Partecipa al TVG!Fest con
il prompt child!Damon/child!Stefan – “Damon ho paura del buio…”.
Nero come il nulla.
"...Sometimes I see flames. And
sometimes
I see people that I love dying.”
Sleep. My Chemical romance.
Faceva freddo quella notte.
Damon si strinse nelle braccia,
osservando con aria inespressiva il proprio fiato condensarsi in piccoli
fiotti.
Non più freddo delle notti
precedenti. Eppure vi era qualcosa di diverso nell’aria pungente che gli
pizzicava la pelle. Nel terreno duro sul quale giaceva rannicchiato.
Forse era l’odore del sangue. Dopo
due giorni di veglia e di silenzi, lui e i suoi compagni erano stati improvvisamente
colti dal rumore della battaglia. Dalle
grida agghiaccianti di soldati che crollavano a terra, da questa o da quella
parte.
C’erano stati occhi, quella sera,
che avevano ricambiato lo sguardo di Damon per l’ultima volta. Labbra
che gli avevano sorriso solo qualche ora prima, ma che erano destinate a non
congiungersi mai più: paralizzate dal tocco crudele della morte. E
mani che gli avevano scaldato il corpo e il cuore, adagiandosi con comprensione
sulla sua spalla. Quelle mani erano diventate
fredde e immobili: proprio come la sua notte.
Le dita screpolate del ragazzo
corsero a ripararsi sotto le sue ascelle, mentre lo sguardo di Damon varcava i
confini della trincea, raggiungendo la luna che sorvegliava in silenzio il
sonno leggero dei soldati. Quel tenue spiraglio di luce
avrebbe dovuto contribuire a rincuorarlo, ma in realtà non faceva altro che
suscitare in lui una vaga sensazione d’inquietudine.
Si era sempre sentito più a suo
agio con il buio che con la luce, sin da quando era bambino. L’oscurità
attribuiva a qualsiasi cosa il beneficio del dubbio, sfumando i contorni e
tratteggiando ombre sugli oggetti, rendendoli irriconoscibili.
Con il buio non si è obbligati a
vedere ciò che ci circonda. Se fosse stato al buio Damon avrebbe potuto
modificare a suo piacere l’ambiente che lo circondava; avrebbe cancellato i
movimenti irrequieti dei suoi compagni, ammassati tra loro per trarre calore
dal corpo dei vicini. Avrebbe dimenticato perfino il profilo frastagliato della
trincea e le ombre dei corpi accasciati a terra senza vita.
Ma la luna c’era. E i suoi
pallidi raggi erano sufficienti per mostrargli, seppur non in maniera nitida,
il triste scenario di cui era al tempo stesso parte integrante e spettatore.
Distolse lo sguardo dai compagni
e tornò a fissare il satellite. Gli sarebbe piaciuto avere un
animo da sognatore, in maniera da poter trarre conforto da quel lieve sprazzo
di luce. Ma la guerra lo stava
allontanando in fretta da tutto ciò che era ipotetico e irrazionale.
Prima di partire per il fronte
era convinto che l’illusione di un tiepido ritorno a casa l’avrebbe
aiutato a superare l’inquietudine di quei momenti. Aveva creduto di essere
abbastanza forte, abbastanza determinato da poter affrontare qualsiasi tipo di
sfida.
In guerra, gli aveva detto più
volte suo padre, non esiste più la paura. Né il rimorso. Non c’è spazio per la compassione o per la vergogna nel
cuore di un soldato.
Balle. Tutte balle.
L’unica cosa per cui non c’era
spazio in quel cuore foderato di ribrezzo era la quiete. Sarebbe
stato tutto più semplice, se la luna fosse stata sua amica. Se
la luce che emanava fosse stata per lui un conforto e non un fastidio: un po’
come funzionava per Stefan.
Il pensiero del fratello lo
accarezzò istintivamente, e Damon se ne appropriò all’istante,
evocando il suo sorriso gentile. Ricordò il suo sguardo limpido
e ancora privo di ombre che ricordava ancora quello di un fanciullo.
Stefan era sempre stato
affascinato dalla luce, proprio come Damon prediligeva la notte. Quando, da
bambino, il piccolo Stefan osservava incantato il movimento luminoso di un
fuocherello, il maggiore era sempre più interessato dal gioco di ombre
proiettato dalle fiamme.
Pensare a Stefan, al dilatarsi
dei suoi occhi chiari quando il suo sguardo curioso indugiava su una stella più
accesa delle altre, lo portò a sorridere, seppur in maniera lieve. In silenzio,
incominciò a domandarsi se l’avrebbe rivisto presto; se era cresciuto,
cambiato, rispetto all’ultima volta che si erano viti. Il ricordo del fratello
era ancora in grado di scaldargli il cuore. Se ne accorgeva quando, troppo
esausto per fare ordine fra i suoi pensieri, Damon rivedeva nel volto
di un soldato spaventato la paura dello Stefan bambino nei confronti delle
notti nuvolose prive di luna e di stelle. Quando nei movimenti delicati e
premurosi di un’infermiera, individuava le carezze con cui il fratello viziava
la sua cavalla, Mezzanotte.*
Se Damon ricordava Giuseppe nei
momenti di oscurità forzata, quando riusciva a nascondere il viso sotto un
pezzetto di tela consunto, Stefan era perfettamente visibile ai suoi occhi ogni
qualvolta che essi venivano rischiarati dalla luce di una candela.
Dal bagliore di un lampo improvviso. Dalle luce tenue delle stelle.
In quei momenti, Damon imparava a mettere da parte il buio e
ad apprezzare maggiormente la luce.
Solo così le notti incominciavano
a non sembrargli poi così fredde e interminabili.
Solo così, la luna prendeva a
vegliarlo con aria sempre meno minacciosa, sussurrandogli di chiudere gli occhi
e di dimenticare la lotta tra luci e ombre.
Doveva dormire.
Doveva semplicemente dormire.
Sì, avrebbe abbassato la guardia.
No, non ci sarebbe stata più
nessuna guerra. Non quella notte, per lo meno.
E molto spesso, cullato dai
ricordi che risuonavano di bisbigli infantili e di grilli, Damon riusciva
finalmente a prendere sonno.
Proprio grazie alla luce.
“Sleep
Just sleep
The hardest parts
The awful things that
I've seen”
Sleep. My Chemical Romance
“Ti ho
sentito.”
Damon spalancò gli
occhi, contemplando in silenzio l’ oscurità che gli riempiva la visuale. Un movimento leggero alla sua destra gli fece notare che il
fratellino giaceva rannicchiato ai piedi del suo letto.
“Scusa” tentò di bisbigliare Stefan, sforzandosi di imitare il
timbro rauco del fratello. “Resto
ancora pochino e poi me ne vado, lo giuro!”
In realtà Stefan sperava
che, con un pizzico di fortuna, suo fratello si sarebbe addormentato a breve,
dimenticandosi della sua presenza. Non aveva intenzione di restare solo in
camera sua. Non con tutto quel buio.
Certo, non era
proprio ‘solo solo’.
Da qualche
parte, fuori dalla finestra, la luna
vegliava su di lui. E a circondarla c’erano anche le sue stelle.
Certo però che erano
tutte così lontane…
“Si può sapere perché
hai così tanta paura del buio?”
gli domandò Damon. Si girò su un
fianco, tentando di individuare nell’oscurità il profilo del fratello.
Stefan appoggiò le
manine sulla coperta, inginocchiandosi di fronte al letto. La domanda del
fratello l’aveva completamente spiazzato.
Tutti i bambini hanno
paura del buio, si disse. Tutti tranne Damon,
ovviamente .
Ma come si fa a
spiegarne il perché?
“Perché è tutto
così nero che non riesco a vedere nulla” bisbigliò
a quel punto, arrampicandosi con titubanza sul letto del maggiore: confidava
nel fatto che il buio potesse nascondere i suoi movimenti.
Damon non disse
nulla. Lo lasciò fare, anche se i piedi freddi di Stefan gli avevano
punzecchiato il polpaccio scoperto.
“Stef,
è proprio questo che non capisco.”
Il ragazzino
intrecciò le dita dietro la nuca e sospirò. Le iridi azzurre,
completamente invisibili nell’oscurità della notte, rincorrevano le ombre a
malapena accennate dei mobili.
“Se non riesci a
vedere nulla… Allora di che cosa hai paura?”
Stefan spalancò la
bocca con aria confusa. Le riflessioni di Damon non erano alla portata di un bambino
piccolo come lui, perciò il ragazzino si limitò a sbadigliare con espressione insonnolita.
“Lo sai,
Stefan… Lo sai che cosa c’è di tanto bello nel buio?” continuò a domandare Damon, socchiudendo appena gli occhi
impastati di sonno.
Stefan scosse il capo,
dimentiche del fatto che il fratello non potesse vederlo.
“-Cosa c’è di
tanto bello?” farfugliò con voce esile,
rannicchiandosi su un fianco: era talmente piccolo che anche con il
giorno sarebbe stato a malapena individuabile, così circondato dalle
coperte.
“Proprio perché non
riesco a vedere nulla… Allora mi posso immaginare tutto quello che
voglio. Posso vederci quello che ci voglio.”
Stefan riconobbe
nelle parole del fratello una particolare nota di ammirazione e non poté
fare a meno di sorridere, pur non riuscendo a comprendere a pieno le
parole di Damon.
“E tu cosa vedi,
Dame?” domandò prima di scoccargli un’occhiata furtiva. Sicuro che l’oscurità
avrebbe mantenuto il suo segreto, Stefan si infilò il pollice in
bocca, beandosi della sensazione di conforto che gli parve di trarre da quel
gesto. “Vedi Mezzanotte?”
Il visetto del
maggiore dei Salvatore si illuminò,
mentre un sorrisetto divertito arricciava gli angoli delle sue labbra.
“In questo momento
sta correndo assieme a Jake*.” rivelò il ragazzino, permettendo alla sua
immaginazione di tracciare le corse immaginarie di due cavalli. “Chi arriva per primo alla tua stanza vince
in premio una carota.”
“Caspita!” Stefan
fece cozzare i palmi delle sue manine, pur continuando a succhiarsi il pollice.
“Allora il buio non è poi proprio così cattivo” mormorò
con voce più sottile. Infine chiuse gli
occhi, sconfitto dall’ora tarda e dalla stanchezza.
Damon si morse il
labbro, sforzandosi di trattenere un secondo sorriso: era piacevole, incantare
il suo fratellino. Bastava poco per riuscire a fargli trovare un barlume di
luce in ogni sprazzo di oscurità.
“E la mamma, Dame?” Il
sussurro di Stefan giunse alle orecchie del fratello in maniera talmente
flebile, che per un attimo Damon pensò di esserselo soltanto immaginato. “Riesci a vedere anche la mamma?”
L’interrogativo
rimase sospeso nell’aria per qualche minuto, prima di venire bruscamente
spezzato dal respiro irregolare del minore dei Salvatore: il piccolo
si era addormentato.
“Buonanotte, Stefan.” mormorò
Damon prima di girarsi su un fianco, alzando verso il soffitto gli occhi
che ancora non accennavano a chiudersi.
Ripensò alla loro mamma e a com’era bello il suo sorriso. Ricordo anche la
canzone della buonanotte che più volte aveva sussurrato loro in quella stessa
cameretta, per aiutarli a prendere sonno.
L’oscurità lo strinse
a sé come un mantello o un abbraccio – un abbraccio di madre
- tenendolo al caldo e al sicuro.
Sì, rispose
mentalmente il bambino prima di cedere anch’egli al richiamo invitante del
mondo dei sogni: riusciva a vederla perfettamente.
“Io
non sono obbligato a vederlo come te. Io me lo posso immaginare come
voglio.”
Da
Rosso come il Cielo
*Jake e
Mezzanotte sono i cavalli di Damon e Stefan nella saga “I diari di Stefan”. Mi
piacciono tanto come nomi e ho voluto immaginare che i fratelli
avessero le due creature fin da bambini.
Nota dell’autrice.
Uhmmm… Niente,
ero in completa fase di blocco ultimamente, quindi questa storia non è uscita
molto bene. Ma mi sono ricordata che questa raccolta era
rimasta immobile troppo a lungo e ho deciso di farci ritorno.
Dell’attrazione per il buio e
delle discrepanze fra la luce/Stefan e il buio/Damon ne avevo già parlato nella
seconda one shot di
questa raccolta, The little prince of darkness dove
il Damon bambino si aggira per la casa di notte. Ma ho pensato che ci fosse
dell’altro da poter aggiungere e avevo voglia di provare a scrivere sul Damon
soldato, perciò quando ho visto il prompt di Lolaventimiglia mi
è venuta in mente questa. So bene che le due parti (l’inizio e il
flashback) risultano collegate a fatica tra di loro, ma mentre
scrivevo la parte di loro da bambini Stefan ha incominciato a curiosare fra i
racconti del fratello e ha voluto a tutti i costi tirar fuori la madre.
Immagino sia normale per un bimbo della sua età e così sensibile poi.
La frase citata a fine racconto è
tratta da un bellissimo film, Rosso come
il cielo, che ho visto qualche sera fa. Parla di un bambino che perde la
vista giocando con un fucile. È una storia successa sul serio e ve lo consiglio
perché è davvero splendido. Il titolo della one-shot, Nero
come il nulla, è ispirato appunto al titolo di questo film.
Detto questo vi saluto
e fuggo.
Un abbraccio!
Laura