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Autore: Shadeyes    21/07/2011    5 recensioni
[... Extra di Missing Memories ...]
Seconda classificata a "Love Canon Contest", indetto da sweetPotterina sul forum di EFP.
Vincitrice del premio Cuore, per la storia d'amore più bella, e del premio Lacrima, per la storia più commovente.

Questa one-shot è un capitolo aggiuntivo della mia già avviata fiction su Carlisle ed Esme, ma non vi preoccupate... L'ho scritta pensando anche a quei Twilighters che non l'hanno letto, quindi ho cercato di renderla comprensibile e indipendente :)
Questo breve pezzo vuole ritrarre il matrimonio della giovane Esme con l'ambito capitano Charles Evenson, dal punto di vista di Carlisle.
Il ricordo di quel pomeriggio piovoso mi artigliava la mente.
Come potevo volerlo cancellare, se era stato uno dei giorni più felici della mia esistenza? Se, anche solo per un istante, avevo creduto che Dio volesse darmi una seconda possibilità…
Ma ormai era troppo tardi. Avevo deciso.
Allora perché mi trovavo lì, ora?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Esme Cullen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Missing Memories'
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Questa storia è vincitrice dei seguenti premi, assegnati dal giudice del "Love Canon Contest", sweetPotterina:




Premio Cuore                     Premio Lacrima







Questo, come sottolineato dall'introduzione, è un extra della fanfiction Missing Memories.
Tranquille, se non l'avete letta non disperate ;) Credo si capisca piuttosto bene anche come semplice one-shot!
Certo, sarei ben felice di incuriosirvi a tal punto da farvi venire voglia di leggere anche l'altra, ma non sono pretenziosa e non voglio spingere nessuno v.v
Spero solo che questa shot sia di vostro gradimento :) Buona lettura!






Carlisle and Esme









Missing Memories









Angelo Bianco










Il ricordo della sua pelle, così pallida e liscia, non mi aveva mai abbandonato.
Le sue gambe, morbide, giovani, fragili, le potevo ancora sfiorare con la mente.
E poi, le sue labbra, così tumide e… sensuali.

Le porsi la mano per aiutarla ad alzarsi, ma la verità era che volevo ancora toccarla, sentire il calore del suo corpo a contatto con il mio, ormai freddo da secoli.
Era ancora una giovane ragazza, piena di sogni e speranze, per nulla pronta ad affrontare il destino che l’avrebbe marchiata come donna a vita. Solo una donna.
Sentivo il suo cuore battere frenetico. Era attratta da me. E io di lei.
Ma ero troppo bravo a reprimere i miei istinti, ormai. Non ero più un uomo, e amare non mi era più concesso.
Alzò lo sguardo timorosa e fui catturato da due meravigliosi occhi magnetici, limpido smeraldo liquido.
Se mi fosse rimasta un po’ della mia umanità, avrei ansimato.
Mi fissò per qualche istante, leggendo la mia tristezza, accarezzandomi da dentro. Avrei dovuto interrompere quel momento, ma non ne trovai la forza. Ero debole di fronte a lei.
Restai immobile quando si avvicinò, combattuto tra il desiderio di volerla e il dovere di respingerla.
Poi, si alzò sulle punte e appoggiò le sue labbra sulle mie.

Potevo ancora sentire il suo dolce sapore in bocca. Fresco, innocente, inviolato. E invitante.
Quante volte avevo pensato a lei, in questi anni. Quante volte il suo amabile viso aveva tormentato i miei pensieri…
Troppe, Carlisle, troppe.
Avevo cercato di dimenticarla, di rifarmi una vita altrove, con Edward, solo noi due.
Eppure, ero lì quel giorno. A farmi ancora del male.

Il piacere di un’intimità che avevo dimenticato si mischiò al furioso richiamo del suo liquido più prezioso, ma non volevo che tutto finisse. Non ora, non così.
Volevo ancora sentirla stretta a me, legata in quel bacio timido e casto, e sentii lo straordinario desiderio di approfondirlo, come mi sarebbe piaciuto fare con la sua conoscenza, se solo me ne fossi dato la possibilità. Ma non mi mossi. Attesi che fosse lei a farlo. E lo fece.
Le sue mani delicate si appoggiarono sul mio petto, leggere, e le sue dita affusolate corsero a sfiorarmi le spalle, salirono sul collo, fino a incrociarsi dietro la nuca, tra i miei capelli.
Era sbagliato, lo sapevo, ma in quell’attimo tutto sembrava semplicemente perfetto, definito da un destino troppo antico per essere cambiato.
Eravamo io e lei, e niente altro.
Incoraggiato da quel pensiero, finalmente mi mossi, agognando ogni singolo istante di noi, insieme.
Le cinsi la stretta vita tra le braccia, accarezzandola sopra le vesti come se non ne indossasse neanche una, affamato di lei come non lo ero mai stato di nessun’altra.
Dischiusi appena le labbra, ansioso di assaporarla ancora di più, bramando il suo profumo di rose appena sbocciate… ma, non appena sfiorai l’umidità della sua bocca, la bestia che albergava dentro di me si agitò come un grosso, avido felino in catene, e l’odore pungente del sangue che scorreva nelle sue vene sovrastò quella delicata fragranza, prosciugando le mie riserve di autocontrollo fino allo stremo.
Ansimai davvero e mi scostai da lei.
«No…», riuscii a mormorare soltanto.
Non potevo desiderarla in quel modo. Non così, non lei! Non la mia Esme…

Il ricordo di quel pomeriggio piovoso mi artigliava la mente.
Come potevo volerlo cancellare, se era stato uno dei giorni più felici della mia esistenza? Se, anche solo per un istante, avevo creduto che Dio volesse darmi una seconda possibilità…
Ma ormai era troppo tardi. Avevo deciso.
Allora perché mi trovavo lì, ora? Non sapevo spiegarmelo… o forse sì.
Guardavo le navate della chiesa di Columbus dall’alto, attraverso la balconata di marmo che un tempo serviva da celebrazione della messa, in ombra.
Osservavo la platea gremita di persone di alto rango, persone che un tempo erano stati miei pazienti, come lui, l’ambito capitano Charles Evenson, che ora attendeva ansioso all’altare, vestito in alta uniforme.
Ma non mi interessava. Non era con lui che ero arrabbiato, ma con me stesso.
Era stata tutta colpa mia.

«Perché l’avete fatto?».
Ansimavo ancora, ma stavo pian piano riacquistando il controllo di me stesso.
Guardarla negli occhi, vedere il dispiacere che le avevo procurato respingendola, mi dilaniava il petto.
«Io…». No, Esme… no, ti prego. Ti prego, non farlo… «Perché io vi…». La fermai.
«Non lo dite, Esme, ve ne prego», la supplicai. Non volevo, non dovevo lasciare che tutto ciò accadesse. Non potevo condannarla così, no. Lei… lei meritava di meglio. Meritava di vivere.
Io… io potevo solo condurla alla morte.
«Voi siete giovane, desiderosa di nuove esperienze, ma non è in me che troverete quello che cercate». Dissi quelle parole più per convincere me stesso che lei, ma era vero.
Aveva appena diciotto anni, l’avevo vista crescere, sbocciare. Era una donna bellissima, di buon cuore, e aveva un futuro davanti a sé. Io non ero nessuno per negarglielo.
«Sbagliate, io…».
«No, Esme, no. Ascoltatemi, per il vostro bene. Il capitano Evenson è un uomo rispettabile, e lui saprà regalarvi una vita da vera signora. Non gettate all’aria quest’opportunità per un falso sentimento». Quella frase mi fece male ancora prima che ebbi finito di pronunciarla.
Mettere in dubbio ciò che provava era come mettere in discussione il mio, di sentimento, ed era sbagliato. No, invece era giusto. La mia bestia non conosceva l’amore.
Ma lei sì. Lei aveva il cuore pieno di ardore, la piccola Esme. Ed io avevo avuto l’insolenza di metterci le mani sopra, come un ingordo immeritevole, e di assaggiarne il suo nettare.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, che cercò di nascondere per orgoglio. Era anche una donna forte.
«Quello che mi dite l’ho già sentito troppe volte, fino alla nausea! Per la prima volta nella mia vita ho fatto qualcosa che non fosse dovuto o ordinato, ma semplicemente voluto. Desiderato da me. Perché date per scontato che ciò che provo per voi sia solo illusione?».
Sì, sì, cara Esme, sì. Urlalo, ti supplico, almeno qualcuno avrà la forza di cacciarmi da questa casa, e di allontanarmi da te. Di salvarti.
«L’illusione non siete voi, ma io. Sono un uomo di trent’anni che trascorre la sua vita ad occuparsi di malati. Salvo vite tutti i giorni e ognuna di queste persone mi sono riconoscenti. Voi confondete l’amore con la gratitudine». Non era vero, lo leggevo dal suo volto, dalla sua tristezza infinita, dalla sua espressione delusa e terrorizzata. Ma cos’altro avrei potuto fare, se non convincerla del contrario?

L’attesa fu snervante. Ero agitato, come se a sposarmi fossi io.
Tenevo lo sguardo fisso sui battenti della chiesa, in fondo alla navata principale, e aspettavo ansioso.
Poi, finalmente, la vidi comparire al braccio di suo padre, e il respiro mi si mozzò in gola.
Esme, la mia Esme, stava facendo la sua entrata in chiesa accompagnata dalla marcia nuziale di Mendelssohn, avvolta da uno splendido abito bianco che seguiva ogni suo passo cadenzato, svolazzandole attorno come se anche gli stessi orli fossero continuamente attratti da lei.
I suoi setosi capelli color mogano erano stati arricciati e semiraccolti da fili intessuti di margherite di campo.
Era bellissima, la mia Esme, nella sua eterea semplicità ed eleganza.
Teneva gli occhi bassi, così timorosa d’incrociare quelli di tanti altri che in quel momento la stavano guardando rapiti, invidiosi di poter fare solo da spettatori. Come me.
Ma d’un tratto si fece coraggio e alzò il viso, voltandolo prima a destra, poi a sinistra, senza realmente voler sorridere alla folla.
Oh, mia cara Esme… uscendo da quella porta, quel pomeriggio, ho scelto di uscire anche dalla tua vita. E tu lo sapevi bene, ma non hai mai smesso di sperare.
Nemmeno ora ti davi per vinta, a pochi passi dal tuo matrimonio, e ancora mi cercavi, illudendoti che io ci fossi.
Sì, Esme, io ci sono… ma non lascerò che tu mi veda.
Era il mio sacrificio davanti a Dio. Lasciarti andare e permettere ad un altro di avere la tua mano e il tuo cuore. In cambio, avrei pregato perché tu potessi essere felice, un giorno.
Non sarà oggi, lo so. Ma verrà un tempo in cui potrai sorridere di nuovo, e allora non sarà stata vana la sofferenza di nessuno.
«Vuoi tu, Esme Anne Platt, prendere quest’uomo come tuo legittimo sposo?».
Ti prego, Esme, non esitare. Sii forte e accetta il destino che ad ognuno di noi è stato assegnato.
«Ms. Platt, la formula, prego…».
Rispondi, Esme. Rispondi, perché io me ne sono andato… e non tornerò mai più.
«Sì, lo voglio».
Sorrisi mestamente.
Mentre tiravo un sospiro di sollievo, qualcosa dentro di me si era spezzato. Ma non importava.
Eri diventata donna, una signora. Anche se lo eri sempre stata.
«Ti ho amato anche io, mio piccolo angelo bianco», mormorai, mentre una parte di me svaniva nel ricordo di un’incantevole bambina innamorata.







Rosa blu










Et voilà, ragazze mie :)
Che ne pensate?
Vi dirò, io ho amato scrivere questa shot dalla prima all'ultima battura xD Ho scoperto di avere un debole per la mente di Carlisle o.o
Spero, per chi non ha mai letto Missing Memories, che la lettura sia stata comprensibile ^^' Purtroppo io sono di parte, non ho potuto giudicare q.q
Per chi, invece, segue anche Missing Memories, spero abbia gradito questo extra aggiuntivo :)
Spero possiate darmi qualche parere in merito ^^


Un bacio!





Hilary




   
 
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