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Autore: Human_    20/07/2011    6 recensioni
Idea semplicissima e forse già venuta a qualcun altro -in caso, fatemelo notare che cancello tutto-.
Una raccolta di shot che probabilmente non avranno niente in comune, tranne un incipit di frase ricorrente: “Ti amo perché”.
Saranno tutte piccole cose, principalmente, quindi non troverete mai un “Ti amo perché hai gli occhi azzurri”, che è una cosa troppo comune per la sottoscritta.
Nient'altro da dire.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sing for me.

Dean chiuse gli occhi per un istante, un solo minuscolo istante che bastò a regolarizzare il respiro e far sparire quel leggero tremolio della sua voce roca, voce che ogni volta faceva vibrare gli occhi di Gin, che si chiamava come un superalcolico, ed esattamente come un superalcolico faceva girare la testa a chiunque si soffermasse a guardarla, con quei capelli biondi e gli occhi color ghiaccio.
«Gin, non piangere».
Non piangere Gin, non piangere, non piangere, so che non piangerai ma io te lo dico lo stesso, perché non intendo “non piangere adesso”, non voglio che tu pianga neanche dopo, quando io sarò già (fin troppo) lontano e tu sarai da sola nel buio della tua stanza e sentirai l'odore del sesso di cui l'abbiamo impregnata; lascia che pianga solo io, nel vagone di questo treno che puzza di sudore e tabacco.
«Dean, non te ne andare» sussurrò, la voce flebile e le mani intrecciate appena sotto il petto, guardandolo negli occhi color cioccolata. «Dimmi che che non mi lasci».
Dimmi che non sono sola, Dean, dimmi che non te ne andrai per sempre anche tu, come tutti gli altri, come chiunque, dimmi che non è vero quel che penso, dimmi che non sono io a non andare bene, dimmi che su quel treno non ci sali più, dimmi che ad Amburgo ci andrai solo quando potrò venirci anch'io.
Chiudere gli occhi non bastò, questa volta, ed in effetti non bastò mai più, per il resto della loro vita, perché entrambi sapevano – sapere, questo è terribile, se sai non hai scampo, non c'è santo che tenga, non puoi neanche sperare il contrario, perché tu sai, e allora non c'è immaginazione, non c'è ottimismo, non c'è religione, non c'è speranza – che Dean e Gin, da quel momento, sarebbero solo stati due nomi in rima e non più due amanti, di quelli che tu ti fermi a guardarli ipnotizzato, e tutto quello che pensi è “Quanto cazzo sono belli?”.
«Amburgo non è poi così lontana» tentò Dean, incerto – si può dire con convinzione qualcosa di cui non si è, di fatto, convinti? – stringendo forte i fianchi morbidi di Gin, su cui sarebbero a breve nati i segni delle sue dita – fisico corrispondente di segni invisibili che invece non se ne sarebbero andati mai.
Sospirò, Gin. «Sono milleduecentosettantaquattro chilometri, ne abbiamo già parlato. Neanche posso permettermi il treno, e poi...».
Discorso che non finì mai, il suo, neanche nella sua mente, perché proprio non voleva pensarci, mentre Dean ci pensò fin troppo, tutto in quell'esatto momento in cui la voce della ragazza – sua ancora per qualche labile secondo – tremò appena.
È la stanchezza, Dean, non sono triste, davvero, non guardarmi così, non angosciarti per me, non tentare di captare ogni mio segnale di debolezza, pensa a baciarmi un'ultima volta, e fa che duri il tempo necessario perché tu perda il treno e decida di non aspettare l'altro.
«Senti, so che a te i discorsi troppo dolci fanno venire l'orticaria, ma io probabilmente prenderò il tifo su questo treno, devo sapere che tu sarai qui a grattarti le braccia per par condicio, quindi ascoltami, okay?» chiese, fissandola serio.
Lei mosse appena la testa, su e giù, e sollevò l'angolo destro della bocca, appena, con gli occhi lucidi e la mente annebbiata. «Credo di poter fare uno sforzo, per questa volta».
«Per me sei dappertutto, Gin, e sei l'unica al mondo capace di farmi sentire che non sono solo, e so che partendo adesso sarò solo per sempre, anche con centinaia di gente intorno, anche se un giorno dovessi tornare qui a Liverpool dalla mia famiglia, perché non sarebbe più la stessa cosa, e come già ti ho detto non posso esserti fedele per sempre...» si fermò, il tempo di una risata isterica ed appena udibile, il tempo di avvicinarsi di più ai suoi occhi, facendo sfiorare i loro nasi, incollando i loro corpi dal ventre in giù, accarezzando delicatamente il suo corpo fino ad arrivare ad intrecciare le dita a quelle di Gin. «Ma te lo giuro, amore, te lo giuro, non accarezzerò nessuna come ho accarezzato te, a questo farò attenzione, davvero, e a nessuna scriverò poesie sulla pelle, te lo prometto. Sarai per me infinita ed onnipresente, anche con questi fottuti milleduecento chilometri tra i coglioni, anche se non ti vedrò ma-».
«Zitto!» lo interruppe, posandogli i polpastrelli sulle labbra carnose. «Non lo dire, non lo dire mai, mai in mia presenza, non lo dire, non ti azzardare, non ci voglio pensare. Per me tu domattina sarai qui, e se non ci sarai penserò di star sognando, e che prima o poi mi sveglierò. Vivrò nell'incubo andando avanti, sposandomi magari, avrò figli che puzzeranno di vomito e mi preoccuperò di lavare, ma con la convinzione che prima o poi mi sveglierò con te accanto».
Dean chiuse gli occhi, frustrato. «Così non va, così proprio non va. Non aspettarmi, non tornerò. Non tornerò, maledizione, mettitelo in testa».
«Io ti aspetterò, e chi se ne importa se non tornerai. Io ti aspetterò, mettitelo in testa».
La attirò a sé, facendo rabbiosamente combaciare le loro labbra, impeto dolce ed iracondo – disperato.
«Non è poi la fine del mondo» sussurrò sulle sue labbra, senza allontanarsi troppo.
Chiamarono il suo treno e si staccò, controvoglia, afferrando le valigie con le braccia coperte dal suo pullover verde.
A Gin tremarono le ginocchia, e quasi quasi anche i polmoni. «Non te ne andare» pregò, voce rotta dalla presenza di lacrime invisibili sulle sue guance arrossate dal freddo.
«Chiudi gli occhi, amore. Non lo guardare il treno, non guardare me che ci salgo sopra. Cantami una canzone, cantamela, io sono qui e l'ascolto, tu tieni gli occhi chiusi finché non senti il silenzio. Canta, amore. E non lo dire addio, mi raccomando, perché io lo so ed è anche per questo che ti amo, ti amo perché a te gli addii fanno male alla gola. Tu “addio” non dirmelo, canta».
Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, concentrandosi sui lineamenti di Dean che sperava di non dimenticare mai, immaginando le sue braccia attorno al suo corpo, immaginando le sue labbra nell'incavo del suo collo, immaginando i suoi capelli in contatto con il suo volto – sarebbe dovuto essere reale ancora per un po', solo un po'.
Poi, semplicemente, cantò, e nel disperato fischio che il treno emise qualche istante prima di dilaniarle completamente l'anima trovò il perfetto compagno di un duetto che la colse completamente impreparata, così come entrambi sarebbero stati impreparati alla vita nei mesi a seguire, troppo abituati a contare sul suono del respiro dell'altro per regolarizzare il proprio.
Dean la osservava muovere le labbra chiare seduto al suo posto, le valigie sul sedile accanto, e con la tempia sinistra posata al finestrino strinse le labbra per non piangere, chiedendosi se fosse veramente giusto andare ad Amburgo, specie senza di lei, e come un mantra iniziò a ripetersi che sarebbe passata, passa sempre tutto, sarebbe passato anche il dolore causato dalla consapevolezza d'aver lasciato quell'anima su sei milioni a più di mille chilometri di distanza, del tutto consapevolmente.
«Non mi dimenticare» mormorò, pur sapendo che lei mai l'avrebbe sentito, nel preciso momento in cui Gin scoppiò a piangere, tremando sotto il peso di qualcosa troppo grande, e Dean sorrise appena.
Quanto sei bella, amore.







Sì, sono viva.
No, evidentemente non sono morta.
Sì, siete autorizzati a picchiarmi e lanciarmi pomodori.
Sono imperdonabile, lo so, ma io e la scrittura abbiamo un po' litigato. Ora siamo tornate in buoni rapporti, comunque, quindi spero che il prossimo ritardo (perché sì, ci sarà un altro ritardo) sia un po' meno grave di questo.
Bòn, che dire? Questa shot è triste, forse fin troppo, ma dopo tre cose dolci e carine ci stava.
Detto ciuò, spero vi piaccia e che abbiate voglia di farmi sapere qualcosa.
E se non avete voglia pace, però insomma.

Un abbraccio, non sapete quanto mi siete mancate. Mancati. Mancate.
Siete tutte donnine? D:

Human_ (che pur vivendo a due minuti dal mare è ancora bianca come una mozzarella).

   
 
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