte con Rufy molto simpatica.
Grammatica e Stile - 8 Stile scorrevole e corretto, ho notato solo una ripetizione, e mi è piaciuta molto la parte introspettiva.
Caratterizzazione dei personaggi - 10 I personaggi erano decisamente IC: Ace e il suo imbarazzo, Sabo, Rufy con i suoi occhioni e anche Makino con loro.
Tot: 25