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Autore: Leopimpa    19/07/2011    4 recensioni
Ho voluto dedicare a Misa il mio primo racconto, si tratta di alcune riflessioni sulla sua vita e sulle sue scelte, mi sono ispirata soprattutto a me stessa scrivendo questo racconto, a ciò che ho provato e a quanto mi senta simile a questo personagggio. Spero che vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Misa Amane
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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 Nell’oscurità respiravo debolmente, come se l’aria oltre ad aprirmi i polmoni aprisse quei ricordi, recentissimi,ancora troppo vicini di una breve vita che anche in quel medesimo istante stava bruciando di un fuoco lento e perpetuo, insaziabile. Che forma aveva la mia anima? Da due anni bruciava, senza però consumarsi, come se il suo sadico compito fosse quello di rendermi atrocemente tormentato ogni istante di quello che ormai era un breve conto alla rovescia. La mia morte spegnerà quel fuoco oppure gli permetterà di divorare il mio esile corpo in eterno? Ero seduta sul letto, nuda con le gambe incrociate. Mi piaceva quella posizione, esprimeva quell’affetto che provavo verso me stessa, nello stesso istante in cui pensai ciò mi resi conto di essere la sola a provare affetto verso Misa, tutti gli altri, mi trattavano bene solo per scopi di lucro oppure per obiettivi altrettanto oscuri. Non volevo nemmeno essere protetta dagli abiti, intendevo fronteggiare il dolore di petto , senza protezioni immergendomi in quella sofferenza totale e incondizionata, nulla mi doveva risparmiare, non c’era posto per la pietà c’era invece uno spazio enorme che si espandeva sempre di più. Quell’incolmabile vuoto, più insaziabile del fuoco stesso, che si cibava dei miei ricordi, di quei pochi anni sereni che avevo trascorso prima della morte dei miei genitori. Nessuna malattia è veramente incurabile, e nel mio caso la cura esisteva ed era più potente di qualsiasi farmaco: Light Yagami,il mio tutto, il mio credo, il mio dio. Per lui avrei rinnegato me stessa infliggendomi il doppio del male che già subivo, e se mi avesse chiesto di rincarare la dose avrei assaporato la sua voce meravigliosa che solleticava i miei timpani per poi umiliarmi ancora di più, godendo fra le lacrime del suo meraviglioso, sadico, perverso sorriso. Quella era la mia cura, il mio nutrimento e quella sera ero veramente affamata. Tokyo era oppressa da una coltre pesante di nubi, il pensiero del temporale che stava per giungere mi donava un misero istante di serenità, secondo un proverbio cinese infatti c’è chi aspetta la pioggia per non piangere solo. Mi Piaceva la pioggia,  mi riportava indietro nel tempo, a quegli uggiosi pomeriggi che trascorrevo sulle ginocchia di mio padre, bevendo cioccolata e scrutando di tanto in tanto il paese immerso nella foschia, la sua voce mi attraversava lievemente e mi raccontava che la vita non era come quel cielo, che fra i regali che mi aveva fatto era il più unico e meraviglioso, che certo sarebbero capitate anche quelle giornate ma con la mia dolcezza e con il mio sorriso sarei riuscita a riportare il sole nella mia vita e in quelle degli altri. Questo è il motivo del mio comportamento che talvolta può essere scambiato per frivola superficialità. I miei genitori erano soliti mentirmi, e ciò che diceva mio padre sulla vita era la più grossa menzogna che avessi mai sentito. La porta scricchiolò debolmente, il mio cuore ebbe un sussulto subito dopo. Light?? Speravo con tutto il cuore che fosse lui e in quei pochi secondi in cui girava la chiave nella toppa, la mia mente galoppava, me lo immaginavo sorridente dietro quella porta, che entrava abbracciandomi, per poi sfiorarmi le labbra con un dolce bacio. Invece era solo l’aria che entrava dalla finestra del pianerottolo, quel vento gelido che spingeva contro la porta. Mi acciambellai come una gattina esausta, mentre mormoravo con un filo di voce “Meriti questo e infinitamente di più, Dio!”
  
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