Belle of Boulevards
Ah, che bella Parigi! Parigi è la città
della moda, dell’amore, delle coppiette…
“Maledetta pioggia!”
E della pioggia, appunto.
Rebecca si sistemò il costoso trench,
schifata dall’acqua che le increspava i capelli, mentre con un piede e con un
grazioso salto evitava una grossa pozzanghera.
“Accidenti a questa pioggia e a quando
sono venuta ad abitare qui!” grugnì un’ennesima volta, correndo sotto
l’ombrello verso l’appartamento in cui abitava.
Nonostante odiasse l’acqua che stava ora
precipitando, amava infinitamente Parigi, amava il suo appartamento minuscolo
dove abitava con il suo compagno di avventure e amava il francese, ma non le
lumache.
Gli Champs-Elysees non erano mai stati
così deserti: che diamine, lì c’erano migliaia di boutique di lusso, bar e
cinema; insomma, durante un giorno di pioggia i parigini potevano trascorrere
la giornata al calduccio.
Ma non lei, lei che doveva provare di
nuovo quella coreografia da presentare all’Opera e che ora stava sguazzando in
quelle enormi pozzanghere.
Sperava vivamente che Joseph fosse a casa
perché non aveva le chiavi e, cosa più importante, sperava che avesse preparato
la cena e non avesse strimpellato una chitarra per tutto il tempo, ma
quell’uomo era uno scansafatiche.
Nei suoi ventuno quasi ventidue anni non
pensava altro che a chitarre, ragazze e affitto da pagare, ma visto che era uno
squattrinato Rebecca era quella che gli faceva il piacere di sborsare i soldi
al posto suo.
Il portico di casa non era molto lontano,
e i suoi occhi castani si illuminarono alla visione che le avrebbe salvato la
vita.
Corse più velocemente per raggiungere la
salvezza, ma un’auto le sfrecciò accanto e l’acqua la sommerse da capo a piedi.
Imprecò un’ennesima volta e guardò sconsolata i suoi vestiti.
Quando giunse di fronte alla porta di casa
sul quale campanello spiccava il suo cognome italiano, premette quel dannato
tasto più volte e pregò vivamente che Joseph le aprisse. Ma lui non dava segni
di vita.
“Apri Joseph, cazzo!”
Finalmente la porta si spalancò e Rebecca
salì di corsa le scale, bagnando tutto il tappeto che le ricopriva.
“Buongiorno, mio raggio di sole!” gridò
Joseph appena lei entrò in casa.
La raggiunse per abbracciarla, ma dopo
aver visto il suo stato si ritrasse schifato.
Joseph era tutto tranne che coerente con
il mondo: erano le otto di sera e pioveva a catinelle, e quell’essere immondo
aveva il coraggio di dire le parole “buongiorno” e “raggio di sole”.
Beh, l’umore di Rebecca non era uno dei
migliori e la sua reazione nemmeno, dopo aver visto il tavolo non apparecchiato
e dopo aver sentito il suo stomaco che brontolava. Diventò rossa come se stesse
per esplodere, così tanto che Joe si rintanò spaventato dietro il divano.
“Joseph!”
Il ragazzo emerse per un attimo da dietro
al sofà, pallido come un cencio: conosceva bene le reazioni della sua migliore
amica e conosceva anche le conseguenze, ma la musica gli aveva portato via un
bel po’ di tempo quel giorno.
“La cena! È l’unica cosa che ti chiedo di
fare e tu non la fai?! Cazzo, pago
l’affitto, lavoro, cucino, pulisco…”
Joseph sospirò e osservò Rebecca in
un’altra delle sue innumerevoli crisi isteriche.
“… e tu non fai niente?!”
Nonostante non avesse sentito un cavolo di
quello che la sua migliore amica aveva detto, Joseph tremò quando lei gli passò
gocciolante accanto, carica di vibrazioni negative.
Per questo tentò di cucinare, almeno
avrebbe calmato la sua furia. Quando Rebecca tornò da camera sua asciugata e in
tuta, si sorprese di vederlo affaccendato attorno ai fornelli.
“Sta’ attento a non bruciare casa, che
dopo finiremo sotto un ponte”
Joseph in risposta iniziò a canticchiare
una melodia appena inventata, negli stessi attimi in cui la sua amica
apparecchiava la tavola e straparlava di lavoro, lavoro e lavoro.
“Ehi Joe, mi ascolti?”
Il ragazzo continuò a canticchiare la
canzone, scuotendo la testa e buttando la pasta nell’acqua così delicatamente
che schizzò ovunque. Rebecca roteò gli occhi castani al cielo, prima di
rubargli il posto ai fornelli, cosicché lui potesse tornare alle sue chitarre.
“Dai Becky, non essere così acida! –
grugnì Joseph, prima di lanciarsi sul divano, - so che il lavoro ti stressa…”
“Il lavoro non mi stressa! – sbraitò lei più incavolata di prima, - sei tu che
mi stressi!”
Joe si alzò dopo due attimi che si era
seduto, marciò verso di lei e le mise le mani sui fianchi, facendola irrigidire
immediatamente.
“Rebecca, tranquillizzati. Non ho
cucinato, non ho pulito e non ho neanche apparecchiato… e allora?” le sussurro
in un orecchio, divertito.
Rebecca si fermò a mezz’aria.
“Joseph, ho un coltello. Va’ via
altrimenti ti ritroverai i tuoi fantastici addominali attraversati da una lama
– ribatté lei, sarcastica, - e non sto scherzando”
Joe si allontanò immediatamente da lei,
leggermente spaventato dal suo nervoso, e si accasciò sulla sedia.
“Oh dai, Becky, non litigavamo così da
quando tu hai osato dire che Draco Malfoy era migliore di Hermione Granger! –
disse Joseph, ticchettando le dita sul tavolo, - non sai quanto ti sbagli”
“Ti conviene non farmi replicare: se ti
sentisse una mia amica, ti avrebbe già ucciso da un pezzo… mai criticare Tom
Felton! Verrebbe a ucciderti con la sua racchetta da tennis…” sospirò Becky
divertita.
Joe sbuffò indispettito: mai dire che Emma
Watson era peggiore di Tom Felton! Insomma, quella donna gli era sempre
piaciuta!
“Perché, è una tennista? – chiese poi, - a
Nick piacciono le tenniste!”
Rebecca quasi scoppiò a ridere
all’affermazione dell’amico, ma continuò a tagliare una carota per mantenere
un’aria seria.
“A tuo fratello piacciono pure le vecchie
decrepite – commentò, in riferimento a Delta Goodrem, - e a te? Ti piacciono le
tenniste?”
Joe scosse la testa: “No, ma le ginnaste
sì.”
“E quelle che non fanno niente dalla
mattina alla sera bevendo caffè e fumando, ti piacciono?” chiese lei, mentre un
vago rossore le trapelava tra le guance.
La domanda le sorgeva spontanea: le
ballerine, ti piacciono?
Joe annuì con energia, alzandosi dalla
sedia con uno scatto.
“Ma quelle che mi piacciono di più –
dichiarò, raggiungendo Rebecca e togliendole il coltello di mano, - sono le
ballerine!”
Lei arrossì e per un attimo ringraziò il
cielo di non avere più quel coltello tra le mani, altrimenti l’avrebbe fatto
cadere e una reazione a catena si sarebbe scatenata.
Perché il coltello sarebbe caduto sui
piedi di Joe, che venivano tagliati dalla lama nonostante le scarpe; avrebbe
dovuto portarlo all’ospedale, dove veniva ricoverato; avrebbe passato la notte
lì al suo fianco; lui avrebbe avuto un’emorragia per colpa di quel cavolo di
coltello che aveva in mano e sarebbe morto. E lei non poteva stare senza quel
cretino di Joseph Jonas.
“Becky?”
Rebecca alzò la testa, arrossì nuovamente
a causa di quella distanza molto vicina e boccheggiò, senza parole. Provò a
biascicare qualcosa, ma si trovò le labbra di Joe sulle sue in un attimo.
In seguito la cena si bruciò (e se ne
fregarono altamente), Joe non finì fortunatamente all’ospedale per colpa del
coltello, Becky ringraziò la pioggia e le prese un collasso da farle temere che
presto sarebbe finita in una clinica per colpa del suo “compagno di
appartamento svitato”.
Beh, io l’avevo detto che Parigi era la
città dell’amore.