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Autore: CatchingLightning    14/07/2011    14 recensioni
[...] -Tu hai mai fatto qualcosa di stupido in vita tua?
Volete la verità? Non sapevo cosa rispondergli. Forse si poteva considerare stupido lo scappare di casa all'età di sette anni, il fatto di considerarmi superiore a tutti gli altri, l'essere lì con lui quel giorno anziché allenarmi. Oppure semplicemente anche il fatto di non riuscire a dargli una risposta.
[...]
Alla fine risposi con un monosillabo, la più sincera di tutte le risposte. -Sì.
-Per esempio cosa?
Mi girai lentamente, incrociando il suo sguardo. I suoi occhi sembravano scintillare alla luce del Sole tramontante ed il suo sorriso era, se possibile, ancora più bello del solito.
Ne avevo fatte di cose stupide pur essendo la figlia di Atena, lo sapevo, e molte di queste erano state solamente errori di cui pentirsi, null'altro.
-Per esempio questo.
Genere: Commedia, Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapore di Mare, Aly's fanfiction



Era un pomeriggio estivo come tanti altri in California. Sole a tutto spiano, teenagers che passeggiavano tranquilli per le strade cittadine giocando e scherzando, macchine di turisti per le strade, surfers a fare i galletti in spiaggia, un'afa incredibile, tutti gli ombrelloni spalancati e compagnia bella: insomma, si percepiva l'atmosfera estiva quel giorno a San Francisco.
Personalmente, non sarei mai andata a San Francisco per le vacanze estive, con tutti i rischi che comporta visitare quella città per noi mezzosangue. Tuttavia, mio padre si era trasferito lì per lavoro, così ero passata a fargli un saluto. Ma d'altronde lo sapeva, io non potevo abitare lì, così ero costretta a vederlo solo qualche volta, in occasioni speciali, per ripartire dopo breve tempo.
Solo che quella volta non ero sola in California. Con me c'era chi avrebbe dovuto trovarsi a Long Island ad allenarsi al tiro con l'arco, visto che era una schiappa totale.
Non si sa bene come, ma, dopo aver salutato mio padre, la mia matrigna e i miei due fratellastri, anziché ripartire per il Campo Mezzosangue mi trovai a dirigermi verso la spiaggia.
    -Rispiegami bene come mai ti trovi qui.- dissi.
    -Un'altra volta, Sapientona?- sbuffò lui. -Eppure è già la quarta volta che me lo chiedi!
    -Lo so, ma è una storia così palesemente falsa che, per quanto mi stia sforzando di crederti, l'intento collide con il mio buonsenso.- replicai, continuando a camminare.
    -Ma che c'è di così strano? Sono stato espulso da scuola un'altra volta, sono andato a trovare Tyson, ho fatto una visitina a Bessie e, già che c'ero, mi sono fatto accompagnare qui da Arcobaleno per vedere come se la spassava quel vecchio simpaticone di Atlante.- spiegò il ragazzo. -È davvero così assurda come storia?
    -Decisamente.- annuii convinta.
Lui sbuffò.
Quest'individuo è Percy Jackson, indubbiamente membro della casa numero tre del Campo del Signor D, cioè questo significa che è figlio di Poseidone. È universalmente conosciuto con il soprannome di Testa d'Alghe, ma questo simpatico nomignolo non gli è stato appioppato a caso: alcune volte sembra davvero che abbia il cervello intasato di plancton o di chissà che ameba marina. Molto probabilmente, senza di me sarebbe stato già bello che stecchito o, ancora peggio, tra le mani di Crono.
Si scompigliò i capelli corvini con una mano. -Sentiamo, perché reputi la mia versione dei fatti una bufalata colossale?
    -Non è coerente, Cervello di medusa!- risposi.
    -Le meduse non hanno il cervello, Sapientona!- ribatté Percy.
    -Credi che non lo sappia?- replicai, con un ghigno sulle labbra.
Attesi qualche secondo perché Percy afferrasse il concetto. Alla fine fu colto da un'illuminazione divina (eh, già, ogni tanto mamma si ricorda anche di lui) e capì.
    -Ah ah ah, molto divertente!- fece Percy con sarcasmo. -Dai, rispondi alla mia domanda!
    -Prima stupidaggine: hai detto che sei andato a trovare l'Ofiotauro, no?- gli domandai, cercando conferma.
Lui annuì con un cenno del capo. -Sì, sono andato da Tyson e, dato che ero già lì, sono passato a salutare anche Bessie.
    -Percy, ti pare che Zeus possa lasciare a Poseidone il controllo dell'Ofiotauro, così da avere una potente arma segreta contro di lui?- gli domandai, doveva riflettere un po' meglio su che scuse inventare. -Già non gli va troppo a genio che le fucine dei ciclopi, dove vengono fabbricate le sue folgori, siano in fondo al mare, figuriamoci!
    -Effettivamente, immagino che il Signore dei Cieli e della Paranoia abbia da subito scartato l'eventualità...- borbottò Percy con noncuranza.
Un tuono fece sobbalzare tutti i passanti. Evidentemente, a mio nonno non andava
così tanto a genio l'epiteto affibbiatogli dal caro nipote.
    -Anche se dovresti saperlo, l'Ofiotauro ora sta beatamente sguazzando in un acquario costruito da Efesto sull'Olimpo.
Percy borbottò qualcosa, ma purtroppo non riuscii a capire cosa, quindi non chiedetemi di che si trattasse perché non ne ho la più pallida idea.
    -Seconda stupidaggine: hai detto di essere andato a fare una visitina a Tyson e di assere arrivato qui con Arcobaleno, giusto?- gli chiesi, nuovamente per avere conferma.
Percy annuì, guardandomi. Io continuai a camminare tenendo sempre lo sguardo avanti a me.
    -E, se fosse vero, spiegami una cosa...- dissi, girando la testa per guardarmi le spalle ed indicando qualcosa di invisibile dietro di noi. -Che cosa ci fa qui Blackjack?
Per la cronaca, Blackjack è un pegaso. Se vi state chiedendo come mai Blackjack fosse invisibile, la spiegazione è molto semplice: per evitare di attirare l'attenzione girovagando per San Francisco con un cavallo-piccione al seguito, abbiamo pensato bene di infilargli in testa il mio berretto degli Yankees, un dono di mia madre che ha il potere di rendere invisibile chiunque lo indossi.
Blackjack nitrì, ed avrei giurato che fosse offeso.
    -Che ha detto, Testa d'Alghe?- domandai a Percy. In quanto figlio di Poseidone, ossia di colui che ha creato i cavalli dalla schiuma del mare, Percy ha la possibilità di comunicare con tutti gli equini della Terra: in quel caso, Percy era il mio tramite.
    -Ehm... ha detto qualcosa come “Ehi, amica del capo, non ti scaldare”- rispose Percy, un po' in difficoltà. -E ti ho detto mille volte che non mi devi chiamare “capo”!- esclamò poi, rivolto al quadrupede.
Blackjack nitrì e Percy sospirò. -Sei senza speranza, Blackjack...
Ebbi l'impressione che il pegaso si stesse divertendo alle spalle di Percy.
    -Ritornando a noi, siccome Blackjack non è in grado di respirare sott'acqua, com'è logico che sia, non posso proprio credere alla tua storiella.- conclusi, con un'espressione orgogliosa come quella di chi ha appena ricevuto il diploma di laurea.
    -Per l'amor di Afrodite, Annabeth!- esclamò Percy. -Ci sono solo due particolari che non vanno nella mia storia, direi che sono stato bravo!
    -Due, senza contare tutti quelli che hai detto quando ci siamo incontrati davanti a casa di mio padre.- sottolineai. -A proposito, è un caso che ti trovassi lì, vero?
Giurai di averlo visto arrossire. Pensai che fosse l'effetto dell'afa spaventosa di quel giorno. -Sì, ovvio!
Io sbuffai. -Testa d'Alghe, sei un pessimo bugiardo!
    -Uffa, sono solo dettagli!- protestò Percy, ridacchiando. -Piuttosto, ho in mente qualcosa di migliore della solita visuale sull'Oceano Pacifico.
    -E cioè?- gli domandai, non capendo dove volesse andare a parare.
Percy non mi degnò di risposta, cosa che mi lasciò alquanto perplessa. In compenso scavalcò la staccionata lì di fianco e corse a nascondersi dietro un grattacielo.
    -Dove cavolo stai andando?- gli urlai dietro, dovevamo aver attirato un sacco di sguardi di curiosi, scavalcando di punto in bianco una staccionata per giungere lì. Certe volte mi chiedo se lui rifletta prima di agire. Evidentemente no.
Tolse il berretto dell'invisibilità a Blackjack, che ritornò visibile.
    -Ma sei matto? Se qualcuno ci vedesse con un ronzino volante, che diresti?- esclamai.
    -Annabeth...
    -D'accordo, c'è la Foschia dalla nostra parte, ma credo che un cavallo per le strade della California non passi inosservato!
    -Annabeth...
    -E se qualcuno fosse in grado di vedere la vera forma di Blackjack? Per gli dèi, sarebbe un disastro!
    -Annabeth!
    -Che vuoi?- gli domandai.
    -Prima sali e prima ci sbrighiamo a togliere il disturbo!- esclamò Percy, accarezzando il dorso scuro di Blackjack.
Avevo intuito che aveva in mente, ma era un piano fuori di testa!-Salire dove?- chiesi, sperando che la risposta non fosse quella che intendevo io. Quel giorno, la dea Tiche¹ non era dalla mia parte.
    -Ma in groppa a Blackjack, è ovvio, Sapientona!
Al che io scossi la testa con vigore, lanciando a Percy un'occhiata di sbieco. -Io lì sopra non si salgo!- esclamai, ferma.
    -Perché?- chiese Percy, guardandomi senza capire. -Blackjack è un bravo pegaso!
    -Sveglia, Testa d'Alghe! I cavalli sono stati creati da Poseidone!- gli rammentai, esasperata. -Lo sai che mia madre e tuo padre non sono esattamente in buoni rapporti, non sarebbe saggio da parte mia salire in groppa a Blackjack.
Blackjack nitrì come per dire che di lui ci si poteva fidare. Percy sorrise divertito e quella non era esattamente la reazione che mi aspettavo.
    -E adesso che c'è?
    -Annabeth, tu non hai paura, vero?- mi chiese, con quella che avrei giurato essere una punta di malizia nella voce.
    -Ma certo che no!- risposi prontamente. Figuriamoci! Io, una figlia di Atena, che ha paura di salire in groppa ad un cavallo-piccione... ma non diciamo cavolate!
    -Dai, non succederà nulla!- mi assicurò Percy, ma non ottenne un granché come risultato.
    -Piuttosto vengo a piedi!- sbottai. Lo ammetto, quando mi ci metto sono un po' cocciuta: e chi mi conosce sa quanto mi costi ammettere una cosa del genere.
Percy salì in groppa a Blackjack e mi tese una mano, dicendo: -Senti, ci sarò anch'io a cavalcare Blackjack, dubito che ti succeda qualcosa. E se volo io dopo che Zeus mi ha vivamente consigliato di non farlo a meno che non voglia fare una visitina di cortesia al suo caro fratellino nell'Oltretomba e a quel morto di fame di Tantalo, non vedo perché non debba farlo tu.
La mia espressione in quel momento doveva rasentare il puro stupore: a volte quell'individuo era a dir poco indecifrabile!
Ad ogni modo, con una certa riluttanza montai in groppa a Blackjack, senza però afferrare la mano di Percy.
    -Sei veramente stupido, Testa d'Alghe.- borbottai, mentre Percy rimetteva il mio berretto in testa al pegaso.
    -Sei tu che sei troppo intelligente, Sapientona.- replicò lui, divertito.
Sorrisi leggermente. Forse non lo davo a vedere, ma in quel momento mi stavo divertendo anch'io.
    -Dove stiamo andando, Percy?- gli domandai, mentre Blackjack spiccava il volo.
Lui sorrise. -Che sorpresa è se te lo dico?- replicò. Non potei trattenermi dallo sbuffare. -Ah, comunque grazie!
Lo guardai perplessa. -Grazie di cosa?
    -Mi hai chiamato Percy.- rispose lui. -Non Testa d'Alghe come al solito.
Io feci spallucce. -Un banale errore di distrazione, Testa d'Alghe.
Percy sospirò. -E ti pareva.
Svolazzammo per un po' sopra le nuvole, in modo tale che non ci potessero vedere dalle strade cittadine, quando Blackjack virò bruscamente a destra. Non me lo aspettavo, così, colta di sorpresa, per evitare di cadere, d'istinto mi strinsi a Percy.
Mettiamo le cose in chiaro, se non fossi stata in una situazione critica non mi sarei mai stretta a lui!
Percy diventò tutto rosso. Doveva avere caldo persino ad alta quota.
    -Co... cosa... che...?- balbettò Percy, girando la testa verso di me.
Le mie guance si colorirono un po', ma non parve accorgersene.
    -Oh, se preferisci io cado in acqua e tanti saluti!- sbottai, odiavo essere fissata.
    -No, no.
    -Umpf!- sbuffai. -Piuttosto, di' a Blackjack-cavallo-del-West di condurre una guida più sicura! Vorrei sapere dove ha preso la patente...
Blackjack nitrì, e, grazie alla puntuale traduzione di Percy, capii che significava “Ehi, amica del capo, sono un pegaso! Non mi serve la patente!”.
Percy rise nervosamente e ricordò a Blackjack di non chiamarlo “capo”.
In quel momento, nella mia testa ronzava un unico, insidioso, assillante interrogativo: “Come accidenti ho fatto a finire in questa situazione?”.


Sapore di sale,
sapore di mare,
che hai sulla pelle,
che hai sulle labbra,
quando esci dall'acqua
e ti vieni a sdraiare
vicino a me
vicino a me.



Blackjack, seguendo gli ordini del capitano Percy Jackson, detto Testa d'Alghe, ci portò a destinazione.
Il luogo che intendeva Percy era una sorta di incavatura che aveva creato la marea: quella parte di spiaggia era separata e nascosta dalle altre da uno strato di roccia. Era emersa dall'arretrare della marea, quindi probabilmente nessuno sapeva dell'esistenza di quel posto.
Devo dire che quel luogo mi piaceva. Era tranquillo, lontano dal caos e dalle preoccupazioni cittadine... insomma, il luogo ideale per riflettere e progettare nuovi edifici con il sofisticatissimo Design 3D. Peccato che non avessi il computer con me quel giorno, ero ispirata.
    -Allora, che ne dici?- mi chiese Percy.
    -È un bel posto.- ammisi. -Ma perché mi hai portata proprio qui?
    -Perché questo posto è l'ideale per rilassarsi!- rispose sorridendo. -Sei sempre rintanata a leggere quei mattoni in greco antico o a progettare non si sa bene cosa con quell'arnese diabolico sul computer, e quando esci all'aperto è quasi sempre per allenarti!
Alzai un sopracciglio. -Quindi?
    -Quindi ti serve una vacanza per staccare!- concluse. -E non ti azzardare a negarlo!- aggiunse, intuendo le mie intenzioni.
    -E perché sei venuto qui proprio oggi?
Percy avvampò. Eh, già, quel giorno faceva proprio caldo, ma forse essendo una sorta di ragazzo-pesce lo percepiva di più.
    -Diciamo che un uccellino dagli aspetti di un satiro mi ha detto che saresti andata a salutare tuo padre oggi.- confessò con nonchalance.
I satiri d'oggi... credo che siano i portavoce dei pettegolezzi di Afrodite o qualcosa del genere. Che pensino piuttosto a trangugiare tinozze di caffè e a cercare Pan, così siamo contenti noi e contenti loro.
    -Se ti avessi detto di prenderti una tregua durante il tuo soggiorno al Campo, mi avresti sicuramente risposto che non puoi permetterti di rallentare sulla tabella di marcia, che il pericolo è sempre in agguato, eccetera eccetera.
    -Nulla da dire, Testa d'Alghe, ci hai azzeccato.- ammisi. -Così hai pensato bene di venire qui.
Percy annuì.
    -Beh, direi che ha una sua logica.- constatai. -A questo punto, probabilmente la cosa più saggia da fare è divertirsi.
    -Esatto, e a tal proposito ho una sorpresa!- esclamò Percy, correndo verso la riva. Mosse qualche passo in acqua finché questa non gli arrivò all'altezza delle ginocchia, dopodiché si mise a fischiare.
Inizialmente pensai che fosse ammattito, poi però vidi spuntare dall'acqua una sagoma decisamente familiare: si trattava di Arcobaleno, l'Ippocampo.
Arcobaleno, non si sa come, era accorso non appena Percy aveva fischiato; ne dedussi che il fischio doveva essere una sorta di richiamo per ippocampi. Per giocare, Arcobaleno schizzò Percy con un elegante colpo di coda, e da lì iniziarono una battaglia di schizzi alla quale prese parte anche Blackjack, nuovamente visibile senza il mio berretto. Era divertente starli a guardare, così stesi un asciugamano sulla sabbia e mi ci sedetti sopra, a guardarli giocare mentre l'acqua scintillava attorno a loro.
Senza accorgermene, le mie labbra si incurvarono in un leggere sorriso.
Era da tanto, troppo tempo che non mi prendevo una pausa: con Crono che tramava alle nostre spalle e Luke che rischiava la vita ogni secondo che passava, non mi veniva certo in mente di spassarmela e di rilassarmi. Percy, invece, non era del mio stesso avviso: diceva che, se fosse comparso un imprevisto, lo avremmo affrontato nel momento in cui ci si fosse presentato davanti. Se tutti avessimo ragionato come lui, a Crono sarebbe bastato agire nell'ombra e saremmo stati tutti abilmente fregati. A volte mi chiedo che fine avrebbe fatto senza il mio aiuto, senza la parte razionale della sua coscienza: forse sarebbe uno spiedino di eroe, chissà.
A distogliermi dai miei pensieri ci pensò Percy, chiamando il mio nome a gran voce.
    -Annabeth!
Venne verso di me, sorridendo in modo spontaneo. E in che altro modo avrebbe potuto farlo? È un disastro nel dire bugie, figuriamoci nell'atteggiarsi in modo falso.
    -Che succede?- gli domandai. -E perché sei bagnato fradicio?
Immagino di dovervi spiegare anche questa storia. Essendo figlio di Poseidone, Percy aveva una sorta di immunità: in pratica, anche se si fosse gettato dalle Cascate del Niagara ne sarebbe uscito indenne e, ogni qualvolta entrava in acqua, ne veniva fuori sempre asciutto come se nulla fosse. Inoltre, il contatto con l'acqua aveva il potere di fargli recuperare le forze e curare le sue ferite. Detto questo, capirete il mio stupore nel vederlo bagnato dalla testa ai piedi: a meno che non lo volesse, Percy non si bagnava mai.
    -Ah, beh, che gusto ci sarebbe stato a fare la battaglia di schizzi senza bagnarmi nemmeno un po'?- replicò Percy, arrivandomi vicino. Massì, tutto sommato aveva un senso. Poi indicò l'asciugamano. -Posso sedermi un attimo?
Mi spostai un po' alla mia destra. -Fai pure.
    -Grazie.- rispose semplicemente, sedendosi alla mia sinistra e passandosi una mano tra i capelli corvini.
Nel momento in cui Percy si sedette accanto a me, percepii una fragranza strana, ma parecchio gradevole, quasi inebriante: era salsedine, ma con qualcosa di diverso. Non seppi dire che cosa ci fosse di particolare, e non ve lo saprei dire nemmeno ora, ma quel profumo portava con sé parole non dette, solitudine, problemi e difficoltà, dolore. Portava con sé gioia, armonia, felicità, entusiasmo, impazienza, orgoglio, vittoria.
Portava con sé tutto quello con il quale avevo identificato Percy fino ad allora elevato all'infinitesima. Si dice che occhi e profumo siano lo specchio dell'anima: ebbene, era quella l'anima di Percy?
Mentre ci ragionavo, lo guardavo ammirare le diverse sfumature di colore delle onde marine, con aria sognante e malinconica. A cosa stava pensando in quel momento?
Ero tutta presa da queste domande quando, ad un certo punto, Percy girò la testa di scatto, incrociando il mio sguardo.
    -Mh? Qualcosa non va, Annabeth?
    -No... no, è tutto a posto.
Bugiarda.

Sapore di sale,
sapore di mare,
un gusto un po' amaro
di cose perdute,
di cose lasciate
lontano da noi
dove il mondo è diverso,
diverso da qui.



Distolsi lo sguardo e tornai a posarlo su Arcobaleno, che giocava con Blackjack. Immaginai che s'intendessero così bene per un fatto di parentela: ippocampo deriva da ίππος (híppos) che, in greco antico, significa proprio cavallo. L'atmosfera era terribilmente rilassante e la visione di Arcobaleno e Blackjack che giocavano senza la minima preoccupazione conferiva a quel luogo un'atmosfera rappacificante. Un po' come quegli incensi che mettono nelle sale di yoga.
Sarei voluta rimanere così, in pace con me stessa e con il mondo, per l'eternità: avrei voluto che Crono non avesse mai cominciato il suo folle piano per ribaltare l'Olimpo, che Luke non fosse mai passato dalla parte dei titani e che mia madre e mio padre potessero tornare ad essere la famiglia di un tempo insieme a me.
Già, mia madre, la divina Atena... mi mancava tremendamente. Mi chiesi cosa stesse facendo, se mi stesse guardando. La speranza che mia madre si stesse prendendo cura di me dall'alto, pur non essendo presente, l'avevo avuta sin da bambina: dopotutto, per tutta la mia infanzia mio padre mi aveva considerata una scocciatura e, per quanto potesse, mi aveva ignorato, curandosi solo della sua nuova moglie normale e dei suoi altri due figli normali. Per questo scappai quando avevo sette anni, cercavo qualcuno che non mi giudicasse strana o anormale: così finii per incontrare Luke, Talia e Grover. E poi Chirone, il signor D, Tyson, Testa d'Alghe... tutti al campo avevano dei problemi con i familiari, ma Percy sembrava l'unico a cui tutto andasse stranamente bene, e questo era parecchio, anzi estremamente strano. Forse non era un pessimo bugiardo come credevo io, forse ne aveva passate più di quante ne desse a vedere.
    “Oh, per gli dèi!” imprecai mentalmente. “Ma perché accidenti ci sto pensando?”.
Vi prego, non chiedetemi di rispondere alla domanda che mi posi allora. Il mio cervello andava per le sue quel giorno... forse era colpa del salso dell'Oceano.
Però, da brava figlia di Atena che aspira alla conoscenza quale ero e sono tuttora, restare con il dubbio non era nei miei progetti, così decisi di chiedere tutto al diretto interessato per ottenere delle risposte da poter considerare valide.
    -Percy.- lo chiamai, tenendo pur sempre lo sguardo fisso sulle onde che s'infrangevano sulla sabbia. Il mare aveva assunto il colore del tramonto.
    -Mh?- si voltò lui.
    -Ti manca mai tuo padre?
Percy era stupito e glielo si leggeva anche solo guardando per un istante i suoi occhi verdi. -Perché questa domanda d'improvviso?
    -Perché tu sembri essere l'unico che non ha problemi di famiglia. Intendo, sai la storia mia, quella di Talia ed ovviamente conosci quello che pensa Luke di suo padre Ermes. Non ti senti mai abbandonato da lui?
    -Che tu ci creda o no, mai.
Mi voltai a guardarlo, presagendo la venuta di un racconto più particolareggiato sulla sua infanzia rispetto agli alle altre volte, in cui ne parlavamo sempre di sfuggita, quasi sempre in bilico sul baratro della morte.
    -Sai, credo che Poseidone volesse davvero bene a mia madre. E credo che non mi detesti, quindi non ho motivo di detestare lui. Per dirla tutta, è mio padre, è impossibile che non gli voglia bene.- continuò Percy, sorridendo debolmente. -Ogni volta che ne avevo bisogno, lui mi ha sempre aiutato nel modo migliore e ha sempre fatto tutto quello che poteva per me. Se non ha potuto restare con me e con mia madre è stato per un ordine di Zeus al quale non si è potuto opporre.
Lo ascoltai rapita, mentre parlava. Sembrava davvero che credesse in quello che stava dicendo.
    -Certo, mi manca, come dire di no.- ammise Percy, guardando l'orizzonte con aria felicemente malinconica. -Però non mi sento mai abbandonato da lui.- concluse, sorridendo.
Io continuavo a guardarlo senza dire nulla e questo mise Percy un po' in imbarazzo.
    -Eh eh... lo so, sono stupido a fare questi discorsi, ma...- iniziò, ma lo interruppi, impedendogli di continuare.
    -No!- esclamai. -Cioè, sì, sei stupido, ma ci sono alcune rare volte in cui sfoderi un'inaspettata saggezza che mi lascia davvero stupita.
Percy mi fissò, come se non credesse a quello che gli avevo appena detto. Poi realizzò che non lo stavo prendendo in giro.
    -Ehm... wow.- farfugliò Percy, con una luce soddisfatta negli occhi.
Io distolsi lo sguardo e presi a raccontargli la mia storia. -Io sono nata sull'Olimpo. Ho conosciuto mia madre e, sinceramente, non potrei desiderare una madre migliore di Atena. Anche con mio padre sto riallacciando i rapporti, perciò sembra che la mia vita non stia più andando a catafascio come quando ero piccola.
    -Annabeth, ma perché...?
    -Se ti chiedi perché ti dico tutto questo, il fatto è che sto cercando un appoggio per una mia teoria.- lo precedetti, stringendomi le ginocchia al petto.
    -Riguardo cosa?
    -Luke.- dissi semplicemente. Quella parola non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni. -Io credo che non odi suo padre così tanto. Secondo me, inizialmente voleva rovesciare l'Olimpo per dimostrare che non era un incapace, che era in grado di eguagliare Ercole e di superarlo. Però penso che Crono lo abbia soggiogato facendo leva sul suo difetto fatale ed ora lo stia manipolando come un burattino.
    -Quindi, in sintesi, tu non credi che Luke sia malvagio.- ricapitolò lui. -Credi che debba solo essere salvato.
    -Esatto.- annuii. -Perciò io voglio salvarlo.
Mi sembrò di vedere Percy stringere i pugni. -Capisco.- disse.
    -Davvero capisci?- gli domandai, non convinta. Mi aspettavo una reazione ben maggiore da parte sua. Forse non gliene importava così tanto.
Lui annuì, facendosi serio. -Quello che non capisco è perché ti ostini tanto a credere in lui. Non dopo quello che ti ha fatto passare.- mormorò. Quella frase ebbe molto più effetto pronunciata in quel modo ed, in cuor mio, avrei preferito che avesse urlato anziché dirla con quel tono.
    -Percy, stammi a sentire...
    -No, tu stammi a sentire!- si alterò. -Per colpa di quel non-dico-cosa tu hai dovuto sostenere il cielo al posto di Atlante! Come puoi pensare che quell'individuo non sia malvagio? Forse non te ne rendi conto, ma ti sta fregando alla grande! Come puoi difenderlo ancora?
Per la prima volta, vidi Percy letteralmente fuori controllo. Non capivo perché la questione di Luke lo avesse fatto infuriare tanto, ma non potevo sopportare che parlasse così di lui.
    -Che accidenti stai dicendo?
    -Sto dicendo che non ti merita!
    -Non mi merita per cosa?
    -Lo sai benissimo, Sapientona!
    -No che non lo so, Testa d'Alghe!
    -Non prendermi in giro!
    -Non ti sto prendendo in giro, Percy!- esclamai.
    -Allora quando capisci di cosa sto parlando, Sapientona, fammi un fischio!- sbottò lui, alzandosi in piedi e correndo da Arcobaleno e Blackjack. Non so perché, ma nell'andar via si appropriò di una parte di me, lasciandomi dentro una stranissima sensazione di vuoto che, se non avessimo chiarito la faccenda, sarebbe stata destinata a non colmarsi mai.


Qui tempo è dei giorni
che passano pigri
e lasciano in bocca
il gusto del sale.
Ti butti nell'acqua
e mi lasci a guardarti
e rimango da solo
nella sabbia e nel sole.



Rimasi a riflettere su quello che poteva insinuare Percy. Quello zuccone era il ragazzo più problematico di tutta la Terra. Sapeva benissimo quanto io tenessi a Luke, non capivo perché fosse stato così duro nei suoi confronti, non dopo che gli avevo esposto la mia teoria. E se non lo capisca una figlia di Atena, significa che il suo ragionamento era basato su argomentazioni prive di qualsiasi fondamento logico. In base a che cosa accusava Luke di essere completamente malvagio?
Senza pensarci più di tanto estrassi il coltello di bronzo celeste dalla tasca dei miei pantaloncini di jeans e me lo rigirai tra le dita.
Quel coltello era un regalo di Luke. Lo portavo sempre con me, era l'arma con cui combattevo e lo trovavo estremamente comodo per il mio modo di lottare contro i mostri.
Alcuni raggi del Sole tramontante colpivano la superficie bronzea dai risvolti celesti, creando riflessi variopinti e sempre unici nel loro genere. Come poteva essere malvagia la persona che mi aveva regalato un oggetto tanto stupendo ed importante per me? No, ne ero sicura: Luke si comportava così solo a causa di Crono e delle sue manipolazioni mentali da psicoterapia che, probabilmente, avrebbero fatto venire un capogiro persino a Freud. Anche il fatto che Luke avesse cercato di convincermi a passare dalla parte dei titani era chiaramente una prova del fatto che non s'era completamente dimenticato di me, di Talia e di tutte le avventure che avevamo vissuto insieme. Probabilmente ci voleva sl suo fianco per conbattere Crono dall'interno delle sue fila.
La reazione di Percy non era giusta nei confronti del figlio di Ermes.
    “Tsk! Fa male a considerarlo malvagio!” dissi tra me e me. “E la sua reazione è stata indubbiamente esagerata!”.
In effetti, se avessi conosciuto allora il “pensiero giuda” che aveva dato il via a quella reazione, tutto avrebbe avuto più senso.
Mi alzai e mi diressi verso la riva, del tutto intenzionata a farmi dare una spiegazione da quell'imbranato Testa d'Alghe. Percy stava accarezzando la criniera di Arcobaleno quando lo chiamai.
    -Ehi, Testa d'Alghe!- esclamai, attirando la sua attenzione. -Mi devi delle spiegazioni.
Una folata di brezza marina mi scompigliò i riccioli dorati. Immaginai che fosse il suo modo per dire “arrivo subito”, dato che non mi degnò di alcuna risposta mentre usciva dall'acqua.
Tornammo agli asciugamani e mi sedetti; Percy, invece, rimase in piedi dinanzi a me, guardando l'ottimo operato di Apollo per il tramonto di quel giorno.
    -Senti, Percy, capisco che la fiducia che riponevi in Luke sia stata tradita, però sono dell'opinione che non sia stata mal riposta.
    -Annabeth, posso farti una domanda?- chiese, guardandomi dritto negli occhi.
Dal canto mio, lo guardavo interdetta. Perché mi aveva posto una domanda tanto strana? E perché il fatto che me l'avesse posta mi lasciava uno strano senso di irrequietezza dentro?
    -Fa' pure.- gli risposi, stringendomi nelle spalle.
    -Perché ti fidi così tanto di Luke?
Quell'interrogativo, posto in modo tanto spontaneo quanto diretto, riuscì in qualche modo a lacerarmi dentro. La risposta era semplice e complessa, bastavano due parole quanto ne servivano centomila, era nitida eppure confusa.
    -Perché lo conosco da quando aveva quattordici anni.
    -E con questo che vorresti dire?
Sorrisi debolmente. -Che è sempre stato un tipo un po' fuori dagli schemi, rubacchiando qua e là, ma sono certa che non è cattivo. E poi perché gli voglio molto bene.
    -Quindi è per una questione di affetto?
    -Suppongo di sì.


Poi torni vicino
e ti lasci cadere
così nella sabbia
e nelle mie braccia
e mentre ti bacio,
sapore di sale,
sapore di mare,
sapore di te.



Percy si lasciò cadere all'indietro, sedendosi sull'asciugamano. Buon per lui che sotto all'asciugamano c'era sabbia e non ghiaia.
    -Beh, obiettivamente... è alto, un bel ragazzo, atletico, ha gli occhi chiari... è più che plausibile...- rifletté Percy, assumendo un'espressione pensierosa.
Ebbi la vaga sensazione che stesse delirando.
    -Che?- feci, non capendo di che stesse blaterando.
    -Beh, dico che è più che possibile.- ribatté, cupo.
    -Che cosa?
    -Dopotutto, Luke ha un certo fascino.- constatò Percy.
    -Stupido Testa d'Alghe, che accidenti stai dicendo?
    -Sto dicendo che è più che ovvio che tu ti sia innamorata di lui.
Non so spiegarmi come, ma per un istante il mio cervello andò in tilt a causa dell'overdose di scemenze che uscivano dalla bocca del ragazzo-pesce. Fatto sta che per due spaventosi secondi persi completamente il controllo, così come la mia volontà di intendere e volere. Il risultato furono cinque dita stampate sulla guancia di Percy e quest'ultimo che mi guardava come se fossi un'aliena appena sbarcata da Mercurio.
Quando ripresi il controllo, per fortuna nell'arco di un millisecondo, mi accorsi di stare ansimando. Mi guardai la mano come se fosse un oggetto a me estraneo che agiva d'impulso. Tuttavia non avevo alcun rimorso per lo schiaffo, se lo meritava. Non avrebbe dovuto dire cose tanto stupide, men che meno in mia presenza.
Percy si toccò la guancia arrossata ed emise un gemito di dolore. Avevo l'impressione che facesse piuttosto male.
    -Annabeth, cosa...?- esordì, ma non gli permisi di continuare.
    -Sta' zitto, Testa d'Alghe.
    -Oh, grandioso!- protestò Percy con sarcasmo. -Prima mi schiaffeggi e poi mi dici di star zitto. Tutto nell'ordine sbagliato!
    -Se avessi evitato di dire tutte quelle scemenze, non avrei avuto il bisogno di schiaffeggiarti.- replicai, arrabbiata. Tutto, ma non che mi dicesse che ero innamorata di Luke e via discorrendo.
Percy parve riflettere, cosa alquanto inusuale per lui. Io intanto mi massaggiavo il polso, senza però distogliere lo sguardo da lui.
    -Cioè tu vuoi farmi credere che non sei innamorata di Luke?
    -Alla fine ci sei arrivato, Testa d'Alghe!- sbottai, ancora arrabbiata. -Luke è una sorta di fratello per me.
    -Fratello?- ripeté con aria confusa, mentre cercava di afferrare il concetto.
    -Già. Gli voglio bene come se fosse mio fratello, mica sono innamorata di lui o roba del genere!- confermai.
Gli ci volle qualche secondo per afferrare il concetto.
    -Oh...- capì. -Quindi...
    -Sì, Testa d'Alghe. Hai preso fischi per fiaschi.- lo precedetti, sbuffando.
Stranamente, Percy sorrise e girò la testa verso il mare. Sul serio, c'era qualcosa da sorridere? A mio parere no, ma evidentemente Percy ci aveva trovato qualcosa di buffo.
    -Che hai da sorridere?- gli chiesi, con una nota di curiosità nella voce.
    -Nulla.
Inarcai un sopracciglio ed il sorriso di Percy si allargò.
    -È solo che mi sono appena accorto di quanto tu abbia ragione.
    -Io ho sempre ragione, Testa d'Alghe!- puntualizzai, con soddisfazione. -In che cosa avrei ragione stavolta?
    -Sul fatto che io sia stupido.- rispose Percy.
Non poteva lasciarmi più perplessa di così. Ultimamente c'erano dei momenti in cui Percy tirava fuori una saggezza che nessuno si sarebbe aspettato da un figlio di Poseidone.
    -Forse non sei così stupido.- replicai. Lui si voltò a guardarmi.
    -Stai dicendo sul serio?
Annuii.
Percy sorrise ancora di più e tornò a guardare l'orizzonte.
    -Annabeth?
    -Dimmi.
Si voltò di scatto, come se volesse osservare ogni mia minima reazione alla domanda che mi avrebbe posto.
    -Tu hai mai fatto qualcosa di stupido in vita tua?
Volete la verità? Non sapevo cosa rispondergli. Forse si poteva considerare stupido lo scappare di casa all'età di sette anni, il fatto di considerarmi superiore a tutti gli altri, l'essere lì con lui quel giorno anziché allenarmi. Oppure semplicemente anche il fatto di non riuscire a dargli una risposta. O, ancora, di non essere in grado di dirgli quello che provavo veramente per lui. Forse era stupido anche solamente provare qualcosa per quello stupido Testa d'Alghe. Forse era stupido amarlo.
Alla fine risposi con un monosillabo, la più sincera di tutte le risposte. -Sì.
    -Per esempio cosa?
Mi girai lentamente, incrociando il suo sguardo. I suoi occhi sembravano scintillare alla luce del Sole tramontante ed il suo sorriso era, se possibile, ancora più bello del solito.
Ne avevo fatte di cose stupide pur essendo la figlia di Atena, lo sapevo, e molte di queste erano state solamente errori di cui pentirsi, null'altro.
    -Per esempio questo.
Feci la cosa più stupida in assoluto di quelle che avrei potuto fare, ma forse l'unica idiozia della quale non mi sono pentita e di cui non mi pento neppure oggi. Gli presi il viso tra le mani, chiusi gli occhi e gli deposi un lieve bacio sulle labbra. Non rimasi così per molto, dato che la mia dose di coraggio l'avevo impiegata tutta anche solo per posargli una mano sulla guancia. Inoltre, il mio cuore stava allenandosi a fare ruote e capriole nel mio petto come una ballerina di ginnastica artistica, rischiando di scoppiare da un momento all'altro per quanto forte batteva, preda dell'emozione del momento.
Percy mi guardò stranito e stupito più che mai. Era dello stesso colore del Sole che si vedeva all'orizzonte, rosso fuoco. Anche io ero arrossita, come negarlo, però di certo meno di lui.
    -Forse questa è la cosa più stupida che io abbia mai fatto in tutta la mia vita.- dissi mestamente. -E dirti che mi piaci sarebbe la cosa più stupida che ti possa dire in tutta la mia vita.
    -Forse questa è la cosa più bella che tu abbia mai fatto per me in tutta la tua vita, Annabeth.- rispose Percy. -E dirmi che ti piaccio sarebbe la cosa più fantastica che tu mi possa dire in tutta la tua vita.
    -Che...?- esordii, ma Percy m'interruppe.
    -Perché io ti amo, Annabeth.- disse Percy, radioso. -Fino ad ora non ho avuto tempo di dirti quanto tu sia importante per me e, ogni volta che ci provavo, o stavamo per morire o avevamo un mostro assetato di sangue alle calcagna.- ammise, arrossendo tremendamente. -Ma voglio che tu sappia che io ti amo.
Non avrebbe potuto farmi più felice. Percy mi amava, ricambiava i miei sentimenti... nemmeno nelle mie più rosee aspettative lo avrei ritenuto possibile. Tuttavia, già mia madre non approvava la nostra amicizia, figurarsi il nostro amore. Un figlio di Poseidone e una figlia di Atena... la realtà a volte supera la fantasia!
Percy si avvicinò lentamente al mio volto, come se avesse paura di una qualche reazione scostante da parte mia. Io amavo Percy, ma non volevo che avesse mia madre contro. Era sbagliato...
    -Percy...- mormorai appena, a meno di un centimetro dal suo volto. -Sai che non ti renderò la vita facile così...
Lui sorrise appena. -Non ho mai avuto una vita facile, Sapientona.
Dopodiché mi regalò un bacio di una dolcezza infinita, facendomi sentire come se per lui fossi la persona più importante del mondo. Era come se avesse paura di rompermi in mille pezzi osando di più. Chiusi gli occhi, abbandonandomi a quel mondo di sensazioni divine (gente, siamo mezzosangue!) e paradisiache. Sarei voluta restare così per sempre, a bearmi di quel suo profumo.
In quel momento capii che quello che sentivo prima non era un profumo: l'essenza di Percy era il mare stesso, lui sapeva di mare. Era salato e dolce, felice e malinconico, coraggioso ed intimorito. Era come un'onda altissima che, al momento di infrangersi sulla sabbia, rallentava la sua corsa per paura di ferire la sabbia in qualche modo.
Aprii gli occhi per un secondo e vidi tre figure sedute sulla scogliera che mi fissavano. La prima era la dea Nike, la dea della vittoria, e mi sorrideva radiosa. La seconda era una bellissima donna dal volto familiare, ma che sulle prime non riconobbi: poi notai il foulard rosso che aveva al collo, identico a quello che avevamo trovato io e Percy a Waterland durante la nostra prima missione. La donna mi sorrideva ammiccante, come se avesse appena concluso con successo un ottimo lavoro e come se la creazione del mondo fosse stata utta opera sua: si trattava senza ombra di dubbio della dea Afrodite, la dea dell'amore.
L'ultima, invece, era l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere. Mi rivolse uno sguardo impassibile con i suoi occhi grigi, mentre i riccioli dorati ondeggiavano al ritmo scandito dal vento. Dopodiché fece spallucce ed abbozzò un sorriso, come a dire “se ritieni saggia questa tua scelta, non posso che approvare la tua decisione”. Il cuore mi si gonfiò ancor più di gioia: anche mia madre era dalla mia parte.
Nulla avrebbe potuto più separarmi da Percy.
Niente e nessuno.
Nemmeno Crono e i suoi tirapiedi cannibali.
    -Annabeth?- mi chiamò, mentre teneva stretta al suo petto in un bellissimo abbraccio.
    -Mh?
    -Ti amo.
Sorrisi. -Sei proprio stupido, Testa d'Alghe.




Sapore di Mare, Aly's fanfiction



{N.d.A.}
1: La dea Tiche, nella mitologia greca, è la dea della Fortuna e del Caso. A lei ci si rivolgeva per ottenere condizioni fortunate o, comunque, propizie per raggiungere un determinato obiettivo. Chi entrava nelle sue grazie avrebbe avuto la buona sorte dalla sua parte sino al termine della sua esistenza. In molte raffigurazioni viene rappresentata con una benda sugli occhi, per lasciare appunto la scelta dei sui prediletti al caso ed alla (loro) fortuna.


My little corner:
Salve a tutti! Eccomi qua, ho finalmente deciso di fare il mio debutto in questo fandom nei panni di autrice (dopo aver intasato di recensioni qualche fanfiction) e ho volevo tentare con una song-fic. Premetto che si tratta della prima fic del genere che scrivo in assoluto e la considero una sorta di esperimento: siccome è la prima, è più che plausibile che non sia venuta un granché, tuttavia spero che la sua lettura non vi abbia provocato crampi allo stomaco ed un irrefrenabile bisogno di correre al bagno. XD
Devo dire che è più lunga rispetto alle mie aspettative di quando ho iniziato a scrivere... perciò complimenti per essere arrivati fin qui, avete un'alta soglia del dolore e di sopportazione!
Mi piacerebbe avere qualche parere riguardo questa storia completamente priva di senso alcuno, quindi ringrazio in anticipo tutte le anime misericordiose che saranno così gentili da esaudire questo mio desiderio. ^^
Bene, mi volatilizzo togliendo il disturbo!
Au revoir,
Aly.

PS: Ok, mettiamo le cose in chiaro: i personaggi di questa storia non mi appartengono, ma sono di proprietà del loro legittimo autore, Rick Riordan. Non ho scritto questa storia a fini di lucro, ma per puro divertimento personale. La canzone utilizzata non l'ho scritta io, ma l'autore è Gino Paoli.^^
   
 
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