“La
derivata di una funzione reale, di variabile reale
f(x) nel punto x0, è definita come il limite del rapporto
incrementale al
tendere a 0 dell'incremento h, sotto l'ipotesi che tale limite esista e
sia
finito.” recitava a caratteri ciclopici la lavagna che una
tozza signora si
rallegrava si decorare. « Ragazze, non trascurate le
definizioni, la matematica
E’ FATTA DI DEFINIZIONI! Sono la materia prima per
comprendere i concetti che
gente molto più colta e studiosa di voi ci ha gentilmente
regalato! Tenetelo
sempre a mente, non vorrei si ripetesse l’infelice episodio
dello scorso
trimestre.. » grottescamente minacciosa e affannata la donna di
mezz’età era stretta
in un abito lungo blu vecchio, che le causava vistosi rigonfiamenti
nella zona
del ventre e dei fianchi e sgradevoli aloni di sudore sotto le ascelle.
A dire
il vero un comune malcapitato osservatore trovatosi per errore
lì si sarebbe
chiesto come aveva fatto tale donna bassa e grassoccia a entrarvi, ed
era
questo l’interrogativo anche delle giovani sedute ai banchi
dell’afosa stanza
bianca, che poco si curavano delle derivate tanto decantate dalla
signora
tozza.
Neppure
Margaret la stava ad ascoltare quella mattina;
la giornata era troppo bella per ficcare la testa dentro il manuale di
analisi
matematica e ringraziare gentili studiosi arrischiando di
perdersi il sole caldo. Avrebbe voluto fare un pic-nic, o solo leggere
un libro
dei suoi all’ombra del grande ciliegio; la primavera era
arrivata cinguettante
e prematuramente afosa, e con lei i caldi progetti di Meg sulle vacanze
iniziavano a prendere forma; ma forse era ancora troppo presto, tre
mesi erano
ancora tanto tempo. Smise di fissare il prato fuori e si
voltò verso la
lavagna, che la vecchia ancora imbrattava, torturandola di scritte e
geroglifici. Si chiese quanto mancasse alla fine della tediosa lezione,
e con
suo rammarico si ricordò che quel giorno la vecchia
sostituiva la malata di
inglese, e le avrebbe intrattenute ancora per un’altra ora
piena.. la giornata
non aveva i migliori presupposti.. Tornò allora a fissare
dalla finestra
semiaperta il prato, e il ciliegio che da lì rosava il
paesaggio e faceva
invidia agli altri alberi, non certo belli e spettacolari come lui. I
suoi rami
affusolati ornati di fiori rosa coloravano i grigi occhi di Meg, era il
colore
che pensava avesse il paradiso quello.. La voce fastidiosamente acuta
della
donna grassoccia era lontana, gli occhi della ragazza erano cullati dal
vento,
dai petali rosacei che per lei e lei sola facevano danze gentili,
diretti dai
soffi di un regista invisibile, sotto la supervisione di
accondiscendenti
cinguettii..
Sgranò
gli occhi. L’era parso che qualcosa dietro il
tronco si muovesse, ondeggiando coi rami e i petali rosati. Strinse le
palpebre
per poter vedere meglio, e fu lì che riconobbe la figura
fluttuante essere una
luccicante chioma di riccioli biondi, che il vento maestro faceva
vibrare
concedendoli alla sua rapace vista. E poco sotto uno sventolare di
stoffa,
stoffa grigia orlata di una sottile striscia rossa al bordo inferiore,
che riconobbe
come la gonna della divisa studentesca. « Una studentessa
» sussurrò. La vedeva
chiara ora, di spalle, seduta, poggiata al tronco; era dove avrebbe
voluto
essere lei in quel momento, a partecipare beata dello spettacolo
primaverile;
ma non fu invidia il sentimento che la colse.. Di chi era quella chioma
bionda?
Quei maliziosi (si sorprese per aver pensato proprio a una tale
descrizione)
ricci che fluivano nell’aria pervasa di polline? Quella
camicetta bianca a
merletti, e quelle gambe madreperlate e sinuose, vestite fino ai teneri
polpacci di deliziose calzette cotonate bianche, che scopriva la gonna
svolazzante? Era curiosità, che non le faceva distogliere i
suoi dolci assorti
occhi grigi da quel quadro di fiori e di luce, di stoffe e di pelle..
Ma non lo
sapeva ancora; la piccola Meg, non sapeva ancora..
Era
finita, l’aula iniziava a svuotarsi con
trascinamenti di sedie e sospiri di sollievo. « MEEEG! Che
diamine stai facendo
ancora lì?!? » Una ragazza coi capelli scuri
oleosi legati in un coda poco
curata le gesticolava contro mentre tentava di mantenersi in equilibrio
tra la
tracolla e il carico di libri che portava. « Sono uscite
tutte, e non stai manco
anticipandoti gli esercizi per la vecchia..anzi oggi mi pareva non
seguissi
neppure.. » « Sì scusa.. proprio oggi ho
la testa tra le nuvole.. »
balbettarono le labbra chiare e sottili di Meg. « Che
fissavi? » chiese con fare
curioso la mora. « Niente, davvero.. »
mentì, « niente di interessante,
guardavo.. il ciliegio! Non trovi sia un vero spetta.. »
« Ricomincia con le
solite.. » l’altra non la fece manco finire, e
trascinandola per il braccio
mentre ancora quella riponeva il manuale di matematica nella borsa la
condusse
fuori dall’aula. Per una volta Meg ringraziava il cinismo
superficiale della sua
compagna mentre si lasciava trascinare lungo il corridoio,
« credevo che dopo la
volta scorsa saresti stata sempre la prima ad arrivare alla lezione di
fisica..
» « lezione di fi-si-ca..?!? »
fissò l’orologio appeso al corridoio.. «
Oh
diamine, FAREMO TARDI! » Iniziò a correre,
lasciando dietro l’altra, mentre
quella le sbraitava di aspettarla e le lanciava imprecazioni che
avrebbero
imbarazzato pure uno scaricatore di porto.. « No, proprio per
fisica no, ti
prego! » si ripeteva disperata Meg che non aveva mai corso
così veloce neanche
per le competizioni studentesche..
Raggiunse
per prima la porta, ma con sua amara
delusione la Cook era già dentro, e vedendola lì
le lanciò dagli occhialetti
un’occhiataccia che non avrebbe portato nulla di buono..
« Signorina Howell, ci
stavamo tutte chiedendo dove fosse.. » disse con sarcasmo
perfido quella,
vestita di un abitino leggero nero, a quanto pareva il suo colore
preferito.. «
stavamo discutendo dell’esperimento di Cavendish, non
è che potrebbe
illustrarcelo lei per caso? » Sorrideva dall’alto
della sua posizione la donna,
tanto giovane e attraente quanto sadica.. aveva sempre mal sopportato
come Meg
riuscisse a destreggiarsi bene in tutte le materie, e in tutti i
laboratori
pomeridiani. Tutti credevano che tale cattiveria fosse dettata da una
qualche
forma di invidia.. « No professoressa, non ne sono capace..
» La voce della
giovane tremava nel pronunciare la risposta, che invece
causò alla donna un
ghigno compiaciuto. « Oh, ma così lei mi costringe
a metterle una nota di
demerito cara, e non è cosa che si addice alla migliore
studentessa del
collegio di Santa Barbara.. » recitò con falsa
voce dolce, alla quale Meg
faticò a trattenere le lacrime, si chiedeva come fosse
possibile tanta perfidia
da parte di un essere umano.. « Bene, ora vada a posto.
» Sentenziò alla fine.
La ragazza mortificata obbedì, e con lei la compagna appena
giunta, alla quale
la signora perfida (così spesso veniva appellata dalle
studentesse) non rivolse
nemmeno uno sguardo. Aveva ragione prima, la giornata era iniziata
davvero
male.