Finalmente
ho trovato il coraggio di pubblicarla.
A dire la verità non mi
convince ancora al 100%, però mi son detta:
massssssììì proviamo!
XD
Spero vi piaccia e, se commentate lasciando un vostro parere,
sappiate che mi farà taaanto tanto piacere! ;)
Mi
piaceva guardarla dormire al mio fianco.
Quegli
occhi neri e profondi in cui mi perdevo quando mi guardava e diceva
di amarmi erano chiusi, ma la dolcezza era come se trapassasse le
candide palpebre per trasmettermi la stessa sensazione. Mi
sentivo in colpa per farla dormire così poco, per non
poterle dare
una sicurezza, un posto fisso in cui vivere, un ambiente da chiamare
casa. Passavamo
i mesi a registrare in studio, a provare fino a tardi e poi il tour,
i concerti, stanze d'hotel sempre diverse, i continui viaggi, le
lunghe attese in aeroporto, orari mai fissi.
I
problemi di respirazione erano iniziati da circa un mese, ma io ero
riuscito a convincerla a fare un controllo soltanto due settimane fa,
quando iniziò una cura che il medico le aveva prescritto per
combattere l'ansia. Stando a quanto diceva lui, non era niente di cui
preoccuparsi e che per farla passare sarebbero servite solo un paio
di pastiglie la sera e qualcosa con cui scaricare lo stress tipo uno
sport o delle passeggiate all'aria aperta, ma come poteva?! Eravamo
sempre presi da impegni di ogni genere e non c'era mai un po' di
tempo per stare tranquilli.
Ogni
volta che la sera la sentivo sospirare faticosamente e tirare pugni
al cuscino, il mio senso di colpa aumentava. Ero io la ragione di
tutta quella sofferenza e non me ne davo pace.
Eppure
lei si ostinava a dirmi che era felice di poterci seguire e di
condividere con noi tutto quanto per il resto dei suoi giorni e, il
che, mi sollevava, perché sapevo benissimo che senza di lei
non
potevo stare. Ogni
volta che me lo diceva, speravo con tutto me stesso che non si
stancasse mai di noi e di quella vita frenetica dalla quale ormai non
potevamo più scappare.
Solo
l'idea di non averla al mio fianco per tutta la durata del tour, mi
gelava il cuore.
Per
i ragazzi era come una sorella con cui fare pazzie e insieme si
divertivano come matti. Dio
come adoravo guardarli ridere. Tutti quanti insieme. Infondo eravamo
come una grande famiglia.
Aveva
iniziato a seguirci prima ancora che diventasse la mia donna e loro
erano sempre stati dalla mia parte convincendomi che era la ragazza
giusta per me e che non dovevo lasciarmela scappare per nulla al
mondo.
Non passa giorno che non ringrazio il cielo per averla mandata
qui, quando il primo giorno dell'ultimo anno, l'unico banco libero
della classe era quello di fianco al mio.
Il
lenzuolo bianco che ci avvolgeva aveva impregnato il suo profumo.
Quell'aroma dolce e fresco di gelsomino appena fiorito e baciato dal
sole mi seguiva ovunque, fin dal primo giorno.
Appoggiai
lentamente la mano sul suo braccio nudo e, stando attento a non
svegliarla, iniziai a disegnarle piccoli cerchi sulla sua morbida
pelle.
Sentivo
scorrermi nelle vene la felicità ed era una sensazione
così calda e
piacevole che, senza nemmeno il tempo di rendermene conto, un sorriso
mi si stampò sul volto.
Quella
voce dentro di me, alla quale ancora non avevo dato un vero e proprio
significato, continuava a dirmi: Dave, è la tua donna,
è tutta tua
e ti rende felice, tientela stretta; e io, come se potessi
risponderle, le dicevo: lo so, maledizione, lo so. Se
non fosse che la “condividevo” con i ragazzi, mi
sarei sentito
maledettamente egoista.
C'erano
giorni in cui mi rendevo conto di starle sempre attaccato, tanto da
sembrare un genitore iperprotettivo, ma lei non si era mai lamentata
e questo mi sollevava da un peso che mi ero creato da
solo. Non ero
esattamente geloso, solo avevo paura che qualcuno me la potesse
portar via.
Cazzo,
David, smettila!
Sta
dormendo nel tuo letto, ti ama, non ti lascerà mai. Non
pensarle
nemmeno certe cose!
Si,
l'amavo e lei amava me per quello che ero; quel pazzo e stupido
ragazzo sempre preso a fare scherzi idioti pur di far ridere lei e i
suoi amici, quello a volte fin troppo permaloso e lunatico che da
stronzo, solitario e scazzato diventava il clown della situazione, ma
anche quello romantico che adorava dirle parole dolci e farle
sorprese solo per vedere i suoi occhi brillare.
Poi,
d'un tratto, uno spiraglio di sole entrò dalla finestra e,
oltrepassando la tenda, le illuminò il viso svegliandola.
Aprì gli
occhi e mi sorrise mostrandomi tutta la gioia che teneva dentro.
«
buongiorno amore » dissi sganciandole un bacio sulla fronte
« come
ti senti? dormito bene? » « si sto bene,
tranquillo...e no, così
tanto per la cronaca, quanto tempo è che mi stavi fissando?
» mi
chiese facendomi un lieve pizzicotto sul petto « ahi! eheh
bhè
diciamo da un po' » « potrei denunciarti per
stalking, sai?
pervertito che non sei altro » disse avvicinandosi a me
ridendo «
se qui c'è un pervertito, quello non sono io, mi dispiace
» le
risposi facendole l'occhiolino.
Mi riferivo alla notte che
avevamo appena passato: due persone timide e insicure che, spinte
dalla forza dell'amore, si erano unite in un unico e caldo elemento.
Senza nessuna vergogna.
Era
il punto in cui arrivavamo al culmine del nostro amore e me ne
rendevo conto ogniqualvolta i nostri corpi si sfioravano. Potevo
percepire il suo respiro affannato e il suo corpo scaldarsi man mano
che il mio l'accarezzava e, in quel momento, capivo che stare con lei
era stata la scelta giusta.
Le
sue candide guance arrossirono in un attimo e, affondando il suo
volto nel mio petto per nascondere l'imbarazzo, mi
abbracciò.
Di
tutta risposta la strinsi a me, come per tenerla prigioniera del mio
cuore e non lasciarla mai andare via.
«
ti amo » le dissi scostando il lenzuolo che si era portata al
viso
nascondendolo « e non ho la minima intenzione di lasciarti
andar via
da me » conclusi cercando fra i soffici capelli neri, quelle
labbra
morbide e dolci che presi a baciare insistentemente. Ci
unimmo in un bacio profondo e appassionato, entrambi con la speranza
di poter far percepire all'altro quanto ci desideravamo.
D'un tratto
la sua mano mi avvolse la testa e, trovato appiglio fra i miei
capelli, mi portò con la schiena a terra. Poi, seduta sulla
mia
pancia, si staccò da me.
« nemmeno io ho intenzione di
lasciarti scappare, signor Desrosiers » disse senza
allontanare il
suo sguardo dal mio.
THE END