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Autore: Mary West    18/07/2011    4 recensioni
Harry, dal suo piccolo cantuccio, era pietrificato. Non riusciva a muoversi, a parlare, a fare niente che non fosse sbarrare gli occhi e tremare violentemente.
Il suo tremore aumentò ancor di più quando la mano del giovane Piton saettò sulla scapola di Lily, abbassandole la spallina del vestito.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
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Allora...la storia parte dal quinto libro (circa metà, appena Silente lascia la scuola e la Umbrigde diventa Preside al suo posto). Harry si sente triste, solo e abbandonato; deve portare avanti gli studi, sopportare tutte le angherie del Minestero e studiare Occlumanzia con Piton. Tuttavia, durante una lezione interrotta, invece di andarsene come gli viene detto, Harry rimane e cade nei ricordi di Piton: non si tratta di quello del libro, ma di un altro ricordo, ancora più sconvolgente per Harry.
Se ci sono dubbi o equivoci, chiedetemi pure ^^
Si tratta della mia prima storia su Harry Potter e la prima che pubblico qui, perciò non siate troppo crudeli, per favore ** Grazie e buona lettura :D

CAPITOLO I: IL SEGRETO DI SEVERUS

Il sole splendeva radioso, quel giorno di inizio Aprile, sul maestoso parco di Hogwarts. Gli studenti, approfittando del bel tempo che tanto si era fatto desiderare, avevano abbandonato gli studi in biblioteca e nelle sale comuni, per trascorrere un pomeriggio in riva al lago, o all’ombra degli alberi, dimenticando, almeno per qualche ora, gli esami prossimi a venire.

Solo uno studente non camminava per i giardini splendenti, quel pomeriggio, ed era rimasto nel proprio dormitorio a studiare.

Nella stanza in cui alloggiavano gli alunni Grifondoro del quinto anno, e in cui regnava il caos più totale, era steso a pancia in giù, sul proprio letto a baldacchino, un ragazzo di quindici anni, dai folti capelli arruffati e un fisico esile e slanciato.
Era chino su un grosso volume ricoperto in pelle, su cui vi era scritto, a lettere rosse Occlumanzia per principianti.

Harry voltò un’altra pagina, scostandosi, con la mano libera un ciuffo ribelle dalla fronte sudata, rivelando un paio di luminosi occhi color speranza.
L’Occlumanzia è una branca della magia poco nota, che consente la difesa della mente da penetrazioni esterne, chiudendola a intrusioni ed interferenze provenienti da menti altrui.

Harry fissò gli occhi su quella frase, quasi senza vederla.

Gettò lo sguardo sul campo da Quidditch che intravedeva dall’ampia finestra della camera: Ron, Ginny e il resto della squadra del Grifondoro si stava allenando per la partita di Sabato, contro i Tassorosso. Da lì, riusciva a vedere Angelina agitare le braccia in direzione dei Battitori, che, in quel momento, stavano muovendo le mazze senza riuscire a colpire realmente i Bolidi. Ginny, dall’altra parte del campo, aveva perso di un soffio il Boccino dopo che Ron aveva rilanciato per sbaglio la Pluffa nella sua direzione.

L’Occlumanzia, si può dunque affermare, contrasta la Legilimanzia, la capacità di estrarre emozioni e ricordi dalla mente di un’altra persona.

Quanto avrebbe desiderato stare in quel campo, in mezzo a loro, a discutere di tattiche di gioco e a inseguire il boccino. Le ultime settimane ad Hogwarts avevano rappresentato uno dei periodi più bui della sua vita.

Harry James Potter era sempre stato un ragazzo piuttosto insolito, perfino per un mago. Quando aveva un anno, il più grande stregone oscuro di tutti i tempi, Lord Voldemort, aveva assassinato i suoi genitori, per poi rivoltare la bacchetta verso di lui; ma la maledizione che avrebbe dovuto ucciderlo gli si era ritorta contro, privandolo del proprio corpo. James e Lily Potter erano stati traditi da un loro grande amico che avevano nominato Custode Segreto: Peter Minus. Peter era stato un grande amico del padre di Harry e aveva fatto ricadere la colpa su un altro amico, padrino di Harry, Sirius Black, il quale, dopo aver scontato ingiustamente dodici anni alla prigione di Azkaban, era riuscito a fuggire e viveva nella casa abbandonata dei propri avi. Peter, Sirius e James si erano conosciuti a scuola, dove erano noti, insieme ad un quarto amico, Remus Lupin, come Malandrini; tra loro, si chiamavano Lunastorta (Remus), Felpato (Sirius), Ramoso (James) e Codaliscia (Peter). Erano diventati Animagi illegali al quinto anno, per aiutare Remus durante la luna piena. Remus infatti era stato morso, da bambino, da un lupo mannaro, Fenrir Greyback, che l’aveva condannato allo stesso destino. Peter era un topo, Sirius un cane e James un cervo; proprio per questo motivo, il Patronus di Harry aveva la forma di un cervo. Grazie alla propria forma da Animagus, Minus era riuscito a fuggire, e a ritornare dal proprio padrone, quando, al terzo anno, Harry aveva scoperto la verità sull’innocenza di Sirius e la colpevolezza di Peter. Harry e Hermione Granger (una dei più grandi amici di Harry) avevano aiutato Sirius a fuggire, e ora si nascondeva nella casa dei propri genitori, perché nel mondo magico erano ancora convinti che fosse colpevole.

Dopo esser scampato un’altra volta a Voldemort, al suo primo anno ad Hogwarts, Harry, l’anno precedente si era trovato di nuovo faccia a faccia con l’Oscuro Signore. Infatti, era stato illegalmente iscritto ad un torneo tra scuole, il Torneo Tremaghi, e durante la terza prova, una passaporta l’aveva condotto lontano dal sicuro parco di Hogwarts insieme ad un altro allievo, Cedric Diggory. Arrivati nel cimitero di Little Hangleton, Peter Minus (detto Codaliscia) aveva assassinato, su ordine del proprio padrone, Cedric per poi usare il sangue di Harry per far rinascere Voldemort. In un duello mortale, era riuscito a scampargli e a ritornare ad Hogwarts; aveva subito raccontato al preside, Albus Silente, cos’era successo, ma il Ministro della Magia si era rifiutato di credergli e da allora aveva iniziato una campagna di biasimo e diffamazione nei suoi confronti, screditandolo agli occhi del mondo magico. Cornelius Caramell, il Ministro, l’aveva anche accusato di magia illegale e aveva introdotto a scuola una propria dipendente, Dolores Umbridge, come insegnante di Difesa contro le Arti Oscure. La Umbridge si era sin da subito dimostrata intenzionata ad abolire lo studio della materia e ad acquisire potere personale nella scuola. Aveva più volte punito Harry, costringendolo a scrivere la frase Non devo dire bugie con una piuma speciale che usava, al posto dell’inchiostro, il sangue di colui che la usava, lasciando sul dorso della mano la cicatrice della frase scritta. Dopo aver scoperto che Harry guidava un gruppo di studio di Difesa, con il nome di Esercito di Silente, aveva costretto il preside alla fuga, e aveva preso il suo posto. Era stata sempre lei la responsabile della sua espulsione dalla squadra di Quidditch del Grifondoro, e aveva emanato un serie di decreti che ristabilissero le regole a scuola. Insomma, il suo scopo, sin da quando aveva messo piede nella scuola, era stato quello di rendere la vita di Harry un inferno, e ci stava riuscendo egregiamente.

Oltre alla Umbridge, Harry aveva un’altra serie di problemi da affrontare: ai suoi doveri da Prefetto, si aggiungeva la montagna di compiti tipica dell’anno dei G.U.F.O. (i primi esami ad Hogwarts) e lo studio di tutte le altre materie.

Harry frequentava numerosi corsi: Storia della Magia, l’unico corso tenuto da un fantasma, il professor Ruf; Divinazione, insegnata dalla professoressa Cooman, che molti non ritenevano capace di vedere il futuro; Erbologia, con la grassottella professoressa Sprite, Capo della casa Tassorosso; Incantesimi, tenuto dal piccolo professor Vitius, Capo dei Corvonero; Trasfigurazione, con la severa professoressa Minerva McGranitt, Capo dei Grifondoro; Cura delle Creature Magiche, con Rubeus Hagrid, guardiacaccia e amico di Harry, e Astronomia, con al professoressa Sinistra. Infine, c’era Pozioni, il cui insegnante era Severus Piton. Piton era stato compagno di scuola dei genitori di Harry, e covava un grande risentimento nei confronti di Harry stesso, perché somigliava al padre che Piton aveva sempre detestato.

Su ordine di Silente, dava lezioni private di Occlumanzia ad Harry, tre volte a settimana.

A tutto ciò, si sommava la complicata situazione sentimentale di Harry, con una ragazza di un anno più grande, Cho Chang. Harry e Cho si erano baciati e, dopo un litigio, avevano ripreso a frequentarsi; il tutto era nuovamente precipitato con la scoperta del gruppo segreto a causa della migliore amica di Cho, Marietta, che li aveva traditi e che Cho stessa aveva difeso.

Infine, Harry covava rancore anche verso Silente, che non gli rivolgeva la parola dal Giugno precedente, senza motivo.

“Ehy”

Harry trasalì, e alzò lo sguardo sulla soglia della porta, dove c’era la sua migliore amica, Hermione Granger. Indossava, come sempre, la divisa inappuntabile e teneva tra le braccia un grosso tomo di Pozioni.

“Ehy a te” replicò lui, sorridendole.

Hermione si sedette al suo fianco, posando il libro ai piedi del letto e scrutando con aria seria il volume che Harry stava cercando di studiare, senza successo.

“Occlumanzia?” chiese apprensiva.

Harry sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli arruffati. Chiuse il libro con uno scatto irritato, sbuffando sonoramente.

“Tanto è inutile; è come pozioni: non ci capisco niente” affermò sconsolato.

Hermione lo osservò, e iniziò a parlargli pazientemente:

“Harry, non è da te, lasciar perdere in questo modo. Lasciar vincere gli altri senza combattere” disse, spostandogli una ciocca dalla fronte in un gesto affettuoso.

Harry socchiuse gli occhi, e affondò la testa nel cuscino, preso dallo sconforto.

“E poi tu non sei affatto un incapace in Pozioni; è solo che la presenza di Piton ti influenza negativamente” gli spiegò dolcemente.

“Hermione, apprezzo molto il tuo tentativo, ma cerca di capirmi: io non ce la faccio più. La Umbridge, Piton, l’Occlumanzia, il Ministro, Silente che non mi parla e poi scompare…io non ne posso più

Hermione lo osservò comprensiva: si rendeva conto della situazione estremamente difficile del proprio amico, ma era frustrante non riuscire ad aiutarlo in nessun modo.

Le vennero gli occhi lucidi a pensarci, e si morse il labbro inferiore, come per trattenere le lacrime.

Harry se ne accorse e sbarrò gli occhi, stupito, mettendosi a sedere sul letto.

“Ehy, ma perché piangi?”

Hermione scosse il capo, le lacrime che oramai rigavano il suo volto delicato.

Harry sorrise, stringendole le braccia in vita. Lei gli gettò le proprie al collo, affondando il volto nell’incavo del suo collo.

“Mi dispiace, Harry….mi dispiace tanto”

Harry scosse la testa, accarezzandole la treccia; avvertiva un vago senso di calore a livello dello stomaco.

“Ti voglio bene”

Harry arrossì violentemente, e aumentò la stretta su di lei, stravolto dalle sue parole.

Hermione era una persona fondamentale nella sua vita, e tra loro c’era sempre stato un rapporto speciale; tuttavia, nessuno dei due avevano mai espresso a voce alta i propri sentimenti, tantomeno in maniera così diretta.

“Anch’io”

*

“Nev, passami le patate”

Seamus afferrò il vassoio che gli porgeva il suo amico, e si riempì il piatto, già stracolmo.

Dean, seduto di fronte a lui, lo osservava con espressione esasperata.

“Seamus, contieniti per favore. Sembra che tu non mangi da secoli” affermò con aria indifferente.

Era l’ora di cena e gli studenti si trovavano in Sala Grande a consumare il proprio pasto. Harry era seduto insieme ai suoi più cari amici: Seamus Finnigan (che l’aveva creduto un pazzo per mesi, prima di riuscire a capire quanto l’amico fosse sincero), il saggio Dean Thomas e Neville Paciock.

Neville, come Harry, era cresciuto senza genitori, ed era stato allevato dalla nonna. Alice e Frank Paciock, infatti, erano due Auror molto capaci (cacciatori di maghi oscuri) ed erano stati torturati da una seguace di Voldemort (una Mangiamorte), Bellatrix Lestrange, fino alla pazzia. Erano ricoverati all’ospedale San Mungo; Neville li andava a trovare, ma loro non lo riconoscevano.

Harry era stato cresciuto, invece, dalla sorella della madre, Petunia Dursley, e dal marito Vernon, insieme al cugino Dudley. Tuttavia, a casa dei parenti, che non gli avevano mai detto nulla della propria identità di mago, fino a quando non era arrivata, il giorno del suo undicesimo compleanno, la lettera di Hogwarts, non aveva conosciuto altro che abbandono e anche crudeltà.

Destini migliori non avevano sorriso agli altri suoi amici.

Dean Thomas era stato cresciuto solo dalla madre (l’identità del padre era ignota anche a lui stesso).

Hermione veniva da una famiglia di babbani (persone senza magia) specializzati in dentistica. Sia lei sia Dean erano etichettati come Mezzosangue (persone con il sangue sporco) perché non provenivano da generazioni di famiglie magiche, chiamate Purosangue.

Infine, c’era Ron Weasley, il più grande amico di Harry, sesto di sette figli (l’ultima ed unica femmina era Ginny) in una famiglia molto povera che, nonostante fosse di ascendenza magica, era ritenuta traditrice del proprio sangue per familiarizzare con maghi figli di babbani.

Sin dal primo anno erano diventati grandi amici, anche se Hermione si era unita a loro solo dopo che l’avevano salvato da un troll di montagna.

“Seamus, la pianti di ingozzarti come se non mangiassi da mesi?!”

Harry sorrise nel suo pasticcio di rognone, e addentò un altro pezzo.

Hermione, al suo fianco, scosse la testa, e lanciò un’occhiata furtiva al tavolo dei Corvonero.

Cho Chang lo osservava con aria penetrante, fissandolo quasi con irritazione.

Harry ricambiò lo sguardo per qualche istante, prima di distoglierlo e concentrarsi nuovamente sulla sua cena.

“Ancora non vi parlate?”

La voce di Hermione sembrò venire lontana anni luce.

“No, e non ne ho nessuna voglia” replicò Harry, scuotendo la testa con decisione.

Accanto a Cho, aveva intravisto la sagoma butterata della sua amica, Marietta, anche lei intenta a scrutarlo, con astio.

Hermione intercettò lo sguardo di Harry, sospirando profondamente.

“È per via della sua amica? Marietta?”

“In parte, credo…non lo so, sinceramente. Forse, non va e basta. Perché insistere tanto? Forse, non siamo compatibili”

“Magari, se vi parlaste…”

“No, è meglio di no. Inorridisco al pensiero di ciò che ne uscirebbe. Sarebbe solo l’ennesimo fiasco che si conclude con una bella lacrimuccia da parte sua a farmi sentire un mostro assassino”

Hermione sembrò lasciar perdere, e sprofondò di nuovo nella lettura del libro che Harry le aveva regalato a Natale, Numerologia e Grammatica.

“Allora ti è piaciuto sul serio” disse Harry, lieto di cambiare argomento.

Hermione rispose al sorriso, scostandosi la treccia dal volto.

“Sì, un sacco. Lo desideravo da una vita!”

Entrambi scoppiarono a ridere, divertiti; nello stesso momento, Ginny si sedette di fronte a loro, nel posto appena lasciato libero da Lavanda Brown. Indossava ancora la divisa del Quidditch, macchiata in più punti, e aveva un’espressione desolata sul viso.

Hermione se ne accorse subito e si rivolse a lei, con gentilezza.

“Ehy Gin, com’è andato l’allenamento?”

Ginny scosse la testa, affranta, e si servì di pollo e patate al forno.

“Un disastro totale: Kirke e Sloper sono patetici ai livelli massimali, Alicia è infortunata e Ron non riuscirebbe a parare un tiro nemmeno se lo tirasse la Cooman. E io a stento riesco a prendere il boccino a un’ora e mezza dal fischio di inizio”

Harry la osservò con più attenzione: sembrava veramente depressa. Anche Hermione se ne accorse, perché continuò con più calore.

“Oh, dai scommetto che non è vero…forse avete bisogno di un po’ di allenamento in più. Vedrai che Sabato andrà tutto bene …”

“Ne dubito” intervenne Ron, sedendosi vicino a Ginny con espressione, se possibile, ancora più avvilita. Si era cambiato e non indossava più la divisa del Quidditch, ma i segni dell’allenamento erano ancora evidenti: aveva le braccia piene di lividi, nei punti in cui la Pluffa l’aveva colpito, e le scarpe erano logore in più punti.

Harry lo guardò con apprensione, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Hermione.

“Mangia qualcosa; dopo ti sentirai meglio, ne sono sicuro” disse, cercando di essere solidale, e iniziando a riempirgli il piatto con varie pietanze. Ma Ron scosse la testa, e allontanò il piatto.

“Non ho fame, grazie” replicò, sempre con la stessa aria affranta.

Harry scosse la testa, incredulo: non era da Ron non avere fame.

Stava per replicare all’amico, nel tentativo di convincerlo a mangiare qualcosa, quando il suo sguardo cadde sul grande orologio sopra la porta della Sala Grande:

segnava le sette e cinquanta, e alle otto doveva trovarsi in ufficio da Piton per la lezione d’Occlumanzia.

Sospirò, avvilito almeno quanto Ron alla prospettiva che lo attendeva. Salutò i compagni, e si gettò la borsa a tracolla, avviandosi verso l’ufficio del professore.

Scese le scale fino ai sotterranei, e si fermò un passo prima della porta dello studio di Piton, con l’ardente desiderio di scappare via da lì il più velocemente possibile.

Era già arretrato, quando una voce profonda e apprensiva gli risuonò nelle orecchie: Ascolta Harry devi studiare Occlumanzia col massimo impegno, hai capito? Fa’ tutto quello che ti dice il professor Piton…

Il senso di colpa lo invase da capo a piedi, come se lo sguardo limpido del preside lo stesse trafiggendo realmente. Sospirò, conscio che, per quanto tempo sarebbe rimasto là fuori, non sarebbe cambiato nulla, a parte che si sarebbe dovuto sorbire una sgridata da Piton per il fatto di essere arrivato in ritardo. Alzò la mano e bussò alla porta, con la netta sensazione di passare l’ennesima serata da incubo.

“Avanti”

La voce di Piton gli giunse alle orecchie gelida e irritante come sempre. Aprì la porta, e raggiunse il centro dello studio. Piton era seduto dall’altra parte della scrivania, chino su un foglio di pergamena, con il Pensatoio in bella vista.

“Ti sei allenato, Potter?”

“Sì” mentì lui, quasi con aria di sfida. Sapeva che la sua bugia avrebbe retto sì e no due minuti, fino a che non avrebbero iniziato la lezione.

“Bene” replicò Piton, alzando lo sguardo dalla pergamena e raggiungendo Harry dall’altra parte della scrivania. Aveva già impugnato la bacchetta.

Legilimens

Pronunciò la formula ancora prima che Harry avesse posato la borsa sul pavimento; preso alla sprovvista, si ritrovò la mente piena dei propri ricordi senza neanche rendersene conto: vide una montagna di lettere travolgere il salotto dei Dursley…vide zia Marge gonfiarsi dalla rabbia…vide se stesso nuotare nelle profondità del Lago Nero alla ricerca di Ron…vide un alto Dissennatore stringergli una mano attorno al collo, lasciandosi scivolare il cappuccio…

“IN PIEDI!”

La voce di Piton sembrò riscuoterlo dallo stato di confusione in cui era caduto. Aprì gli occhi, e si rese conto di essere di nuovo in ginocchio nel suo ufficio. Strinse i denti, alzandosi da quella sciocca posizione, e si rimise insieme di fronte all’insegnante, fissando i propri occhi nei suoi.

Piton aveva già rialzato la bacchetta, quando un tonfo sordo riempì l’aria, e il piccolo Denis Canon entrò nello studio con aria d’urgenza.

“Professore” esordì affannosamente.

Piton abbassò di scatto la bacchetta, posando il suo sguardo gelido sul piccolo studente.

“Canon, cosa c’è?” replicò con voce fredda.

Il piccolo Grifondoro deglutì, prima di continuare.
“La professoressa Umbridge, signore…la desidera nel suo studio. Immediatamente” sussurrò impaurito.

Piton annuì imperturbabile come sempre.

“Va’ pure, e avverti la Preside che sarò da lei tra breve”

Denis annuì a sua volta e uscì dallo studio di gran corsa, come se non volesse rimanere lì un istante di più.

Appena il piccolo Canon fu uscito, si rivolse a Harry.

“Potter, continueremo la nostra lezione domani sera alle otto” asserì distaccato.

Harry sospirò, e prese la borsa da terra; Piton era uscito dall’ufficio ancor prima che lui si girasse.

Scosse la testa, affranto, e si diresse verso la porta, quando un bagliore argenteo attirò la sua attenzione. Alzò lo sguardo, e vide una sostanza abbagliante muoversi fluttuante nel Pensatoio: nella bacinella, immagini di persone e luoghi sconosciuti si mescolavano tra loro. Harry rimase per un istante a fissare quella massa lucente; proprio quando era sul punto di distogliere lo sguardo, un’immagine nel Pensatoio lo attirò, e avvertì una strana sensazione alla bocca dello stomaco: due meravigliosi occhi di uno stupefacente verde smeraldo ricambiavano il suo sguardo, identico a quello riflesso nel Pensatoio.

Harry rimase immobile per un decina di secondi a osservare quegli occhi a mandorla, senza sapere cosa fare.

Accadde tutto molto velocemente, a tal punto he Harry non avrebbe saputo dire nemmeno come.

La borsa gli scivolò dalla spalla, finendo con un tonfo pesante sul pavimento di pietra dello studio di Piton, e il suo volto cadde nella bacinella, confondendosi con la sostanza eterea e abbagliante dei ricordi del suo professore.

Per un attimo, gli sembrò di fluttuare nello spazio infinito, poi aprì gli occhi e avvertì una sensazione di freschezza del tutto fuori stagione, per il periodo di Aprile.

Era steso su un parquet in una stanza calda e accogliente: era una camera da letto ampia e calorosa, con un elegante letto ricoperto di patchwork scarlatto ai piedi del quale vi erano due bauli ancora sigillati. Su entrambi, vi era lo stemma di Hogwarts.

Harry si alzò, chiedendosi dove si trovava e, soprattutto, in che modo quella stanza poteva avere a che fare con lui. Stava per tornare indietro, quando una risata cristallina lo bloccò, e due persone entrarono nella stanza, chiacchierando e ridendo.

Harry rimase per un attimo fermo, incredulo, mentre osservava il volto diciassette di sua madre rosso per le troppe risate per qualcosa che Piton, anche lui adolescente, aveva appena detto.

Si sedettero entrambi sul letto, bevendo da un lungo bicchiere color cremisi un liquido blu scuro.

Lily posò il bicchiere, vuoto, su un comodino, e tornò a rivolgersi a Piton, che la osservava come incantato.

“Sono contenta di aver accettato il tuo invito” disse dolcemente.

“Non sapevo se saresti venuta o meno” disse il giovane Severus fissando il bicchiere che ancora teneva in mano. “Pensavo che, dopo tutto quello che era successo…”

“Sei uno stupido, Severus” lo interruppe lei, sempre con lo stesso sorriso dolce. “Non potrei mai dimenticarmi di un amico come te”

“Come va con Potter?” replicò lui, freddo.

Lily sorrise, paziente “So che pensi di lui, Sev. E forse hai ragione tu”

“Cosa?!”

“Abbiamo litigato. Selvaggiamente. Ormai, è quasi una settimana che non ci parliamo; e io, sono così confusa”

Lily perse per un attimo la sua aria vivace e dolce, mentre il suo volto luminoso veniva oscurato da un’aria afflitta e dispiaciuta. Un silenzio carico di tensione cadde fra loro. Fu Piton a romperlo, per primo.

“Mi sei mancata” Severus sussurrò quasi queste parole, serrando gli occhi.

Lily gli sorrise, e posò una mano sulla sua guancia, avvicinandosi per lasciarvi un piccolo bacio; ma il giovane Severus, aprì gli occhi al momento sbagliato e si spostò, in modo che le labbra di Lily, anziché sfiorare la sua guancia, finirono sulla sua bocca.

Lily rimase per un attimo interdetta, mentre Severus approfondiva il contatto, poggiando entrambe le mani sul volto dell’amica; poi, anche lei iniziò a rispondere al bacio.

Harry, dal su piccolo cantuccio, era pietrificato. Non riusciva a muoversi, a parlare, a fare niente che non fosse sbarrare gli occhi e tremare violentemente.

Il suo tremore aumentò ancor di più quando la mano del giovane Piton saettò sulla scapola di Lily, abbassandole la spallina del vestito.

Senza neanche rendersene conto, Harry si ritrovò sul gelido pavimento di pietra dello studio di Piton, in ginocchio davanti alla scrivania e con gli occhi chiusi, da cui sgorgavano lacrime di incredulità e sofferenza.

Rimase così per vari minuti, prima che un rumore affrettato di passi non lo fece trasalire. Senza neanche riflettere, afferrò la borsa e se la gettò addosso, uscendo come una furia da quell’ufficio e iniziando a correre senza tregua verso la Stanza delle Necessità.

La speranza è dura a morire per un cuore innamorato. (Théophile Gautier)

   
 
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