Morire è silenzio.
Non c’è niente di reale nella morte: nessuno la vede arrivare, e quando si esalano gli ultimi, difficili e bruschi respiri, nessuno riesce ad assaporarla a causa dell’aridità che invade la bocca. Però non è nemmeno vuota, e non si tratta di una semplice mancanza di parole.
A regnare sovrana è la tristezza ruvidamente scolpita nel petto per qualcosa che non tornerà mai più.
Il silenzio sono otto persone che provano la stessa identica cosa, e non parlano perché nessuna frase fatta potrebbe descrivere quello che si dimena nelle loro teste.
Lo odiano, tutti quanti, perché potrebbero gridare, strillare e strepitare, ma il silenzio diverrebbe solamente più profondo. Grava su di loro con facilità, e non ha neanche bisogno di costringerli a zittirsi; loro non sono più insieme. Uniti. Forti.
Non c’è nessuna fossa da scavare, e nessuna pira funeraria brucia per lei.
Lui la porta tra le sue braccia e non si accorge dei propri passi che squarciano la Capitale Dimenticata. Non si accorge dei gorgoglii dell’acqua.
Questo luogo è tranquillo. Non silenzioso.
Sulle sue labbra c’è un sorriso, ed è terribile perché ha gli occhi chiusi e non può sentirlo. Non c’è sangue a macchiarla, non c’è alcun segno di quel dolore che lei è ormai troppo fredda per poter provare, e lui trova che tutto ciò sia oltraggioso.
Nessuno dovrebbe andarsene senza far rumore, e lei non ha nemmeno pianto, o urlato. Le uniche lacrime che sono scese su questa terra sono state versate dai vivi.
Le tocca la mano, e lei fa l’unica cosa che era convinto non avrebbe mai fatto – lo abbandona. Ora non ha più addii da rivolgerle.
E capisce che non è vero che le persone diventano perfette quando muoiono.
Peggiorano soltanto.