Era
un pomeriggio estivo come tanti altri in California. Sole a tutto
spiano, teenagers che passeggiavano tranquilli per le strade
cittadine giocando e scherzando, macchine di turisti per le strade,
surfers a fare i galletti in spiaggia, un'afa incredibile, tutti gli
ombrelloni spalancati e compagnia bella: insomma, si percepiva
l'atmosfera estiva quel giorno a San Francisco.
Personalmente,
non sarei mai andata a San Francisco per le vacanze estive, con tutti
i rischi che comporta visitare quella città per noi
mezzosangue. Tuttavia, mio padre si era trasferito lì per
lavoro, così ero passata a fargli un saluto. Ma d'altronde
lo
sapeva, io non potevo abitare lì, così ero
costretta a
vederlo solo qualche volta, in occasioni speciali, per ripartire dopo
breve tempo.
Solo
che quella volta non ero sola in California. Con me c'era chi avrebbe
dovuto trovarsi a Long Island ad allenarsi al tiro con l'arco, visto
che era una schiappa totale.
Non
si sa bene come, ma, dopo aver salutato mio padre, la mia matrigna e
i miei due fratellastri, anziché ripartire per il Campo
Mezzosangue mi trovai a dirigermi verso la spiaggia.
-Rispiegami
bene come mai ti trovi qui.- dissi.
-Un'altra
volta, Sapientona?- sbuffò lui. -Eppure è
già la
quarta volta che me lo chiedi!
-Lo
so, ma è una storia così palesemente falsa che,
per
quanto mi stia sforzando di crederti, l'intento collide con il mio
buonsenso.- replicai, continuando a camminare.
-Ma
che c'è di così strano? Sono stato espulso da
scuola
un'altra volta, sono andato a trovare Tyson, ho fatto una visitina a
Bessie e, già che c'ero, mi sono fatto accompagnare qui da
Arcobaleno per vedere come se la spassava quel vecchio simpaticone di
Atlante.- spiegò il ragazzo. -È davvero
così
assurda come storia?
-Decisamente.-
annuii convinta.
Lui
sbuffò.
Quest'individuo
è Percy Jackson, indubbiamente membro della casa numero tre
del Campo del Signor D, cioè questo significa che
è
figlio di Poseidone. È universalmente conosciuto con il
soprannome di Testa d'Alghe, ma questo simpatico nomignolo non gli
è stato appioppato a caso: alcune volte sembra davvero che
abbia
il
cervello intasato di
plancton o
di chissà che ameba marina. Molto probabilmente, senza di
me sarebbe stato già bello che stecchito o, ancora
peggio, tra le mani di Crono.
Si
scompigliò i capelli corvini con una mano. -Sentiamo,
perché
reputi la mia versione dei fatti una bufalata colossale?
-Non
è coerente, Cervello di medusa!- risposi.
-Le
meduse non hanno il cervello, Sapientona!- ribatté Percy.
-Credi
che non lo sappia?- replicai, con un ghigno sulle labbra.
Attesi
qualche secondo perché Percy afferrasse il concetto. Alla
fine
fu colto da un'illuminazione divina (eh, già, ogni tanto
mamma
si ricorda anche di lui) e capì.
-Ah
ah ah, molto divertente!- fece Percy con sarcasmo. -Dai, rispondi
alla mia domanda!
-Prima
stupidaggine: hai detto che sei andato a trovare l'Ofiotauro, no?-
gli domandai, cercando conferma.
Lui
annuì con un cenno del capo. -Sì, sono andato da
Tyson
e, dato che ero già lì, sono passato a salutare
anche
Bessie.
-Percy,
ti pare che Zeus possa lasciare a Poseidone il controllo
dell'Ofiotauro, così da avere una potente arma segreta
contro
di lui?- gli domandai, doveva riflettere un po' meglio su che scuse
inventare. -Già non gli va troppo a genio che le fucine dei
ciclopi, dove vengono fabbricate le sue folgori, siano in fondo al
mare, figuriamoci!
-Effettivamente,
immagino che il Signore dei Cieli e della Paranoia abbia da subito
scartato l'eventualità...- borbottò Percy con
noncuranza.
Un
tuono fece sobbalzare tutti i passanti. Evidentemente, a mio nonno
non andava così tanto
a genio l'epiteto affibbiatogli dal
caro nipote.
-Anche
se dovresti saperlo, l'Ofiotauro ora sta beatamente sguazzando in un
acquario costruito da Efesto sull'Olimpo.
Percy
borbottò qualcosa, ma purtroppo non riuscii a capire cosa,
quindi non chiedetemi di che si trattasse perché non ne ho
la
più pallida idea.
-Seconda
stupidaggine: hai detto di essere andato a fare una visitina a Tyson
e di assere arrivato qui con Arcobaleno, giusto?- gli chiesi,
nuovamente per avere conferma.
Percy
annuì, guardandomi. Io continuai a camminare tenendo sempre
lo
sguardo avanti a me.
-E,
se fosse vero, spiegami una cosa...- dissi, girando la testa per
guardarmi le spalle ed indicando qualcosa di invisibile dietro di
noi. -Che cosa ci fa qui Blackjack?
Per
la cronaca, Blackjack è un pegaso. Se vi state chiedendo
come
mai Blackjack fosse invisibile, la spiegazione è molto
semplice: per evitare di attirare l'attenzione girovagando per San
Francisco con un cavallo-piccione al seguito, abbiamo pensato bene di
infilargli in testa il mio berretto degli Yankees, un dono di mia
madre che ha il potere di rendere invisibile chiunque lo indossi.
Blackjack
nitrì, ed avrei giurato che fosse offeso.
-Che
ha detto, Testa d'Alghe?- domandai a Percy. In quanto figlio di
Poseidone, ossia di colui che ha creato i cavalli dalla schiuma del
mare,
Percy ha la possibilità di comunicare con tutti gli equini
della Terra: in quel caso, Percy era il mio tramite.
-Ehm...
ha detto qualcosa come “Ehi, amica del capo, non ti
scaldare”-
rispose Percy, un po' in difficoltà. -E ti ho detto mille
volte che non mi devi chiamare “capo”!-
esclamò
poi, rivolto al quadrupede.
Blackjack
nitrì e Percy sospirò. -Sei senza speranza,
Blackjack...
Ebbi
l'impressione che il pegaso si stesse divertendo alle spalle di
Percy.
-Ritornando
a noi, siccome Blackjack non è in grado di respirare
sott'acqua, com'è logico che sia, non posso proprio credere
alla tua storiella.- conclusi, con un'espressione orgogliosa come
quella di chi ha appena ricevuto il diploma di laurea.
-Per
l'amor di Afrodite, Annabeth!- esclamò Percy. -Ci sono solo
due particolari che non vanno nella mia storia, direi che sono stato
bravo!
-Due,
senza contare tutti quelli che hai detto quando ci siamo incontrati
davanti a casa di mio padre.- sottolineai. -A proposito, è
un
caso che ti trovassi lì, vero?
Giurai
di averlo visto arrossire. Pensai che fosse l'effetto dell'afa
spaventosa di quel giorno. -Sì, ovvio!
Io
sbuffai. -Testa d'Alghe, sei un pessimo bugiardo!
-Uffa,
sono solo dettagli!- protestò Percy, ridacchiando.
-Piuttosto,
ho in mente qualcosa di migliore della solita visuale sull'Oceano
Pacifico.
-E
cioè?- gli domandai, non capendo dove volesse andare a
parare.
Percy
non mi degnò di risposta, cosa che mi lasciò
alquanto
perplessa. In compenso scavalcò la staccionata lì
di fianco e
corse a nascondersi dietro un grattacielo.
-Dove
cavolo stai andando?- gli urlai dietro, dovevamo aver attirato un sacco
di sguardi di curiosi, scavalcando di punto in bianco una
staccionata per giungere lì.
Certe volte mi chiedo se lui rifletta prima di agire. Evidentemente
no.
Tolse
il berretto dell'invisibilità a Blackjack, che
ritornò
visibile.
-Ma
sei matto? Se qualcuno ci vedesse con un ronzino volante, che
diresti?- esclamai.
-Annabeth...
-D'accordo,
c'è la Foschia dalla nostra parte, ma credo che un cavallo
per le
strade della California non passi inosservato!
-Annabeth...
-E
se qualcuno fosse in grado di vedere la vera forma di Blackjack? Per
gli dèi, sarebbe un disastro!
-Annabeth!
-Che
vuoi?- gli domandai.
-Prima
sali e prima ci sbrighiamo a togliere il disturbo!- esclamò
Percy, accarezzando il dorso scuro di Blackjack.
Avevo
intuito che aveva in mente, ma era un piano fuori di testa!-Salire
dove?- chiesi, sperando che la risposta non fosse quella che
intendevo io. Quel giorno, la dea Tiche¹ non era dalla mia
parte.
-Ma
in groppa a Blackjack, è ovvio, Sapientona!
Al
che io scossi la testa con vigore, lanciando a Percy un'occhiata di
sbieco. -Io lì sopra non si salgo!- esclamai, ferma.
-Perché?-
chiese Percy, guardandomi senza capire. -Blackjack è un
bravo
pegaso!
-Sveglia,
Testa d'Alghe! I cavalli sono stati creati da Poseidone!- gli
rammentai, esasperata. -Lo sai che mia madre e tuo padre non sono
esattamente in buoni rapporti, non sarebbe saggio da parte mia salire
in
groppa a Blackjack.
Blackjack nitrì come per dire che di lui ci si poteva
fidare. Percy
sorrise divertito e quella non era esattamente la reazione che mi
aspettavo.
-E
adesso che c'è?
-Annabeth,
tu non hai paura, vero?- mi chiese, con quella che avrei giurato
essere una punta di malizia nella voce.
-Ma
certo che no!- risposi prontamente. Figuriamoci! Io, una figlia di
Atena, che ha paura di salire in groppa ad un cavallo-piccione... ma
non diciamo cavolate!
-Dai,
non succederà nulla!- mi assicurò Percy, ma non
ottenne
un granché come risultato.
-Piuttosto
vengo a piedi!- sbottai. Lo ammetto, quando mi ci metto sono un po'
cocciuta: e chi mi conosce sa quanto mi costi ammettere una cosa del
genere.
Percy
salì in groppa a Blackjack e mi tese una mano, dicendo:
-Senti, ci sarò anch'io a cavalcare Blackjack, dubito che ti
succeda
qualcosa. E se volo io dopo che Zeus mi ha vivamente consigliato di
non farlo a meno che non voglia fare una visitina di cortesia al suo
caro fratellino nell'Oltretomba e a quel morto di fame di Tantalo,
non vedo perché non debba farlo tu.
La
mia espressione in quel momento doveva rasentare il puro stupore: a
volte quell'individuo era a dir poco indecifrabile!
Ad
ogni modo, con una certa riluttanza montai in groppa a Blackjack,
senza però afferrare la mano di Percy.
-Sei
veramente stupido, Testa d'Alghe.- borbottai, mentre Percy rimetteva
il mio berretto in testa al pegaso.
-Sei
tu che sei troppo intelligente, Sapientona.- replicò lui,
divertito.
Sorrisi
leggermente. Forse non lo davo a vedere, ma in quel momento mi stavo
divertendo anch'io.
-Dove
stiamo andando, Percy?- gli domandai, mentre Blackjack spiccava il
volo.
Lui
sorrise. -Che sorpresa è se te lo dico?- replicò.
Non potei trattenermi dallo sbuffare. -Ah,
comunque grazie!
Lo
guardai perplessa. -Grazie di cosa?
-Mi
hai chiamato Percy.- rispose lui. -Non Testa d'Alghe come al solito.
Io
feci spallucce. -Un banale errore di distrazione, Testa d'Alghe.
Percy
sospirò. -E ti pareva.
Svolazzammo
per un po' sopra le nuvole, in modo tale che non ci potessero vedere
dalle strade cittadine, quando Blackjack virò bruscamente a
destra. Non me lo aspettavo, così, colta di sorpresa, per
evitare di cadere, d'istinto mi strinsi a Percy.
Mettiamo
le cose in chiaro, se non fossi stata in una situazione critica non
mi sarei mai stretta a lui!
Percy
diventò tutto rosso. Doveva avere caldo persino ad alta
quota.
-Co...
cosa... che...?- balbettò Percy, girando la testa verso di
me.
Le
mie guance si colorirono un po', ma non parve accorgersene.
-Oh,
se preferisci io cado in acqua e tanti saluti!- sbottai, odiavo
essere fissata.
-No,
no.
-Umpf!-
sbuffai. -Piuttosto, di' a Blackjack-cavallo-del-West
di
condurre una guida più sicura! Vorrei sapere dove ha preso
la
patente...
Blackjack
nitrì, e, grazie alla puntuale traduzione di Percy, capii
che
significava “Ehi, amica del capo, sono un pegaso! Non mi
serve
la patente!”.
Percy
rise nervosamente e ricordò a Blackjack di non chiamarlo
“capo”.
In
quel momento, nella mia testa ronzava un unico, insidioso, assillante
interrogativo: “Come accidenti ho fatto a finire in questa
situazione?”.
sapore di mare,
che hai sulla pelle,
che hai sulle labbra,
quando esci dall'acqua
e ti vieni a sdraiare
vicino a me
vicino a me.
Blackjack,
seguendo gli ordini del capitano Percy Jackson, detto Testa d'Alghe,
ci portò a destinazione.
Il
luogo che intendeva Percy era una sorta di incavatura che aveva
creato la marea: quella parte di spiaggia era separata e nascosta
dalle altre da uno strato di roccia. Era emersa dall'arretrare
della
marea, quindi probabilmente nessuno sapeva dell'esistenza di quel
posto.
Devo
dire che quel luogo mi piaceva. Era tranquillo, lontano dal caos e
dalle preoccupazioni cittadine... insomma, il luogo ideale per
riflettere e progettare nuovi edifici con il sofisticatissimo Design
3D. Peccato che non avessi il computer con me quel giorno, ero
ispirata.
-Allora,
che ne dici?- mi chiese Percy.
-È
un bel posto.- ammisi. -Ma perché mi hai portata proprio qui?
-Perché
questo posto è l'ideale per rilassarsi!- rispose sorridendo.
-Sei sempre rintanata a leggere quei mattoni in greco antico o a
progettare non si sa bene cosa con quell'arnese diabolico sul
computer, e quando esci all'aperto è quasi sempre per
allenarti!
Alzai
un sopracciglio. -Quindi?
-Quindi
ti serve una vacanza per staccare!- concluse. -E non ti azzardare a
negarlo!- aggiunse, intuendo le mie intenzioni.
-E
perché sei venuto qui proprio oggi?
Percy
avvampò. Eh, già, quel giorno faceva proprio
caldo, ma
forse essendo una sorta di ragazzo-pesce lo percepiva di più.
-Diciamo
che un uccellino dagli aspetti di un satiro mi ha detto che saresti
andata a salutare tuo padre oggi.- confessò con nonchalance.
I
satiri d'oggi... credo che siano i portavoce dei pettegolezzi di
Afrodite o qualcosa del genere. Che pensino piuttosto a trangugiare
tinozze di caffè
e a cercare Pan, così siamo contenti noi e contenti loro.
-Se
ti avessi detto di prenderti una tregua durante il tuo soggiorno al
Campo, mi avresti sicuramente risposto che non puoi permetterti di
rallentare sulla tabella di marcia, che il pericolo è sempre
in agguato, eccetera eccetera.
-Nulla
da dire, Testa d'Alghe, ci hai azzeccato.- ammisi. -Così hai
pensato bene di venire qui.
Percy
annuì.
-Beh,
direi che ha una sua logica.- constatai. -A questo punto,
probabilmente la cosa più saggia da fare è
divertirsi.
-Esatto,
e a tal proposito ho una sorpresa!- esclamò Percy, correndo
verso la riva. Mosse qualche passo in acqua finché questa
non
gli arrivò all'altezza delle ginocchia, dopodiché
si
mise a fischiare.
Inizialmente
pensai che fosse ammattito, poi però vidi spuntare
dall'acqua
una sagoma decisamente familiare: si trattava di Arcobaleno,
l'Ippocampo.
Arcobaleno,
non si sa come, era accorso non appena Percy aveva fischiato; ne
dedussi che il fischio doveva essere una sorta di richiamo
per ippocampi. Per
giocare, Arcobaleno schizzò Percy con un elegante colpo di
coda, e da lì iniziarono una battaglia di schizzi alla quale
prese parte anche Blackjack, nuovamente visibile senza il mio
berretto. Era divertente starli a guardare, così stesi un
asciugamano sulla sabbia e mi ci sedetti sopra, a guardarli giocare
mentre l'acqua scintillava attorno a loro.
Senza
accorgermene, le mie labbra si incurvarono in un leggere sorriso.
Era
da tanto, troppo tempo che non mi prendevo una pausa: con Crono che
tramava alle nostre spalle e Luke che rischiava la vita ogni secondo
che passava, non mi veniva certo in mente di spassarmela e di
rilassarmi. Percy, invece, non era del mio stesso avviso: diceva che,
se fosse comparso un imprevisto, lo avremmo affrontato nel momento in
cui ci si fosse presentato davanti. Se tutti avessimo ragionato come
lui, a Crono sarebbe bastato agire nell'ombra e saremmo stati tutti
abilmente fregati. A volte mi chiedo che fine avrebbe fatto senza il
mio aiuto, senza la parte razionale della sua coscienza: forse
sarebbe uno spiedino di eroe, chissà.
A
distogliermi dai miei pensieri ci pensò Percy, chiamando il
mio nome a gran voce.
-Annabeth!
Venne
verso di me, sorridendo in modo spontaneo. E in che altro modo
avrebbe potuto farlo? È un disastro nel dire bugie,
figuriamoci nell'atteggiarsi in modo falso.
-Che
succede?- gli domandai. -E perché sei bagnato fradicio?
Immagino
di dovervi spiegare anche questa storia. Essendo figlio di Poseidone,
Percy aveva una sorta di immunità: in pratica, anche se si
fosse
gettato dalle Cascate del Niagara ne sarebbe uscito indenne e, ogni
qualvolta entrava
in acqua, ne veniva fuori sempre asciutto come se nulla fosse.
Inoltre, il contatto con l'acqua aveva il potere di fargli recuperare
le forze e curare le sue ferite. Detto questo, capirete il mio
stupore nel vederlo bagnato dalla testa ai piedi: a meno che non lo
volesse, Percy non si bagnava mai.
-Ah,
beh, che gusto ci sarebbe stato a fare la battaglia di schizzi senza
bagnarmi nemmeno un po'?- replicò Percy, arrivandomi vicino.
Massì, tutto sommato aveva un senso.
Poi indicò l'asciugamano. -Posso sedermi un attimo?
Mi
spostai un po' alla mia destra. -Fai pure.
-Grazie.-
rispose semplicemente, sedendosi alla mia sinistra e passandosi una
mano tra i capelli corvini.
Nel
momento in cui Percy si sedette accanto a me, percepii una fragranza
strana, ma parecchio gradevole, quasi inebriante: era salsedine, ma con
qualcosa
di diverso. Non seppi dire che cosa ci fosse di particolare, e non ve
lo saprei dire nemmeno ora, ma quel profumo portava con sé
parole non dette, solitudine, problemi e difficoltà, dolore.
Portava con sé gioia, armonia, felicità,
entusiasmo,
impazienza, orgoglio, vittoria.
Portava
con sé tutto quello con il quale avevo identificato Percy
fino
ad allora elevato all'infinitesima. Si dice che occhi e profumo siano
lo specchio dell'anima: ebbene, era quella l'anima di Percy?
Mentre
ci ragionavo, lo guardavo ammirare le diverse sfumature di colore delle
onde marine, con
aria sognante e malinconica. A cosa stava pensando in quel momento?
Ero tutta presa da queste domande quando, ad
un certo punto, Percy girò la testa di scatto, incrociando
il
mio sguardo.
-Mh?
Qualcosa non va, Annabeth?
-No...
no, è tutto a posto.
Bugiarda.
sapore di mare,
un gusto un po' amaro
di cose perdute,
di cose lasciate
lontano da noi
dove il mondo è diverso,
diverso da qui.
Distolsi
lo sguardo e tornai a posarlo su Arcobaleno, che giocava con
Blackjack. Immaginai che s'intendessero così bene per un
fatto
di parentela: ippocampo deriva da
ίππος
(híppos)
che, in greco antico, significa proprio cavallo. L'atmosfera era
terribilmente rilassante e la visione di Arcobaleno e Blackjack che
giocavano senza la minima preoccupazione conferiva a quel luogo
un'atmosfera rappacificante. Un po' come quegli incensi che mettono
nelle sale di yoga.
Sarei
voluta rimanere così, in pace con me stessa e con il mondo,
per l'eternità: avrei voluto che Crono non avesse mai
cominciato il suo folle piano per ribaltare l'Olimpo, che Luke non
fosse mai passato dalla parte dei titani e che mia madre e mio padre
potessero tornare ad essere la famiglia di un tempo insieme a me.
Già,
mia madre, la divina Atena... mi mancava tremendamente. Mi chiesi
cosa stesse facendo, se mi stesse guardando. La speranza che mia
madre si stesse prendendo cura di me dall'alto, pur non essendo
presente, l'avevo avuta sin da bambina: dopotutto, per tutta la mia
infanzia mio padre mi aveva considerata una scocciatura e, per quanto
potesse, mi aveva ignorato, curandosi solo della sua nuova moglie
normale e dei suoi altri due figli normali. Per questo scappai quando
avevo sette anni, cercavo qualcuno che non mi giudicasse strana o
anormale: così finii per incontrare Luke, Talia e Grover. E
poi Chirone, il signor D, Tyson, Testa d'Alghe... tutti al campo
avevano dei
problemi con i familiari, ma Percy sembrava l'unico a cui tutto
andasse stranamente bene, e questo era parecchio, anzi estremamente
strano. Forse non
era un pessimo bugiardo come credevo io, forse ne aveva passate
più
di quante ne desse a vedere.
“Oh,
per gli dèi!” imprecai mentalmente. “Ma
perché
accidenti ci sto pensando?”.
Vi
prego, non chiedetemi di rispondere alla domanda che mi posi allora.
Il mio cervello andava per le sue quel giorno... forse era colpa del
salso dell'Oceano.
Però,
da brava figlia di Atena che aspira alla conoscenza quale ero e sono
tuttora, restare con il
dubbio non era nei miei progetti, così decisi di chiedere
tutto al diretto interessato per ottenere delle risposte da poter
considerare valide.
-Percy.-
lo chiamai, tenendo pur sempre lo sguardo fisso sulle onde che
s'infrangevano sulla sabbia. Il mare aveva assunto il colore del
tramonto.
-Mh?-
si voltò lui.
-Ti
manca mai tuo padre?
Percy era stupito e glielo si leggeva anche solo guardando per un
istante i suoi occhi verdi. -Perché questa domanda
d'improvviso?
-Perché
tu sembri essere l'unico che non ha problemi di famiglia. Intendo,
sai la storia mia, quella di Talia ed ovviamente conosci quello che
pensa Luke di suo padre Ermes. Non ti senti mai abbandonato da lui?
-Che
tu ci creda o no, mai.
Mi
voltai a guardarlo, presagendo la venuta di un racconto più
particolareggiato sulla sua infanzia rispetto agli alle altre volte, in
cui ne parlavamo sempre di sfuggita, quasi sempre in bilico sul baratro
della morte.
-Sai,
credo che Poseidone volesse davvero bene a mia madre. E credo che non
mi detesti, quindi non ho motivo di detestare lui. Per dirla tutta,
è mio padre, è impossibile che non gli voglia
bene.-
continuò
Percy, sorridendo debolmente. -Ogni volta che ne avevo bisogno, lui
mi ha sempre aiutato nel modo migliore e ha sempre fatto tutto quello
che poteva per me. Se non ha potuto restare con me e con mia madre
è
stato per un ordine di Zeus al quale non si è potuto opporre.
Lo
ascoltai rapita, mentre parlava. Sembrava davvero che credesse in
quello che stava dicendo.
-Certo,
mi manca, come dire di no.- ammise Percy, guardando l'orizzonte con
aria felicemente malinconica. -Però non mi sento mai
abbandonato da lui.- concluse, sorridendo.
Io
continuavo a guardarlo senza dire nulla e questo mise Percy un po' in
imbarazzo.
-Eh
eh... lo so, sono stupido a fare questi discorsi, ma...-
iniziò,
ma lo interruppi, impedendogli di continuare.
-No!-
esclamai. -Cioè, sì, sei stupido, ma ci sono
alcune
rare volte in cui sfoderi un'inaspettata saggezza che mi lascia davvero
stupita.
Percy
mi fissò, come se non credesse a quello che gli avevo appena
detto. Poi realizzò che non lo stavo prendendo in giro.
-Ehm...
wow.- farfugliò Percy, con una luce soddisfatta negli occhi.
Io
distolsi lo sguardo e presi a raccontargli la mia storia. -Io sono
nata sull'Olimpo. Ho conosciuto mia madre e, sinceramente, non potrei
desiderare una madre migliore di Atena. Anche con mio padre sto
riallacciando i rapporti, perciò sembra che la mia vita non
stia più andando a catafascio come quando ero piccola.
-Annabeth,
ma perché...?
-Se
ti chiedi perché ti dico tutto questo, il fatto è
che
sto cercando un appoggio per una mia teoria.- lo precedetti,
stringendomi le ginocchia al petto.
-Riguardo
cosa?
-Luke.-
dissi semplicemente. Quella parola non aveva bisogno di ulteriori
spiegazioni. -Io credo che non odi suo padre così tanto.
Secondo me, inizialmente voleva rovesciare l'Olimpo per dimostrare
che non era un incapace, che era in grado di eguagliare Ercole e di
superarlo. Però penso che Crono lo abbia soggiogato facendo
leva sul suo difetto fatale ed ora lo stia manipolando come un
burattino.
-Quindi,
in sintesi, tu non credi che Luke sia malvagio.- ricapitolò
lui. -Credi che debba solo essere salvato.
-Esatto.-
annuii. -Perciò io voglio salvarlo.
Mi
sembrò di vedere Percy stringere i pugni. -Capisco.- disse.
-Davvero
capisci?- gli domandai, non convinta. Mi aspettavo una reazione ben
maggiore da parte sua. Forse non gliene importava così tanto.
Lui
annuì, facendosi serio. -Quello che non capisco è
perché ti ostini tanto a credere in lui. Non dopo quello che
ti ha fatto passare.- mormorò. Quella frase ebbe molto
più
effetto pronunciata in quel modo ed, in cuor mio, avrei preferito che
avesse urlato anziché dirla con quel tono.
-Percy,
stammi a sentire...
-No,
tu stammi a sentire!- si alterò. -Per colpa di quel
non-dico-cosa tu hai dovuto sostenere il cielo al
posto di
Atlante! Come puoi pensare che quell'individuo non sia malvagio?
Forse non te ne rendi conto, ma ti sta fregando alla grande! Come
puoi difenderlo ancora?
Per
la prima volta, vidi Percy letteralmente fuori controllo. Non capivo
perché la questione di Luke lo avesse fatto infuriare tanto,
ma non potevo sopportare che parlasse così di lui.
-Che
accidenti stai dicendo?
-Sto
dicendo che non ti merita!
-Non
mi merita per cosa?
-Lo
sai benissimo, Sapientona!
-No
che non lo so, Testa d'Alghe!
-Non
prendermi in giro!
-Non
ti sto prendendo in giro, Percy!- esclamai.
-Allora
quando capisci di cosa sto parlando, Sapientona, fammi un fischio!-
sbottò
lui, alzandosi in piedi e correndo da Arcobaleno e Blackjack. Non so
perché, ma nell'andar via si appropriò di una
parte di
me, lasciandomi dentro una stranissima sensazione di vuoto che, se
non avessimo chiarito la faccenda, sarebbe stata destinata a non
colmarsi mai.
che passano pigri
e lasciano in bocca
il gusto del sale.
Ti butti nell'acqua
e mi lasci a guardarti
e rimango da solo
nella sabbia e nel sole.
Rimasi
a riflettere su quello che poteva insinuare Percy. Quello zuccone era
il ragazzo più problematico di tutta la Terra. Sapeva
benissimo quanto io tenessi a Luke, non capivo perché fosse
stato così duro nei suoi confronti, non dopo che gli avevo
esposto la mia teoria. E se non lo capisca una figlia di Atena,
significa che il suo ragionamento era basato su argomentazioni prive
di qualsiasi fondamento logico. In base a che cosa accusava Luke di
essere completamente malvagio?
Senza
pensarci più di tanto estrassi il coltello di bronzo celeste
dalla tasca dei miei pantaloncini di jeans e me lo rigirai tra le
dita.
Quel
coltello era un regalo di Luke. Lo portavo sempre con me, era l'arma
con cui combattevo e lo trovavo estremamente comodo per il mio modo
di lottare contro i mostri.
Alcuni
raggi del Sole tramontante colpivano la superficie bronzea
dai risvolti celesti, creando riflessi variopinti e sempre unici nel
loro genere.
Come poteva essere malvagia la persona che mi aveva regalato un
oggetto tanto stupendo ed importante per me? No, ne ero sicura: Luke
si comportava così solo a causa di Crono e delle sue
manipolazioni mentali da psicoterapia che, probabilmente, avrebbero
fatto venire un capogiro persino a Freud. Anche il fatto che Luke
avesse cercato di convincermi a passare dalla parte dei titani era
chiaramente una prova del fatto che non s'era completamente
dimenticato di me, di Talia e di tutte le avventure che avevamo
vissuto insieme. Probabilmente ci voleva sl suo fianco per conbattere
Crono dall'interno delle sue fila.
La
reazione di Percy non era giusta nei confronti del figlio di Ermes.
“Tsk!
Fa male a considerarlo malvagio!” dissi tra me e me.
“E
la sua reazione è stata indubbiamente esagerata!”.
In
effetti, se avessi conosciuto allora il “pensiero
giuda”
che aveva dato il via a quella reazione, tutto avrebbe avuto
più senso.
Mi
alzai e mi diressi verso la riva, del tutto intenzionata a farmi dare
una spiegazione da quell'imbranato Testa d'Alghe. Percy stava
accarezzando la criniera di Arcobaleno quando lo chiamai.
-Ehi,
Testa d'Alghe!- esclamai, attirando la sua attenzione. -Mi devi delle
spiegazioni.
Una
folata di brezza marina mi scompigliò i riccioli dorati.
Immaginai che fosse il suo modo per dire “arrivo
subito”,
dato che non mi degnò di alcuna risposta mentre usciva
dall'acqua.
Tornammo
agli asciugamani e mi sedetti; Percy, invece, rimase in piedi dinanzi
a me, guardando l'ottimo operato di Apollo per il tramonto di quel
giorno.
-Senti,
Percy, capisco che la fiducia che riponevi in Luke sia stata
tradita, però sono dell'opinione che non sia stata mal
riposta.
-Annabeth,
posso farti una domanda?- chiese, guardandomi dritto negli occhi.
Dal
canto mio, lo guardavo interdetta. Perché mi aveva posto una
domanda tanto strana? E perché il fatto che me l'avesse
posta
mi lasciava uno strano senso di irrequietezza dentro?
-Fa'
pure.- gli risposi, stringendomi nelle spalle.
-Perché
ti fidi così tanto di Luke?
Quell'interrogativo,
posto in modo tanto spontaneo quanto diretto, riuscì in
qualche modo a lacerarmi dentro. La risposta era semplice e
complessa, bastavano due parole quanto ne servivano centomila, era
nitida eppure confusa.
-Perché
lo conosco da quando aveva quattordici anni.
-E
con questo che vorresti dire?
Sorrisi
debolmente. -Che è sempre stato un tipo un po' fuori dagli
schemi, rubacchiando qua e là, ma sono certa che non
è
cattivo. E poi perché gli voglio molto bene.
-Quindi
è per una questione di affetto?
-Suppongo
di sì.
e ti lasci cadere
così nella sabbia
e nelle mie braccia
e mentre ti bacio,
sapore di sale,
sapore di mare,
sapore di te.
Percy
si lasciò cadere all'indietro, sedendosi sull'asciugamano.
Buon per lui che sotto all'asciugamano c'era sabbia e non ghiaia.
-Beh,
obiettivamente... è alto, un bel ragazzo, atletico, ha gli
occhi
chiari... è più che plausibile...-
rifletté
Percy, assumendo un'espressione pensierosa.
Ebbi
la vaga sensazione che stesse delirando.
-Che?-
feci, non capendo di che stesse blaterando.
-Beh,
dico che è più che possibile.-
ribatté, cupo.
-Che
cosa?
-Dopotutto,
Luke ha un certo fascino.- constatò Percy.
-Stupido
Testa d'Alghe, che accidenti stai dicendo?
-Sto
dicendo che è più che ovvio che tu ti sia
innamorata di
lui.
Non
so spiegarmi come, ma per un istante il mio cervello andò in
tilt a causa dell'overdose di scemenze che uscivano dalla bocca del
ragazzo-pesce. Fatto sta che per due spaventosi secondi persi
completamente il controllo, così come la mia
volontà di
intendere e volere. Il risultato furono cinque dita stampate sulla
guancia di Percy e quest'ultimo che mi guardava come se fossi
un'aliena appena sbarcata da Mercurio.
Quando
ripresi il controllo, per fortuna nell'arco di un millisecondo, mi
accorsi di stare ansimando. Mi guardai la mano come se fosse un
oggetto a me estraneo che agiva d'impulso. Tuttavia non avevo alcun
rimorso per lo schiaffo, se lo meritava. Non avrebbe dovuto dire cose
tanto stupide, men che meno in mia presenza.
Percy
si toccò la guancia arrossata ed emise un gemito di dolore.
Avevo l'impressione che facesse piuttosto male.
-Annabeth,
cosa...?- esordì, ma non gli permisi di continuare.
-Sta'
zitto, Testa d'Alghe.
-Oh,
grandioso!- protestò Percy con sarcasmo. -Prima mi
schiaffeggi
e poi mi dici di star zitto. Tutto nell'ordine sbagliato!
-Se
avessi evitato di dire tutte quelle scemenze, non avrei avuto il
bisogno di schiaffeggiarti.- replicai, arrabbiata. Tutto, ma non che
mi dicesse che ero innamorata di Luke e via discorrendo.
Percy
parve riflettere, cosa alquanto inusuale per lui. Io intanto mi
massaggiavo il polso, senza però distogliere lo sguardo da
lui.
-Cioè
tu vuoi farmi credere che non sei innamorata di Luke?
-Alla
fine ci sei arrivato, Testa d'Alghe!- sbottai, ancora arrabbiata.
-Luke è una sorta di fratello per me.
-Fratello?-
ripeté con aria confusa, mentre cercava di afferrare il
concetto.
-Già.
Gli voglio bene come se fosse mio fratello, mica sono innamorata di
lui o roba del genere!- confermai.
Gli ci volle qualche secondo per afferrare il concetto.
-Oh...-
capì. -Quindi...
-Sì,
Testa d'Alghe. Hai preso fischi per fiaschi.- lo precedetti,
sbuffando.
Stranamente,
Percy sorrise e girò la testa verso il mare. Sul serio,
c'era
qualcosa da sorridere? A mio parere no, ma evidentemente Percy ci
aveva trovato qualcosa di buffo.
-Che
hai da sorridere?- gli chiesi, con una nota di curiosità
nella
voce.
-Nulla.
Inarcai
un sopracciglio ed il sorriso di Percy si allargò.
-È
solo che mi sono appena accorto di quanto tu abbia ragione.
-Io
ho sempre ragione, Testa d'Alghe!- puntualizzai, con soddisfazione.
-In che cosa avrei ragione stavolta?
-Sul
fatto che io sia stupido.- rispose Percy.
Non
poteva lasciarmi più perplessa di così.
Ultimamente
c'erano dei momenti in cui Percy tirava fuori una saggezza che
nessuno si sarebbe aspettato da un figlio di Poseidone.
-Forse
non sei così stupido.- replicai. Lui si
voltò a
guardarmi.
-Stai dicendo sul serio?
Annuii.
Percy
sorrise ancora di più e tornò a guardare
l'orizzonte.
-Annabeth?
-Dimmi.
Si
voltò di scatto, come se volesse osservare ogni mia minima
reazione alla domanda che mi avrebbe posto.
-Tu
hai mai fatto qualcosa di stupido in vita tua?
Volete
la verità? Non sapevo cosa rispondergli. Forse si poteva
considerare stupido lo scappare di casa all'età di sette
anni,
il fatto di considerarmi superiore a tutti gli altri, l'essere
lì
con lui quel giorno anziché allenarmi. Oppure semplicemente
anche il fatto di non
riuscire a dargli una risposta. O, ancora, di non essere in grado di
dirgli quello che provavo veramente per lui. Forse era stupido anche
solamente provare qualcosa per quello stupido Testa d'Alghe. Forse
era stupido amarlo.
Alla
fine risposi con un monosillabo, la più sincera di tutte le
risposte. -Sì.
-Per
esempio cosa?
Mi
girai lentamente, incrociando il suo sguardo. I suoi occhi sembravano
scintillare alla luce del Sole tramontante ed il suo sorriso era, se
possibile, ancora più bello del solito.
Ne
avevo fatte di cose stupide pur essendo la figlia di Atena, lo
sapevo, e molte di queste erano state solamente errori di cui
pentirsi, null'altro.
-Per
esempio questo.
Feci
la cosa più stupida in assoluto di quelle che avrei potuto
fare, ma forse l'unica idiozia della quale non mi sono pentita e di
cui non mi pento neppure oggi. Gli presi il viso tra le mani, chiusi
gli occhi e gli deposi un lieve bacio sulle labbra. Non rimasi
così
per molto, dato che la mia dose di coraggio l'avevo impiegata tutta
anche solo per posargli una mano sulla guancia. Inoltre, il mio cuore
stava allenandosi a fare ruote e capriole nel mio petto come una
ballerina di ginnastica artistica, rischiando
di scoppiare da un momento all'altro per quanto forte batteva, preda
dell'emozione del momento.
Percy
mi guardò stranito e stupito più che mai. Era
dello stesso
colore del Sole che si vedeva all'orizzonte, rosso fuoco. Anche io
ero arrossita, come negarlo, però di certo meno di lui.
-Forse
questa è la cosa più stupida che io abbia mai
fatto in
tutta la mia vita.- dissi mestamente. -E dirti che mi piaci sarebbe
la cosa più stupida che ti possa dire in tutta la mia vita.
-Forse
questa è la cosa più bella che tu abbia mai fatto
per
me in tutta la tua vita, Annabeth.- rispose Percy. -E dirmi che ti
piaccio sarebbe la cosa più fantastica che tu mi possa dire
in
tutta la tua vita.
-Che...?-
esordii, ma Percy m'interruppe.
-Perché
io ti amo, Annabeth.- disse Percy, radioso. -Fino ad ora non ho avuto
tempo di dirti quanto tu sia importante per me e, ogni volta che ci
provavo, o stavamo per morire o avevamo un mostro assetato di sangue
alle calcagna.- ammise, arrossendo tremendamente. -Ma voglio che tu
sappia che io ti amo.
Non
avrebbe potuto farmi più felice. Percy mi amava, ricambiava
i
miei sentimenti... nemmeno nelle mie più rosee aspettative
lo
avrei ritenuto possibile. Tuttavia, già mia madre non
approvava la nostra amicizia, figurarsi il nostro amore. Un figlio di
Poseidone e una figlia di Atena... la realtà a volte supera
la
fantasia!
Percy
si avvicinò lentamente al mio volto, come se avesse paura di
una qualche reazione scostante da parte mia. Io amavo Percy, ma non
volevo che avesse mia madre contro. Era sbagliato...
-Percy...-
mormorai appena, a meno di un centimetro dal suo volto. -Sai che non ti
renderò la vita facile
così...
Lui
sorrise appena. -Non ho mai avuto una vita facile, Sapientona.
Dopodiché
mi regalò un bacio di una dolcezza infinita, facendomi
sentire
come se per lui fossi la persona più importante del mondo.
Era
come se
avesse paura di rompermi in mille pezzi osando di più.
Chiusi
gli occhi, abbandonandomi a quel mondo di sensazioni divine (gente,
siamo mezzosangue!) e paradisiache. Sarei voluta restare
così
per
sempre, a bearmi di quel suo profumo.
In
quel momento capii che quello che sentivo prima non era un profumo:
l'essenza di Percy era il mare stesso, lui sapeva di mare. Era salato
e dolce, felice e malinconico, coraggioso ed intimorito. Era come
un'onda altissima che, al momento di infrangersi sulla sabbia,
rallentava la sua corsa per paura di ferire la sabbia in qualche modo.
Aprii
gli occhi per un secondo e vidi tre figure sedute sulla scogliera che
mi fissavano. La prima era la dea Nike, la dea della vittoria, e mi
sorrideva radiosa. La seconda era una bellissima donna dal volto
familiare, ma che sulle prime non riconobbi: poi notai il foulard
rosso che aveva al collo, identico a quello che avevamo trovato io e
Percy a Waterland durante la nostra prima missione. La donna mi
sorrideva ammiccante, come se avesse appena concluso con successo un
ottimo lavoro e come se la creazione del mondo fosse stata
utta opera sua: si
trattava senza ombra di dubbio della dea Afrodite, la dea dell'amore.
L'ultima,
invece, era l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere. Mi
rivolse uno sguardo impassibile con i suoi occhi grigi, mentre i
riccioli dorati ondeggiavano al ritmo scandito dal vento.
Dopodiché fece
spallucce ed abbozzò un sorriso, come a dire “se
ritieni
saggia questa tua scelta, non posso che approvare la tua
decisione”. Il
cuore mi si gonfiò ancor più di gioia: anche mia
madre era dalla mia parte.
Nulla
avrebbe potuto più separarmi da Percy.
Niente
e nessuno.
Nemmeno
Crono e i suoi tirapiedi cannibali.
-Annabeth?-
mi chiamò, mentre teneva stretta al suo petto in un
bellissimo
abbraccio.
-Mh?
-Ti
amo.
Sorrisi.
-Sei proprio stupido, Testa d'Alghe.
{N.d.A.}
1: La dea Tiche, nella mitologia greca, è la dea della Fortuna e del Caso. A lei ci si rivolgeva per ottenere condizioni fortunate o, comunque, propizie per raggiungere un determinato obiettivo. Chi entrava nelle sue grazie avrebbe avuto la buona sorte dalla sua parte sino al termine della sua esistenza. In molte raffigurazioni viene rappresentata con una benda sugli occhi, per lasciare appunto la scelta dei sui prediletti al caso ed alla (loro) fortuna.
My little corner:
Salve a tutti! Eccomi qua, ho finalmente deciso di fare il mio debutto in questo fandom nei panni di autrice (dopo aver intasato di recensioni qualche fanfiction) e ho volevo tentare con una song-fic. Premetto che si tratta della prima fic del genere che scrivo in assoluto e la considero una sorta di esperimento: siccome è la prima, è più che plausibile che non sia venuta un granché, tuttavia spero che la sua lettura non vi abbia provocato crampi allo stomaco ed un irrefrenabile bisogno di correre al bagno. XD
Devo dire che è più lunga rispetto alle mie aspettative di quando ho iniziato a scrivere... perciò complimenti per essere arrivati fin qui, avete un'alta soglia del dolore e di sopportazione!
Mi piacerebbe avere qualche parere riguardo questa storia completamente priva di senso alcuno, quindi ringrazio in anticipo tutte le anime misericordiose che saranno così gentili da esaudire questo mio desiderio. ^^
Bene, mi volatilizzo togliendo il disturbo!
Au revoir,
Aly.
PS: Ok, mettiamo le cose in chiaro: i personaggi di questa storia non mi appartengono, ma sono di proprietà del loro legittimo autore, Rick Riordan. Non ho scritto questa storia a fini di lucro, ma per puro divertimento personale. La canzone utilizzata non l'ho scritta io, ma l'autore è Gino Paoli.^^