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Autore: DazedAndConfused    15/07/2011    3 recensioni
Paul lo guardò dritto negli occhi, e non notò alcuna traccia di rancore. C’erano solo un’inaspettata serenità e la consapevolezza di un uomo ormai maturo e realizzato.
Fanfiction vincitrice del Come Together to the Strawberry Fields Forever, indetto dal «Collection of starlight», said Mr Fanfiction Contest, «since 01.06.08»
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction vincitrice del Come Together to the Strawberry Fields Forever, indetto dal «Collection of starlight», said Mr Fanfiction Contest, «since 01.06.08»



Titoli di coda.

There are places I remember,

all my life, though some have changed

 

-John! John!-

Il bimbo si voltò, storcendo le labbra non appena vide chi lo aveva chiamato.

-Quante volte te l’ho detto di coprirti bene, altrimenti ti buschi un accidente?- lo rimproverò la donna, infilandogli a forza la sciarpa di quella stupida lana che gli lasciava sempre macchie rossastre sul collo.

Il bambino la lasciò fare e poi, silenziosamente, se ne ritornò dagli amichetti correndo a perdifiato, mentre sua zia scuoteva la testa e borbottava un “Santa pazienza…”.

 

Some forever, not for better

 

Il ragazzo alzò lo sguardo verso il cielo, accorgendosi di come ormai fosse ridotto ad una macchia densa di piombo. Arricciò il naso e scese al volo dal blocco su cui si era seduto, per poi avvicinarsi all’amico.

-Ehm… John, sta per piovere. Iniziamo ad andare?-

L’altro sospirò gravemente: -Tu vai pure, la pioggia mi laverà via un po’ di tristezza.-

Me lo auguro. pensò Paul, correndo verso valle e lasciandosi dietro le spalle l’amico, che se ne stava chino sulla tomba, un silenzio gonfio di rispetto e angoscia tutt’intorno.

 

Some have gone and some remain

 

Il ragazzo accarezzò velocemente la coperta sul letto e si diresse alla finestra, osservando dei bimbi che giocavano festosi per strada. Ripensò alla sua infanzia, a quando sua zia non voleva che andasse a sporcarsi i calzoni nuovi di polvere, e sorrise mestamente. Nel bene o nel male, quella casa racchiudeva comunque un pezzo della sua vita.

-Jooohn! Allora, ce la facciamo?-

Il giovane si riscosse dai suoi pensieri e, una volta chiuse le persiane, si chinò a raccogliere lo scatolone contenente quei pochi vinili e quel paio di foto che possedeva, scendendo poi al piano di sotto.

Sua zia lo aspettava con un’espressione arcigna, che però s’intenerì alla vista del nipote, sommerso dalle cianfrusaglie che aveva custodito gelosamente durante l’adolescenza tormentata.

-Che dici, andiamo?-

Il ragazzo annuì con il capo, seguendo la signora in silenzio e voltandosi un’ultima volta verso quel cucinino che lo aveva protetto con il suo profumo di caffè, nelle mattinate seguenti alle fenomenali e alquanto frequenti sbornie che movimentavano la sua vita.

Una volta uscito lanciò un’occhiataccia al cartello “Vendesi” e si chiuse il cancelletto alle spalle, lasciando un pezzo del proprio cuore in quella villetta di Menlove Avenue.

 

All these places had their moments,
with lovers and friends I still can recall

 

-Mimi! Dì un po’, hai visto la brillantina?-

-John, signore Iddio, quante volte ti ho detto di non parlarmi con questo tono? Non sono mica tua sorella!-

-E ci mancherebbe!- sbottò il ragazzo, ridendo a crepapelle quando sua zia gli lanciò dietro uno zoccolo.

Scappò in bagno e finalmente riuscì a scovare l’oggetto tanto ambito dietro alle creme della donna: si sistemò la chioma ribelle alla bell’e meglio e fuggì in strada, fumandosi una sigaretta lungo il tragitto.

Davanti al Cavern lo stava aspettando una ragazza dai capelli lisci e le guance deliziosamente rosse per il freddo, che avvamparono ancor di più nel momento in cui lo vide.

John baciò Cynthia delicatamente, porgendole poi il braccio per entrare insieme nel locale.

 

Some are dead and some are living

 

-No, Stu, non se ne parla! Non se ne parla proprio! Che cazzo di senso ha stare sul palco per poi far finta di suonare, scusa?!-

Paul stava sbraitando da dieci minuti buoni, mentre il diretto interessato fingeva di ascoltarlo, impegnato com’era a lucidare le lenti degli occhiali da sole.

-Dai, Macca, lascialo in pace. È libero di fare quel che vuole.-

Con quell’intervento John sperava di poter sedare uno dei soliti litigi inutili che ultimamente aumentavano a vista d’occhio, ma ottenne solo l’effetto di far incazzare Stu.

-John, non c’è bisogno che tu ti metta in mezzo, sono capacissimo di difendermi da solo, sai?- gli aveva apostrofato secco, ficcandosi gli occhiali da sole e andandosene fuori, presumibilmente in cerca di Astrid.

 

Da un paio di giorni John era tormentato dal solito incubo, quella scena che lo aveva fatto rimanere di sasso già allora: Stu che gli rispondeva male e gli voltava le spalle, lasciandolo da solo. Nella notte quelle immagini si facevano ancor più nitide, acuendo i sensi di colpa come ferite sulle quali era stato spremuto del limone.

E le cicatrici non si rimarginavano, ma diventavano sempre più profonde, dilaniandogli la carne e quel poco di buonsenso che gli era rimasto.

Non riusciva a perdonarsi il fatto di averlo fatto sentire emarginato, fuori da tutti i loro giochetti di gloria e onori ad Amburgo, fuori dalla sua vita. Continuava a vederlo litigare con Paul per la sua stupida amicizia, l’amicizia di un povero coglione che l’aveva salvato da una rissa e che non ce l’aveva fatta a proteggerlo per la seconda volta.

Era inevitabile che Stu fosse geloso marcio di Paul e che quest’ultimo lo fosse di Sutcliffe; sembrava quasi una legge scritta dalla Natura, uno di quei teoremi che non riesci a capire totalmente ma che accetti di buon grado perché sai che non può che essere così.

Quello che però John non riusciva veramente a spiegarsi era il motivo di tanta gelosia nei suoi confronti, ma soprattutto perché per un giovane così bello e speranzoso come Stu il capolinea fosse già giunto.

Era un’ingiustizia che lo faceva stare malissimo, e che contribuiva ad allungare ulteriormente la lista dei suoi cari scomparsi troppo presto.

Si portò le ginocchia al petto e stette ad ascoltare: dalle pareti troppo strette poteva benissimo sentire i sospiri di Paul colmi di sensi di colpa, George che vomitava anche l’anima in quel cesso angusto e Astrid gemere in silenzio, i capelli arruffati ormai privi di lucentezza e gli occhi vuoti.

John si rannicchiò in una posizione fetale e finalmente pianse, in quella stanzetta piccola e ancor più grigia del solito.

 

In my life, I've loved them all

 

Non appena era entrato nella stanza, era piombato il silenzio più nero.

John sapeva che Paul era a conoscenza del fatto che la sua presenza fosse pesante, ma sapeva anche che McCartney era solito portare a termine un lavoro con dedizione e meticolosità, non ammettendo schifezze e imperfezioni e fregandosene delle obiezioni altrui.

Lui, George e Ringo se ne stavano quindi zitti, in attesa della consueta sfuriata da parte di un sergente troppo impegnato a mandare avanti la carretta per accorgersi del malcontento generale.

Paul però li stupì, dichiarando con voce calma e non senza una punta d’orgoglio: -Ragazzi, sono fiero di annunciarvi che Abbey Road è stato finalmente ultimato!-

Gli altri tre si guardarono, increduli per la sua reazione, fino a quando George, inaspettatamente, si sciolse in un applauso carico di sollievo e soddisfazione, a cui ben presto si unirono anche quelli che erano stati i suoi compagni d’avventura per quasi dieci anni.

L’atmosfera di festa svanì in fretta, lasciando così che il silenzio calasse ancor più minaccioso di prima.

-Beh, se non avete nulla in contrario, io me ne andrei…- John si alzò e, dopo un rapido saluto, uscì dalla sala registrazioni e si diresse in corridoio.

Venne però richiamato da una voce che conosceva bene e si bloccò.

-John, io… Io volevo solo salutarti.- Ringo se ne stava di fronte a lui, gli occhi più azzurri del solito e il fiato corto.

Le labbra di John s’incresparono in un sorrisetto ma, prima di poter dire qualcosa, l’amico lo interruppe:

-Intendevo salutarti decentemente.-

Lennon ridacchiò e lo abbracciò, mentre Ringo aggiunse: -Tanto ci si beccherà una sera di queste, vero?-

L’uomo annuì e, con la coda dell’occhio, vide Paul e George che li osservavano dall’uscio. Senza nemmeno pensarci, si avviò a passo svelto verso di loro e porse la mano ad Harrison, che contraccambiò la stretta:

-È stato un vero piacere lavorare con lei, signor Harrisong.-

-Il piacere è stato tutto mio, mister Lemon.- gli sorrise l’altro, dileguandosi poi assieme a Starkey.

 

-E così ci dobbiamo salutare…-

La voce di Paul lo fece voltare, e se lo ritrovò di fronte, come un riflesso esatto di se stesso.

-A quanto pare…-

L’altro storse le labbra e si mise a fissare un punto lontano, oltre le sue spalle. D’improvviso si schiarì la voce:

-So che mi consideri uno stronzo, e non hai tutti i torti per farlo, ma sappi che tutto quello che ho fatto in quest’arco di tempo vissuto insieme l’ho fatto solo per noi, e non lo rinnego.-

John si stupì un po’ di quella confessione, ma celò la sua meraviglia dietro alla voce calma:

-Sì, lo ammetto: sei uno stronzo, ma è pur sempre vero che è stato un viaggio trascorso insieme. È stato bello finché è durato, ma adesso è ora di cambiare meta, no?-

Paul lo guardò dritto negli occhi, e non notò alcuna traccia di rancore. C’erano solo un’inaspettata serenità e la consapevolezza di un uomo ormai maturo e realizzato.

Allora gli sorrise e annuì: -Sì, hai ragione. Come sempre.-

Lennon credette di aver sentito male l’ultima frase ma, prima di poter chiedere spiegazioni, Paul gli porse la mano e gliela strinse: -Arrivederci, John. Spero di rivederti presto.-

-Lo spero anch’io, Paul. Arrivederci.-

Lo vide uscire da Abbey Road e non poté fare a meno di sospirare faticosamente.

E un’altra cosa è fatta, vecchio mio.

-Sì, ma a quale prezzo?- disse a voce bassa, tornandosene nella sala registrazioni.

Sul muro troneggiavano varie foto, tra cui un ingrandimento della scena dell’inseguimento di A Hard Day’s Night: lui stava scambiando uno sguardo complice con George ma, allo stesso tempo, pareva  rivolgersi a Paul, che rimaneva un po’ indietro, quasi ad assicurarsi che fosse ancora lì.

 

La verità era che, nonostante tutto, Paul restava sempre , davanti a lui, e non se ne sarebbe mai andato.

Contava ancora molto, e negarlo non avrebbe di certo contribuito a scacciarlo dalla sua vita.

Perché avrebbe potuto negarlo al mondo, a George e Ringo e perfino a lui, ma a se stesso no.

 

Si alzò e andò alla finestra, appena in tempo per vedere l’auto di Paul sgommare a tutta velocità, lasciando il segno dei copertoni sull’asfalto.

Si accese una sigaretta e soffiò il fumo in direzione della strada, rimproverandosi per quell’abbraccio mancato e per un saluto che non si era svolto come avrebbe dovuto essere.

 

 

 

Dicono che, nel momento in cui stai per morire, i momenti più importanti della tua esistenza ti scorrono davanti agli occhi, come polaroid appena asciugate: i colori vividi fanno a pugni tra di loro per chi deve risaltare di più, per poi diventare sbiaditi tutto d’un tratto.

Sembra una stronzata, e invece non lo è.

Vorresti confermare questa teoria strampalata e dire a tutti di armarsi di pop-corn per il gran giorno, ma non puoi.

Vorresti concludere la tua vita con una battuta d’effetto, come “Suona la nostra canzone, Sam.”, “Il mio nome è Bond. James Bond.” oppure “Francamente me ne infischio!”, ma l’unica cosa che ti esce di bocca è un “Mi hanno sparato…” farfugliato flebilmente, e un po’ te ne vergogni.

 

La pellicola finisce, un cumulo di carta lucida srotolata con suoni metallici: chiudi gli occhi e ti accasci al suolo, in gola troppe scuse che non giungeranno mai ai propri destinatari.

Chissà se questo cortometraggio piacerà.

 

 

 

I read the news today, oh boy.

Ssssciao a tutti.

Innanzitutto abbiate pieta di me, ma non sto più capendo un cazzo: ho passato mesi in giro per il forum, a cercare ossessivamente (e invano) i risultati e, proprio nel momento in cui me ne dimentico, vengono fuori e ADDIRITTURA RISULTA CHE SONO LA PRIMA CLASSIFICATA.

Robe da pazzi, serio.

Non mi dilungo ulteriormente nei miei deliri e descrivo brevemente cos’ha escogitato Drè (mia adorabile Lonely Spring <3) per spingermi a scrivere tutto questo.

Innanzitutto si doveva scegliere una canzone dei Beatles e far ruotare l’intera trama intorno ad essa e poi usare una foto assegnata da Drè: a me è capitata la famosa foto di A Hard Day’s Night in cui Paul sembra quasi saltare sul muro tipo Spiderman, che magari in futuro posterò.

E niente, è uscita fuori questa cosuccia.

Sono davvero felice del risultato e vorrei veramente ringraziare Drè per avermi concesso questa splendida opportunità e Astral; per avermi giudicato con precisione.

 

Dazed;

   
 
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