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Autore: UnintendedChoice    19/07/2011    4 recensioni
A Dom però bastò afferrare le parole ‘bambino’ e ‘ospedale’ per capire.
Con gli occhi sbarrati, aveva attaccato la chiamata e, alzandosi, aveva comunicato a Chris che dovevano affrettarsi.
“Kate”, aveva detto, e questo fu sufficiente.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Saprete tutti della lieta notizia, be’, io ne sono felice. Come dovremmo esserlo tutti.
Natasha non so chi sia.
Scusate.

UC
 
 
 
 
 

I’m falling down, and fifteen thousand people scream

 
 
   







   
   La chiamata era arrivata quando, fortunatamente, Chris era già insieme a Dom. Erano nella sua camera d’albergo e, nemmeno il tempo di rilassarsi, il telefonino di Dom era squillato.
  
   Chiamata di Matt.
   Aveva risposto e il frontman, agitatissimo, strepitò a caso qualche parola nel microfono con la sua solita celerità confusionaria.
  
   A Dom però bastò afferrare le parole ‘bambino’ e ‘ospedale’ per capire.
   Con gli occhi sbarrati, aveva attaccato la chiamata e, alzandosi, aveva comunicato a Chris che dovevano affrettarsi.
  
   “Kate”, aveva detto, e questo fu sufficiente.
   Chris aveva preso le chiavi dell’auto, dicendo che avrebbe guidato lui. Ah, il buon vecchio Chris - a Dom sembrò la persona più comprensiva del pianeta, provando per lui un’enorme moto d’affetto.
 
   In macchina, il batterista sedette sul sedile del passeggero e per tutto il tragitto non aprì bocca. Guardava solo dinanzi a sé, senza riuscire a rilassare il volto.
   E Chris a sua volta lo guardava spesso, leggermente preoccupato.
   Dom cercò di imporre a se stesso quel sangue freddo che lo aiutava sempre e che era l’unica cosa che non era accorsa a lui, quella volta.
 
   Stupido, pensò, che hai da stupirti? Era il nono mese, c’era da aspettarselo, e sapevi bene che sarebbe venuto il momento.
   O forse no.
 
   Da quando i due avevano annunciato della gravidanza Dom era caduto in uno stato di amarezza acuta, anche se in realtà non sapeva ben dire cosa provasse.
   Credeva fosse un dolore atroce, che gli lacerava il cuore e poi i polmoni e infine il petto, facendogli mancare il respiro, e la testa invece la sentiva scoppiare, per i troppi pensieri.
 
   Ma ora, dopo quella telefonata, quel platonico sentimento, quella lontana sensazione gli era caduta tutta d’un tratto addosso come un secchio d’acqua gelida svuotatogli in testa.
   Era diverso, del tutto diverso, era più concreto e terreno.
   E proprio per la sua concretezza Dom capì che non era semplice dolore. Non sapeva cosa fosse, a cosa somigliasse.
 
   Chris parcheggiò e i due scesero dall’auto. Notò come i movimenti di Dom fossero meccanici, non pensati.
   Un automa con l’aspetto di Dominic Howard si era slacciato la cintura di sicurezza e aveva chiuso la portiera, poi si era rivolto verso l’entrata e con un passo veloce eppure freddo, si era affrettato dentro.
   Non seppe subito cosa fare, invece Chris era già diretto all’accettazione e chiese all’infermiera di Kate Hudson.
 
   Sala parto numero tre.
 
   Chris prese Dom per il braccio e lo spinse in uno dei corridoi, verso la sala parto numero tre.
   Dom improvvisamente non aveva tutta questa voglia di andare in quella maledetta sala parto numero tre, però segui buono Chris.
 
   Salirono due rampe di scale e dopo aver svoltato una o due volte si ritrovarono nella corsia giusta, dove Matt si accorse subito di loro e gli corse intorno.
   Già da lontano aveva iniziato a blaterare qualcosa di poco comprensibile, poi Chris lo raggiunse e l’abbracciò, e lui non seppe più cosa dire, capendo quanto fossero inutili le parole, a volte.
 
   Anche Dom da bravo automa qual era aderì al suo compito, e strinse le sue braccia attorno al busto minuto dell’amico. Piegò ben bene i gomiti e dosò bene la forza, fu attento a posare le mani all’altezza giusta della schiena e a non scontrarsi con le braccia dell’altro quando, due secondi dopo, si separarono.
 
   A differenza di Chris, però, Dom non seppe cosa dire. Guardò solo una volta Matt con quell’espressione tirata del cavolo che non riusciva a togliersi di dosso; Matt non ce la faceva a sostenere il suo sguardo e guardò in basso, con quel sorrisetto imbarazzato e il lieve rossore sul viso con cui Dom, Chris e un po’ tutti l’avevano conosciuto; come quando durante i vecchi concerti cantava ancora quelle canzoni che più rivelavano il suo io, e allo scrosciare di applausi del pubblico reagiva così, s’emozionava sempre.
 
   Per fortuna Chris, almeno in quell’occasione, aveva molto da dire e continuamente cercava di aiutare Matt con i suoi consigli da padre di cinque figli.
 
   «Matt, Matt, rilassati, okay? È tutto a posto. Da quanto è dentro?»
  
   «M-mezz’ora, credo, vi ho chiamati appena siamo arrivati…»
  
   «Ma chi c’è con lei? Goldie?»
  
   «Sì». Matt si passò una mano fra i capelli. «e Natasha. Io non credo d’essere molto d’aiuto.».
  
   Chris si guardò un po’ attorno, poi disse: «Entro un attimo io, do’ una controllatina…».
  
   Matt lo seguì con lo sguardo accedere alla sala, affacciandosi alla porta per farsi vedere da Kate, poi la richiuse. Dalla finestrella trasparente lo vide avvicinarsi a lei e prenderle la mano, mentre si rivolgeva al medico.
   Poi si costrinse a distogliere lo sguardo e a voltarsi verso Dom.
 
   L’amico si era posizionato su una delle sedie di plastica beige, tutte uguali e tutte scomodissime. Accavallò le gambe come era suo solito, la sinistra sopra la destra, e restò con la schiena sospesa, la cui incurvatura nascondeva le belle spalle.
 
   Matt guardò Dom e lui gli restituì uno sguardo vuoto, eppure così pieno di significato. Dom provò in tutti i modi a sorridergli, a cambiare espressione, a dire una stramaledetta parola ma non ci riuscì. Alla fine smise di sforzarsi e si arrese a quella strana situazione in cui era.
   Sapeva però che Matt lo leggeva fin troppo facilmente, era sempre stato così, tra loro due.
 
   Matt evitò una qualsiasi domanda futile, forse perché una qualsiasi risposta udibile sarebbe stata più dolorosa; ma non era così poiché quella risposta visibile faceva tanto, tanto più male.
 
   «Ci hai colti di sorpresa, ci siamo precipitati qui subito dopo la chiamata, ma c’era un po’ traffico…»
  
   «Ma certo, certo». Le voci erano appena udibili, le parole lente e trascinate.
 
   «Chissà quanto fa male» disse d’un tratto Dom.
 
   Matt lo guardò stranito, poi capì cosa intendesse.
 
   «Be’, noi non potremo mai saperlo…».
 
   Tacque subito. Solo dopo aver detto quelle parole si accorse di quanto fossero pesanti.
 
   Dom abbassò la testa; provò a schioccare l’unghia di un pollice con quella dell’altro ma erano troppo corte.
 
   Matt sospirò piano e si alzò.
   Nello stesso momento Chris uscì dalla sala e gli andò incontro.
 
   «È un travaglio duro, ma non vogliono assolutamente ricorrere al cesareo. Sarà lunga…». Chris iniziò così a parlare a un Matt ansioso che spiava continuamente oltre la finestrella, ma Dom non colse altro.
 
   No, loro non avrebbero potuto saperlo.
 
   Forse era per questo che la scelta, alla fine, era stata diversa da lui.
 
   In fondo lui cosa aveva da offrire, se non tutto se stesso?
 
   Loro due, loro due insieme, soli, non avrebbero potuto conoscere tale dolore e tale gioia.
   Forse era per questo che quel loro non funzionava e che non avrebbe mai funzionato.
   Forse era per questo che era così dannatamente complicato rispetto a una relazione tipica.
 
   Ci avevano provato, a stare separati e anche a stare insieme, ma a un certo punto usciva sempre fuori qualcosa che rendeva vano ogni tentativo da entrambe le parti.
 
   Era quella necessità, quell’urgenza di esserci nella vita dell’altro, che li portava a commettere gli stessi errori ancora e ancora. Era un punto di non ritorno.
 
   La chiave stava in quella parola, errore: ogni volta, provavano a costruire qualcosa su ciò che il cinquanta percento della coppia riteneva sbagliato, e questo voleva dire amarsi con più di una riserva.
   Anche ciò che stava accadendo in quelle quattro mura bianche era una di quelle.
 
   Avrebbero dovuto sapere fin da subito che il tempo ci cambia, che cambiano i nostri bisogni, i nostri desideri. Erano stati stupidi e imprevidenti quando s’erano promessi ciò che non potevano permettersi di dare.
   Eppure Dom se lo ricordava, quel giorno lontano quando l’unica cosa di cui Matt aveva bisogno era la serenità. Lui pensava di avergliela data, poiché aveva letteralmente dato tutto se stesso e se lui gliel’avesse permesso, anche di più. Tipo la sua carriera. Tipo la sua faccia.
 
   Ma Matt invece non aveva mai dato l’essenziale.
   C’aveva provato, con Dom da sempre, con Gaia per nove anni, ora con Kate.
   Ma Matt non ci riusciva, non riusciva ad amare totalmente qualcosa che non fosse la Musica; e poi c’era lui, c’era Dom, che be’, era quell’elemento a cui non avrebbe potuto rinunciare per qualche assurdo motivo; quella caratteristica basilare nella sua vita, che però non sapeva definire con un nome.
 
   Dom lo sapeva, e non l’aveva mai accusato di essere un codardo; non aveva mai osato pretendere di sentirsi dire quelle due paroline così potenti e rassicuranti. E nonostante la sofferenza, a ciò non avrebbe potuto rinunciare.
 
   Gli faceva pensare alla matematica, per la precisione alle equazioni che aveva studiato in seconda superiore, quando aveva conosciuto Matt.
   Gli piaceva la matematica, nonostante non fosse mai stato una cima, e quel concetto gli era rimasto impresso.
 
   Si ricordava - forse in un modo tutto suo - della x e della y: la prima era chiamata variabile indipendente, la seconda variabile dipendente perché cambiava solo quando lo faceva anche l’altra.
   Però, poi, gli venivano a mente anche i sistemi, e di come la x e la y collaborassero tra loro, e pur facendo parte di due equazioni diverse avevano qualcosa, un elemento in comune che faceva sì che la x accorresse in aiuto della y e viceversa, che faceva sì che si completassero a vicenda.
   Un perfetto rapporto complementare.
 
   Loro erano così, Matt era una x e Dom una y. Matt era la sola variabile indipendente ma allo stesso tempo aveva bisogno della sua y per risolversi…
 
   Dom spezzò quel pensiero, ricordando con orrore che lui, ai sistemi, non si trovava mai.
 
   Si alzò e si diresse all’uscita per fumare, mentre nella direzione opposta un’orda di parenti, amici e chissà chi si affrettava verso Matt e la sala.
 
 
 

***

 
 
   Quattro ore dopo sembrò che il momento tanto atteso fosse arrivato.
   Dom era di nuovo seduto su quella sedia uguale alle altre, cercando di ignorare il brusio generale che creava quella gente con i loro commenti riguardo la difficoltà del parto e la forza della madre.
 
   Chris tentava di riparare all’asocialità dell’amico scambiando una parola con ognuno di quegli sconosciuti che molto prevedibilmente conoscevano lui; Matt si era infine deciso ad entrare, era ora al fianco di Kate e cercava di incoraggiarla dicendole di respirare a fondo.
 
   Fuori da quella porta l’attesa era debilitante, la tensione era al massimo e perfino il chiacchiericcio s’era fermato nei cruciali cinque minuti.
 
   Poi dalla sala giunsero un pianto appena avvertibile e urla di gioia, che si replicarono all’esterno, tra applausi e abbracci.
 
   Dom si alzò, senza spostarsi. Rimase a fissare quella porta, non sentendo nulla di ciò che lo circondava.
 
   Chris gli si avvicinò piano. Gli diede solo una pacca sulla spalla; sapeva che non avrebbe retto ad un abbraccio, e altrettanto bene sapeva quanto l’amico avrebbe odiato crollare davanti a tutti quegli estranei.
 
   La porta era stata aperta e le persone entravano e uscivano, avanti e indietro, per congratularsi con la mamma e dare due baci sulle guance al padre.
 
   Entrarono e uscirono fino a quando solo qualche anima militava ancora lì fuori.
   Allora Dom mosse qualche passo e varcò la soglia.
 
   Una luce più forte di quella dei neon della corsia gli ridusse le pupille. La grande finestra era senza veneziana, in quella calda e luminosa giornata di luglio.
 
   Addossato al muro c’era il letto. Da una parte vi erano Goldie, Natasha, Chris, dall’altra c’era Matt con in braccio ciò che a prima vista gli sembrò un lenzuolo avviluppato su se stesso.
 
   Matt alzò lo sguardo e Dom lo vide.
 
   Aveva gli occhi ancora lucidi e sorrideva come non faceva da tanto. Era bellissimo con quel sorriso.
   Si alzò e spinse leggermente in avanti il fagotto.
 
   Dom vide prima una manina, candida e immacolata, poi una testa bella tonda con qualche ciuffetto biondo cenere e infine vide il visino più dolce del mondo. L’essere più dolce del mondo.
   Sul volto imperavano due enormi occhi azzurri, finalmente distesi dopo il lungo pianto.
 
   Matt gli si avvicinò. Lo guardò fisso e con quell’enorme sorriso e gli occhi ancora lucidi gli porse il bambino.
 
   Dom all’inizio non capì, poi allungò le braccia e con l’aiuto dell’altro riuscì a sostenerlo.
   Sollevò leggermente la mano che reggeva la testa, e lui stesso si chinò a guardarla.
 
   Gli occhi del bambino si schiusero un po’ dinanzi a quel volto nuovo, l’ennesimo che percepiva in un’ora di vita.
   Erano azzurrissimi e già così curiosi. Dom era incantato e non riuscì a distogliere lo sguardo.
 
   Dopo mezza giornata, poi, il suo volto finalmente si distese in un sorriso, bellissimo, pieno di vita.
   Alzò gli occhi verso Matt e lui, incontrandoli, vide che finalmente erano di nuovo loro, brillanti, ridenti e anche un po’ lucidi.
 
   Ricambiò con un sospiro e con la sensazione che un grosso peso sul cuore si fosse appena dissolto. Tornò a sedersi al fianco di Kate.
 
   È straordinario come il miracolo di una nuova vita possa far rinascere in noi la speranza; la speranza nella bontà, nella purezza, nelle cose belle della vita.
   Dinanzi a quella piccola creaturina Dom pensò che anche la sua pessima condizione potesse risolversi, che quel tunnel buio che era diventata la sua esistenza, il suo mondo, la sua relazione con Matt, prima o poi avrebbe rivelato una luce, che per quanto lontana e piccola lo avrebbe spronato ad andare avanti.
 
   Dom guardò Kate, guardò Matt, guardò le loro mani intrecciate l’una nell’altra e i loro volti sorridenti; poi riconsegnò il piccolo alla madre, che orgogliosa lo accolse tra le sue braccia.
 
   Guardò Matt e vide come il suo sguardo fosse rivolto a lei e al bambino, alla sua nuova famiglia, al suo nuovo futuro.
 
   Uscì dalla sala ancora sorridendo e prima ancora che varcasse la soglia una lacrima scese giù, seguita da un’altra e da un’altra ancora.
 
   Dom pianse a lungo in quel corridoio, senza sapere se per gioia o per dolore.







   
 
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