Un Malfoy non ha amici.
Una costante della mia fanciullezza, un mantra che corrodeva malsano
la mia mente, avvolgendo nelle spire velenose i sentimenti puri e limpidi che
pure, almeno da bambino, dovevo avere.
Ma sono mai stato davvero un bambino?
Non lo so.
Mi tormenta spesso questo interrogativo, in particolare la sera,
quando mi ritrovo a macerare nel dolore, nella rabbia nera e repressa che mi
imputridisce le carni dall’interno, piano piano, goccia a goccia. A volte lo
sento davvero. Lo stillicidio letale dell’amarezza, del rimpianto, della
frustrazione, ma soprattutto dell’impotenza.
Plin.
Una morsa che attanaglia il cuore, quell’inutile muscolo che altro non
serve che a mantenermi in vita.
Plin.
Sento il respiro farsi più difficile, qualcosa di amaro salire in
gola, strisciante come un serpente; quel maledetto simbolo che ha condizionato
la mia intera esistenza.
Plin.
Le ginocchia che cedono, una mano che corre veloce, che annaspa alla
ricerca di un sostegno che impedisca a quell’involucro di disgustosa perfezione
di crollare.
Plin.
La rabbia che sale tumultuosa ottenebra la vista, stordisce, porta con
sé l’irrefrenabile desiderio di urlare, di uccidere.
Perché no?
Questo un Malfoy lo può fare.
Non può avere amici, ma può uccidere. Anzi, non deve esitare, non deve
mostrare segni di cedimento, di compassione.
Che brutta parola “compassione”…ha il potere di creare una piccola,
invisibile crepa nella solida roccaforte di ghiaccio e disprezzo che circonda
gli uomini come me.
L’ho capito troppo tardi quanto possano essere letali le parole,
quanto possano ferire più di un Avada Kedrava, come possano ridurre un uomo
arrogante e sicuro di sé all’ombra di se stesso, ad una larva molliccia che
rifugge la luce, rifugiandosi nell’oscurità, nel buio, nell’oblio.
Solo ora me ne sono reso conto, rileggendo il mio diario.
Allora scrivevo per necessità, per non rischiare di implodere, di
collassare dentro me stesso, di autodistruggermi. Non capivo, ingenuo ragazzo,
che anche questo era uno dei tanti aspetti seducenti della scrittura:
permetterti di evadere dal mondo comune per immergerti in uno di carta e
inchiostro, solo con i tuoi pensieri, i tuoi desideri inconfessabili, le tue
paure più recondite, le futilità della vita che allora apparivano così
importanti e così inconfessabili ad una persona.
Un Malfoy non ha amici.
Posso vantarmi di non averne mai avuti.
Non ho mai raccontato nulla di me a nessuno, mi sono limitato a farlo
credere loro.
Ero da solo.
Con il mio diario.
Ora sono seduto nella mia comoda ed austera poltrona, nella mia
stanza, nella mia lussuosissima dimora con il mio passato in mano.
Ho trent’anni, ma in questo istante mi sento vecchissimo. Centenario.
Mi sento anche solo. Come se fossi l’unico essere umano rimasto al
mondo. A volte da bambino ci giocavo, ma arrivava puntuale un elfo compito a
ricordarmi che quello non era un atteggiamento adeguato a un Malfoy.
Stasera mi sono chiuso qui a chiave.
Non voglio essere disturbato da nessuno, anche se dubito che qualcuno
degli abitanti di questo castello abbia il desiderio di vedermi.
Ma ora basta.
L’austero, gelido, spietato Malfoy ha un conto in sospeso con il
passato, un conto che influenza il presente e che continuerà ad influenzerà il
futuro finchè non verrà saldato.
Dopo tanti anni passati tentando di fuggire, ora è giunto il momento,
non ci sono scuse.
Mi aspetta un viaggio con me stesso, alleato di me stesso, nemico
giurato di me stesso.
O vincerà il presente e sarò finalmente in pace, o trionferà il
passato e allora per me non ci sarà scampo: verrò sommerso da quella valanga
che ho tentato di arginare, di tenere nascosta ai miei stessi occhi, che ho
tentato di dimenticare.
Invano.
Eccomi qui, per l’ennesima volta di fronte all’animo di
Draco Malfoy, il mio bersaglio preferito quando ho voglia di sfogare quel
qualcosa che mi si agita dentro, irrequieto.
Scrivere fingendo di essere Malfoy ha un non so che di esaltante ed
estenuante
allo stesso tempo, perché scrivendo di lui, dei suoi
‘scheletri nell’armadio’
devo attingere anche un po’ da me…ora sta a voi decidere
il destino di questo
diario: dirmi se vale la pena che continui, oppure se è meglio
chiuderla qui, lasciando queste parole come un fantasma che aleggi
senza meta.
Alexia