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Autore: My Pride    11/07/2011    9 recensioni
I understand that there’s probably a link between our worlds, even if it may be twisted in ways that are cruel at times and kind at others.
The world is inside of you.

Avete mai sentito parlare di esperienze pre-morte? Io ero stato uno di quelli che non aveva mai creduto a cose del genere, o almeno fino a quando non era capitato proprio a me.
È alquanto bizzarra la velocità con cui sembrano cambiare i punti di vista, certe volte. E altrettanto strambo è il modo in cui eventi di questo tipo, per quanto rari, ti precipitino addosso, lasciandoti letteralmente senza fiato. Non si è mai certi di ciò che la vita ti riserva finché non ti accadono le cose più impensabili. Il mondo è come un antro oscuro che nasconde nel suo ventre l’orribile verità dell’essere.
[ Prima classificata al contest «Scacco matto!» indetto da Fe85 ]
[ Prima classificata allo «Slash e Femslash contest!» indetto da MistyEye ]
[ Prima classificata al contest «Romance in pain» indetto da LoveSomebody ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Breaking the World Series ~ Bonus Track' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Breaking_5
ATTO V: ST. CHARLES › AGOSTO 2001
EPILOGO O PROLOGO?
 
    R
icordavo che avevo cominciato a piangere. E non per paura che quella donna mi sparasse, nay, non era stato affatto per quello. Piangevo per Stephen, quello Stephen che aveva lo stesso volto del mio miglior amico. Era morto dinanzi ai miei occhi senza che io potessi far nulla per impedirlo, nemmeno grazie a quel mio dono di poter vedere gli avvenimenti futuri, che non era servito a niente nel momento del bisogno. Stephen adesso non c’era più, e la colpa era mia. Solo mia.
    Ad occhi chiusi, con le lacrime che sgorgavano copiose e mi rigavano le guance, mi accasciai su me stesso e cominciai a dondolarmi avanti e indietro a braccia conserte, sussurrando più e più volte il suo nome come se potesse servire a riportarlo in vita. Troppo immerso nella mia sofferenza, non mi ero nemmeno accorto che i miei mormorii erano cresciuti di intensità e che qualcuno aveva cominciato a scuotermi, quasi volesse cercare di risvegliarmi da un lungo sonno. Se era quella donna, Margaret, a scuotermi, che ragione aveva di farlo? Avrebbe potuto benissimo togliermi di mezzo in quel momento, approfittando del mio attimo di debolezza. Conoscevo troppe cose per essere lasciato in vita, lo sapevo io come lo sapeva anche lei. Quegli scossoni, però, sembrarono continuare, e ad essi si erano aggiunte due o più voci che credevo di conoscere, sebbene provenissero da molto lontano e giungessero alle mie orecchie basse e ovattate.
    Fu con una certa difficoltà che riuscii ad alzare le palpebre, come se avessi tenuto gli occhi chiusi per lungo tempo. La mia visuale si ridusse pian piano da un unico punto bianco ad una distesa candida, intervallata da due sagome scure di cui non riconobbi i lineamenti. Sentii però intorno a me dei mormorii concitati e quelli che parvero sospiri di sollievo, poi dei passi che si allontanavano sempre più prima di sparire del tutto. La sola figura che rimase cominciò a farsi più nitida a poco a poco e, nonostante non riuscissi ancora a figurarmi il volto, fui più che certo che quella che mi aveva appena sfiorato fosse una mano.
    «Jonathan... oddio, Johnny», sussurrò ancora quella voce strozzata, quasi si stesse trattenendo dal piangere. «Grazie al cielo hai aperto gli occhi».
    Mi sentivo la testa pesante e mi sembrava di respirare a fatica; avevo un forte dolore al costato, come se qualcuno mi avesse da poco sferrato un pugno, e anche il braccio sinistro sembrava un ricettacolo di sofferenza. Ci misi una manciata di minuti buoni a capire che quello che mi osservava con tanta apprensione era Steve, e che quello in cui mi trovavo era un letto d’ospedale dalle coltri bianche. Ricordava così maledettamente quel giardino innevato...
    Nel rammentare ciò provai a scattare a sedere, dandomi dell’idiota non appena sentii una fitta lancinante alle costole mentre Steve mi rimetteva giù, inveendomi contro e dandomi del cretino. Beh, non me la sentivo proprio di dargli torto. «Dove... dove sono?» chiesi con un fil di voce, sentendomi la gola secca. Che cosa diavolo era successo? Quel che ricordavo era Margaret che ci attendeva in salotto, il momento in cui lei tirava fuori la pistola, Steve a terra colpito al petto... «Tu», sussurrai nel momento stesso in cui il mio cervello riuscì a mettere insieme quei pensieri, «tu sei appena morto».
    «Che stronzate vai dicendo?» rimbeccò lui con una nota lievemente isterica. «Sei tu che hai rischiato di morire, idiota! Io e i ragazzi ti abbiamo aspettato allo stadio per ore, anche dopo la partita».
    Allo stadio? La partita? Cercai di pensare con più lucidità, ma mi risultava piuttosto difficile, specialmente non riuscendo a capire come fossi finito lì. «Tu sei morto», ripetei insistente, conscio di ciò che avevo visto. A meno che non fossi tornato al mio tempo, quello doveva essere soltanto un sogno. «Stavo... stavo venendo a casa tua quando è successo», bisbigliai lamentoso fra me e me, affondando la testa fra i cuscini. «
È successo di nuovo, io sono sparito e sono stato sbalzato nel giardino dell’altro te stesso, poi tu sei... tu sei morto e...» non riuscii a continuare, sia a causa delle lacrime che minacciavano di farmi morire la voce in gola, sia per la mano di Steve - così calda, viva, rassicurante - che mi carezzava dolcemente i capelli.
    «Va tutto bene, Johnny, va tutto bene», mormorò comprensivo, come una madre che rassicurava il figlio. «Hai subito un grande shock e sei rimasto privo di conoscenza per ore, è normale che tu adesso sia confuso. Vado a prenderti un po’ d’acqua e vedo di chiamare un dottore, okay?» soggiunse poi, scostandomi qualche ciuffo dalla fronte. «Tu, però, cerca di calmarti e di fare un bel respiro. 
È stato soltanto un brutto sogno», mi carezzò ancora una volta la testa come se fossi un bambino, regalandomi un sorriso raggiante prima di dirigersi verso una porta che sulle prime non avevo visto, sparendo oltre la soglia.
    Rimasto solo, cercai di rimettere insieme i pezzi mancanti dei miei pensieri. Ero partito alla volta della casa di Steve e avevo avuto un incidente prima di compiere quel mio viaggio che mi aveva sbalzato fuori dal continuum spazio-temporale, dunque poteva anche essere plausibile che, tornando indietro, mi avessero trovato in auto privo di sensi e avessero pensato che fossi svenuto a causa dello shock; il particolare che non quadrava, però, era ciò che mi aveva detto Steve: come poteva essere possibile che, secondo lui, dovevamo vederci allo stadio? Quello era successo più di un anno addietro, e... frenai di botto il flusso di quei miei pensieri, sgranando di poco gli occhi. Ero tornato a quel momento oppure era stato tutto un sogno? Qual era la verità, perdio? E se davvero era stato tutto un sogno, perché sembrava ancora così nitido e reale? Più ci pensavo, più mi scoppiava la testa.
    Passai il resto del tempo a riflettere su tutto, cercando di capire quante cose avessi già vissuto e visto, forse nel vano tentativo di convincere me stesso che non era stato tutto un sogno: volgendo lo sguardo alla finestra, potevo vedere le stesse tende azzurre con quella macchiolina gialla che si muovevano pigramente al vento; il letto vuoto accanto a me, sfatto e dalle lenzuola bianche, con il cuscino riverso un po
verso il basso; persino i fiori sul comodino li conoscevo, e non avevo bisogno di contare le rose per essere certo che fossero precisamente dodici. Però c’era qualcosa che mancava, e non ci misi molto a capire cosa: non vedevo più quei sottili fili che di tanto in tanto dardeggiavano dinanzi ai miei occhi, dunque qual era la verità? Dirlo sarebbe stato difficile, e ancor più quando rientrò Steve, seguito da Dean. Stan, il più grande del gruppo, reggeva in una mano il filo di quattro palloncini azzurri con decorazioni rosse e gialle, ed anche quella fu un’immagine che ricordai d’aver già visto. All’appello mancava solo Matthew, il fratello di Stan.
    «La prossima volta veniamo a prenderti noi per portarti in campo, Juggernaut», provò a sdrammatizzare Dean mentre Steve posava accanto ai fiori il bicchiere d’acqua che aveva portato. «Non si può però dire che tu non faccia onore al tuo soprannome».
    «Lascialo in pace per cinque minuti, Dean», lo apostrofò Stan. «Si è appena svegliato, non ha bisogno del tuo sarcasmo».
    «Lodati siano gli airbag!» esclamò Dean in risposta, e lo vidi alzare le mani per rivolgere i palmi aperti al soffitto. Mi venne da ridere, ma mi trattenni solo perché quando ci provai sentii nuovamente dolore al costato. Dunque mi limitai a sorridere, ma, prima ancora che riuscissi a dire qualcosa, fui preceduto da Steve, che zittì gli altri due con tono falsamente arrabbiato, come se volesse più spronarli a darmi pace che a richiamarli. Stan e Dean scrollarono appena le spalle e, dopo aver legato i palloncini al letto, Stan mi salutò trascinandosi dietro Dean, che oppose finta resistenza mentre agitava una mano verso di me.
    Quando restammo soli, Stephen volse lo sguardo verso di me, abbozzando un sorrisino. «Matthew è andato a chiamare un medico», mi disse semplicemente. «Intanto ci ho pensato io ad informare Tony dell’accaduto».
    Tony era stato il mio allenatore quando giocavo a baseball, ma mi rifiutavo di credere che fossi tornato indietro o che fosse stato tutto un semplice sogno. «Tony sa già quel che è successo», mi convinsi cocciuto, facendo arcuare a Steve le sopracciglia. «I legamenti del mio braccio sono ormai fuori uso e non potrò più giocare».
    «Cosa stai dicendo, Johnny?» rimbeccò lui, accigliato.
    «Tutto questo è già accaduto», insistetti, cominciando a guardarmi freneticamente intorno mentre cercavo di ricordare cosa fosse successo in quell’esatto momento la prima volta che avevo vissuto quella scena. Quando ci riuscii, aggiunsi, «Tra non molto entrerà il dottore, mi comunicherà che il mio braccio è andato e che non potrò più giocare a baseball», e detto ciò attendemmo in silenzio, come se nessuno dei due volesse rompere quella bizzarra quiete con parole inutili e domande superflue.
    Nulla di ciò che avevo detto, però, accadde, e io ne restai sorpreso. Com’era possibile che mi fossi sbagliato? Il medico era sì venuto, pochi minuti dopo, ma mi aveva solo detto che avrei potuto lasciare l’ospedale il giorno seguente, non avendo subito gravi lesioni a parte qualche graffio al viso e dei lividi su petto e schiena. L’incidente non era stato violento ed avevo perso i sensi solo a causa dello spavento, a suo dire. E non potei fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato, in tutto ciò. Ricordavo un incidente mortale, un incidente in cui la mia mustang si era quasi accartocciata e io avevo rischiato di morire poiché il mio cuore aveva smesso di battere per quasi un minuto. Non potevo aver immaginato anche quelle cose.
    «Sentito il gran capo, Juggernaut?» mi richiamò la voce di Steve, e quando mi voltai verso di lui lo vidi sorridere. «Domani potrai tornartene a casa. Per il momento cerca di riposare e di non pensare più a quel brutto sogno. Adesso è tutto finito».
    Adesso è tutto finito. Ripetei più e più volte nella mia mente quelle parole come se cercassi di convincere me stesso che fossero vere, non riuscendo però a capacitarmi di quanto fosse accaduto fino a quel momento. Era stato davvero tutto un sogno? Avevo forse visto il futuro? Se così era stato, non avrei permesso che niente di ciò che avevo veduto si avverasse, né tanto meno che Stephen morisse senza che io potessi far nulla per impedirlo.
    Eravamo padroni del nostro destino e non ci saremmo fatti piegare da esso, affrontandolo invece con spavalderia e coraggio. E se ciò che avevo da poco vissuto era destinato ad accadere realmente, un giorno, avrei fatto in modo che le cose si svolgessero diversamente. Parola di Jonathan Wilson.

 
 
    N
on si è mai certi di ciò che la vita ti riserva finché non ti accadono le cose più impensabili. Il mondo è come un antro oscuro che nasconde nel suo ventre l’orribile verità dell’essere, e, quando alla fine scopri questa verità, concentrarsi sullo scorrere del tempo diventa snervante. Vedi le stagioni che passano, gli anni che corrono via veloci come un treno sulle rotaie, lo sfiorire della giovinezza che pian piano lascia spazio all’età della saggezza. Lo sai, lo percepisci, te ne rendi persino conto, ma quasi ti rifiuti di accettarlo. A me era successo proprio questo.
    Di tanto in tanto faccio persino dei sogni in cui rivivo il mio primo incidente, quello in cui avrei dovuto essermi rotto un braccio. Sono alla guida della mia mustang, la radio trasmette Stand by me di King e accanto a me c’è anche Steve, che la canticchia tranquillamente sottovoce. Ridiamo e scherziamo come due liceali, ma quel momento viene interrotto dalle luci accecanti di un’altra autovettura dinanzi a noi, che ci viene addosso ad una velocità disarmante; Steve ha appena il tempo di urlarmi qualcosa e sterzare lui stesso, poi quello che mi circonda è solo il buio totale. La parte peggiore del sogno è lo scenario di morte e desolazione che mi si presenta davanti subito dopo: fiamme sull
’asfalto, sangue sul cruscotto e sui sedili, qualcuno che grida in modo disarticolato e le sirene delle ambulanze che squarciano il silenzio della notte.
    Quando mi sveglio, ho sempre le lacrime agli occhi e la frase «I won’t be afraid just as long as you stand by me», l’ultima strofa che Steve ha cantato prima che il mondo ci crollasse addosso, mi vortica insistentemente nella testa, peggiorando soltanto la situazione e mostrandomi ancora una volta gli occhi sbarrati e vuoti di Steve. Però la verità è che la parte più profonda di me lo sa fin troppo bene cos’è successo. Il mio miglior amico era morto un paio d’anni prima ed io avevo inconsciamente insabbiato l’accaduto, rifugiandomi in quel mondo fatto di nebbie e di ricordi per non rammentare ciò che avevo veduto e vissuto, mescolando il reale all’immaginario, fondendo la verità alla bugia.
    Ed è portando questi fiori su quella tomba bianca e senza nome che ancora me lo domando: può essere davvero possibile distinguere un sogno dalla realtà? Perché io forse sto ancora sognando, e se così fosse... per favore, non svegliatemi. Lasciatemi continuare a sognare.

 
 
 
BREAKING THE WORLD
FINE








_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest “Scacco matto!indetto da Fe85, e si è classificata Prima.
Ammetto che è stata piuttosto travagliata. Nata senza una vera e propria trama di base, capisco poi benissimo che essa possa presentarsi piuttosto strana agli occhi del lettore. Lo era anche per me mentre la stendevo, sul serio. L'unica cosa che c'è da spiegare è la divisione comportata da questi simboli ❦※❧ giacchè la trama risulterebbe ancor più incasinata se non buttassi giù due righe in queste note ora che la storia è conclusa.
Quelle due parti sono unite e rappresentano la chiave centrale di tutto il racconto, in realtà. Diciamo che si possono considerare come il vero e proprio prologo/epilogo sul quale la storia si basa, e che esso metta qualche dubbio in più al lettore: è stato sul serio solo un sogno fatto da Jonathan, quello iniziale, o lui è rimasto così scioccato dall’accaduto che ha immaginato tutto, incluso il suo amico Stephen ancora in vita e tutto ciò che ne concerne? Il suo subconscio, anche tramite i riferimenti che spargeva ovunque - il nome del Cafè, tanto per dirne uno -,
ha forse cercato di fargli capire che qualunque cosa cerchi di fare il suo amico è destinato a morire, o forse anche quella era una prova? Spetta soltanto a chi legge capirlo e deciderlo. Chiusa questa piccola parentesi, vi lascio al commento della giudice e spero vivamente che sia piaciuta e che seguirete anche lo spin off di questa storia su cui sto lavorando.

GIUDIZIO
Grammatica e Sintassi: 9/ 10

Ti ho penalizzato leggermente perché non mi sono imbattuta in errori gravi, bensì di distrazione.
-“Là fuori avrò perso il tempo dei minuti che passavano.”→ “il conto dei minuti”;
-“Sarei persino scoppiato in una risata isterica se non mi fossi trovato a telefono proprio con lui.”→ “al telefono”;
-“quegl’universi”→ trovo che l’apostrofo stoni, usa tranquillamente la forma per esteso;
-“un ricco mercante inglese che aveva fatto fortuna in poco grazie alle sue particolari doti linguistiche”→ “in poco tempo”;
-“Fu il picchiettare di nocche contro legno che mi richiamò”→ “contro il legno”;
-“si lasciò sfuggire uno sbuffò palesemente”→ “uno sbuffo”;
-“ Fu una colazione noioso”→ “noiosa”;
-“specialmente da quando avevano tentato di spararlo”→ “sparargli”;
-“ Come gli altri volontari, decidi di passare le restanti ore ad occuparmi a mia volta dei bambini”→ “decisi”;
-“E anch’io mi rifiuta di credere a ciò che i miei occhi mi stavano mostrando.”→ “rifiutai”;
Per il resto tutto perfetto, comprese la punteggiatura e la sintassi.

Stile e Lessico: 10/10

Attenzione ai gerundi che a volte appesantiscono la struttura della frase come in questi due casi:
-“Mi drizzai a sedere di scatto sentendo tutti i muscoli indolenziti dolere da impazzire e le ossa scricchiolare sinistramente, tentando al tempo stesso di riscaldarmi come potevo e mettere a fuoco il luogo in cui mi ero ritrovato.”;
-“ regalandomi un sorriso raggiante prima di dirigersi verso una porta che sulle prime non avevo visto, sparendo oltre la soglia”.
Stile fluido, scorrevole ma ricercato allo stesso tempo, unito ad un lessico eterogeneo e particolareggiato rappresentano una delle carte vincenti di questa storia. Una menzione speciale alla tua capacità descrittiva per quanto concerne gli ambienti e le sensazioni dei protagonisti, nonché alla cura che hai dimostrato nel destreggiarti tra varie epoche e nazioni: tra le tue righe, infatti, ho ritrovato molti elementi della cultura americana, nonché di quella inglese. Evocativo anche il riferimento al quadro di Van Gogh.

Trama/ Originalità: 20/20

Onestamente, non so da dove cominciare ad elencarti ciò che mi è piaciuto di più di questa storia. Tutto può bastare? Ho amato ogni singola parola, ogni singola frase, introduzione compresa ed è proprio su di essa che si è calamitata la mia attenzione.
Ho deciso di premiarti assegnandoti il massimo punteggio perché hai saputo metterti in gioco, sperimentando qualcosa di innovativo e originale, ed era proprio l’originalità che mi aspettavo emergesse dai vostri racconti.
A mio parere, il punto di forza di questa storia, oltre l’ottima padronanza lessicale, è proprio il velo di mistero che la permea, lasciando libera interpretazione al lettore, che da semplice spettatore si trasforma in un vero e proprio “critico” che avanza le sue ipotesi riguardo l’evolversi della vicenda. Inoltre, non manca quel sottile velo di ironia che vivacizza il tutto, mantenendo vivo l’interesse. In alcuni passaggi, ho avuto quasi l’impressione che i personaggi fossero delle marionette, vittime ignare di un gioco crudele e guidate da una mano invisibile; non so spiegartelo, ma mi sembrano parte di un progetto più grande di loro. Da amante dei dettagli quale sono, mi è piaciuta anche l’impostazione grafica e la tua spiegazione riguardo al simbolo usato che si ricollega alla storia.
Tuttavia, devo farti i complimenti anche per il modo in cui hai trattato la neve, richiamandola spesso nella storia, persino nel “presente”. La malinconia è provata sia da Steve nel momento in cui racconta del fratello deceduto, sia da Johnny quando ripensa alla sua carriera ormai finita. Effettivamente, per la questione dei mondi paralleli ho pensato ad un probabile collegamento con Final Fantasy, ma tu hai saputo rendere tuo questo concetto, personalizzandolo. E’ buffo, inoltre, notare che le parti si siano invertite: nel “presente” è Steve ad essere protettivo nei confronti dell’amico, mentre nel “passato” è esattamente il contrario. Il sosia di Steve (oddio, che casino XD) hai i modi di fare di un orso: è burbero, scostante e, non essendo bravo a parole, preferisce agire coi fatti. Johnny, invece, è inizialmente intimorito da ciò che gli accade intorno, e ne acquista la consapevolezza col progredire della vicenda, così come capisce che i suoi sentimenti nei confronti dell’amico sono mutati. Passiamo brevemente a parlare di Margaret: intrigante la tua scelta di far pronunciare a lei, un personaggio secondario, la frase “Scacco matto!”, anche se in quel frangente è proprio lei ad avere il coltello (o meglio, la pistola) dalla parte del manico. Con pochi ma essenziali passaggi sei riuscita a rappresentarla sapientemente, mostrando la sua sagace crudeltà.

Giudizio Personale: 5/5

Come si evince dalla valutazione, ho amato la tua storia, tanto che non sono riuscita a staccare gli occhi dallo schermo durante la lettura, curiosa di scoprire il modo in cui si dipanasse la trama e la conclusione. Ciò che è successo a Johnny è stato un sogno? E’ la realtà? Chi può dirlo…
La confusione che tanto disorienta il lettore è ciò che ti spinge a proseguire nella lettura e ad affezionarti ai tuoi personaggi, a parteggiare per loro. Nulla è scontato, nulla è banale, questa storia sprizza originalità da tutte le righe.

Punteggio: 44/45




Alla prossima ♥
_My Pride_



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