Somewhere I Belong
L’odore
del sangue riempiva l’aria
già satura del campo di battaglia.
I cadaveri giacevano a terra
insozzando il suolo e tingendolo di rosso e rendendolo fango.
I
cuori dei sopravvissuti erano pesanti come quei corpi riversi e
contorti che diventavano a mano a mano più freddi, gelidi;
c’erano
conoscenti, compagni di guerra e dolore, amici.
Il gruppo Joui era
completamente smantellato se non per quattro valorosi samurai, di
fronte a loro due figure sconosciute, oscurate dall’ombra che
man
mano andava a dissolversi.
I samurai alzarono il volto verso di
loro e si scambiarono un’occhiata complice, l’uomo
dai capelli
neri e corti fece un passo avanti e cominciò a parlare.
“Mostrateci
i vostri volti, alieni!”
Il vento scoprì il cielo coperto da
nuvole e rivelò le persone che erano davanti agli occhi
degli umani,
erano un Amanto dalla pelle smeraldo e una ragazza a capo chino con i
capelli raccolti. Avevano entrambi delle spade ma, mentre la donna la
riponeva accuratamente nel fodero, l’alieno la stringeva
fortemente
nella mano e sorrideva cinico.
“Sei stato accontentato…”
rispose calmo questi ghignando verso gli uomini.
Takasugi grugnì
rabbioso ed era pronto a fargli saltare la testa dal collo ma la mano
scarlatta dell’argenteo che l’era affianco, lo
calmò. Gintoki
osservò meglio le due figure di fronte a sé:
l’alieno aveva dei
lunghi capelli grigio topo legati da una coda lenta e bassa, gli
occhi piccoli e neri come la pece erano freddi e distanti, il naso
piccolo e appuntito all’insù, il corpo dallo
strano colore era
muscoloso e coperto da macchie cremisi come il kimono blu elettrico
che lo copriva e cui era fissato il fodero della sua spada. Ai piedi
aveva dei semplici calzai in paglia.
La ragazza che l’era
affianco, sembrava la più strana. Non aveva ancora alzato il
capo e
sembrava fissare imperterrita le punte dei suoi anfibi di pelle nera
indossati su dei calzettoni bianchi, il kimono nero ornato da petali
di ciliegio rosa antico le arrivava fino alla metà delle sue
cosce
bianche come la porcellana ed era legato da un obi del medesimo
colore dei fiori e allacciato con un enorme fiocco in cui vi era la
sua arma risposta accuratamente nel suo giaciglio. I capelli raccolti
a crocchia erano un castano tendente al miele, lucidi come la lama di
una spada. Non era certo un abbigliamento degno di una guerra
così
cruenta e mascolina e in sostanza, una guerra non era un posto adatto
a delle signore.
L’alieno si accorse dell’attenzione che il
giovane samurai degnava alla sua compagna e si porse davanti ad
essa.
“Strana, non trovi?” chiese questi rivolto a
Gintoki,
che increspò le labbra in una smorfia.
“E’ una combattente
della fazione degli Amanto.” intervenne sussurrando Sakamoto
alzandosi l’elmo che gli copriva gli occhi cerulei
“L’ho vista
mentre trucidava alcuni dai nostri compagni, tra cui Akira.”
“Uno
come Akira, battuto da una donna? Com’è mai
possibile?” chiese
uno sconvolto Katsura ai suoi compagni.
“Non lo so Zura. Una
cosa è certa: mai abbassare la guardia, non sembrano dei
semplici
soldati come quelli che abbiamo ammazzato finora.”. Gli mise
in
allerta l’argenteo non togliendo lo sguardo dalla ragazza.
“Hai
ragione umano. Siamo dei capitani infatti e voi morirete. Non avete
nessuna speranza contro di no-Ahhh!” l’alieno, il
cui volto era
dipinto da un’espressione sicura e sadica, gettò
un urlo strozzato
mentre una mano candita gli trapassava il corpo all’altezza
del
petto. Rivoli di uno strano liquido verdognolo colavano dalla ferita
e dalla mano che l’aveva trapassato, che si ritirò
veloce in
direzione del mittente. Il verde si volse lentamente dietro di
sé e
vide gli occhi scarlatti della sua compagna ridotti a una misera
fessura fissarlo con soddisfazione e curiosità, la ragazza
lo vide
accasciarsi a terra mentre si teneva il petto stretto nella mano e
gemere di dolore.
I quattro ragazzi fissavano la scena, interdetti
e sconvolti, la castana chiuse i suoi occhi e gli riaprì
scoprendo
delle perle azzurre come il ghiaccio che fissavano quel corpo esangue
verde contorto e privo di vita; con un passo superò il
cadavere e
cominciò a camminare decisa verso i quattro samurai, che
istintivamente puntarono le loro spade su di essa.
Sorrise
divertita di fronte a quella scena, quattro coraggiosi samurai che si
drizzavano per fronteggiare una ragazza, non capitava tutti i giorni
uno spettacolo del genere.
Continuò la sua passeggiata fino a
trovarsi le armi dei suoi nemici a pochi millimetri dal suo piccolo
naso, chiuse gli occhi e con un dito spostò la spada di
Sakamoto per
poi passare accanto ad esso e Gintoki con calma e mantenendo gli
occhi chiusi. Takasugi si stava innervosendo.
“Ehi tu! Dove
credi di andare?” urlò il moro puntando
l’arma verso le spalle
della ragazza. Essa si voltò a tre quarti e lo
fissò sottecchi per
poi sorridere furba.
“Se state pensando che io sia un Amanto
oppure un’umana passata dalla loro parte, state sbagliando i
vostri
calcoli. Tra poco un’altra truppa verrà a prendere
i cadaveri per
cibarsene ed io non voglio essere coinvolta con
ciò.”. Proferì
decisa la ragazza che aveva stranamente una voce calda e morbida, a
volte roca e continuò la sua camminata per allontanarsi da
quel
luogo. I quattro ragazzi si scambiarono un’occhiata stranita
e
dubbiosa ma l’argenteo, senza proferire parola, la
seguì riponendo
la sua spada nel fodero.
“Ehi Gin, ma che… Anche tu
Sakamoto??” lo richiamò Zura preoccupato ma si
bloccò nel vedere
anche il suo compagno castano seguire l’esempio di Sakata.
“La
ragazza ha ragione. Meglio squagliarcela prima che ne arrivino degli
altri intenti a mangiarsi il nostro corpo…”
rispose Gin non
continuando a camminare senza voltarsi indietro.
“Effettivamente,
non sono tanto buono da mangiare! Ahahahah!” rise Sakamoto
riponendo la sua arma e affiancando il compagno che gli era davanti.
Katsura si scambiò un’occhiata diffidente con
Takasugi e seguirono
l’esempio degli altri due samurai, abbandonando il terreno di
guerra.
La ragazza, che aveva udito tutto, sorrideva.
Attraversarono
un sentiero sperduto per
poi trovarsi all’entrata di una foresta verde e rigogliosa, i
quattro non conoscevano quel sentiero e chiesero subito spiegazioni
alla castana, che invece camminava decisa senza nessun
turbamento.
“Ma questa non è la strada per il nostro campo.
Dove ci stai portando, donna?” chiese Zura, intuendo che ci
fosse
sotto una trappola.
La ragazza si girò verso il moro “Questa
è
una strada secondaria, gli Amanto non la conoscono ed è
molto più
sicura della vostra abitua.
“Come fai tu a conoscerla?”
chiese Takasugi grugnendo.
“Durante le esplorazioni.” rispose
breve proseguendo.
“Come ti chiami?” esordì
l’argenteo
fissandogli le spalle.
“Reiko.”
“Bel nome!” proferì
Sakamoto ridendo ma la ragazza non lo seguì e
continuò a camminare.
Scrutava con i suoi occhi ogni albero e ogni siepe in cerca di
qualche segno o qualsiasi altra cosa. Si appoggiò a un
albero e vi
passò sopra un dito sulla corteccia scura e ne
ispirò il profumo,
cercando di trattenerlo nelle narici, chiuse gli occhi e si
staccò
dalla pianta continuando la sua traversa nella foresta, i Joui erano
sempre più sconcertati.
Katsura non sapeva spiegarsi la sua
presenza, non era certo nata per combattere vedendo il suo corpo
quasi perfetto e privo di ferite o cicatrici e non si fidava di lei.
Militava tra la fazione avversaria ma non ci ha pensato due volte a
uccidere un suo compagno, anche se prima aveva ammazzato altri
samurai suoi compagni. Non prometteva nulla di buono la sua
presenza.
Sakamoto l’aveva vista combattere e abbattere dei suoi
amici, tra cui Akira, con una tale destrezza da poter essere un degno
avversario per qualcuno di loro ma aveva percepito nei suoi occhi che
non c’era divertimento, solo malinconia, una forte
malinconia. Si
chiedeva chi fosse in realtà quella ragazza, apparentemente
così
giovane, e cosa ci facesse in una guerra come quella.
Takasugi la
odiava. Odiava quella sua calma apparente, odiava che guardasse tutti
con sufficienza, odiava la sua voce e il suo profumo che la lieve
brezza tirava nel suo naso, odiavo anche solo che respirasse. Una
leggera nota omicida voleva farle saltare quella testa castana ma per
ragioni sconosciute non era che una voce lontana nella sua testa.
Volava scoprire chi era a tutti i costi e da che parte
stesse.
Gintoki non sapeva spiegarsi l’interesse che aveva per
lei. La domanda sul suo nome era uscita spontanea tra le sue labbra e
voleva sapere sempre di più su di lei, perché si
trovasse lì.
Perché poi proprio tra gli Amanto, anche era loro nemica
visto come
aveva ammazzato quello che doveva essere un suo
“compagno” ma
c’era comunque una leggera inclinazione in quella
curiosità, non
si fidava completamente di lei e per questo fissava imperterrito la
spada di Reiko.
La ragazza non degnava di uno sguardo a quegli
strani tizi che la seguivano nonostante avvertisse un certo astio tra
di loro verso la sua figura, represse ogni pensiero e si
concentrò
sulle varie tracce che aveva lasciato per ricordarsi il sentiero.
“Ragazzi ma qui abbiamo un segugio!”
ironizzò Sakamoto
vedendo la ragazza annusare l’aria e alcuni alberi ma
deglutì a
fatica quando i suoi occhi incontrarono quelli glaciali e rabbiosi di
Reiko. “Scherzavo!” affrettò a dire
questi alzando le mani con
il palmo aperto.
La ragazza grugnì rumorosamente chiudendo svelta
gli occhi, sentendoli vagamente caldi “Ti conviene non farmi
innervosire.”
“Perché?” chiese Katsura guardandola
sottecchi. Reiko aprì nuovamente gli occhi e lo
fissò, poi gli
rivolse nuovamente le spalle e continuò a camminare non
rispondendo
alla domanda del ragazzo.
“Che strana…” commentò Gin
grattandosi freneticamente la nuca con una mano coperta ancora di
sangue.
Reiko osservò il cielo e socchiuse lievemente gli occhi
incontrando la sfera luminosa del sole. C’era un bel sole
nonostante poco prima si fosse combattuta una battaglia cruenta dove
uomini e alieni avevano perso la vita, alcuni a causa sua. Aveva
privato forse una donna di un marito o un bambino di un padre e
questo la rammaricava ma dopotutto quando si va in guerra sai cosa
lasci, ma non sai cosa trovi. Si volse indietro per costatare se quei
quattro fossero ancora alle sue spalle e, quando ne fu certa,
continuò a proseguire verso il loro accampamento, sentiva
stranamente caldo e vide la vista appannarsi a tratti ma
cercò di
continuare incurante di quegli strani avvenimenti. Sakamoto
notò che
la ragazza cominciava a traballare e che si appoggiava pesantemente a
un tronco di un ciliegio e corse verso di lei per aiutarla seguito da
Zura.
“Ehi, tutto bene?” chiese visibilmente preoccupato
tendendogli una mano. La ragazza la scacciò con uno schiaffo
e si
tolse gli anfibi e le calze, per rimanere completamente scalza, e
tornò a seguire la strada che aveva trovato tra gli odori e
i
suoni:
“Propongo di lasciarla, quella ragazza, secondo me, non
sa nemmeno dove ci troviamo.” Esordì Takasugi
incrociando le
braccia al petto.
“Ma che dici?? E poi non sta tanto bene, anche
se non lo vuole dare a vedere, non possiamo abbandonarla. Appena
arriviamo all’accampamento, la facciamo visitare dal
medico.”.
Propose Katsura osservando la figura di Reiko camminare a passi
sbilenchi ma decisi. Attraversarono un prato verde smeraldo
sovrastato da salici e da rocce bianche come la luna, in seguito
attraversarono un fiume. Qui la ragazza dovette accettare a mala
voglia l’aiuto di Sakamoto ad attraversarlo ma non lo
ringraziò,
facendo sbottare il castano in una risata fragorosa. Giunsero in
un’altra foresta, fatta questa volta da ciliegi, e i samurai
la
riconobbero, era quella che c’era nelle vicinanze del loro
accampamento e si dovettero ricredere
sull’affidabilità di Reiko.
Quel profumo così famigliare entrò prepotente
nelle narici di
Gintoki facendolo sorridere, profumo di casa.
Arrivati ad avere
dinanzi ai loro occhi il dojo dove passavano le giornate prive di
guerra, i quattro samurai si voltarono in direzione della ragazza di
spalle che li aveva condotti fino a lì, era stata di parola,
con
grande sorpresa di Takasugi e Katsura.
Zura stava per parlare
quando vide la ragazza accasciarsi a terra priva di sensi con il
kimono nero a fiori macchiato di rosso alla spalla sinistra e il
sangue che scendeva copioso fino al braccio e insozzando la mano
bianca e il suolo. Corsero verso di lei e Sakamoto la alzò
da terra
prendendola in braccio.
“Ha la febbre alta!” gridò questi
sentendo il forte calore che emanava quel corpo e che entrava nella
sua pelle.
“Svelti, al medico!” Gridò Gin entrando
nel dojo
e percorrendo strada ai compagni.
“Ma non sembrava ferita…”
esordì Katsura guadando la ragazza nelle braccia del
compagno che
sembrava realmente preoccupato per quella sconosciuta.
“Che
stupida!” commentò Takasugi seguendo i compagni
verso la stanza
del medico.
I quattro entrarono prepotentemente nella stanza che
il dottore solitamente usava per curare le ferite di guerra e
Sakamoto posò su una lettiga il corpo esile e cinereo di
Reiko
mentre i suoi compagni parlavano con il medico.
“Yasushi, devi
fare qualcosa per questa ragazza!” Esclamò Zura.
“E’ ferita
ma non sappiamo come e dove di preciso.” Continuò
Gintoki
indicando con il capo la ragazza.
Yasushi era un uomo piuttosto
avanti con l’età, un samurai ritiratosi per
inseguire i suoi sogni
di medicina. Posò i suoi occhi grigi come la cenere sul
corpo della
ragazza e le slacciò lievemente il kimono per esaminarla
meglio, si
grattò la testa e si volse sui quattro samurai e li
notò piuttosto
imbarazzati.
“Cosa c’è?” chiese ingenue
l’uomo passandosi
una mano nei capelli corti e neri come la pece.
“La vuoi
svestire davanti a noi?” chiese acido Takasugi, lievemente
innervosito.
Il medico guardò il corpo svenuto della ragazza cui
aveva quasi scoperto il petto e si rese conto che era una grave
mancanza di rispetto nei confronti di una signorina. Fece cenno con
la mano di uscire ai ragazzi e continuò a occuparsi della
sua
paziente.
Le slacciò completamente il kimono e osservò il
braccio sinistro di Reiko coperto completamente di sangue,
apparentemente non sembrava ferito e passò oltre per
arrivare alla
spalla. Qui spalancò gli occhi, la scapola era stata
completamente
trapassata da una lama, ipoteticamente, e gli aveva creato un grosso
squarcio da cui usciva molto sangue, notò che intorno alla
ferita
c’erano dei residui di fili, evidentemente quella ferita
doveva
essere già stata curata ma i punti avevano ceduto.
Sopirò scuotendo
la testa e pulì il braccio e la ferita con
dell’acqua e del
disinfettante, ringraziando il cielo del fatto che fosse svenuta e
che non potesse gridare o imprecare dal dolore, per poi suturarla
nuovamente e bendarla stretta, affinché i punti non
cedessero più e
limitassero i movimenti della giovane.
Nel cercare di rivestirla,
notò oltre ai vestiti completamente intinsi di sangue, una
strana
cicatrice lunga e stretta che le percorreva la schiena dal costato
fino alla nuca.
“Ma che diavolo è?” esclamò
sorpreso l’uomo.
Piccola
fic trovata nei meandri del mio computer... La sto rivedendo e
soprattutto ricordando cosa volevo scrivere!! XD Spero mi
facciate sapere cose ne pensate, anche perché
è la
prima volta che maneggio questi personaggi! ^_^'
Un
bacione dalla Lu! :*