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Autore: Roxe    13/07/2011    13 recensioni
Sherlock Holmes era agile. Forte. Veloce.
Incredibilmente resistente.
Ma non era indistruttibile.
E purtroppo questo era un particolare che tendeva a dimenticare fastidiosamente spesso.
La gamba rotta in tre punti guaribile in settimane sei, inglobata dall’inguine fino alla punta del piede in un massiccio involucro di gesso, giaceva distesa sul predellino della sedia a rotelle sulla quale il proprietario del suddetto arto era bloccato da quasi una settimana, senza nessuna concreta possibilità di movimento.
John aveva visto chiaramente la fine del mondo avvicinarsi a grandi passi, annunciata da quel referto.
Guaribile in settimane sei.
Un intero mese più quattordici lunghissimi giorni in cui
lui sarebbe dovuto restare su quella sedia. Immobile.
Oh, dio.

[ Lievisssimo Pre-slash ] [ Remake ] [ One-(long)-shot ]
Genere: Azione, Commedia, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d’inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so e se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

Pre Scriptum Non vi dico per quale motivo è bene che lo sappiate, visto che avrete il piacere (?) di scoprirlo a breve leggendo questa storia, ma è utile che conosciate l’aspetto di questo edificio prima d’iniziare la lettura. (non abbiate timore, nelle note vi spiegherò tutto).

 

 

 

 

It Had to Be Murder

 

 

 

 

John Watson sollevò le mani dalla tastiera, posandole sulla ruvida stoffa della tovaglia stesa sul tavolo da pranzo.
Il contatto con quel panno poco meno che tiepido sembrò addolcire appena un po’ l’espressione truce che aveva accompagnato l’intera fase di stesura del post.

Per qualche oscura ragione la cucina gli era parsa la stanza più fresca della casa quando si era trattato di decidere dove rifugiarsi nel tentativo di mettere insieme qualche frase di senso compiuto. O quantomeno quella più vicina all’acqua, dopo il bagno.
Ma l’idea d’immergersi nella vasca con il portatile sospeso a pochi centimetri dalla superficie di un liquido era stata rapidamente scartata, seppure non del tutto sprovvista d’attrattiva.

Senza distogliere lo sguardo dallo schermo avvicinò il dorso della mano alla fronte, liberandola da un copioso numero di gocce di sudore, mentre il resto dei suoi sforzi ed ogni sua attenzione erano applicati nel conteggio delle volte in cui era riuscito ad infilare in appena 24 righe di testo le parole ‘dannato’ ‘dannata’ e ‘dannatamente’.

- Dannazione…

Con uno scatto del pollice raggiunse il tasto delete, trasformando il suo sfogo in una rinfrescante pagina bianca.
Poi chiuse gli occhi, reclinando la testa da un lato e lasciando scorrere le dita alla base del collo, tra la pelle umida e il tessuto della maglietta, ormai completamente inzuppata di sudore. Effettivamente non c’era un solo punto del suo corpo, né un solo brandello dei suoi vestiti, che non lo fosse.

- Sherlooock!

Il lamentoso richiamo suonò inutilmente forte, senza un particolare motivo, dato che doveva percorrere appena la manciata di metri che separava la cucina dal soggiorno per raggiungere il suo bersaglio, e provocarne la pronta e seccata risposta.
Che però non arrivò.

John aspettò un tempo che gli parve ragionevole, poi si rovesciò all’indietro sullo schienale, liberando al meglio la via che dai polmoni indirizzava l’aria verso le corde vocali.

- SHERLOOOOCK!

Ancora più forte. Sempre senza motivo.
E nuovamente senza risposta.

Quell’inspiegabile carenza di segnali lo costrinse ad alzarsi dalla sua postazione, sospingendolo di mala voglia verso la vetrata che separava la cucina dal resto della casa. E dopo aver compiuto i quattro passi più faticosi della sua vita Watson si affacciò finalmente nel salone, posando uno sguardo seccato sulla silenziosa figura ferma di fronte alla finestra.

- Sherlock! Non mi hai sentito urlare?

Il tono nervoso fu rafforzato da un’occhiata indispettita, che il suo interlocutore non ebbe modo di notare, poiché rispose senza scomodare un solo muscolo del corpo, continuando a dargli le spalle.

- Sì certo, ma ho fatto finta di niente.

- E perché?

- Perché urlavi.

John aprì la bocca per replicare, ma poi finì per richiuderla, arrendendosi all’evidenza.
Come gli capitava spesso.

E le mancate parole presero la forma di uno sbuffo rassegnato, mentre la testa oscillava lentamente da destra a sinistra, senza perdere di vista quella sottile figura in penombra, costretta suo malgrado all’immobilità.

Sherlock Holmes era agile. Forte. Veloce.
Incredibilmente resistente.

Ma non era indistruttibile.

E purtroppo questo era un particolare che tendeva a dimenticare fastidiosamente spesso.

La gamba rotta in tre punti guaribile in settimane sei, inglobata dall’inguine fino alla punta del piede in un massiccio involucro di gesso,  giaceva distesa sul predellino della sedia a rotelle sulla quale il proprietario del suddetto arto era bloccato da quasi una settimana, senza nessuna concreta possibilità di movimento.

John aveva visto chiaramente la fine del mondo avvicinarsi a grandi passi, annunciata da quel referto.
Guaribile in settimane sei.
Un intero mese più quattordici lunghissimi giorni in cui lui sarebbe dovuto restare su quella sedia. Immobile.

Oh, dio.

Durante il viaggio di ritorno a casa si era spiritualmente preparato all’inferno che lo attendeva, e ad un certo punto, esattamente tra il nono e il decimo gradino della loro faticosa ascesa lungo le scale del 221B, si era sentito addirittura in grado di affrontare la cosa.

E invece niente.

C’era stato in effetti un accenno di ribellione nelle prime ore, condito da svariati tentativi di alzarsi in piedi puntellandosi sull’arto ingessato, ma dopo quelle timide avvisaglie di tempesta era calata improvvisamente la quiete più assoluta, che stava durando ininterrotta da ben quattro giorni consecutivi, durante i quali Sherlock aveva trascorso tutto il suo tempo ancorato alla finestra, senza dire una parola, né rispondere alle innumerevoli chiamate sul cellulare.
Neanche le ingombranti attenzioni della signora Hudson, la quale gli zampettava attorno ad ogni ora del giorno, assicurandosi che mangiasse, che dormisse e che non gli mancasse nulla, lo distraevano dalla sua contemplazione, e John si era ben guardato dal chiedergli che cosa esattamente stesse guardando, nel timore di spezzare  quell’incantesimo. Ma ogni volta che lo cercava lo trovava là, piazzato dietro quel vetro appena accostato, a guardare fuori.

In seguito ad un attento ragionamento Watson era giunto alla conclusione che in qualche modo Holmes si fosse adeguato al suo nuovo stato, rassegnandosi al quieto passatempo di osservare il flusso d’umanità in transito sotto le loro finestre, che a qualsiasi altra persona sarebbe parso monotono dopo i primi cinque minuti. Ma non a lui.

Sta di fatto che qualunque fosse il motivo, Sherlock non si era mai mosso di lì. Nemmeno di notte.
Senza emettere un solo  lamento. Né chiedere alcun antidolorifico.

Eppure quella frattura scomposta doveva fare un bel male, e quel gesso enorme doveva avere sul suo corpo lo stesso effetto di una sauna portatile. Ma a contraddire le sue ipotesi c’erano quel volto totalmente rilassato e quella camicia di cotone bianco priva di pieghe, con due soli bottoni slacciati all’altezza del collo. Perfettamente asciutta.

- Dio… ma come fai a startene lì con questo caldo atroce senza versare una sola goccia di sudore? Tu non sei umano.

Questa volta non aveva urlato. Ma a quanto pare non era comunque degno di risposta.

- Dovremmo comprare almeno un ventilatore… Non ho idea di quanto abbia intenzione di durare questo dannatissimo caldo, ma se andrà avanti ancora per molto io rischio il collasso…

A questo punto gli sarebbe bastato anche solo un cenno del capo, per sentirsi considerato.
Ma ancora una volta attese invano.

- Insomma! Mi ascolti quando parlo?!

- A volte lo faccio John, te lo assicuro. In questo momento però sono occupato.

Ed a quel punto Watson azzardò la domanda, mettendo da parte il suo sacro timore per ogni eventuale conseguenza.

- A fare cosa, immobile su quella sedia?

- Sorvegliare l’appartamento di fronte.

Elementare. Come aveva potuto non pensarci.

- E… cos’ha di tanto interessante?

La risposta non avrebbe dovuto sorprenderlo.

 

- Sono ragionevolmente certo che il suo inquilino, nonché nostro dirimpettaio, abbia ucciso sua moglie.

 

- C- come?...

Non avrebbe dovuto. Ma ovviamente lo fece.

Il suo timido sconcerto non impensierì l’autore di quella sorprendente rivelazione, che continuò ad esporre serenamente la sua teoria, senza distogliere lo sguardo dal presunto luogo del delitto.

- È abbastanza furbo tutto sommato, ha fatto in modo di compiere l’omicidio in un’ora della notte in cui pochi si sarebbero accorti di un grido soffocato proveniente da chissà dove. Ma allo stesso tempo è stato così sciocco da compiere una serie di operazioni sospette con le finestre aperte, senza preoccuparsi che qualcuno –tipo me- potesse vederlo. Colpa del caldo, temo. Esistono poche cose al mondo che istupidiscono la gente come un’elevata temperatura. Eppure… nonostante l’abbia osservato attentamente per quattro giorni e tre notti non sono ancora riuscito a capire in che modo abbia occultato il corpo. È incredibile come a volte dei poveri deficienti riescano a compiere delitti tanto perfetti da mettere in difficoltà le menti più brillanti.

Spinto dall’incalzante sottofondo della voce di Sherlock, che come sempre allo sconcerto faceva seguire ampi sprazzi di curiosità ed eccitazione, John si era portato al suo fianco, fermandosi a ridosso dei vetri, ansioso di posare lo sguardo sull’imponente edificio di mattoni rossi elegantemente rifinito di bianco che affacciava le sue finestre spalancate esattamente di fronte al 221B di Baker Street.
Non c’era al mondo una sola persona sana di mente e di corpo che avrebbe potuto tenerle chiuse con quel caldo insopportabile. Neanche se avesse dovuto commettere un omicidio ed occultare un cadavere.

Per nessuna ragione in particolare Watson elesse il secondo piano quale luogo ideale di un delitto, ed il suo sguardo iniziò a passare in rassegna ogni apertura, scontrandosi suo malgrado dopo appena pochi metri con il pallido quanto villoso fondoschiena dell’anziano proprietario dell’appartamento, che usciva proprio in quell’istante dalla doccia, esponendo inconsapevolmente la sua merce ormai scaduta a tutto il vicinato.

E la mano scattò d’istinto a coprire gli occhi, mai abbastanza veloce, nel tentativo di cancellare dalla retina quella sgradevole visione.

- Porca miseria! Che schifo!… Se penso che chiunque mi può guardare il sedere dalla finestra del bagno mi vengono i brividi!

- Non preoccuparti John, il tuo sedere sarebbe uno spettacolo decisamente migliore di questo. Comunque no, il flaccido è un baro ed un fedifrago, ma non un assassino. L’appartamento dell’uxoricida è quello sottostante, in questo momento vuoto.

Facendo mostra di un invidiabile coraggio Watson tornò ad allungare lo sguardo dall’altra parte della strada, verso la fila di finestre aperte al primo piano dell’edificio.
L’abitazione era immersa nel buio, e la luce che filtrava dall’esterno non permetteva comunque d’indovinare cosa fosse eventualmente celato in ognuna di quelle stanze, se una collezione di brutti mobili in stile Decò oppure una testa mozzata sul comodino della camera da letto.
Solo una cosa era effettivamente piuttosto chiara. Chiunque vivesse lì non si trovava in casa, ma sarebbe tornato presto.

- John, da dove cominceresti se dovessi sezionare un corpo umano?

Sospirare era rinfrescante, ed alzare gli occhi al cielo era distensivo, così il dottore fece entrambe le cose, prima di girarsi verso di lui con aria preoccupata.

-Sherlock… Voglio essere sincero con te, stai cominciando a spaventarmi…

Il che in un certo senso era vero già da molto tempo.

- Non che prima d’ora tu non abbia mai fatto o detto niente di strano, ma-…

- Oh! Sta rientrando.

Come se non avesse nemmeno iniziato a parlare.
Tutta l’attenzione di Holmes era ora concentrata sulla corpulenta figura ch’era appena emersa nella penombra dell’androne, armeggiando con il suo mazzo di chiavi alla ricerca di quella giusta.
Era un omone sulla cinquantina, alto circa due metri, e largo quasi altrettanto, con una fitta chioma di capelli bianchi, ed un buffo paio di enormi occhiali, che gli scivolava sul naso umido di sudore talmente spesso da costringerlo a riposizionarlo ogni 40 secondi circa.
Così a occhio sembrava improbabile che dietro quelle spesse lenti si celasse  uno spietato killer che nascondeva resti umani nella sua ventiquatr’ore. Ma Sherlock non riuscì a vedere dove l’uomo andò a posarla dopo essere entrato in casa, perché la sua visuale fu improvvisamente oscurata dalla sagoma di John, che di colpo si parò davanti a lui, afferrando con entrambe le mani i braccioli della carrozzina ed attirandolo a sé, fino a fermare il naso a pochi centimetri dal suo. Davvero pochi.

- Sherlock, vuoi starmi a sentire?!

La voce era adirata, e lo sguardo non era da meno. Tanto vicino che Holmes avrebbe potuto mettersi a contare le pagliuzze dorate nelle sue iridi blu. Ma non lo fece.

- Guardare dalla finestra per passare il tempo è un conto! Ma vedere omicidi ovunque mi sembra francamente esagerato! E morboso!

- Secondo te è un passatempo?

John inarcò il sopracciglio sinistro, pronunciando la domanda con estrema lentezza.

- Non lo è?

- Sto cercando di capire che fine ha fatto la moglie di quel grassone.

La risposta non gli piacque granché, aggiungendo un altro pizzico d’esasperazione alla sua voce.

- Ma perché credi che le sia capitato qualcosa?

- Per tanti motivi. Innanzitutto è invalida ed ha bisogno d’assistenza, ma non ho visto nessuno entrare nella sua stanza in tre giorni. E non vedo nemmeno lei da tre giorni. La finestra della sua camera è rimasta sempre chiusa, nonostante il caldo.

- Sarà morta di morte naturale! Perché diavolo devi pensare che-…

- E dove sono i dottori? E le pompe funebri?

Quelle due domande retoriche, pronunciate con il tono insolente di chi sa di avere sempre ragione, ebbero un improvviso effetto calmante su John, che tornò a distendere la fronte, puntando gli occhi sul pavimento con aria pensierosa.
Senza allentare la presa si abbassò lentamente sulle ginocchia, accovacciandosi davanti all’unica gamba integra di Holmes, il quale riusciva quasi a sentire il rumore delle sue piccole rotelline mentre giravano febbrilmente alla ricerca di un’ipotesi sensata da proporgli.

- Forse è partita.

Lo disse senza troppa convinzione, alzando la testa per guardarlo da quella nuova prospettiva.

- Ipotesi piuttosto logica, che probabilmente mi troverebbe d’accordo in qualsiasi altra circostanza. Ma io ho visto baruffe e discussioni animale, passeggiate notturne, e grandi coltelli, una sega, e corde. E da tre giorni non c’è traccia di quella donna. Sicuramente se n’è andata, ma non in un luogo di questa terra.

- Mh.

Quello era il suono di chi stava riflettendo su tutto ciò che aveva appena sentito, e sarebbe presto giunto alla consueta ed inevitabile conclusione.

- Mi hai quasi convinto.

- Ne sono lieto.

Ed in qualche modo lo era davvero. Lieto di avere di nuovo la visuale libera.

- Ho solo un ultimo dubbio.

- E sarebbe?

John prese un bel respiro. Inclinò la testa di lato. E staccò finalmente le mani dalla sedia, per poter incrociare le braccia sopra le ginocchia, puntando su Holmes uno sguardo alquanto sospettoso.

- Esattamente quand’è che lo avresti visto, il mio sedere?

 

Ottima domanda.

Le sopracciglia di Sherlock si sollevarono adagio mentre tornava ad abbassare lo sguardo, trascurando per un attimo il suo omicida appena riconquistato, per fissare due occhi chiaramente sorpresi in quelli di Watson, e condividere con lui un lungo istante di religioso silenzio.

- È per questo che mi piaci John. Sei puntiglioso.

Sentenziò infine chiaramente soddisfatto, annuendo con aria compiaciuta.

- Non molto acuto. Ma puntiglioso.

- Ah!...

John aveva appena fatto in tempo ad aprire bocca per replicare, quando fece il suo trionfale ingresso nella stanza una cinguettante signora Hudson, avvolta in un abito leggero decorato con grandi fiori rossi, portando con sé una ventata di freschezza e tutta la diligente apprensione di una buona padrona di casa che ha il dovere di pensare al benessere dei suoi inquilini, soprattutto quando sono costretti su una sedia a rotelle.
La calura estiva le inumidiva il viso, alterando leggermente il suo respiro, ma lei non era donna da perdersi d’animo per così poco, e tamponava al meglio il problema sventolandosi energicamente ed ininterrottamente il volto con una mano, alternando la destra con la sinistra ad intervalli regolari.

- Buongiorno ragazzi miei! Oggi fa un caldo pazzesco non trovate? Io credo che collasserò a breve se non si decide a rinfrescare un po’!

- Signora Hudson… Buongiorno…

Sollevandosi dalla sua scomoda posizione John le rivolse un debole sorriso, ma lei lo liquidò con un cenno del capo, fissando il suo sguardo rapace e materno sull’unico oggetto delle sue preoccupazioni.

- Sherlock, caro! Sarebbe molto meglio se dormisse a letto invece che sulla sedia a rotelle, lo sa?

- Ah-ha.

Replicò l’interpellato col tono entusiasta di chi ha sentito la stessa frase ventisei volte in cinque giorni, per poi tornare a dedicare ogni attenzione al suo sospettato.

Mrs Hudson lanciò un inutile sguardo di rimprovero alla sua schiena, per poi avvicinarsi con passo leggero, appoggiandosi dietro di lui sulle maniglie della carrozzella.
Watson era pronto a sorbirsi la consueta trafila dei vari «Ha mangiato/ha dormito/si è lavato/le serve niente», seguita dall’altrettanto consueta sfilza di «Ah-ha», ma la donna si limitò a sporgersi in avanti, lanciando un’occhiata circospetta nella stessa direzione in cui vagava da giorni lo sguardo di Holmes, per poi sussurrargli all’orecchio con voce sommessa.

- Allora Sherlock… Dove si può supporre che l’abbia fatta a pezzi?

- Signora Hudson! Anche lei con questa storia!

John osservò disperato la coppia di sanguinari amici del crimine che continuava a scrutare fuori dalla finestra, del tutto incurante delle sue proteste.

- Ma è chiaro! Nella vasca da bagno! È l’unico posto dove si può eliminare il sangue!

Concluse la Signora in Giallo, accarezzandosi il mento con l’orgoglio di chi ha appena fatto un’ottima deduzione, senza prestare né a lui né alle sue lamentele il minimo interesse.
Ed al povero scettico incompreso non rimase che scuotere mestamente il capo.

- Non ci posso credere…

- John!

Apostrofandolo con inconsueta veemenza Mrs Hudson prese ad agitargli il dito indice sotto il naso, trapassandolo con l’inconfondibile sguardo di chi sa esattamente di cosa sta parlando.

- Dev’essere per forza un omicidio! Ho visto con i miei occhi che frugava dentro la borsetta della moglie tirando fuori la fede nuziale di lei! Questo come se lo spiega?

- Io non-…

- E poi i gioielli! C’erano anche tutti i gioielli! Una donna non li terrebbe mai buttati in una borsa dove si possono graffiare e rovinare! E quando parte non li lascia a casa! E se lo fa vuol dire che…

- …non sapeva di dover partire, e lì dove andava non le serviva la borsa.

Le fece eco Holmes, concludendo la sua frase con un tempismo impeccabile, mentre la donna prendeva dolcemente una mano di Watson tra le sue, guardandolo con la tenerezza di una madre che cerca di spiegare un concetto semplice ad un figlio un po’ lento, ma comunque molto amato.

- John caro… ricordati che le donne dovunque vadano, anche in clinica, si portano dietro cosmetici, profumi e gioielli.

- E va bene! Va bene!

Alla fine lo scetticismo dovette soccombere all’attacco combinato d’intuito femminile e genio deduttivo.
Era evidente che ci fosse davvero qualcosa che non andava in quell’appartamento.

- Se è vero quello che dite dobbiamo chiamare la polizia! Che cosa stiamo aspettando?

Ma Sherlock frenò prontamente il suo appena nato entusiasmo.

- Sarebbe del tutto inutile, finché non scopriamo dove ha nascosto il cadavere. Nessun corpo, nessun crimine.

- Ma potrebbe averlo gettato ovunque ormai!

- Non è mai uscito di casa con in mano qualcosa di più voluminoso della sua ventiquattr’ore, e non ha spedito alcun pacco di grosse dimensioni, quindi il corpo deve trovarsi ancora in casa, nascosto da qualche parte.

Quella macabra consapevolezza si fece strada a poco a poco nelle loro menti, accompagnata da un rispettoso silenzio, durante il quale i loro sguardi si spinsero nuovamente oltre il vetro, posandosi sulla massiccia figura che vagava tra una stanza e l’altra come un’anima dannata, attraversando l’inquietante gioco di luci ed ombre che il torrido sole di luglio disegnava dietro quelle finestre spalancate.

- Dovrai entrare in quell’appartamento e trovarlo John.

E questa volta Watson non fu sorpreso.
Si limitò ad allargare le braccia, per poi farle ricadere con un tonfo sordo lungo i fianchi.

- Chissà perché me lo sentivo…

- Ci andrei io saltellando su un piede solo, ma ritengo che darei eccessivamente nell’occhio.

John fissò quel gesso enorme, poi nuovamente Sherlock. E non poté far altro che convenire ancora una volta con lui.  Suo malgrado.
Ma permaneva comunque un problema di fondo.

- Come pensi di farlo uscire di casa?

- Oh questo è facilissimo!

Trillò elettrizzata la signora Hudson, attirando su di sé due sguardi incuriositi.
Senza prendersi il disturbo di spiegare le sue intenzioni la donna estrasse il cellulare da una tasca e digitò con velocità sorprendente un numero telefonico che doveva essere ben impresso nella sua memoria.

Al primo squillo Holmes notò con la coda dell’occhio un’improvvisa agitazione nel palazzo di fronte.
L’inquilino del primo piano aveva improvvisamente interrotto il suo girovagare senza meta, attirato da qualcosa che doveva essere sepolto nel grande divano del suo soggiorno. E Sherlock lo vide scavare animatamente nella penombra, alla ricerca di quel qualcosa, finché non estrasse dai cuscini un piccolo oggetto nero, che avvicinò rapidamente all’orecchio con un gesto nervoso.

In quel preciso istante Mrs Hudson iniziò a parlare.

- Signor Thorwald? Scusi è sua quella macchina parcheggiata fuori in doppia fila con i fari accesi e la portiera aperta?

Quella sfacciata bugia le uscì dalla bocca con totale naturalezza, senza tradire la minima emozione.

- Sì è un diesel!

Ad ogni pausa tra una frase e l’altra corrispondeva un mormorio indistinto all’altro capo dell’apparecchio. Ed una serie di gesticolazioni inconsulte dall’altro lato della strada.

- Si sbrighi a spostarla perché i vigili le stanno mettendo le ganasce!

Non appena ebbe pronunciato l’ultima frase quello ch’era ormai chiaro fosse il signor Thorwald scaraventò sul divano quello ch’era ormai altrettanto chiaro fosse un telefono, precipitandosi di corsa fuori dall’appartamento.
Non era possibile da quella distanza indovinare l’espressione del suo volto, ma dalla foga dei suoi movimenti era facile intuire che qualcosa o qualcuno gli aveva appena messo addosso una gran fretta.

Quando l’uomo uscì dal loro campo visivo, sparendo nel buio dell’androne, Holmes e Watson si voltarono con estrema lentezza e sorprendente sincronia verso quella creatura apparentemente mite ed ingenua, fissando su di lei uno sguardo colmo di una violenta quanto sconfinata ammirazione.

Fu John il primo a parlare.

- Signora Hudson… Lei come faceva a sapere che la sua macchina-…

- Non ne avevo idea.

Rispose lei facendo spallucce, e riprendendo a sventolarsi energicamente con la mano dopo aver chiuso la comunicazione.

- E come sapeva il suo nome, in numero di casa, e-… Ooohh lasciamo perdere!

Non c’era tempo per questo.
Cercò d’istinto lo sguardo di Sherlock, che ricambiò la sua occhiata con un cenno d’assenso.

- Vai John.

Senza farselo ripetere due volte scattò verso il pianerottolo, afferrando al volo il cellulare ed iniziando a comporre un numero mentre spariva  nella tromba delle scale.

- Signora Hudson! Il telefono!

Holmes protese il braccio verso l’apparecchio che aveva appena iniziato a vibrare sulla scrivania, e la donna allungò prontamente la mano, porgendoglielo senza fare domande.
Non appena l’ebbe in pugno rispose alla chiamata, tornando ad alzare lo sguardo oltre il vetro, dritto dentro quelle finestre spalancate.

- Dovrai essere veloce. Non ho idea di quanto lontano abbia parcheggiato la sua macchina, ma non credo che ci metterà più di dieci minuti per assicurarsi che sia esattamente al suo posto.

- Lo so.

La voce di Watson filtrata dal microfono suonava un po’ più acuta, infantile, ed appena affannata.
Mentre ascoltava il cigolio della porta del 221B che si richiudeva alle sue spalle Sherlock tornò a voltarsi verso la padrona di casa, indicandole il balcone con un gesto secco della mano.

- Lei signora Hudson farà il palo. Dovrà tenere d’occhio la strada ed avvertirmi se vede tornare il nostro uxoricida, d’accordo?

- D’accordo!

Già del tutto compresa nel suo importantissimo ruolo in questa eccitante caccia all’assassino la donna s’accostò alla finestra con passo marziale, scrutando intensamente il marciapiede nella direzione in cui era fuggito il signor Thorwald solo un attimo prima.
Qualche metro più avanti John aveva appena raggiunto l’ingresso dell’edificio, e dopo aver dato una rapida occhiata in giro s’infilò velocemente nel portone, sparendo alla loro vista.

Holmes ascoltò il suo respiro accelerato mentre saliva le scale, fermandosi di fronte alla porta chiusa dell’appartamento al primo piano.

Attese all’incirca sette secondi.
Poi glielo chiese.

- Sei dentro?

- Un attimo! Non sono Houdini! L’ultima volta che ho tentato di scassinare una serratura avevo scordato la chiave nel bauletto del motorino!

- John…

- Lo so, lo so! Devo essere veloce!

Seguì un breve concerto di sfregamenti metallici, accompagnati da un paio d’imprecazioni masticate tra i denti, finché non si udì chiaramente il suono della serratura che scattava, ed una voce esultante che assaporava la vittoria.

- Fatto!

La porta si schiuse con un tocco leggero, permettendo a Watson di fare il suo silenzioso ingresso nella casa.

- Ora dovrai essere i miei occhi John.

E Sherlock chiuse i suoi. Rilassò le spalle, abbandonò la mano libera sul bracciolo, e reclinò la testa all’indietro, escludendo dalla mente il dolore pulsante che risaliva la frattura scomposta, raggiungendo le sue principali terminazioni nervose. Pronto a visualizzare tutto ciò che avrebbe sentito attraverso di lui.
Ogni più piccolo rumore.

Si focalizzò sui  suoi passi mentre avanzava cautamente oltre la soglia, producendo un leggero scricchiolio.

Parquet.

- Vedi o senti qualcosa di strano? Odori?

- Nulla di particolare. È una bella casa, ordinata. Non c’è niente fuori posto, così a prima vista.

- Nessun tanfo di cadavere in putrefazione immagino.

- Direi proprio di no. Con questo caldo si sentirebbe a chilometri di distanza.

Mattonelle.

John era entrato in un’altra stanza.
Un debole ronzio di sottofondo. Rumore d’acqua stagnante.

Si trovava in cucina.

- Controllo nel frigo?

- No. Troppo banale.

- Sherlock…Non stiamo scrivendo la trama di un film di Hitchcock. Non la troverò mummificata in cantina. Anche perché questo appartamento non ha una cantina.

- Controlla la cassettiera della camera da letto.

Alla sua richiesta seguirono una serie di rapidi movimenti.
Calpestii concitati.

Poi più niente. Passi senza rumore.

Un tappeto.

Stridore di vecchio legno strattonato con forza.
Un mobile d’epoca. Difficile da aprire.

- Cosa c’è dentro?

- Niente di macabro o compromettente. Mutande, calzini, canottiere…

- Bizzarro.

- Bizzarro? Che cosa ti aspettavi esattamente di trovare in una cassettiera? Sai cosa tengo io nella mia?

- John, nella tua testa… quanto tempo dedico a pensare al contenuto dei tuoi cassetti?

- Oh non ne ho idea, più o meno lo stesso che dedichi a guardarmi il sedere?

Holmes serrò di scatto la mascella, concentrando ogni energia nel fermare l’immagine dell’abitazione che stava costruendo nella sua mente, e ch’era ad un passo dallo sfuggirgli.
Un soffio leggero gli scivolò dalle labbra quando il pericolo fu passato.

- Concentrati su quello che vedi per favore.

Il tono voleva sembrare distaccato, ma suonò chiaramente indispettito.

- Sherlock…

Il debole richiamo della signora Hudson gli parve provenire da un luogo infinitamente distante, ed Holmes si limitò a zittirlo con un gesto della mano, tornando a concentrarsi sul suono di John.

Un altro tipo di mattonelle. Più piccole.

Un rubinetto che perdeva.
Nessun rumore di Londra. Niente finestre.

Il bagno.

Fruscii di una tenda.
E la voce di Watson che si fece improvvisamente scura.

- È qui che l’ha fatta a pezzi, vero?

- Probabilmente.

- Sherlock…

Ancora quella voce fastidiosa, un po’ più forte ed un po’ più vicina, che lo costrinse ad esternare a parole il suo disappunto.

- Sssssh! Sto tentando di concentrarmi.

- Magari l’ha murata viva. O l’ha ficcata in fondo ad un grosso baule. Oppure dentro un armadio!

- No. Nascosto in piena vista. Dev’essere così.

- Come dici?

- Dimmi cosa vedi. Le prime cose che vedi. Non quelle nascoste o difficili da individuare. Tutto ciò che ti salta all’occhio.

Di nuovo grandi mattonelle.

Di nuovo in cucina.

- Vedo solo cose normali. Pentole, posate, conserve, un set di coltelli, zucchero, un miliardo circa di sottaceti, minestroni in scatola, una pila di piatti da lavare, uno scolapasta… Cosa se ne fa un inglese di uno scolapasta? Forse è di origini italiane…

- Sherlock, caro…

Quel ch’era troppo era troppo.

Holmes alzò di scatto la testa, scagliando su Mrs Hudson uno sguardo incendiario.

L’impatto con i suoi occhi fu talmente violento che la donna indietreggiò impaurita, come se una mano invisibile l’avesse schiaffeggiata in pieno viso. Ma dopo il primo attimo d’inevitabile terrore prese un grosso respiro, serrò le mani al petto, e disse comunque quello che doveva dire.
Quello che cercava di dire da circa due minuti.

- …Credo… Credo che il nostro assassino sia appena entrato nel portone.

L’ira che traboccava dagli occhi di Sherlock si tramutò all’istante in incredulo sbigottimento.

- Signora Hudson! Doveva avvertirmi prima che entrasse nel portone! Ora è troppo tardi!

- Ci ho provato!

Protestò lei con una smorfia stizzita, agitando l’indice accusatore sotto il naso del suo cocciuto  affittuario.

Ma ormai il danno era fatto.
I loro sguardi smarriti vagarono verso il palazzo di fronte, intercettando l’imponente sagoma del signor Thorwald che stava già emergendo nell’androne.
Due finestre più avanti c’era John, fermo in mezzo alla sua cucina, alto circa la metà di lui. E largo un quarto.

Holmes afferrò il telefono con entrambe le mani, scattando in avanti.

- John! Esci di lì esci di lì esci di lì!

- Aspetta un attimo. Forse-…

- Non c’è più tempo! Esci!

Troppo tardi.

L’uomo era dentro. Lo aveva già visto.
Si diresse minaccioso verso di lui ed in pochi istanti fu alle sue spalle.

Non fece neanche in tempo a voltarsi.

 

- Aaagh!...

                cRacK

Il suo grido strozzato vibrò nel microfono, seguito dal tonfo sordo dell’apparecchio che gli scivolata dalle mani cadendo sul pavimento, mentre l’aggressore lo trascinava nella penombra del salone, lontano dalla luce e dai loro sguardi.

- John! JOHN! Maledizione!

Comprimendo il telefono sull’orecchio Sherlock si passò il dorso della mano sulla fronte, per liberarla dal sudore di cui era ricoperta.

    StoNk

Scatola cranica contro legno.

Un grido soffocato da una grande mano premuta sulla bocca.

- Signora Hudson! Chiami la polizia!

La donna annuì con trepidazione mentre le sue dita tremanti estraevano il cellulare dalla tasca, andando a comporre il 999.

- Pronto polizia? Presto mandate qualcuno! Il fidanzato del mio inquilino è stato appena assalito da un grosso energumeno!

Rispose una voce molto tranquilla. Quasi annoiata.

- Signora, innanzitutto si calmi. Quindi se ho capito bene… ci sta segnalando una rissa tra gay?

- Signora Hudson MI PASSI QUEL TELEFONO!

L’apparecchio le fu sradicato dalle mani con forza inaudita, strappandole anche un’occhiataccia in direzione del suo irruente affittuario.

- Che modi!

Holmes aveva già portato il secondo cellulare all’orecchio libero, scostando con l’avambraccio i dannati capelli ormai completamente incollati su tutta la faccia.

Prese fiato. Si schiarì la voce. E parlò con tono estremamente calmo, scandendo ogni parola.

- Il mio nome è Sherlock Holmes, vi sto chiamando dal 221B di Baker Street per segnalare un’aggressione in corso al primo piano del civico 236 della stessa via. Mandate immediatamente una volante.

- D’accordo signore. Una pattuglia è già nelle vicinanze. Lei rimanga calmo.

- IO SONO CALMISSIMO! Non sente come sono calmo?! Faccia subito qualcosa!

Lo avevano sentito tutti nel raggio di venti miglia. Quanto era calmo.

        CRasH

Il rumore di un incontro ravvicinato particolarmente violento tra mascella e falangi lo fece trasalire.

E d’un tratto nello specchio della finestra ricomparve la figura ansante e stravolta del signor Thorwald, sprovvisto dei suoi grossi occhiali, che annaspava goffamente alla ricerca d’equilibrio, barcollando all’indietro come intontito.

Un istante dopo John era su di lui.

          smash

Un colpo al ventre. Veloce e preciso. Che affondò in quella carne flaccida fino al polso.

                       SbAm

Uno al petto. Che gli tolse il fiato, costringendolo a piegarsi in due.

    StuD

Una gomitata sulla nuca, seguita in rapida sequenza da una ginocchiata, che lo scaraventò dall’altra parte della stanza.

- Signore? È ancora in linea?

      StoNK

Poi un calcio.

                 sTonk

Un altro calcio.

- Signore mi sente? Mantenga la calma!

         StOnk

Ed un altro ancora. Dritto sul rene destro.

Mantenendo gli occhi fissi e sgranati su quell’incredibile sequenza di combattimento di chiaro stampo militare, Sherlock era rimasto immobile, lasciando che ogni muscolo del suo corpo tornasse lentamente a distendersi, mentre le braccia gli ricadevano in grembo, e le dita perdevano la presa su entrambi i cellulari che continuavano a vomitare sulle sue ginocchia rumori indistinti.

Mrs Hudson era al suo fianco, immobile come lui, gli occhi fissi nella sua stessa direzione. E quando John scagliò un ultimo calcio direttamente all’inguine, facendo inginocchiare davanti a sé quell’uomo colossale, la donna posò delicatamente una mano sulla spalla di Holmes, esercitando una leggera ma ferma pressione.

- Non lo faccia più arrabbiare il suo ragazzo Sherlock…

E lui lasciò andare l’aria che fino a quel momento aveva trattenuto,  sollevando a sua volta la mano, per andare a posarla con insolita dolcezza sopra quella della donna.

- Non ne ho alcuna intenzione…

 

Con un ultimo e ben assestato gancio alla mascella John mandò definitivamente al tappeto il suo avversario, che dopo aver compiuto un mezzo giro su sé stesso stramazzò al suolo con un sonoro schianto, sparendo definitivamente dalla loro vista.
Watson si chinò sulla sua carcassa inerte come per controllare qualcosa, forse le pulsazioni. Poi si alzò di nuovo in piedi, dirigendosi rapidamente in cucina, ed osservandolo mentre si abbassava a raccogliere qualcosa dal pavimento Holmes tornò improvvisamente in sé, portando di scatto il telefono all’orecchio.

- Anf….. anf…

Il suo respiro affannato che rimbombava nel microfono era il suono più tranquillizzante che Sherlock avesse mai sentito.

- John! Stai bene?!

- Sherlock… anf… ho trovato… anf

Ma l’inizio di frase non ebbe un seguito, poiché fu bruscamente interrotto da un inatteso cambio di tono.

- …Oh merda!...

- Merda cosa?! Amplia il concetto!

Null’altro fu aggiunto prima dell’inconfondibile clic che decretò la fine di quella lunga telefonata, e Sherlock sbatté un pugno rabbioso sul bracciolo della sedia osservando John sparire ancora una volta dentro quelle finestre.

- Merda!

Pochi istanti dopo ricomparve nel salone, e solo allora Holmes si accorse della pattuglia che stava facendo il suo poco tempestivo ingresso nell’abitazione.
A quel punto fu piuttosto chiaro il breve concetto espresso poch’anzi da Watson, dato che trovare lui in posizione eretta ed il signor Thorwald in posizione orizzontale a prima vista non deponeva esattamente a suo favore, tanto che invece di complimentarsi con lui per aver appena neutralizzato un omicida i solerti poliziotti sembravano più che altro intenzionati a mettergli le manette ai polsi. La qual cosa non sembrò piacere granché alla signora Hudson, che alla vista di quella scena trasformò il suo tocco sulla spalla in una presa feroce.

- Sherlock! Faccia qualcosa!

La cosa più semplice da fare fu portarsi all’orecchio il cellulare numero due, dal quale  il solerte centralinista del 999 continuava imperterrito a sciorinare il suo repertorio di frasi tipo sul mantenere la calma.

- Ehi centralino! Dica ai suoi amici lobotomizzati che non è John quello da arrestare! Ma l’uxoricida!

- Certo signore, si calmi. Mi può confermare che si è trattato di una rissa tra omosessuali?

Sherlock fece un intenso, profondo sospiro.
Chiuse gli occhi per qualche istante, stringendo con forza la radice del naso tra il pollice e l’indice, nel tentativo di smorzare le pulsazioni della grossa vena ch’era appena comparsa in mezzo alla sua fronte madida di sudore.

Poi tornò ad inspirare lentamente, lasciando che assieme alla massa d’aria convergessero verso i polmoni anche tutto il dolore, la paura, la rabbia, e quel maledetto caldo infernale.

- QUI NON C’È NESSUN DANNATISSIMO FROCIO! Dica a quei deficienti-!… Gli dica-!... Oh al diavolo!…

Adesso basta.

Lanciò entrambi i telefoni alle sue spalle, senza curarsi di dove sarebbero andati a schiantarsi, e con un maestoso scatto di reni si sollevò dalla sedia, arrampicandosi a forza di braccia sul davanzale della finestra, non senza un valido aiuto da parte del suo gesso, che funzionò da perfetto punto d’appoggio.

E non appena si fu issato abbastanza da poter sporgere fuori l’intero busto, iniziò a sbracciarsi con foga in direzione del palazzo di fronte.

- EHI VOI! Microcefali mononeurone! Guardate nei barattoli! NEI BARATTOLI! Nascosto in piena vista, lo sapevo! Non sono sottaceti quelli! JOHN, faglielo vedere!

Il suo cortese invito fu prontamente ed inevitabilmente raccolto dai destinatari, che dopo una breve consultazione si decisero a seguire Watson nella cucina, per farsi mostrare l’impressionante quantità di barattoli di vetro diligentemente impilati su un grande scaffale.

Un ragazzetto in divisa di forse diciott’anni compiuti quella mattina stessa ne afferrò uno con sufficienza, rigirandolo tra le mani con l’aria di chi sta solo perdendo il suo tempo, ma dopo quattro secondi netti di distratta osservazione lo lasciò cadere a terra con un moto d’orrore, portandosi una mano alla bocca per mascherare un inequivocabile quanto intenso conato di vomito.

Probabilmente qualche porzione riconoscibile di corpo umano era emersa tra i brandelli di quella che avrebbe dovuto essere solo verdura in aceto.

Forse un occhio. O un dente.
Probabilmente un dito.

Sono sempre i più difficili da sminuzzare.

E mentre i prodi tutori della legge iniziavano a gesticolare sguaiatamente attorno allo scaffale, attaccandosi ciascuno alla sua ricetrasmittente, John si rivolse verso l’altro lato della strada, alzando il pollice in segno di vittoria, e ricevendo in risposta lo stesso segnale da una radiosa signora Hudson che spuntava da dietro le spalle di Holmes.

Con una mossa furtiva si allontanò dai poliziotti indaffarati con la loro agghiacciante scoperta, per avvicinarsi alla finestra alta e stretta che si affacciava di fronte al 221B, sporgendosi a sua volta dal davanzale, esattamente davanti a lui.

Sherlock ricambiò il suo sguardo da lontano, lasciando scorrere le dita dietro al collo nel vano tentativo di staccare la pelle dalla camicia inzuppata di sudore, che gli si era completamente incollata addosso.

Poi si allungò in avanti, più che poteva. Tirando fuori tutto il fiato che aveva in gola.

 

- STAI BENE?

 

Watson fece per annuire, ma prima di rispondere abbassò un istante lo sguardo a terra, tornando infine a sporgersi fuori dalla finestra. Più che poteva.

 

- CREDO DI ESSERMI SLOGATO UNA CAVIGLIA.

 

E la sua voce attraversò rapida la strada, diretta verso casa.

Da quella distanza non era facile distinguere la sua espressione, ma John era quasi sicuro che Sherlock gli stesse sorridendo.

 

Immobile un passo dietro di lui, la signora Hudson levò due disperati occhi al cielo, rivolgendo una silenziosa preghiera a quel rovente sole britannico che per tutto il tempo era rimasto a guardare, mantenendosi a debita distanza.

 

           - Ossignore! E chi li regge tutti e due zoppi questi?

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:
1. Avete riconosciuto tutti La finestra sul cortile vero?
Bene.
Sarebbe quindi inutile ribadirlo, ma amo il suono delle mie dita sulla tastiera, per cui ve lo dirò lo stesso: l’intera vicenda qui raccontata non è altro che un remake versione Sherlock BBC del suddetto e famosissimo film di Alfred Hitchcock, adattato per l’occasione.
Quello che forse non sapete è che Rear window (titolo originale) è a sua volta ispirato ad un racconto scritto da Cornell Woorlich nel 1942, da cui Hitchcock ha tratto il suo famoso film nel 1954. Il racconto s’intitolava -come la mia storia- It Had to Be Murder, ed il titolo fu modificato in Rear Window solo in un secondo momento.
Nell’opera originale Sherlock -ovvero il guardone bloccato sulla sedia a rotelle- è James Stewart, invece John –ovvero il suo inizialmente riluttante compagno d’indagine- è la splendida Grace Kelly (una delle più belle donne mai vissute sulla Terra, per quel che mi riguarda).
Mentre la vicenda del film si sviluppa nell’arco di qualche giorno, la mia storia si svolge in un lasso di tempo molto breve, dando per scontato e già avvenuto tutto il lungo appostamento che invece è il cuore del thriller di Hitchcock. Ciò che avete appena letto infatti non ci pensava proprio ad essere un thriller, ma come spero avrete notato tentava d’essere divertente, pur mantenendo la struttura del giallo.
La seconda macroscopica differenza tra l’originale e questa misera copia riguarda l’impiego massiccio di una tecnologia inesistente ai tempi del grande regista. Un esempio su tutti è la lunga parte di dialogo telefonico tra John che si trova nell’appartamento e Sherlock bloccato alla finestra, possibile solo grazie al cellulare.
Sfruttando la portabilità dell’apparecchio ho potuto mettere in scena questo gioco di ‘visioni’ basate esclusivamente sui suoni, che invece nel film è sviluppato come un susseguirsi d’immagini prive di parole. La sequenza in cui Holmes, attraverso John e grazie ai suoi occhi, vede e comprende la realtà, è la più puramente ‘sherlockiana’ di tutta la storia, e non si tratta ovviamente solo di un espediente narrativo legato all’azione, ma di una sorta di metafora appena accennata, troppo ‘seria’ per poter essere trattata con maggiore profondità senza spezzare il ritmo della commedia.
Quando Watson perde il telefono ritroviamo la dimensione cinematografica, con Sherlock costretto ad osservare impotente l’aggressione, continuando però a viverla attraverso i suoni.
Proprio il suono è di fatto l’unico elemento che ci permette di restare in contatto con ciò che avviene nell’appartamento di fronte, dato che –esattamente come nel film- noi non usciamo mai dal soggiorno del 221B. Né a noi né a Sherlock Holmes è permesso seguire John in quel palazzo, ed il lettore/spettatore è inchiodato assieme a lui su quella sedia a rotelle, sperimentando un unico punto d’osservazione. L’unità di luogo e la parzialità di visione e conoscenza che ne derivano è il meccanismo su cui Hitchcock ha costruito la suspance nel suo film, inquadrando l’azione e la paura da lontano, ed impedendo allo spettatore di ‘avvicinarsi’ al luogo del delitto.
Io ho voluto conservare questo geniale stratagemma anche nella mia storia, pur non avendo una particolare tensione da mantenere, sfruttando l’occasione per inserire l’elemento tecnologico che la differenzia dall’originale, pur rispettandone la sostanza.
Ci sono ovviamente molte altre diversità oltre a quelle testé citate tra questa cosa ed il film che l’ha ispirata, a cominciare dal ‘luogo’ in cui è stato occultato il cadavere per finire con la lotta nell’appartamento (inutile specificare che Grace Kelly non stende l’uxoricida a calci…), ma trovo tediosa l’idea di elencarvele, perché alla fine… chi ha visto il film le conosce già, e chi non lo ha visto -e spero per voi che non esistano persone di siffatto genere- che cosa mai se ne potrebbe fregare delle differenze con qualcosa che non conosce?
Infine. Ve lo devo dire? Diciamovelo! L’aspetto e il nome dell’assassino sono ovviamente gli stessi dell’ uxoricida di Hitchcock.

2. Non volendo in alcun modo prendermi dei meriti non miei vi avviso che alcuni dialoghi sono ripresi dal film. (e non ho idea alcuna di quanti tra questi siano prelevati dal racconto originale e quanti invece ideati da Hitchcock).
Again… Non starò qui ad indicarvi punti precisi, anche perché ho dovuto spesso modificare la struttura degli scambi di battute, essendo i caratteri dei protagonisti del film poco affini a quelli di Sherlock BBC. Però ci sono alcune frasi riprese letteralmente nella parte iniziale, soprattutto per quel che riguarda la descrizione degli indizi che portano Holmes/Stewart a ritenere che nell’appartamento di fronte sia stato commesso un omicidio.
Da quando John esce di casa non ci sono più citazioni, comunque. E tutte  le battute riguardanti il suo sedere sono mie.

3. La foto che vi ho mostrato nel PreScriptum –ora posso dirvelo- è effettivamente la presa diretta da GoogleMap del civico 236 di Baker Steet a Londra, ovvero il palazzo che si affaccia di fronte al Museo di Sherlock Holmes, che la BBC ha eletto ad abitazione del consulting detective nel ventunesimo secolo.
Potrei dirvi che il Museo si trova al 221B, e sarebbe quasi la verità, visto che dal 1990 si fregia di una targhetta di riconoscimento che le assegna quel numero, e la posta spedita a quell’indirizzo le viene prontamente stornata, ma in realtà il suo vero numero civico è il 237, poiché –spero lo saprete tutti- il nostro tanto amato 221B in realtà non esiste.
O meglio. Non esisteva all’epoca di Doyle, in cui la numerazione di Baker Street si fermava al numero 100. L’appartamento minuziosamente descritto dal nostro Sir Arthur era un luogo che forse esisteva realmente (e ci sono molte teorie in merito) ma di sicuro non aveva il numero civico 221B, che è divenuto ‘reale’ solo per caso, quando nel 1934 la via è stata rinumerata, e questo benedetto numero è saltato fuori davvero, associato casualmente agli uffici di una building society, che per anni ha sfruttato la fortuna istituendo una ‘segreteria di Sherlock Holmes’ per le migliaia di lettere che arrivavano da tutto il mondo indirizzate al detective più famoso della storia.
Questa società ha chiuso nel 2005, e da allora il Museo ha ottenuto il diritto esclusivo di ricevere la posta indirizzata al 221B, ma non il civico 221B, che è stato ‘cancellato’ dalla strada, ed oggi -come nel 1887- non esiste.
A noi, in realtà, non interessa più di tanto sapere dove si trovi il 221B di Baker Street su questa terra, visto che si trova in un luogo preciso del nostro cuore. Però mi è tornato piuttosto utile poterlo localizzare in questa storia, rendendo reale ciò che Holmes vede affacciandosi alla sua finestra.

4. John cita ironicamente il film Psycho di Hitchcock, senza accennare in alcun modo alla Finestra sul cortile, il che così ad occhio potrebbe sembrare piuttosto scemo, vista la similitudine ben più accentuata.
Tutto ciò è facilmente spiegabile con il semplice fatto che io - in quanto autrice, ideatrice e quindi insindacabile imperatrice di tutto ciò- ho arbitrariamente deciso che in questo AU creato dalla BBC il regista americano ha girato il suo horror più famoso ma non ha mai girato La Finestra sul Cortile, così come del resto Doyle non ha mai scritto i suoi libri con protagonista Sherlock Holmes.

5. L’incipit tratto dal blog di John –ed ovviamente inventato da me- prende la grafica dal vero personal blog of Dr. John H. Watson che sta onlàin, creato appositamente dalla BBC, con tanto di repliche di Sherlock, Molly, Sarah et cetera.
Ma come! Non sapevate che esistesse?! Beh, nemmeno io. Fino a un paio di settimane fa.
Spulciatevelo perché ci sono certi scambi di post tra John e Sherlock che… non so come dirlo…
No, in realtà so esattamente come dirlo. OTP.
Non penso di averlo mai potuto gridare tanto forte per nessuno dei miei precedenti pairing.

6. La mancata sudorazione di Holmes che da un certo punto in poi si trasforma in un bagno di sudore, apparentemente –ed effettivamente- senza alcun legame con la temperatura, spero sia risultata chiara nel suo ruolo di mezza metafora.
«Tu non sei umano». E invece lo è.
Forse non nello stesso modo degli altri, e certamente non per gli stessi motivi. Ma a suo modo lo è.

7. La descrizione che Mrs Hudson fa al signor Thorwald della sua macchina parcheggiata in doppia fila con la portiera aperta ed i fari accesi è una citazione dall’incipit di una song piuttosto scema dei primi anni ’90 (addirittura…) che ha tormentato per svariati anni le mie estati di preadolescente.
Il disk jockey della discoteca all’aperto era letteralmente fissato con questo Francesco Salvi, ed io non ho potuto evitare di farmela entrare in testa...
Voi ormai siete adulti e vaccinati (credo), quindi posso linkarvela senza problemi:
C'è da spostare una macchina

7b. Nel caso qualcuno avesse dubbi in proposito… Nonostante questa storia sia stata proposta nello Speedy Challenge dello Sherlockfest Ondata di caldo a Baker Street mi pare OVVIO che io non l’abbia potuta scrivere in una settimana soltanto. XD
Ci lavoro da circa un mese (non perché sia chissà cosa, ma perché sono lenta), ed il fatto che una parte della storia sia effettivamente incentrata sul ‘caldo’ è una fortuita coincidenza.
Il caldo infatti è il presupposto, la conditio sine qua non, l’espediente narrativo su cui Hitchcock  -e prima di lui Woorlich- costruiscono la trama del loro thriller, poiché proprio grazie all’afa tutte le finestre che si affacciano su quel famoso cortile sono aperte, ed il protagonista può sbirciare nelle vite dei suoi vicini.
Io ho solo avuto fortuna, ritrovandomi un prompt per qualcosa che avevo praticamente già fatto. Quindi ringrazio il signore (o chi per lui) che ha ispirato a Madame Butterfly quest’idea proprio al momento giusto. **

Qui di seguito potete ammirare il mio splendido bannerino conquistato per l'occasione!

Concludo questa storia
con una nota d’amore senza numero  per Alfred Hitchcock,
 al quale dedico questo misero tentativo d’omaggio
Io sono una grande appassionata dell’horror e del thriller.
Adoro la tensione che t’inchioda allo schermo o alla pagina senza fiato, schiaffeggiandoti con le emozioni, senza scuse e senza filtri.
Qualsiasi tipo di film, che sia una storia romantica, un giallo, una spy story o un cartone animato, deve essere ben fatto per darti emozioni. Ma secondo me i thriller e gli horror più di tutti necessitano di un controllo totale su ciascuno degli elementi che compongono ogni scena, perchè è estremamente facile far cadere la tensione quando tutto ciò su cui sei concentrato è la tensione stessa.
Ho visto tanti film horror e molti film thriller nella mia vita, quindi parlo con una certa cognizione di causa.
Ai giorni nostri se ne sfornano molti, strabordanti d’effetti speciali, popolati da mostruose creature e da inquietanti presenze che grazie alla tecnologia assumono forme tanto reali da sembrare vive ai nostri occhi.
Eppure non c’è un film tra quelli moderni. Nemmeno uno. Che sia girato con la maestria e l’abilità con cui sono realizzati quelli di Alfred Hitchcock.
Lui è in grado di tendere la corda della paura con una sedia a rotelle ed un binocolo, senza bisogno d’altro che di una vecchia casa, una tenda da doccia, ed il suo straordinario talento.
Si aggirano tristemente intorno a quota zero le volte che mi sono imbattuta in registi che sapessero manovrare la suspence come ci riesce lui.
Perché la paura non ha niente a che vedere con ciò che accade sullo schermo, ma con lo stato d’animo in cui ti trovi nel momento in cui accade. E se il regista non ha saputo ‘costruire’ la paura fin dal primo fotogramma del film, non ci sarà nessun effetto speciale, né nessuna cascata di sangue, che potrà farti provare un solo brivido.
Hitchcock lo sapeva bene.
E ti faceva ‘vedere’ la paura ancor prima di averti fatto vedere qualsiasi altra cosa.
Un grande inchino ed un enorme grazie al Maestro del Brivido, che ha inventato l’horror, anche se preferiva il thriller.
Ah. Ovviamente era inglese.
Avevate dubbi?

 

 

 

 

 

 

 

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