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Autore: Victoria McKagan    22/07/2011    1 recensioni
E' la seconda boiata che posto su EFP, ed entrambe le ho messe e scritte in tre giorni.
Questa One-shot, come forse si capisce dal titolo, parla di Duff, una delle figure "di margine" dei Guns n' Roses, una persona che non viene quasi mai analizzata o capita a livello psicologico nelle fanfiction, al quale mi sembrava il caso (o forse è la noia che mi ha spinta a farlo...) dedicare una storia introspettiva, personale e lagnosa che parla esclusivamente di lui. ^^
Buona lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qui, alla distanza di un giorno dalla mia prima storiella (stronzata demenziale, sarebbe meglio dire) sui Ganzi e Rozzi... avrete indubbiamente capito che non ho un beneamato cazzo da fare.
Cooomunque, a differenza dell'idiozia precedente, questa è una cosa seria *grasse risate*... cioè, voleva essere una cosa seria, ecco.
Insomma, se vi va e se come me amate il Duffoso bassistone, leggete. E magari ditemi che ne pensate via recensione, al semplice scopo di farmi capire se è il caso di smetterla di scrivere tali scempi o se invece i suddetti scempi sono effettivamente bellini, ed è il caso che ne scriva qualcun'altro.
Buona lettura! :)






Michael è felice.




Non riusciva a non pensarci. Non riusciva a non pensare in ogni istante della sua giornata a quanto fosse davvero fortunato.

Certo, la sua vita non era stata delle migliori, non aveva vissuto bene in famiglia, sebbene fosse il più piccolo fra i suoi fratelli; era cresciuto un po' nell'ombra dei successi scolastici e lavorativi dei più grandi, ed andava d'accordo solo con Bruce. Gli mancava Bruce. E gli mancava anche sua madre. Quella donna coraggiosa, che aveva messo al mondo otto figli, e che gli aveva saputi crescere tutti meravigliosamente.
Tutti, tranne lui.
Lui era quello diverso, quello che era scappato di casa da adolescente per andare a costruirsi una carriera musicale a Los Angeles, quello destinato a deludere. Aveva deluso la sua famiglia, eccetto suo padre, che qualsiasi cosa lui facesse rimaneva una maschera vuota, perso in un costante equilibrio fra l'incoscienza che ti rifila l'alcool come vendetta per averne ingerito troppo e la sonnolenza. Sempre impassibile, sempre con l'espressione del disperato dipinta sul volto, sempre scazzato. Ma fortunatamente, a cercare di sostituirlo c'era Bruce. Quante volte suo padre gli aveva chiesto come andava a scuola, che cosa pensasse di fare da grande, o soprattutto se gli andava di passare un pomeriggio assieme a lui? Nessuna. Nemmeno una. Forse anche perché in quella casa, in quella famiglia, non c'erano pomeriggi, così come non c'erano mattine o sere. Ognuno era perso nei suoi pensieri e nel suo da fare costantemente, senza un attimo di pausa, senza potersi (o volersi) mai sedere a tavola tutti insieme, senza fermarsi a parlare con nessuno. Nessuno parlava, nessuno rideva. Soltanto sua madre. Lei era l'unica che lo avesse davvero mai amato. I suoi fratelli e sorelle non andavano molto d'accordo con lui nemmeno per questo, perché la loro madre aveva occhi solo per "il piccolo Michael", che poi, piccolo, nella sua vita, non era davvero mai stato. Era stato il bambino più alto dell'asilo, poi il bambino più alto della scuola. L'altezza era una delle due cose che aveva ereditato da suo padre. L'altra cosa, era quella per colpa della quale lo odiava. Il legame indissolvibile con l'alcool.

Poi, un bel giorno, con la sua Chevy rossa e ammaccata, rigorosamente rubata, aveva inforcato una chitarra lanciandola sui sedili posteriori, ed era partito alla volta della Città degli Angeli, senza soldi con se o conoscenze alle quali appigliarsi una volta arrivato, giusto per sopravvivere in una metropoli di sconosciuti. Aveva abbandonato e tradito sua madre e Bruce, li aveva scambiati in cambio del niente, dell'incertezza più totale.

Eppure ce l'aveva fatta. Ce l'aveva fatta da solo. Così com'era arrivato, era rimasto, semplicemente. Un punk di Seattle senza dimora fissa, che suonava il suo basso e si scolava la sua birra.
Sì, un basso. La chitarra era stata accantonata, era uno strumento troppo comune e lui non era nemmeno troppo bravo a suonarlo; Los Angeles pullulava di ottimi chitarristi, e se davvero voleva entrare in una band, doveva cercarsi un altro ruolo. Ovviamente, la sua seconda scelta era caduta sullo strumento che aveva imparato a suonare dal fratello maggiore, lo strumento del suo Dio, Sid Vicious.
Per concludere il quadro di quella che sarebbe stata la sua immagine per più di un decennio, si era messo al collo una catena con un lucchetto attaccato, proprio come Sid. Non era una brutta copiatura, era più... un omaggio. Qualcosa che avrebbe rimandato la mente e la memoria di chiunque l'avesse visto al bassista dei Sex Pistols, che era sì stato il bassista peggiore della storia della musica, ma che era anche stato il ragazzo disturbato, ribelle, incazzoso e malinconico che aveva inventato il punk, e per questo la gente non l'avrebbe dovuto dimenticare.

Pian piano aveva conosciuto musicisti come lui, gente che viveva alla giornata, conciati come se fossero appena usciti da un circo viaggiante e imbottiti di ogni tipo di droga fino al midollo osseo.

Così era morto Michael ed era nato Duff. Duff McKagan, lo strambo bassista gigante di Seattle, coi capelli ossigenati e dalla ricrescita ben visibile, col suo soprabito di pelle rosso e nero e col suo lucchetto al collo, con il vizio di bere e di rubare auto.

Poi, con l'avvento di Axl e Izzy, era diventato Duff Rose McKagan, the King of Beer. Ed era diventato un fottuto bassista spaccaculo, dalla presenza scenica non troppo spiccata come Axl, ma tantomeno trasparente e ombrosa come Izzy.

Con Slash, invece, si era trasformato semplicemente in "Man", il compagno di sbronze, l'amico paziente, la balia a tempo pieno, il barzellettiere (anche se come comico non era molto apprezzato, anzi...), il pacere, il più saggio di tutti i membri della band.
E se lui era il più saggio, ci si poteva solo immaginare com'erano gli altri.

Il gruppo andava alla grande. Guns n' Roses, si chiamavano. Axl aveva insistito per quel nome, sebbene tutti gli dicessero che non era un nome di spicco, un nome che sfondava. "Staremo a vedere", rispondeva sempre lui con aria di sfida. E infatti...

Adesso era arrivato il contratto con la Geffen, un contratto da 75.000 dollari che avrebbero firmato. Forse era stata la notizia più bella di tutta la sua vita, eppure non era per quello che si sentiva sempre così felice. Perché sapeva che quel contratto dorato li avrebbe portati all'autodistruzione, sempre sull'orlo del baratro, in bilico fra gioia e dolore per tutti gli anni a venire. Ma non gli importava.


Michael era felice, perché stava vivendo. Sì, stava vivendo. Poteva sembrare una frase scontata e incompleta detta così, ma infondo, in quanti potevano realmente dirlo? In quanti sapevano prendere sia il lato buono che quello cattivo della vita, e viverseli entrambi? Lui l'aveva fatto. Aveva abbandonato i suoi familiari, che gli volevano comunque sempre bene, ne era sicuro; aveva cercato la sua strada in una città sconosciuta, e l'aveva trovata; aveva cercato degli appigli per sopravvivere, ed aveva trovato degli amici. Degli amici come lui. Si era lasciato andare ad ogni genere di vizio, e ne aveva ricavato la sua immagine; aveva accettato la sua immagine, e anche grazie a quella, il suo gruppo aveva ottenuto un contratto discografico. Grazie a tutte queste cose, Duff aveva capito che per ogni cosa negativa affrontata, la vita ti regalava una cosa positiva. E adesso sarebbe andato avanti, avrebbe continuato a vivere in quel modo, a gustarsi tutte le sfaccettature della vita, a godersi fama, soldi, sesso e riconoscimenti di ogni tipo, certo che tutto questo un giorno l'avrebbe fatto implodere, ma che subito dopo sarebbe arrivato il sole, magari sottoforma di famiglia. Sì, aveva sempre desiderato una bella famiglia, in un modo da bambino e in un altro adesso, e un giorno era certo che ne avrebbe messa su una, e che sarebbe stato un padre fantastico, tutta un'altra persona rispetto a McKagan senior. Perché d'ora in poi lui non sarebbe più stato Michael McKagan.
Da quel momento fino alla morte, lui sarebbe sempre stato il grande Duff dei Guns n' Roses, che i Guns fossero durati in eterno o meno.
Ne era sicuro, ne era... felice.






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La messa è finita, andate in pace.
Un grazie ci sta per forza a:

- Amy e Clau
- Icegirl46
Le mie prime recensitrici e coloro che hanno avuto il coraggio di commentare "Tutto ciò non ha senso". Grazie davvero. :)

Alla prossima!
  
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