Fanfic su attori > Coppia Gyllenhaal/Ledger
Ricorda la storia  |      
Autore: alessiasc    11/07/2011    5 recensioni
Truth is, sometimes I miss you so much I can hardly stand it.
Jake Gyllenhaal dopo la morte dell'amico Heath Ledger. Se non volete piangere, non leggetela. D: Se ci sono errori, mi scuso. Ho pianto scrivendola e rileggendola. çç
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La mattina del 22 Gennaio l'aria era fresca e il cielo prometteva tempesta. Erano le 15 quando ricevetti quella chiamata e ricordo di aver desiderato di aver dimenticato il cellulare sul tavolo in cucina come mi capitava spesso, mentre portavo Matilda all'asilo. Risposi mentre ero seduta in macchina, e ricordo bene di essere stata di corsa, perché il mio tono era scocciato e affannoso. «Signorina Williams?» disse una voce a me sconosciuta dall'altro capo della cornetta. «Sì?» «Salve, sono un medico. Volevo comunicarle che il suo ex marito è... deceduto, signorina. Mi dispiace... tanto.» quel medico sarà stato di sicuro qualcosa come uno specializzando o un infermiere o qualcosa del genere perché il suo poco tatto mi fece frenare di colpo e una macchina mi tamponò. Non ci feci neanche caso, salii sul marciapiede e feci retromarcia come si vede in quei film d'azione surreali e mi diressi verso casa di Heath. Quando arrivai il palazzo era già circondato da telecamere, macchine della polizia e ambulanze. C'erano addirittura alcuni fan, con gli occhi strabuzzati, rossi e umidi. La mia immagine riflessa sullo specchietto mi fece capire prima ancora di rendermente conto fisicamente che stavo piangendo, e non da poco. Scesi dall'auto ed entrai nell'incubo.

Sobbalzai sul letto quando il cellulare si mise a tremare sul comodino. Chi mi chiama alle 2 del mattino? Mi chiesi, e rimasi alquanto stupito nel leggere “Michelle Williams” sotto il gruppo di “Ex di Heath”. Risi rileggendo il nome di quel gruppo strabordante di nomi. Chissà perché mi stava chiamando, pensai. Magari aveva bisogno che tenessi la piccola. Ma, perché mai mi doveva chiedere un favore del genere alle due di notte? Forse aveva di nuovo litigato con Heath e voleva un consiglio per riprendere con lui rapporti da esseri umani anche se divorziati.
Risposi, assonnato e lei disse a voce bassa, come per non far trasalire nessuna emozione: «Sono sotto casa tua, devo dirti una cosa che non si può dire al telefono. Muoviti, Jake, per favore» e poi riattaccò.
Che diavolo doveva dirmi di così importante nel bel mezzo della notte? Tutti che se ne approfittavano solo perché ero in città. Sbuffai, mi infilai i pantaloni e una maglietta bianca, le scarpe, presi la giacca e uscii di casa chiudendomi la porta alle spalle. Scesi gli scalini velocemente, saltandone uno ogni due e aprii il cancello.
Michelle era appoggiata alla sua porche nera, vestita sportiva con dei jeans blue e una maglia scura. Quando mi avvicinai notai che aveva gli occhi rossi. Non credevo che una persona normale potesse avere gli occhi così rossi. In macchina non c'era nessuno. Nemmeno Matilda.
«Michelle, che cosa è successo?» chiesi. Ricordo che fu in quel momento, quando Michelle aprì la bocca e la richiuse con un singhiozzo, che cominciai seriamente ad allarmarmi. Mi sedetti sul cofano dell'auto accanto a lei e le accarezzai la schiena. Lei riuscì a parlare solo dopo 10 minuti e tanti singhiozzi che toglievano il fiato e spezzavano il freddo silenzio. «Oh Jake, dimmi che non hai visto il notiziario oggi..» sussurrò.
«No, non ho visto nessun notiziario. Ho lavorato tutto il giorno e appena arrivato a casa mi sono addormentato. Che è successo? Matilda sta bene?» riprese a piangere, più forte, e io l'abbracciai. «Hey, Michelle, mi stai facendo preoccupare seriamente, prendi un respiro e dimmi perché piangi. Ti ha detto qualcosa di cattivo, Heath?» Pianse ancora più forte così la strattonai. «Michelle Williams, ti prego, dimmi cosa sta succedendo.» Il cuore mi martellava nel petto e sentivo gli occhi lucidi e freddi.
«Jake io.. non so come.. come.. come dirtelo, io..» prese un respiro profondo e si alzò dal cofano. Si asciugò le lacrime mentre si allontanava da me qualche passo. Feci per seguirla ma lei mi fermò.
Ricordo il suo discorso parola per parola. Era fermo, deciso, non si era fermata nemmeno una volta per riprendere fiato o per concedersi un secondo per piangere, nonostante fosse un discorso breve e doloroso.
«Heath è stato trovato morto, Jake. Oggi pomeriggio, presto. Dalla domestica. Era steso a terra e durante l'autopsia hanno trovato qualche medicinale di troppo e hanno attribuito la sua morte a questo. E' morto Jake, Heath è morto» e poi si era nascosta il viso tra le mani e aveva pianto tutte le sue lacrime.
Rimasi a guardarla mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi e il suo viso coperto dalle mani bianche come il latte per colpa del freddo. La osservai per dieci, venti, mille minuti, prima di rendermi conto di quello che aveva detto. Lasciai cadere le mie chiavi di casa, tenendo in mano solo il secondo mazzo attaccato al portachiavi, e salii sulla macchina che Michelle aveva lasciato accesa. Feci la retromarcia sul vialetto e poi presi lastrada verso casa di Heath. Le lacrime calde e pesanti mi rigavano il viso e cadevano come una cascata sul collo, scendevano nella maglia bagnandola. Arrivai davanti a casa sua e scesi dalla macchina, lasciando tutto acceso e le chiavi nella toppa.
Corsi verso il cancello e con le mani che tremavano lo aprii, per poi correre verso la porta di ingresso e aprire anchessa. Entrai in casa e quell'odore così familiare mi entrò nei polmoni. «Heath!» esclamai. Nessuna risposta. Corsi in camera sua.
«HEATH! HEATH!» urlai. «Heath non fare il coglione. Non sai che storia mi ha raccontato quella demente della tua ex moglie! Dai vieni fuori! HEATH!» corsi in ogni stanza aprendo la porta rumorosamente e trovando ognuna delle camere vuote. Poi arrivai in salotto e vidi il segno dei gessetti sulla moquette stile CSI. «HEATH!» urlai con tutto me stesso, mi accasciai a terra affianco alla sagoma sbiadita del mio migliore amico e cominciai a piangere così forte che sentii gli occhi e il cuore scoppiare. «Heath ti prego, non è divertente, HEATH! Non è divertente dai!» urlai, simulando una risata che sembrava più un sorriso bagnato ed era più un pianto dispeato. «No, ti prego Heath, ti prego, non puoi lasciarmi, amico, mi senti, ti prego, non lasciarmi, vieni fuori e dimmi che non è successo niente. Ho bisogno di te Eitch (=H)!» piansi e piansi ancora, senza smettere mai e senza sentire mai il bisogno di smettere. Mi sentivo stanco e debole. «CAZZO HEATHCLIFF!» urlai «CAZZO! CAZZO! CAZZO! HEATH! CAZZO!» cominciai a battere pesanti pugni sul pavimento e alzai la polvere che la moquette conteneva.
Passarono ore prima che riuscissi ad alzarmi in piedi. Guardai un'ultima volta la sagoma bianca sul pavimento, poi uscii, con il viso bagnato e il corpo tremante. Erano le 5 del mattino e l'aria era gelida. Ricordo di aver chiuso bene sia la porta principale che il cancello prima di entrare in macchina e ripercorrere la strada verso casa.
Quando aprii la porta, aperta, vidi Michelle, seduta sul mio divano che guardava nel vuoto. «Michelle, ti prego vai via.» le dissi. Lei annuì e mi fece un debole sorriso. «Mi hanno chiamata e mi hanno detto che devo essere io a scegliere la bara e a programmare il funerale» disse però prima di uscire. «E sono stata lì seduta a guardare il nulla da quando sei andato via.» le feci cenno di continuare. Il mio viso era invaso dalle lacrime che non cessavano mai di scendere. Mi sentivo piccolo, bagnato e sporco. «E non sono riuscita a pensare ad altro che come dire a Matilda che suo padre non c'è più. Come faccio a dire ad una bambina di tre anni che non vede l'ora di abbracciare il suo papà, che non potrà mai più farlo?» singhiozzò e prima di sentire una risposta, che non sarebbe comunque arrivata, mi guardò negli occhi e mi fece un altro di quei sorrisi deboli per poi uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Mi buttai sul divano e ricominciai a piangere. E poi una parte di me si disse che sicuramente il mio migliore amico era uscito la sera e non era tornato e che in quel momento sicuramente l'avrei trovato a casa o sul cellulare, perché era passato a farsi una doccia e cambiarsi prima di andare al lavoro.
Presi il telefono e composi velocemente il numero di casa. Gli occhi mi bruciavano così tanto che dovetti riscrivere il numero cinque volte prima di decretarlo giusto. Beeep. Beeeeeep. Beeep. «Hey, questa è la segreteria telefonica di casa Ledger. In questo momento non sono in casa o non posso risponderti, oppure non ho voglia, richiamami o lascia un messaggio dopo il... BIP.» la sua voce mi scaldò il cuore. Le lacrime cessarono per qualche secondo lasciandomi gli occhi secchi e sbattere le palpebre diventò fastidioso.
Presi un lungo respiro e digitai il numero di cellulare che azzeccai al primo colpo. Beep. Beep. Beep. «Ciao questa è la segreteria telefonica del numero personale di Heath Ledger, cioè me, cioè l'uomo più figo al mondo. Se sei un paparazzo, ma non credo, chiamami sull'altro numero. Se sei Michelle, ed è successo qualcosa a Matilda, chiamami a tutti i numeri che conosci e se non rispondo vieni a cercarmi. Se sei Jake, ci sono due possibilità: o è di nuovo l'una di notte ma stavolta mi sono ricordato, finalmente, di spegnere il telefono e se questo è il caso piantala di chiamarmi all'una di notte per raccontarmi la tua vita, cioè, con amore Jake, ma di queste cose si può discutere anche alle quattro del pomeriggio. Oppure potrebbe essere che non rispondo perché è successo qualcosa di grave quindi chiama la polizia e mandala a casa mia. Se siete qualcuno a cui non rispondo mai, fatevi delle santissime domande, signori. Per gli altri, lasciate un messaggio dopo il BIP.» Le lacrime erano partite al suono del mio nome e non erano mai terminate. Quella notte ascoltai quel messaggio fino a saperlo a memoria. Avevo la sua voce che rimbombava nella testa e avevo anche cominciato a sorridere quando diceva di non chiamarlo all'una di notte. In effetti capitava alquanto spesso ma sapevo che non avrebbe mai spento il cellulare la notte proprio per questo. Non l'avrebbe mai ammesso ma amava quando lo svegliavo per parlargli della mia vita e obbligarlo a parlarmi della sua. Era una cosa che facevamo da sempre. Quel messaggio l'avevo sentito una volta sola prima di quella notte, quando lo registrò, il giorno in cui nacque Matida e stavamo aspettando che una dottoressa venisse a dirci qualcosa, in sala d'aspetto. Ero affianco a lui e ridevo come un demente, infatti in alcune parti del messaggio si sente la sua voce che sorride e la mia risata di sottofondo.

56 ore, 15 minuti, 22 secondi dopo.
Tutto era scuro. Tutto era nero e non c'era più niente di bello. Non c'erano colori, non c'era aria, non c'era il sole o la luna né le stelle e l'arcobaleno. Il mondo era diventato scuro. Così si presentò quel pomeriggio, il 25 Gennaio 2008. La bara nera era coperta di fiori bianchi. Tutti avevano la testa bassa ma erano pochi quelli che piangevano. Michelle, che teneva la manina di Matilda aveva degli occhiali neri che nascondevano le lacrime che però apparivano sulle guance.
Mi avvicinai a lei mentre qualcuno diceva qualcosa su Heath e sulla sua carriera e su quanto fosse speciale. Matilda mi venne incontro appena vide che mi stavo avvicinando così la presi in braccio sospirando. «Ciao bellissima» sussurrai. Aveva gli occhi spalancati e umidi, ma non piangeva. Si guardava intorno smarrita. Le baciai la guancia e la lasciai di nuovo a terra. Lei mi sorrise e tornò dalla sua mamma.

Guardai la tomba e immaginai il suo corpo all'interno. Solo, freddo. Mi vennero i brividi e mi misi due dita sugli occhi chiusi per asciugarli. Qualcuno, che non vidi, mi mise una mano sulla spalla e se ne andò.
Finita la cerimonia andai con gli invitati sulla spiaggia dove avevamo fatto surf insieme qualche anno prima. Era deserta se non per noi e la bara. Mi sedetti a terra e tornai a piangere le lacrime che ancora avevo e che avevo conservato per quel momento sulla spiaggia.
Tornato a casa, chiamai ancora sul suo cellulare. Avevo chiesto a Michelle di non buttarlo mai, di caricarlo quando si scaricava e di non accenderlo se non per vedere lo stato della batteria.
«Ciao questa è la segreteria telefonica personale di Heath Ledger..» e lo ascoltai ancora e ancora, con le gambe strette al petto, sentendomi un completo idiota, una femminuccia, una bambina. Matilda avrebbe dovuto piangere così non io. Oppure dovevo essere proprio io che avevo passato così tanto tempo con lui, avevo parlato di così tante cose con lui, e avevo vissuto troppe esperienze nuove con lui. Io che l'avevo baciato sul set e fuori dal set, un po' per gioco e un po' per amore. Perché quello che provavo per Heath era amore in tutti i modi. Era il mio migliore amico, mio fratello. Litigavamo come una coppia di sposati e ci volevamo bene come un padre vuole bene ad un figlio. Lui era tutto per me. E mentre ascoltavo quella segreteria mi venne in mente Brokeback Mountain. In quel film muoio io. E lui non mi dimentica, non mi dimentica mai. E mi ama fino alla fine. E fu in quel momento mentre sentivo il “BIP” che mi resi conto che, come Ennis Del Mar non avrebbe mai dimenticato Jack, io, Jake Gyllenhaal non avrei mai dimenticato Heath.
Lo giuro.

6 mesi, 2 giorni, 7 ore dopo.
«Ciao questa è la segreteria telefonica del numero personale di Heath Ledger, cioè me, cioè l'uomo più figo al mondo. Se sei un paparazzo, ma non credo, chiamami sull'altro numero. Se sei Michelle, ed è successo qualcosa a Matilda, chiamami a tutti i numeri che conosci e se non rispondo vieni a cercarmi. Se sei Jake, ci sono due possibilità: o è di nuovo l'una di notte ma stavolta mi sono ricordato, finalmente, di spegnere il telefono e se questo è il caso piantala di chiamarmi all'una di notte per raccontarmi la tua vita, cioè, con amore Jake, ma di queste cose si può discutere anche alle quattro del pomeriggio. Oppure potrebbe essere che non rispondo perché è successo qualcosa di grave quindi chiama la polizia e mandala a casa mia. Se siete qualcuno a cui non rispondo mai, fatevi delle santissime domande, signori. Per gli altri, lasciate un messaggio dopo il BIP.»
«Heath. In effetti è circa l'una di notte e so che non dovrei chiamarti ma.. volevo dirti che ti voglio bene amico. Davvero. E che.. beh, la verità è che certe volte mi manchi così tanto che ho paura di non farcela» lo dissi tutto d'un fiato e riattaccai. Non piangevo da mesi, ma in quel momento mi scese una lacrima. Guardai la nostra foto insieme sul comodino e sorrisi.

3 anni dopo la sua morte. Oggi.
«Ciao questa è la segreteria telefonica del numero personale di Heath Ledger, cioè me, cioè l'uomo più figo al mondo. Se sei un paparazzo, ma non credo, chiamami sull'altro numero. Se sei Michelle, ed è successo qualcosa a Matilda, chiamami a tutti i numeri che conosci e se non rispondo vieni a cercarmi. Se sei Jake, ci sono due possibilità: o è di nuovo l'una di notte ma stavolta mi sono ricordato, finalmente, di spegnere il telefono e se questo è il caso piantala di chiamarmi all'una di notte per raccontarmi la tua vita, cioè, con amore Jake, ma di queste cose si può discutere anche alle quattro del pomeriggio. Oppure potrebbe essere che non rispondo perché è successo qualcosa di grave quindi chiama la polizia e mandala a casa mia. Se siete qualcuno a cui non rispondo mai, fatevi delle santissime domande, signori. Per gli altri, lasciate un messaggio dopo il BIP.»
Prendo un respiro profondo. Dopo tutto questo tempo la sua voce mi fa ancora venire la pelle d'oca. E' il 22 Gennaio 2011 e la segreteria telefonica è ancora attiva. «Ciao Eitch (=H). Oggi al notiziario hanno fatto uno speciale solo per te. È stato stupendo sai? C'era.. beh, c'era della gente che piangeva e hanno intervistato qualche tuo fan. Sei ancora un figo qui, come dici tu. E beh è bello sentire la tua voce, sopratutto quando dici il mio nome. Non è l'una di notte però ora e non penso che chiamare la polizia per dire di andare a casa tua sia una grande idea. Però ho ancora una cosa da dirti.. sono passati tre anni, Heath. Amico tre anni sono tanti, cazzo. E la verità è che, ancora adesso, certe volte mi manchi così tanto che ho paura di non farcela. Ti voglio bene, Heath» i singhiozzi rompono il suo nome a metà e io riattacco. Sono passati tre anni dalla sua morte e così tanti dal nostro film insieme. E quella frase mi accompagna tutte le notti prima di addormentarmi.
Mi manca mio fratello,
mi manca il mio migliore amico.
Mi manca rompere i coglioni a Heath all'una di notte.
Mi mancano i suoi abbracci e le sue parole.

Ma quella segreteria mi salverà sempre, anche se a volte mi manca così tanto che ho paura di non farcela.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Coppia Gyllenhaal/Ledger / Vai alla pagina dell'autore: alessiasc