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Autore: Prof    12/07/2011    2 recensioni
Freddo Freddo Freddo!
Una sera d'inverno, un divano, due coperte, due paia di fratelli e un camino che non si accende.
Cioccolata Calda
Inghilterra non poté fare a meno di chiedersi se, nel pronunciare quel nome con tanta leggerezza e spinto dall'euforia, America non avesse provato perlomeno un piccolo, piccolissimo, minimo “qualcosa”, come una specie di fastidio indefinito, un sentore di tempi remoti eppure piacevoli, luminosi...
La casa in mezzo alla neve
La neve non piaceva a Romano. Era fredda, ostica, bagnata, silenziosa eppure fin troppo appariscente. Era infida, quella roba lì, così candida eppure così dannosa. Faceva proprio schifo la neve, e davvero non era mia riuscito a capacitarsi di come suo fratello potesse esserne puntualmente affascinato, catturato dalla sua falsa delicatezza come il più puerile dei mocciosi.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Seconda pubblicazione. Le fanfiction sono state accorpate in un unico capitolo, e hanno subìto una revisione, che però non ha modificato la sostanza delle stesse. Ero dubbiosa se continuare o meno con questa specie di esperimento; alla fine mi sono decisa che un tentativo si può fare. Questa serie di flashfic non seguirà una vera e propria trama, ma saranno tanti momenti l'uno legato all'altro, molto probabilmente per la maggiore introspettivi. Quindi, non credo che andrà a parare da qualche parte, come fanfic, e soprattutto mi rendo conto che non sia molto "appetibile". ^^''
Grazie per l'attenzione.



Titolo Raccolta: Piece of the World

Titolo: Freddo Freddo Freddo!

Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi:Veneziano, America, Romano, Inghilterra (VARI)
Genere: comico, sentimentale, malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: oneshot, Slices of life, (freddo)
Disclaimer: di Hidekaz Himaruya.
Note: Avevo freddo... E bisogno di una stupidata che facesse sorridere. Alla fine è venuta un pochino triste, però. E forse un po' troppo “criptica”. ^^''
Riassunto: Una sera d'inverno, un divano, due coperte, due paia di fratelli e un camino che non si accende.




Freddo Freddo Freddo!



Non era per nulla bella la neve che cadeva quella sera; i fiocchi erano troppo grandi, scendevano con troppa velocità ed erano troppi per avere un minimo di grazia nel cadere.
A Veneziano in genere piaceva la neve; in particolare, gli piaceva stare ad osservare la neve scendere piano piano, leggiadra, i fiocchi bianchi che volteggiavano nell'aria fredda, come tante piccole ballerine.
Quella sera però, le neve non era per nulla bella. I fiocchi non ballavano come loro solito; cadevano invece in linee dritte dritte, oblique rispetto al piano della strada, con così tanta velocità che sembrava volessero arrivare subito a terra, senza prima nemmeno un accenno di danza.

Un brivido percorse il corpo dell'italiano: il solo guardare la neve gli aveva fatto venire freddo. O meglio, gli aveva ricordato quanto freddo ci fosse.
Seduto sul divano, si strinse allora nelle due coperte che lo avvolgevano, cercando di attirare il più possibile le gambe al proprio petto, giusto per non permettere al freddo di aggredirgli pure i piedi – eppure stava indossando addirittura due paia di calzini.
Al suo fianco, per la precisione appiccicato al suo fianco, America tremò a sua volta, per poi starnutire senza coprirsi la bocca – non poteva del resto, aveva le mani bene al caldo nascoste sotto le due coperte.
“Hai f-finito, Iggy?”
Al ragazzo americano la domanda costò molta fatica, in termini di dispersione di calore, tanto che non poté fare a meno, nel formularla, di sbattere i denti in modo convulso.
L'interpellato si voltò con una calma esasperata, aggrottando minacciosamente le sopracciglia; d'istinto Veneziano cominciò a tremare di più.
“Ti sembra che abbia finito?!” e indicò con un gesto secco della mano il caminetto di mattoni rossi, mortalmente spento. Al suo fianco, il fratello di Italia che armeggiava con legna, rametti e foglietti vari.
Veneziano non aveva badato all'orario in cui suo fratello e il fratello di America avevano cominciato ad accendere il camino; gli sembrava però che ci fosse ancora il sole, se non sbagliava. Guardò fuori dalla finestra, dove i fiocchi di neve precipitavano dal cielo; adesso era buio pesto. E il camino era ancora spento. Si strinse nelle coperte, aderendo di più alla spalla del suo compare infreddolito.

“Ma io ho freddo!” piagnucolò America, facendosi a sua volta più vicino a Italia.
Inghilterra gli scoccò un'occhiataccia di pura irritazione, ma qualunque cosa volesse dire fu interrotta dall'intervento di Romano, irritato tanto quanto l'inglese. Se non di più.
“E allora? La piantate di lamentarvi voi due?! Sembrate le tre Marie!” sbottò.
America non capì, mentre Veneziano avrebbe voluto ribattere che loro erano solo in due, e che non potevano fare le tre Marie solo in due. Lo sguardo grave di Inghilterra lo fece desistere dal proposito.
America starnutì, ancora. Tirò su il naso un paio di volte, per poi cacciarlo nelle coperte. Italia fece lo stesso, prima che il suo di naso cadesse congelato.
“Fratellone, ma quanto ci mettete?” pigolò, la voce ovattata dalla stoffa pesante.

Romano, accucciato di fronte al camino, voltò la testa verso il fratello, con un gesto nervoso.
“Ci vuole pazienza, per accendere un camino!” E con il tono calcò particolarmente sulla parola “pazienza”.
“Ma se è da questo pomeriggio che ci provate! Ditelo che non siete capaci!”
“America, tu sta zitto! - gli urlò contro Inghilterra, paonazzo in viso. - Se avessimo seguito i tuoi consigli adesso la mia casa sarebbe esplosa!”
“Ecco, appunto. - aggiunse Romano da terra. - Lasciate fare a noi.”
Inghilterra si voltò nuovamente verso il camino, accucciandosi a sua volta di fianco a Romano e cominciando a scambiare con lui qualche suggerimento su come mettere meglio la legna per salvaguardare il corretto flusso d'aria.

America e Italia, zitti zitti, salvo il battere dei denti, fissarono la scena, che ormai conoscevano a memoria.
Insieme, si coprirono la testa con le coperte, lasciando praticamente al gelo solo i volti. Con una sincronia spontanea si voltarono l'uno verso l'altro.
Si scambiarono un'occhiata di comprensione, battendo sempre i denti – e parevano quasi andare a ritmo.
Tennero il contatto visivo quanto più poterono – poco, a dire il vero.
Poi, come scoppiata una scintilla invisibile tra di loro, nel medesimo istante, spinti da una sorta di euforia disperata, si abbracciarono e guancia contro guancia, piagnucolando con tutte le loro forze, in coro urlarono a gran voce: “Fratellone! Abbiamo freddo!”

Gli interpellati saltarono sul posto, colti alla sprovvista da tanto schiamazzo d'improvviso. Ma mentre Romano si voltava, si alzava in piedi di scatto, e in due passi era già lì davanti ai due casinisti piangenti pronto con una sequela di rimproveri da far venire i capelli bianchi, Inghilterra rimase immobile, seduto per terra.
Romano, dietro di lui, stava strillando che erano una coppia di ingrati, e che invece di lamentarsi potevano pure alzare le chiappe e andare a preparare una bella cioccolata calda, se avevano tante energie da perdere in pianti.
Da terra, Inghilterra abbracciò le proprie gambe, stringendole al petto, e nascose metà viso in mezzo alle ginocchia.  
E mentre Romano cacciava gli altri due in cucina a lavorare, non poté fare altro che fissare la fiammella, accesa con tanta fatica, estinguersi lentamente.





Titolo: Cioccolata Calda
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Italia, Inghilterra (America, Romano)
Genere: malinconico, introspettivo, angst
Rating: verde
Avvertimenti: flashfic
Disclaimer: di Hidekaz Himaruya
Note: Seguito di "Freddo, Freddo, Freddo!"
Riassunto: Inghilterra non poté fare a meno di chiedersi se, nel pronunciare quel nome con tanta leggerezza e spinto dall'euforia, America non avesse provato perlomeno un piccolo, piccolissimo, minimo “qualcosa”, come una specie di fastidio indefinito, un sentore di tempi remoti eppure piacevoli, luminosi...




Cioccolata Calda




L'ultima volta che aveva sentito pronunciare il nome “fratellone” dalla bocca di America, era stata un numero di secoli fa che Inghilterra conosceva fin troppo alla perfezione.
Ora, mentre guardava senza veramente vedere la lingua di fumo che sinuosa saliva fino a disperdersi nell'aria, lì accucciato di fronte al camino spento, non poteva non far finta di sentire quel blocco di ghiaccio che gli si era creato all'interno, al livello dello stomaco, che gli opprimeva il petto e lo rendeva incapace di agire, di alzarsi e di affrontare la situazione. Era come stato congelato.

La voce del fratello di Italia che rimproverava America di star facendo una schifezza con tutto quello zucchero buttato nella cioccolata gli giunse lontana e ovattata; la risata sciocca di risposta inspiegabilmente amplificata.

Inghilterra non poté fare a meno di chiedersi se, nel pronunciare quel nome con tanta leggerezza e spinto dall'euforia, America non avesse provato perlomeno un piccolo, piccolissimo, minimo “qualcosa”, come una specie di fastidio indefinito, un sentore di tempi remoti eppure piacevoli, luminosi...

Un leggero tocco sulla spalla lo fece sussultare. Al suo fianco, senza che se ne fosse accorto, c'era Italia, un tiepido sorriso dipinto sulle labbra e in mano una tazza di cioccolata fumante.
“Non devi essere triste. - E Inghilterra si stupì di quanto potesse essere dolce quella stessa voce che di solito lo irritava. - Vedrai che la prossima volta andrà meglio.”
Inghilterra sgranò gli occhi, volendo dire così tante cose in una volta sola che gli si bloccarono tutte in gola, con il risultato di emettere solo degli incomprensibili versi strozzati.
Italia lo fissò perplesso, rispondendo con un flebile “Veh...”.
Indicò con la mano libera il camino spento.
“Il fuoco. La prossima volta tu e il fratellone riuscirete ad accenderlo, sicuramente.”
Inghilterra si concesse due secondi di più per sbattere le palpebre, non riuscendo a schiodare lo sguardo stupito dal volto dell'altro. Tre secondi dopo stava ridendo nervoso.
“Ah, sì. Il fuoco... Certo, certo, andrà meglio la prossima volta con... il fuoco...”
Italia sorrise radioso, mentre dalla cucina proveniva un urlo incomprensibile di Romano, e tese la tazza di cioccolata fumante a Inghilterra.
“Allora, andiamo dagli altri?”







   
Titolo: La casa in mezzo alla neve
Challenge: COW-T
Prompt: “neve”
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Italia Romano, (Italia Veneziano, Inghilterra, America)
Genere: introspettivo
Rating: verde
Avvertimenti: oneshot, (nonsense? XD)
Disclaimer: di Hidekaz Himaruya
Conteggio Parole: 742 (fdp)
Note: Della serie:”avevo voglia di scrivere, ma non sapevo su cosa scrivere”. Quindi prendete questa cosa così come è venuta. XD Ho scritto della neve, e ho finito per fare un ritratto di Ivan. XD
Riassunto: La neve non piaceva a Romano. Era fredda, ostica, bagnata, silenziosa eppure fin troppo appariscente. Era infida, quella roba lì, così candida eppure così dannosa. Faceva proprio schifo la neve, e davvero non era mia riuscito a capacitarsi di come suo fratello potesse esserne puntualmente affascinato, catturato dalla sua falsa delicatezza come il più puerile dei mocciosi.



La casa in mezzo alla neve




America poté opporre solo un flebile lamento di fronte all'irruenza con cui Romano gli sottrasse la tazza sporca dalle mani. Non gli era stato dato il tempo nemmeno di godersi l'ultimo goccio della squisita bevanda.

Sordo al lamento indignato l'italiano finì di raccogliere le diverse stoviglie sparse un po' qua e là sul tavolo della cucina, con gesti veloci e sicuri, di chi sa come svolgere certe mansioni forte di un'esperienza ormai sedimentata nel tempo. Raccolto l'ultimo cucchiaino macchiato di cioccolato e la zuccheriera di discutibile gusto estetico – ma dove diavolo aveva preso quella “cosa che sarebbe dovuta sembrare una specie di orrido fiore” Inghilterra? - con un gesto eccessivamente secco afferrò i bordi del vassoio, nel quale aveva raccolto tazze e quant'altro, lo sollevò con uno scatto nervoso e marciò verso il lavandino, depositandovi la roba con malagrazia.   

Quando si voltò su se stesso trovò America ancora al tavolo, lo sguardo perso ad osservare un punto indefinito della parete. Lo osservò un attimo accigliato stare in quel raro momento di stasi, decidendo in meno di mezzo secondo che quell'espressione da rincitrullito lo irritava alquanto.

Batté forte le mani un paio di volte, facendo sobbalzare sulla sedia il giovane, e, ottenuta l'attenzione dovuta, gli strillò contro di andarsi a cercare un'occupazione utile al mondo.

Richiamato sulla terra, America gli concesse una mezza occhiata sorpresa per poi, avendo subodorato l'ipotesi di possibili compiti molto poco eroici da svolgere, scattare in piedi e filare scanzonato verso la porta che dava sul salotto, urlando qualcosa a proposito di un film del horror da vedere assolutamente.

Romano aspettò che il vociare sconclusionato scemasse a poco a poco, attutito dalla parete che lo separava dal resto del gruppo.
Sbuffò, cercando di non far caso alla voce gracchiante di Inghilterra proveniente dalla stanza accanto.
Voltò su se stesso, cercando qualcosa da fare per ritardare il proprio ricongiungimento con il resto della banda. Suo fratello poteva dire quello che voleva, ma dover stare troppo a lungo in compagnia di quei tipi non gli faceva certo piacere.
Balenò ai suoi occhi una quarta tazza vistosamente fuori posto, abbandonata senza troppi scrupoli sul davanzale della finestra.
Sbuffando ancora più di prima e borbottando a fil di voce si avventò sull'oggetto, afferrandolo come se quello potesse scappare da un momento all'altro.

Sentì provenire dal salotto la risata acuta di Veneziano.
Strinse maggiormente la presa sulla tazza, trovandola tutto ad un tratto ancora più irritante di quanto già non fosse per il suo essere stata trovata fuori posto.
Invece Feliciano aveva la spaventosa capacità, lodata e tanto apprezzata dai boss, di trovarsi a suo agio in qualsiasi posto andasse, a costo di sembrare ridicolo, e questo capitava spesso.

A Romano cadde lo sguardo oltre la finestra: fuori la neve continuava a precipitare copiosa, sferzata da venti gelidi ed impetuosi. La dannata cadeva e si appiccicava dappertutto, avendo ormai reso la sola idea di praticare qualche metro di strada paragonabile ad un suicidio certo, e pure dei più cretini.
Senza veramente accorgersene poggiò la fronte sul vetro; la percezione della superficie fredda sulla pelle gli provocò una serie di piacevoli brividi che discesero lungo la schiena, fino a farlo tremare appena.

La neve non piaceva a Romano. Era fredda, ostica, bagnata, silenziosa eppure fin troppo appariscente. Era infida, quella roba lì, così candida eppure così dannosa. Faceva proprio schifo la neve, e davvero non era mia riuscito a capacitarsi di come suo fratello potesse esserne puntualmente affascinato, catturato dalla sua falsa delicatezza come il più puerile dei mocciosi.

In fondo non era altro che un fenomeno meteorologico, quello stesso fenomeno che lo stava tenendo inchiodato in un posto non suo, in un luogo che non gli apparteneva, in una casa in cui non voleva stare, con gente con la quale non voleva avere niente a che fare – e avrebbe giurato che il sentimento fosse più che reciproco.

Romano odiava la neve, odiava quella neve, perché lo costringeva lontano da casa, lontano da un'intima familiarità, lontano, paradossalmente, persino dal fratello.

La neve non urlava la sua rabbia come il mare in tempesta; la neve ti sorrideva, placida, e poi ti seppelliva sotto una coltre bianca, soffocandoti. La neve era maligna.

Un improvviso vociare più inteso, e fu ridestato dai suoi pensieri. Appena oltre la porta la voce esuberante, e conseguentemente irritante, di America fu coperta da un isterico rimprovero inglese.

Romano tornò a fissare la tazza che stringeva, rigirandosela fra le mani come un inatteso tesoro. Un'ultima occhiata, e poi venne abbandonata nel lavandino, là dove doveva stare.  



   
 
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