Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Zest    20/07/2011    4 recensioni
Cesare muore pugnalato il 15 marzo del 44 a.c., ma se invece si fosse lasciato pugnalare? Per il bene di Roma...
Come sempre gli aveva ripetuto il padre.
Per un bene più grande.
Come un vero Romano.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAIO GIULIO CESARE, WHAT IF…

L’uomo sospirò pesantemente.

Scuotendo la testa si alzò dal seggio nel quale era già confinato da molte ore.

Eppure, non era ancora mattina.

Osservò assorto il rotolo di carta che l’aveva aiutato a passare le ore.

La notte era stata terribile, quel sogno e poi l’attacco… quella malattia che non voleva lasciarlo in pace. Distrutto nel corpo si domandò perché diavolo non fosse rimasto a letto invece che alzarsi e non chiudere più occhio.

Poggiò con mano stanca il liber sul tavolo e con passi lenti e misurati si portò nella parte di casa che preferiva.

A quell’ora nemmeno i servi e i cliens erano svegli. Lentamente si portò nell’impluvium, respirando l’aria frizzantina.

Le Idi di Marzo, la primavera avanzava, lui adorava la primavera.

Sereno si affacciò da una delle finestre che davano sulla città.

Roma… dorata fuori, ma capace di essere marcia dentro… quanti sacrifici…

Sospirò nuovamente, scorgendo le loro case.

Loro…

Sobbalzò, scrollato da uno stralcio di triste risata.

Credevano veramente che lui non sapesse nulla?

Lo credevano così stupido? Così vecchio?

Pensavano seriamente che lui, non fosse a conoscenza di ciò che stavano facendo?

Stolti.

Scosse la testa rabbuiandosi.

Giove… perché?

Perché lottare, rinnegare la propria stessa vita, annegare nel sangue dei nemici di Roma, se ogni volta i suoi stessi abitanti la tradivano rinnegando la sua grandezza? Perché sacrificarsi per un popolo che alla fine si riduceva a tramare la sua morte?

Poi un pensiero lo colse.

Cosa doveva fare un uomo a cui era stato dato il lusso di conoscere la sua fine?

Forse avrebbe tentato di ritardarla il più possibile…

Ma lui no.

Lui era… stanco.

Le sue labbra si stirarono nell’ombra di un sorriso appena accennato.

Un tempo avrebbe dato qualsiasi cosa per ostacolare la morte.

C’erano così tante cose da fare, espandere i confini di Roma, renderla più grande, più magnifica, più efficiente. Sempre più simile all’aquila del suo vessillo.

Avrebbe reso Cesarione, il suo piccolo Cesarione, un capo degno di questo nome, un uomo capace di innalzare Roma fin all’Olimpo ed Ottaviano sarebbe stato magnifico nelle vesti di difensore di quella grandezza.

Una volta pensieri del genere lo avrebbero fatto fremere d’impazienza.

Ma ora non più.

Certo, nella sua vita era riuscito ad ottenere i massimi onori… Dictator… Pontifex Maximum

Aveva vissuto la sua vita appieno, sapeva che quello che aveva fatto non sarebbe stato dimenticato. Ma era stanco. Irrimediabilmente stanco.

Stanco di andare al Senato e di leggere negli occhi di alcuni senatori il disprezzo per ciò che aveva fatto, stanco di rivivere ogni santa notte le guerre che aveva combattuto, stanco di… della sua vita.

Cosa gli era rimasto? Il potere… la gloria… Roma… ma a lui? Intimamente, dentro, che cosa ne aveva ricavato? Era più saggio? Più consapevole?

No.

Solo…

Stanco.

Cosa gli era rimasto?

Solo una malattia che lo spossava anno dopo anno sempre di più ed una congiura a suo danno.

Tradimento.

Gli attacchi si facevano sempre più frequenti e lui non era più giovane come una volta… Ogni momento sperava e pregava Venere, la sua antica genitrice, di aiutarlo proprio come aveva fatto con il suo progenitore Enea e di accorrere in suo aiuto, ma nulla.

Quante volte aveva pregato per la morte.

Il suo stesso corpo lo tradiva.

Il Morbo Sacro non conosceva sovrani, né Dictator, né Pietas.

Si passò una mano sul viso segnato da profonde rughe. Chissà cosa vedevano gli altri quando lo guardavano…

Ripensò al colloquio avuto poche sere prima a casa di Lepido, a quella frase così profetica.

-“La mia morte? Oh amici miei, ad essere sincero non ho mai avuto paura di morire, ma il pensiero di spegnermi lentamente senza poter far nulla… quello sì che mi  angoscia. Che volete fare… nonostante mi chiami Cesare, sono ancora un legionario nell’animo!”-

Avevano certamente colto l’occasione…

Ma che stolti pensare che lui fosse così stupido da non sapere nulla.

Mater che stanchezza…

La cosa che lo rammaricava di più era che dopo così tanti anni, ancora si dovesse ricorrere a tali meschinità.

Come quella volta… A Farsalo…

Quanti Romani morti per un’ideale vecchio e stantio.

Lui, a cavallo, gli occhi che scorrono il campo di battaglia.

Cumuli di cadaveri che svettano, mentre uomini riconoscono nell’ucciso dell’altra fazione un loro caro.

Lo sguardo si abbassa cupo

-“L’hanno voluto loro”-

Quella volta Cesare odiò se stesso.

Una smorfia fugace gli adombrò il viso, accentuando il reticolo di rughe.

Giove, che schifo.

Cesare osservò il sole alzarsi fiero nel cielo passandosi una mano tra i bianchi e sottili capelli.

E che stanchezza.

Tentò di riscuotersi dalla malinconia

Sorrise mesto. Bel giorno per andarsene…

Doveva prepararsi.

Tornò lentamente nella sua stanza, poi, chiusa la porta, si accostò ad un piccolo cassettone.

Aperte le ante tirò fuori quello che a prima vista sembrava essere un sacco informe marrone scuro, ma che in realtà era una bisaccia. Una bisaccia da militare.

L’accarezzò, mentre gli occhi si facevano lucidi.

Quante ne aveva viste… in un attimo fu invaso dai ricordi.

Le battaglie contro i Celti, i Galli, i Germani… l’odore del campo di battaglia di prima mattina… le urla dei barbari che possenti e temibili si avventavano contro i minuti legionari del suo esercito, le azioni cruente ed infine la vittoria. Perché Roma, perché Cesare, vincevano.

Sempre.

Veni, vidi, vici.

Era diventato il suo motto.

Altri ricordi gli tornarono alla mente. Le campagne in Africa ed in Egitto, Cleopatra…

La bella Cleopatra… chissà come stava suo figlio, Cesarione…

Gli occhi persi nel vuoto tornarono a fissarsi su quel vecchio e logoro sacco che gli ricordava l’uomo che era stato. Ora non gli rimaneva altro che astute mosse politiche da decidere seduto su uno sgabello o su un triclinio. Tremò.

Velocemente si portò una mano ad un muscolo dell’avambraccio che aveva cominciato a fascicolare… lo massaggiò scaldandolo e quello smise di contrarsi spasmodicamente.

Sospirò. Una vecchiaia così... no, lui non la voleva.

 Con il braccio sano fece per rimettere la bisaccia all’interno del vano in cui era custodita, ma sbagliò i calcoli a causa di un nuovo spasmo muscolare e qualcosa di lucido rotolò con gran rumore fuori dal piccolo cassettone.

Un elmo.

Cesare a quel rumore si era bloccato temendo si aver svegliato Calpurnia, ma nella casa tutto taceva.

Andò a raccogliere l’oggetto incriminato, tuttavia nel chinarsi i muscoli della schiena protestarono vivacemente costringendolo a portarsi una mano ad un fianco, per aiutarsi ad alzarsi.

Stava invecchiando e quell’elmo non faceva che ricordarglielo.

Nonostante fosse molto mal messo, lui non l’aveva mai usato in tutta la sua vita. Quell’elmo apparteneva ad un altro.

Un elmo stanco quasi quanto lui.

Era stato di suo padre.

Un sorriso mesto gli spuntò sul viso al ricordo di quando glielo aveva donato.

Quel giorno compiva dieci anni il figlio di Gaio Giulio Cesare.

L’unico figlio maschio cresceva su forte, nonostante la malattia che implacabile lo affliggeva.

Il genitore era assai fiero della sua tempra resistente e quel giorno aveva deciso di fargli un regalo particolare.

-“Cesare!”-

-“Cesare!!!”- aveva chiamato

-“Eccomi padre!”-

-“Come hai dormito questa notte?”- gli aveva domandato prendendoselo sulle ginocchia

-“Molto bene padre! Ho avuto solo un attacco, ma l’ho superato da vero uomo come mi dici sempre tu!”-

-“Bravo ragazzo! E i muscoli?”-

-“Indolenziti, ma niente di cui preoccuparsi padre!”-

L’uomo annuì sentendosi riempire il cuore di orgoglio.

-“Bene! Allora io ho una cosa per te!”-

Gli occhi del bambino si illuminarono di gioia

-“Davvero padre?”-

-“Certo! Tu oggi compi dieci anni e quindi stai crescendo! Ti avvii a diventare un uomo! La strada è ancora lunga, ma le premesse sono buone.”- dicendo questo estrasse da un armadio un elmo.

Il suo elmo.

Gaio Giulio Cesare era stato Pretore e Senatore, ma prima ancora era stato un semplice milite.

Un legionario.

-“Questo è per te, conservalo con cura. Questo, ricordati, questo è il vero simbolo di Roma”-

Il bambino aveva annuito letteralmente travolto dall’adorazione che quell’oggetto gli suscitava, aveva teso le manine impaziente e con timore reverenziale aveva stretto quel dono tra le braccia, schiacciandoselo contro al petto.

-“Sono i legionari che ci proteggono e difendono, loro portano Roma lontano, sono loro che la accrescono nella sua potenza e gloria! Dovranno sempre essere trattati con rispetto e disciplina! Ricordalo Cesare!”-

Il piccolo aveva annuito spalancando gli occhioni e facendo un visino concentrato.

-“Conservalo!”- poi l’uomo aveva cominciato ad allontanarsi per svolgere le sue mansioni.

-“Pater!”- si era sentito chiamare, poi come un fulmine gli si era attaccato alla vita

-“Ti prometto, ti prometto papà che diventerò una persona importantissima e che quando lo sarò diventato tratterò tutti sempre molto bene!”-

Il padre aveva sorriso accarezzandogli la testa

-“Bravo! Perché una persona che ha potere non deve usarlo per prevaricare sugli altri, deve sempre cercare di usarlo per…”-

-“Accrescere il potere di Roma!”- aveva strillato giulivo il bambino, con enorme gioia del padre.

Quell’elmo… dai dieci anni in poi non se ne era mai separato.

A quei ricordi Cesare non poté  far altro che sedersi sul suo letto e lasciarsi travolgere…

Sedici anni. Suo padre morì quando lui aveva sedici anni.

Sulla sua tomba un giovane Cesare aveva fatto una solenne promessa stringendo tra le mani quell’elmo regalato sei anni prima.

-“Ti prometto, ti prometto padre che diventerò potente, molto potente, come Roma non ne ha visti mai e che con quel potere la farò risplendere di gloria, portandola in ogni parte del mondo rendendola temibile e grande! Proprio come noi abbiamo sempre sognato”-

E ci era riuscito. Roma era diventata davvero grande e non si sarebbe arrestata, lo sapeva.

I Senatori, per quanto lo credessero, non erano Roma.

Ecco perché la maggior parte di loro lo odiava, perché leggevano dentro di lui quella consapevolezza.

I legionari erano la colonna portante della vera Roma.

Aveva vissuto gomito a gomito con loro, mangiando lo stesso pasto, soffrendo lo stesso freddo e lo stesso caldo. Insieme avevano combattuto e si erano sporcati del sangue di mille nemici.

I suoi commilitoni…

Perché erano Romani. Perché lui era Romano. Perché combattevano per la Gloria di Roma.

E questo bastava.

Belle parole, un forte credo in cui riporre la Fides.

Ma allora? Perché Farsalo? Perché tutte quelle morti e quelle lotte intestine?

Perché non capire dannazione!

Lui non stava tradendo Roma!!! Trasformandola in un impero non stava tradendo Roma!

Ma cosa rimaneva… dopo la gloria…? A lui?

Sospirò nuovamente, come si sentiva malinconico quella mattina! Forse perché era la sua ultima alba. O forse perché era semplicemente vecchio.

Vecchio nell’anima, perché si era reso conto che nonostante tutto rimaneva sempre Cesare… solo  Cesare.

E nulla più.

Tutto era velato da una serena tristezza. Ma non aveva conti in sospeso, lui.

Sapeva già da tempo della congiura, quel giorno in Senato tutto si sarebbe risolto.

I suoi fedeli avrebbero gridato al tradimento… ma lui no. Quello che facevano loro, lo facevano nell’interesse di Roma, certo, dal loro limitato punto di vista…

Ed anche di questo era stanco.

Stanco della cecità e della bassezza degli uomini.

-“Aspettami Pompeo… Aspettami, sto arrivando”- borbottò tra sé e sé, raccogliendo tutto e sistemandoli da dove li aveva presi.

Roma era diventata grande, oh certo, pensò corrucciato, ma che amarezza scoprire che nonostante tutto, tutti i suoi sforzi, dentro era rimasta piccola piccola.

E quindi basta. Che onorassero gli altri Roma, lui aveva dato la vita per un’ideale e sarebbe andato fino in fondo, gli avrebbe lasciato onorare un’illusione.

Si strappò a fatica da quelle rabbiose considerazioni.

Fece mente locale se doveva fare ancora qualcosa.

Il testamento era fatto e redatto con cura. Ottaviano avrebbe celebrato perfettamente Roma. Marco Antonio…

Aaah, Marco Antonio, povero! Non gli aveva detto nulla! Chissà che pandemonio avrebbe sollevato! Così giovane e così energico!

Doveva rimanere e dar man forte a suo figlio adottivo, per il bene di Roma.

Lui… lui invece doveva andare. Perché era maledettamente stanco.

Ma non di quella stanchezza corroborante dopo una battaglia o dopo aver fatto l’amore con Cleopatra…

Lui si svegliava già stanco. Era stanco di vivere. A cinquantaquattro anni era stanco. I capelli bianchi ed una vita piena a pesargli addosso.

Non ce la faceva veramente più a lottare contro la loro limitata visione di Roma.

Pensavano che sarebbe diventata grande grazie alla repubblica, ma si sbagliavano… ecco perché gli permetteva di tradire, di ucciderlo lentamente alle sua spalle, di tramare come ragni nell’oscurità… perché era stanco. Stanco di lottare per Roma… si rammaricò.

Ma ora tutto si sarebbe risolto, sapeva che tutto si sarebbe svolto come pianificato…

I congiurati che tradivano convinti di sottolineare la repubblica, in fondo non facevano altro che ucciderla loro stessi e lui che non voleva essere incoronatoImperator

Scosse la testa come a liberarsi di tediosi pensieri.

Con calma si vestì pronto per andare in Senato, si lisciò la toga che ricadeva regale su di lui. Sorrise, stava per morire, ma rimaneva sempre il Dictator, l’uomo più potente.

-“Visto papà? Lo sono diventato davvero”- sussurrò al vento.

Ed il vento soffiò flebile… anzi…

Stanco.

Poi tutto si fece più confuso.

Calpurnia che lo supplicava di rimanere a casa, povera donna, non sapeva che lui…

Sapeva, semplicemente.

Poi l’arrivo di Decimo Bruto Albino, il viaggio verso il Senato, l’indovino ed infine l’aruspice.

-“Guardati dalle Idi di Marzo!”-

-“Ma lo sono già, caro Spurinna! Lo sono già!”-

-“Hai ragione, oh potente Cesare! Ma non sono ancora passate!”-

Entrando in Senato, Cesare cercò con gli occhi i suoi congiurati.

I suoi Traditori.

C’erano tutti, bene. Chissà chi avrebbe avuto l’ardire di colpirlo per primo…

Qualcuno dei suoi antichi amici?

Gaio Trebonio? Lucio Minucio Basilo? O Galba?

O uno al quale aveva concesso grazia? Uno dei seguaci di Pompeo…

Senza dir nulla si accomodò sul suo seggio.

“State per far di Roma un Impero, un Impero magnifico!” pensò tra sé e sé.

Marco Antonio era stato trattenuto fuori da Decimo Bruto, meglio così, pensò Cesare, non dovrà assistere a tutto ciò.

Sospirò ancora, era giunto il momento. Certo, avrebbe dovuto fare un po’ di resistenza, giusto per essere credibile, il resto l’avrebbero fatto loro.

Che dolore era stato scoprire tra i congiurati anche Bruto! Ma ormai era tutto pronto, dopo tutte le considerazioni che aveva fatto il tradimento passava in secondo piano… era disposto a sacrificarsi, come aveva sempre fatto, per Roma. Ottaviano avrebbe vendicato la sua morte uccidendo i suoi uccisori. Ne era certo ed Antonio l’avrebbe aiutato.

In quel momento Roma si faceva piccola e meschina, per poi rinascere gloriosa e dominatrice, considerò.

Publio Servilio Casca Longo, gli si fece vicino. Più vicino del normale.

Sei tu, quindi il primo… Traditore.

E lo pugnalò.

-“Cosa fai?! Oh scelleratissimo Casca!”-

-“QUESTA È VIOLENZA!!!”-

Così spirò Gaio Giulio Cesare.

-“Tu quoque Bruto, filii mii…”-

Anche tu, Bruto, figlio mio

Già, anche tu…

Ma ora sono troppo stanco anche per pensare, è tempo di riposare, per davvero, che ci pensi Ottaviano a Roma.

Alla piccola, grande Roma.

Trafitto da ventitre pugnalate, l’uomo cadde ai piedi della statua di Pompeo.

Cesare morì il 15 Marzo del 44 (a.c.): le Idi non erano ancora passate. Morì a causa del tradimento di un gruppo di uomini che credevano in vecchie glorie.

E alla sua morte cadde la repubblica e sorse Roma che, sotto il controllo di Ottaviano, si fece grande.

Si fece Augusta.

Ventisette anni dopo, durante i Ludi Saeculares si consacrava una nuova era di potere sotto la guida di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, sul colle Palatino e Campidoglio risuonò dalla gola di fanciulle una lode in onore a Roma Impero.

Era il 3 Giugno 17 (a.c.)

Possis nihil Urbe Roma

visere maius

 

Che tu non possa vedere nulla più grande
della città di Roma 

(Quinto Orazio Flacco, Carmen saeculare,17 a.c.)

 

 

L’Urbe era diventata la Roma dei Cesari.

 

Piccolo Angolo dell’autrice…

Bon!!! Vi lascio con il giudizio ed i bannerini (che io reputo meravigliosi^^)

Zest

    

Secondo Posto

Zest

Grammatica e sintassi: 8 punti su 10
Lessico: 14 punti su 15
Originalità: 15 punti su 15
Caratterizzazione dei personaggi: 19 punti su 20
Giudizio personale: 5 punti su 5
Attinenza alle informazioni storiche: 5 punti su 5
+ 2 punti bonus per il perfetto utilizzo dei prompt.


Ti dico subito che la tua grammatica è piuttosto pulita, solo qualche piccolissimo errore di distrazione come: “Cesare a quel rumore si era bloccato temendo si aver svegliato Calpurnia, ma nella casa tutto taceva.” ; “-“Aspettami Pompeo… Aspettami, sto arrivando”- borbottò tra sé e sé, raccogliendo tutto e sistemandoli da dove li aveva presi.” Ehm… sistemandoli, cosa? ^^
“Ventitré” scritto senza accento;
Hai avuto qualche piccolo problema con le virgole:
“Pensavano seriamente che lui, non fosse a conoscenza di ciò che stavano facendo?” Non capisco perché tu abbia messo la virgola qui, non serve ^^.
“Perché non capire dannazione!” Qui invece ci vorrebbe una virgoletta, tra “capire” e “dannazione”.
Per il resto è tutto perfetto, ma purtroppo ho dovuto toglierti qualche punticino.
Il tuo lessico è molto buono, davvero, il tuo stile di scrittura così introspettivo, mi è piaciuto molto. Mi sono piaciute anche le parole in latino infilate qua e là :) . Complimenti!
Sull’originalità non ho niente da ridire. La tua idea del What If è semplicemente stupenda, seriamente. Mi è piaciuto il tuo Cesare che va incontro alla morte come se per lui fosse solo incontrare una vecchia amica (vedi: il racconto dei tre fratelli, Harry Potter e i Doni della Morte xD ). Bravissima, punteggio pieno! Anche la caratterizzazione andava bene, hai preso Cesare e lo hai fatto tuo. Com – pli – men – ti!
Va da se che ottieni il massimo dei punti anche nel giudizio personale e nell’attinenza alle informazione :)

Totale: 68/70


Vincitrice del premio Esistenza (per la migliore descrizione della morte)! Okkei, non è proprio sulla morte, ma di come hai saputo rendere il tuo Cesare stanco e frustrato, che riesce ad affrontarla come se fosse l’unica a poterlo salvare. Bravissima!



   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Zest