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Autore: 365feelings    16/07/2011    4 recensioni
Infanzia - Guarda dritto davanti a sé il giovane borsista del re, guarda in direzione della capitale, verso il suo futuro.
«Io voglio.», sussurra.
È Napoleone Bonaparte lui, il corso, lo straniero, il cittadino di una patria vinta e si prenderà la sua rivincita.
[Questa storia si è classificata Quarta al contest Heroic Chilhood & Death indetto da AlexJimenez]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico
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Nickname: KumaCla
Genere: Generale, Malinconico
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot
Introduzione: Infanzia -
Guarda dritto davanti a sé il giovane borsista del re, guarda in direzione della capitale, verso il suo futuro.
«Io voglio.», sussurra.
È Napoleone Bonaparte lui, il corso, lo straniero, il cittadino di una patria vinta e si prenderà la sua rivincita.
Morte - È così giunta a termine la vita del valoroso generale, dell’Imperatore dei Francesi, del cittadino di una patria che ancora lo ricorda, di Napoleone Bonaparte.
«La morte non è niente.», aveva affermato nel pieno della sua potenza, «Ma vivere sconfitti e senza gloria significa morire ogni giorno.»
Egli vive ancora.
Personaggio scelto: Napoleone Bonaparte
Prompts: /
Nota dell'autore: O lo si ama o lo si odia: io personalmente lo amo. Napoleone Bonaparte è immortale e non potrà mai essere dimenticato. Spero solo che non si stia rivoltando nella tomba per quello che ho scritto. Le mie fonti sono state l’immancabile Wikipedia e alcuni siti che riportano un’accurata cronologia della sua vita. Per il carattere mi sono rifatta al “Manuale del capo”, una raccolta di aforismi e frasi di Napoleone riguardanti la guerra e la politica, e alla biografia “Napoleone: La voce del destino e I cieli dell’impero” di Max Gallo, che avevo letto tempo addietro e che lasciano trasparire tutta la sua determinazione e volitività, il desiderio di emergere e il desiderio di gloria e immortalità.

Questa storia si è classificata Quarta al contest Heroic Chilhood & Death indetto da AlexJimenez.

 

Resti immortali

 

Infanzia: Di un bambino che non è più tale, è già uomo ormai.

 

“Francesi, non paghi di averci portato via tutto ciò che ci era caro, avete anche corrotto i nostri costumi. La situazione attuale della mia patria, e l'impossibilità di mutarla, sono dunque un nuovo motivo per fuggire una terra in cui sono obbligato per dovere, a lodare uomini che per virtù dovrei invece odiare. Quando arriverò nella mia terra, che atteggiamento adottare, che linguaggio tenere?
Quando la patria non è più, un buon patriota deve morire.”

 
È con rabbiosa rassegnazione che il 15 dicembre 1778 si imbarca per Marsiglia. Sul ponte l’aria fredda gli pizzica le gote e trasforma in vapore ogni parola, ma sembra non importargli. Il suo sguardo è perso verso l’orizzonte.
Osserva la Corsica allontanarsi sempre di più, vede la costa rimpicciolirsi lentamente e poi scomparire nel blu, guarda la sua infanzia negargli la spensieratezza dovuta a un bambino della sua età.
Non è giusto, pensa.
 

Il primo gennaio 1779 è ad Autun. Lo ha accompagnato il padre, Carlo, e lì lo ha lasciato, insieme a Giuseppe, il fratello maggiore.
Ad un tratto la Corsica non c’è più, così come le stradine di Ajaccio: tutto svanito, tutto dissolto nell’orizzonte insieme al mare, al profumo dei pini e dei mirti. Quello che ancora respira è il profumo caldo della sua infanzia, ma sa che non può abbandonarsi ai ricordi e alla nostalgia.
Il suo presente è in Francia e lui non conosce nulla di quella terra. Suo padre lo parlava, il francese, ma sua madre no e tutto ciò che Letizia ha insegnato ai suoi figli è stato l’italiano.
Imparare diventa l’imperativo. Il bambino di nove anni stringe i pugni, scaccia ogni sentimento di nostalgia e abbandono e si getta a capofitto nello studio.
Piega quella lingua che non è sua, la sottomette a sé, ladegua al flusso burrascoso dei suoi pensieri. Si impegna, vuole domarla, vuole impadronirsene: quella è la lingua di coloro che hanno occupato la sua isola. Gli serve, gli è necessaria, la deve conoscere per combattere, un giorno, quei francesi con cui non vuole avere nulla a che fare.
Ogni tanto i ricordi, traditori, gli riaffiorano alla mente: qualsiasi notizia sulla sua patria è una buona occasione perché ritorni, per qualche istante, al passato.
Odia il suo presente, il paese in cui è relegato, la terra che calpesta, i francesi. Vorrebbe poter tornare a casa.
Per questo, a volte, cede all’assalto dei ricordi: è doloroso ma al tempo stesso piacevole immergersi nei colori, nei suoni, nei sapori che la sua mente conserva, come uno scrigno con i suoi tesori.
Per qualche istante è di nuovo in rue Saint-Charles e sua madre è lì con lui.
Per qualche istante è ancora intento ad ingaggiare battaglia con i bambini del Sud.
Per qualche istante ha ancora la sua infanzia.
Ma sono solo fugaci momenti, attimi di debolezza, e lui ritorna al presente, dove la terra odora di humus e fango e fa freddo.

Arriva il 15 maggio 1779 e il bambino non ha ancora dieci anni quando mette piede nella scuola reale militare di Brienne, ma sa che vi rimarrà per lungo tempo, senza poterne uscire, ormai definitivamente solo in quel paese straniero. Anche Giuseppe, destinato alla Chiesa, lo ha lasciato.
Sta con le mani intrecciate dietro la schiena in unabitudine che non lo abbandonerà mai e ascolta padre Lelue, ingoiando la voglia di urlare, di fuggire, di tornare a casa.
Il volto magro dal colorito olivastro, che già nel collegio di Autun destava stupore e risate maligne, e la fronte alta dove spiccano gli occhi dallo sguardo dacciaio non lasciano trasparire alcune emozione.
Quando padre Lelue lo lascia si ritrova più solo di prima, legato come non mai alla sua patria, di cui sente, dolorosa, la mancanza. Dove sono gli ulivi su cui arrampicarsi? Dovè il mare, azzurro, grande, caldo? Dovè lodore salmastro che impregna laria? Dovè la sua casa?
Rivuole la sua infanzia, ma sa di non poterla riavere, di averla persa per sempre.

Lui è lo straniero, il corso.
Paille-au-Nez lo chiamano e al suo passaggio ridono e parlottano come se lui non li sentisse, lo additano a volte.
Gli tendono trappole, si burlano di lui.
Di più, lo odiano. Lo odiano perché è diverso e non si piega.
Pieno di disprezzo si isola, accetta con rabbia la sua condizione di straniero. Non lhanno forse detto, gli insegnanti di geografia, che la Corsica non è altro che una propaggine dellItalia e, in quanto tale, paese straniero?
Ma lui non cede, combatte la sua battaglia personale, stringe i denti e va avanti, il piccolo patriota, va avanti. Straniero, forse. Sottomesso, mai.
Divora libri, si immerge in modi lontani, si ritrova in quelle grandi figure di cui legge le imprese. I grandi condottieri con la loro fulgida immortalità lo inebriano.
Studia, impara, vuole sapere, scrive in francese.
È una testa calda: esplode, a volte, contro gli altri ragazzi e allora occorre dividerli e metterlo in punizione. Ancora non si piega, anzi, si rialza più fiero, selvaggio e determinato di prima. Ma è una bella testa, è portato per la matematica e la geometria, sa comandare.
E ha coraggio. Mormorano gli altri ragazzi quando, dopo averlo degradato, spogliato delle sue insegne, retrocesso allultima fila del battaglione, ascolta, non risponde allaffronto e va ad occupare il suo nuovo posto. Mormorano, ammirano la sua fermezza: è uno che sa resistere, che ha coraggio, è degno di stima. Iniziano a vederlo sotto unaltra luce e lui accetta questa sua nuova posizione, a volte si unisce ai loro giochi, li dirige anche.
Ma continua ad essere lo straniero, per sua volontà. Separato dagli altri, uno scoglio inaccessibile, estraneo: è questo ciò che è e ciò che vuole essere.
È corso, non francese e mai lo sarà. Non scende a patti con le persone che lo circondano e che si sono beffate di lui, del suo nome, delle sue origini. Può comandarli, ma essere uno di loro, questo, mai.

E il tempo intanto passa: ha tredici anni, ora, e sogna ancora il mare. Il cavaliere di Keralio, maresciallo di campo e ispettore generale, decide di inviarlo il prima possibile alla Scuola militare di Parigi: da lì passerà a Tolone. Ma lanno successivo Reynaud des Monts, un altro ispettore, lo giudica troppo giovane e boccia la scelta della marina. È lartiglieria limpiego migliore per tutti quei ragazzi che, come lui, eccellono in matematica.
Stringe ancora i denti, non è più un bambino, deve saper aspettare: in ogni caso rabbia e amarezza si alternano in lui, è convinto che Brienne non abbia più niente da insegnargli.
In un lampo si ritrova con due anni in più e ha già cambiato ruolo: da quando suo padre è andato a trovarlo e gli ha lasciato Luciano, il fratello minore, è diventato un adulto di quindi anni. Il bambino, che si è dovuto difendere e indurirsi per non lasciarsi andare alla marea della nostalgia, della tristezza e ivi dissolversi, ha lasciato posto a una persona autonoma, indipendente, che sa prendersi cura e istruire gli altri.
Infine il 30 ottobre 1784 lascia Brienne, destinazione Parigi.
L’aria è fredda e pioviggina: il cielo plumbeo sembra volere stringere in un soffocante abbraccio la terra umida. Tutto quel grigio è opprimente, ma il bambino che ormai non è più tale, è già adulto, non si lascia andare alla malinconia.
Anzi, è deciso.
Mani incrociate dietro la schiena, ancora una volta il suo sguardo è perso verso l’orizzonte. Ma non guarda più indietro, non rivolge più nessuno sguardo al passato, all’infanzia. Guarda dritto davanti a sé il giovane borsista del re, guarda in direzione della capitale, verso il suo futuro.
«Io voglio.», sussurra.
È Napoleone Bonaparte lui, il corso, lo straniero, il cittadino di una patria vinta e si prenderà la sua rivincita.

   
 
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