Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: Kukiness    17/07/2011    12 recensioni
Del giorno in cui Renée lo aveva lasciato, Charlie ricordava che dovevano pagare una bolletta della luce di quarantatré dollari e settantacinque centesimi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlie Swan, Renèe | Coppie: Charlie/Renèe
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Parenthood'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Renée



Le cose importanti da ricordare sono i dettagli, i dettagli rendono la storia credibile.

(Le iene, Quentin Tarantino)


All this time

I can make it right

with one more try.

RED – Can we start again





Del giorno del suo diploma, Charlie ricordava il colore rosso ciliegia delle unghie della preside Johnson, che gli aveva consegnato il rotolo di pergamena. Del giorno del funerale di suo padre, ricordava il cigolio delle suole dei mocassini del reverendo Irving sul pavimento della chiesa. Del giorno del suo primo incidente d'auto, ricordava che allo specchietto retrovisore dell'altra automobile era appeso un peluche a forma di pinguino, con una sciarpa gialla. Del giorno del suo matrimonio, ricordava che l'unica canzone di Elvis Presley presente nel jukebox era Hound Dog.

Del giorno in cui Renée lo aveva lasciato, Charlie ricordava che dovevano pagare una bolletta della luce di quarantatré dollari e settantacinque centesimi.


Era arrivata per posta mercoledì. La busta diceva, a lettere cubitali, ‘ultimo avviso’. Era un brutto periodo, a lavoro. Lo era anche a casa. Di solito era lui ad occuparsi di queste cose, di bollette, multe e conti da pagare, ma quel giorno era stanco, per un motivo che non ricordava – ma ricordava perfettamente che era mercoledì, buffo. Forse era solo in ritardo. Si era affacciato alla soglia della cucina. Renée stava imboccando Bella con una pappetta marroncina, ed era più quello che colava sul bavaglino di quello che restava in bocca.

«C'è la bolletta della luce appesa al frigo,» le aveva detto. «Ricordati di passare oggi a pagarla.»

Lei aveva risposto qualcosa in tono affermativo, poi lui era andato in centrale. La cosa era finita lì.


Quando era tornato a casa, quella sera, l'ingresso puzzava di prosciutto bruciato. Renée era ai fornelli; rimestava qualcosa in una grossa pentola e l'aria in cucina era opaca. Non si era cambiata, indossava ancora la t-shirt spiegazzata e i pantaloni della felpa con cui aveva dormito, ancora macchiati qua e là di omogeneizzato marrone. Bella gorgogliava nella culla, incastrata tra il frigo e il tavolo da pranzo.

Charlie l'aveva presa in braccio. «Ciao. Che c'è per cena?»

Renée aveva risposto qualcosa riguardo al prosciutto in gelatina. Questo spiegava l'odore. In parte. L'altra parte la spiegava il pannolino che gonfiava il retro della tutina di Bella, che si agitava a disagio tra le sue braccia.

«La bambina è da cambiare,» aveva detto. Si era guardato intorno, anche se sapeva che i pannolini non si trovavano in cucina. Una parte di lui sperava che Renée avrebbe preso in mano la situazione; non era bravo con quelle cose, con la pelle delicata di Bella, con tutte quelle braccine e gambine troppo sottili e troppo fragili per le sue mani. Avrebbe potuto spezzarle con due dita. Ma Renée non si era mossa, aveva continuato a mischiare.

Charlie aveva abbassato lo sguardo sul frigo e allora l'aveva notato. Quarantatré dollari e settantacinque centesimi.

«Renée, non hai pagato la bolletta.»

Non gli sembrava di averlo pronunciato in maniera scontrosa, o polemica. Era un semplice dato di fatto. Bella era da cambiare, la bolletta non era stata pagata. Il mestolo ricadde con un tonfo contro la pentola. Quando alzò lo sguardo, Renée lo stava fissando con occhi selvaggi.

«Mio Dio, Charlie! Mio... Dio

Non era stato proprio un grido, ma lo aveva detto forte. Aveva fatto esplodere il suo nome dalla bocca come una parolaccia, lo aveva stropicciato tutto e glielo aveva sputato in faccia. E poi era rimasta immobile, con la faccia rossa, gli occhi sgranati, e la bocca semi aperta in un'espressione che era un misto di incredulità e un'altra cosa.

Charlie aveva sbattuto gli occhi. «Renée, io...»

«Sta' zitto,» aveva detto, di nuovo con quel tono acuto, stridulo, e poi aveva spento il gas sotto la pentola di scatto. «Tu e la tua... la tua bolletta!»

«Renée, che cosa diavolo ti prende?»

«Mi prende che sono stanca, Charlie. Sono stanca. Torni a casa e l'unica cosa che sai dirmi è che Isabella è da cambiare e che la bolletta è ancora sul frigo?»

Bella aveva cominciato a piangere. Charlie cominciò a cullarla goffamente. «Non è vero, ti ho anche...»

«Mi hai anche chiesto cosa c’è per cena, è vero! Quanto sei premuroso!» Renée ruotò gli occhi al cielo. Charlie lo trovò un gesto ingiusto e serrò le labbra.

«Come ti pare,» disse e girò i tacchi, con Bella in braccio ancora in lacrime. Si diresse verso la stanza da letto, dove si trovava il fasciatoio. Non aveva voglia di litigare, perché era stanco e perché litigare con Renée poteva essere estenuante. A volte non ricordava neppure perché avevano cominciato. Sapeva solo di essere molto stanco.

«Charlie! Non osare voltarmi le spalle mentre ti sto parlando!»

Renée gli ciabattò dietro – ricorda anche quello, lo squittire della gomma piatta sul parquet.

«Non stai parlando, stai gridando. E la bambina è da cambiare.»

La cameretta profumava di talco per bambini. Charlie appoggiò Bella sul fasciatoio – cosa che odiava fare, perché si ritrovava sempre le dita incastrate tra la testolina molle della bambina e il ripiano di legno, senza sapere bene quale fosse il movimento giusto per sfilarle senza combinare un disastro. Le sbottonò velocemente la tutina.

«Adesso fai il superiore? Adesso fai quello che si preoccupa per la bambina? Charlie, quando mai ti è fregato di lei? Quella che se ne sta chiusa in questa maledetta casa ventiquattr’ore su ventiquattro sono io. Sono io che pulisco il suo vomito e la sua merda, quindi non osare fare la faccia di quello a cui adesso importa, mi hai capita?»

Charlie si voltò verso di lei, in piedi sulla soglia, con l’aria selvaggia e colpevole di chi non può rimangiarsi quello che ha appena detto.

«Come puoi dire questo,» boccheggiò, stranito. «Come puoi dire che non mi...»

«Sono infelice, Charlie.»

Lui rimase immobile, con l’ultima clip della tutina stretta tra l’indice e il pollice. Bella emise un gorgoglio di protesta. Renée aveva lo sguardo fisso sul pavimento. I suoi occhi avevano perso ogni furia. C’era solo quel desiderio di non aver detto, l’aria afflitta, il vuoto.

Bella iniziò a piagnucolare. Charlie si voltò di nuovo verso di lei. «Non è vero,» disse, e fece schioccare l’ultima clip. «Non è vero.» Strattonò la tutina verso il basso per sfilarla dalle braccine. Troppo forte. Bella cominciò a piangere.

«Sì che è vero.» La voce di Renée era di nuovo acuta, isterica. «La casa... la bambina... tu che esci la mattina e non ti si rivede fino a sera tardi... Io... io non ce la faccio più, così. Sono infelice. Non ce la faccio più.»

«Ma pensi che per me sia...» Aveva cominciato gridando, per sovrastare gli strilli di Bella, poi si rese conto che non bisogna sovrastare gli strilli dei bambini. Riprese a trafficare con la tutina, che si incastrava dappertutto, tra le pieghe morbide della carne, tra le dita minuscole, sulle caviglie cicciottelle. «Pensi che per me sia facile? Pensi che io esca a divertirmi? Che io passi le mie giornate a... Cristo, come si apre questa cosa!»

Renée lo spinse da parte. Con dita veloci sbrogliò i resti della tutina dalle gambe di Bella, che continuava a piagnucolare piano, il volto congestionato, i pugnetti mulinati in aria.

«Calmati. Stai spaventando Bella.»

Charlie sgranò gli occhi. «Io? Io starei...» Si coprì la faccia con la mano. «Di cosa diavolo stiamo parlando, Renée?»

«Del fatto che non sono felice. Che io non ti...» Strinse le labbra senza guardarlo.

Charlie smise di respirare.

«Non mi...?»

Renée sospirò forte. «Non più.» Sollevò lo sguardo su di lui, con l’espressione di chi prova una profonda pena. La faccia di uno che “ci ha provato, ma proprio no”. Charlie scoprì di odiarla. Di odiare quella faccia, quell’espressione, quella bocca tirata, la voce che diceva quelle cose.

«Da quanto?» sibilò.

Renée storse la bocca. «Oddio, Charlie, che domande fai?» disse in tono lamentoso. «Non lo so da quanto. Adesso però no.»

«Come puoi non sapere da quanto tu non...»

«Che senso ha? Anche se fosse da mesi, cosa cambierebbe?»

Charlie aveva voglia di mettersi a gridare. «Cosa cambierebbe? Cambia che sono mesi che tu vieni a dormire tutte le sere e ti svegli tutte le mattine nel nostro letto, e mi dici che... tu stamattina, stamattina mi hai detto...! Mi hai mentito. Mi hai detto che mi ami e mi hai mentito.»

Renée abbozzò un sorriso senza allegria. «E tu non te ne sei neanche accorto. Non ti dice niente, questo?»

Bella aveva smesso di piangere. Renée le aveva cambiato il pannolino, dopo averle frettolosamente pulito il sederino con i fazzoletti umidi. Ora si limitava a fissare il soffitto mentre cercava di mettersi un piede in bocca.

Charlie scrollò le spalle. «Non ci credo. Non puoi smettere di amare una persona così, da un giorno all’altro. Sei solo stanca, e lo capisco. Io... mi spiace, quando torno a casa non penso mai a... ma posso cambiare. Posso aiutarti, se tu...»

Renée sospirò di nuovo, con una strana impazienza. «Io non credo che basti, Charlie. Non è questione di quanti panni ho da stirare al giorno, o di letti da rifare. Io credo solo di... non essere adatta a stare qui. Qui a Forks.» Prese in braccio Bella e se la appoggiò alla spalla. «Qui con te.»

«Forks?» Charlie si strinse nelle spalle, confuso. «Che c’è che non va, in Forks? È una città come le altre, è tranquilla, e...»

«Ecco, appunto. Tranquilla.» Renée uscì dalla camera con Bella in braccio che gorgogliava da sola. Charlie la seguì in corridoio. «A Forks non c’è niente. Forks non è niente. Ho rinunciato al mio corso di pittura a Seattle per venire a ritirarmi in questo buco dimenticato da Dio circondato dal nulla. E per cosa? Per cosa?»

«Non potevamo permettercelo! Santo cielo, Renée, lo sai anche tu che non potevamo!» Charlie la seguì di nuovo in cucina, dove l’aria era unta e opaca. Aprì una finestra pur di fare qualcosa. «Lo abbiamo deciso insieme. Qui non dobbiamo pagare l’affitto, possiamo risparmiare per...»

Renée scoppiò a ridere. «Certo, i quattro dollari che metti insieme a fine settimana. Da quando ci siamo sposati non siamo andati in vacanza nemmeno una volta, Charlie. Di che soldi stiamo parlando? Guidi ancora la vecchia Peugeot di tuo padre perché non possiamo permettercene una nuova. La verità è che tu non hai nemmeno voglia di provarci.»

Charlie sbatté la mano contro lo stipite della porta. «Non abbiamo più quindici anni! Provare a far cosa? Andare a Seattle senza un soldo in tasca “per vedere come va”? E Bella? È questo che vuoi per Bella? Lei ha bisogno di una casa, per la miseria, di un tetto sopra la testa, della sicurezza di poter mangiare.»

«Ma sarebbe un’avventura!» esclamò Renée, mentre Bella riprendeva a piangere. «Non capisci? Se tu volessi davvero provarci, non ti importerebbe. Saremmo noi tre, noi tre e tutte le possibilità del mondo! Non dico che all’inizio non sarebbe difficile, ma almeno ci proveremmo! La verità è che tu sei un codardo.» Arricciò il naso in una strana espressione di fastidio. «A te piace stare qui, vero? Con queste quattro case. Ti piace conoscere tutti e andare a pesca la domenica con Billy. A te piace mangiare al solito fast-food. Non riesci ad andare più in là di questo.»

Charlie sgranò gli occhi. Per una manciata di secondi in cucina non si udirono altro che il singhiozzare sommesso di Bella e il ticchettio dell’orologio da parete.

Renée sospirò forte. Si passò una mano sulla faccia. «Senti, è tardi,» disse. «Io... sono stanca, non ho più voglia di discuterne. Ne parliamo domani.»

Avrebbe voluto fermarla. Dirle che non ne avrebbero parlato domani, che avrebbero finito adesso, che domani sarebbe stato troppo tardi. Anche se sono mesi che non mi ami più. Ma non lo fece. La guardò oltrepassare la soglia e scoccargli un’ultima occhiata, un misto di tristezza e di cose non dette. La vide stringere le labbra e poi dirigersi verso le scale, canticchiando qualcosa a mezza voce per calmare Bella.


Il mattino dopo, il lato del letto di Renée era vuoto. La culla di Bella era vuota. Sul tavolo di cucina, la bolletta della luce di quarantatré dollari e settantacinque e un biglietto: Mi dispiace, io devo provarci. Non cercarci. Mi farò sentire io.







Note ~ Ultimamente scrivo solo cose molto tristi! Il signor Abraxas direbbe che non c’è abbastanza fluff nella mia vita, ma non è vero. Il signor scrocco può confermare. Questa storia mi ronzava in testa da un po’, comunque. La dedico a mia sorella Caterina, che ne ha supervisionato la stesura, e a Kagome_86, che mi ha aiutata con i dettagli.
Aggiungo che, a mio modestissimo parere, un personaggio come Renée non si sarebbe mai portata via la bambina, ma ho dovuto rimanere fedele alla traccia originale.

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Kukiness