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Autore: CriminalDanage    24/07/2011    2 recensioni
{Canon parlando, riferimenti alla storia di Daemon e Elena.}
«Questo infine è per il Primo, per Giotto. La persona per cui ci siamo incontrati tutti noi, colui che riusciva a tenerci legati nonostante tutto… L’uomo che ha provato tanto rimorso nei tuoi confronti per la morte di Elena da decidere senza opporre resistenza di abbandonare i suoi sogni, la sua gente. A lui dispiaceva eccome, Daemon; Giotto voleva bene a Elena, non avrebbe mai desiderato la sua morte.»
1. "Il tempo fermato" Daemon/G.
2. "Cicatrici nascoste" Daemon/Alaude.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alaude, Daemon Spade, G
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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« Requiem aeternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.
Te decet hymnus, Deus, in Sion,
et tibi reddetur votum in Jerusalem.
Exaudi orationem meam;
ad te omnis caro veniet.
Requiem aeternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis. 
»

 

 

Era autunno quando Giotto morì.
Sei anni dopo il suo spodestamento dai Vongola e dal tradimento di Daemon Spade.
Cinque dal suo viaggio in Giappone, dove si sposò ed ebbe due figli e abbandonò totalmente il nome di Vongola Primo.

La Prima Famiglia si comportò allo stesso modo, decisero di tenersi in contatto, ma nessuno volle più sentir parlare di Mafia o di qualsiasi altro genere di argomento che riguardava il loro passato; rimanevano i ricordi e nulla di più.
Giotto fu assassinato da un misterioso killer, ma quasi tutti erano sicuri di conoscere il mandante:  si trattava del Boss della Seconda generazione dei Vongola.
 Ricardo aveva deciso di estirpare completamente le radici, in modo da eliminare qualsiasi cosa potesse contrastarlo.
Subito dopo la morte di Giotto seguirono diversi casi: furono rapiti alcuni allievi della palestra di Knuckle, infatti subito dopo la separazione dai compagni aveva deciso di riprendere con la boxe, non voleva rinunciare a quello sport così importante per lui, ma soprattutto voleva che le nuove generazione utilizzassero la boxe per salvare le persone, proprio come aveva fatto lui in passato. Quei ragazzini non furono più ritrovati.
Successivamente fu assassinata la fidanzata di Alaude; si sarebbero sposati pochi mesi dopo. Lui non sembrò particolarmente colpito da quel fatto, ma tutti lo conoscevano abbastanza da sapere che se Alaude aveva donato il suo cuore a una donna, lei doveva esser stata molto speciale.
L’anno prima invece morì la moglie di G., si erano sposati tre anni prima e avevano avuto una bambina di nome Sara, che aveva compiuto di recente tre anni. La donna era stata assassinata di fronte agli occhi della bambina, lo shock fu tale che lei si rifiutò di parlare, la situazione ancora adesso non era cambiata.

Al funerale di Giotto si riunirono tutti i Guardiani, dopo ben sei anni di separazione, dove si erano tenuti in contatto solo di rado.
La notte prima aveva piovuto per cui l’aria era rinfrescata; il silenzio quasi opprimente, interrotto solo dal requiem cantato dai religiosi e dai pianti dei parenti e famigliari.
G. soppesò lo sguardo dei suo amici, chiedendosi se anche il proprio era così assurdamente patetico. Nessuno di loro piangeva, ma negli sguardi di ognuno era presente un tono malinconico e stanco.
Teneva Sara per mano, lei notando la tristezza sul volto del padre aumentò appena la presa, come a volergli infondere forza. L’uomo si deconcentrò dalla figura di Giotto e dal suo viso, dal suo corpo ancora evidente nella cassa da morto aperta per chi voleva dargli un ultimo saluto, e rivolse lo sguardo verso la bambina, sorridendole.
«Sto bene.» Mentì prontamente, ricambiando la stretta di quella mano così delicata.
Doveva essere forte, altrimenti chi l’avrebbe protetta? Quando sua moglie morì esattamente un anno prima – ironico perdere due persone così importanti nello stesso periodo, vero? – non riuscì a non piangere e furono le prime e ultime lacrime che versò pubblicamente.
Probabilmente superò in parte quel dolore proprio perché Giotto era lì con lui, e c’era anche Sara, proprio come ora.
Sara diventò la sua unica speranza, l’unico motivo per cui non impugnò più il proprio arco o la pistola. Non voleva più immischiarsi in quel mondo di sangue e morte, non poteva permetterselo per la salvezza della sua bambina, anche se doveva rinunciare a vendicare sua moglie e soffrire silenziosamente, proprio come aveva fatto il resto del gruppo.
La cerimonia fu piuttosto veloce e vedere per l’ultima volta il viso di Giotto sereno come sempre portò ulteriore scompenso nella testa di G., così come per gli altri.
Anche Giotto aveva avuto due figli, vedere quei due bambini così somiglianti al padre strappò un sorriso al rosso, non poté far altro che fare le sue condoglianze alla moglie in lacrime, salutare i compagni e allontanarsi con Sara.
Nessuno desiderava più perdite, ma allo stesso tempo nessuno aveva più la forza di combattere come facevano un tempo. Erano passati solo sei anni, ma sembravano esser passati secoli.
«Spade, chi diavolo ti ha invitato?»  Ruggì tanto improvvisamente da spaventare Sara che fissò spaesata il padre; G. la attirò a sé, improvvisamente protettivo.
Al richiamo da parte dell’ex Guardiano della Tempesta, Daemon si mostrò senza farselo ripetere due volte, sgusciando dal suo nascondiglio di nebbia che lo rendeva apparentemente invisibile a chiunque non avesse le giuste capacità per rintracciarlo.
Quando i loro sguardi si incrociarono, il viso di G. assunse un’espressione scontrosa, memore di tutto ciò che era accaduto in passato tra lui, Daemon e l’intera Famiglia Vongola.
«Sei soddisfatto ora che Giotto non c’è più?» Più diretto che mai provocò l’avversario con quella domanda, Daemon non si disturbò dal nascondere un sorriso soddisfatto sulle labbra.
«Come mai non lo sono stato, anche se non basterà per portare indietro ciò che ho perso io.»
Sentir pronunciare con tanta freddezza quelle parole fece ribollire il sangue nelle vene al rosso, ma non si scagliò contro Daemon come avrebbe fatto in passato, al contrario accarezzò con il pollice la manina della sua bambina ancora stretta nella propria. Daemon notò quel gesto e posizionò le iridi blu sulla bambina a fianco di G. che portava i capelli rossi fuoco legati in due eleganti trecce e sorrise intenerito, o almeno così sembrava.
«E’ tua figlia? Ti assomiglia parecchio, spero non abbia ereditato il tuo stesso caratteraccio.»
Sara sembrò capire l’offesa verso il padre e mostrò automaticamente la lingua al Guardiano della Nebbia, facendo apparire sul viso di G. un piccolo ghigno soddisfatto.
«Mia moglie le ha dato una buona educazione, ma evidentemente l’odio verso di te, l’ha eredito da me.» Disse senza particolari problemi, ignorando l’accigliarsi di Daemon, che non se la prese più di tanto in fondo.
Probabilmente anche gli altri Vongola si erano accorti della presenza di Daemon, ma nessuno a parte G. si presentò a quella sottospecie di indesiderata riunione. Forse sarebbe stata la giusta occasione per parlare di alcune cose successe in passato, ma al solo pensiero a G. doleva la testa.
«Oh, mi dispiace per tua moglie… Chissà che fatica allevare un cane randagio aggressivo e una bambina. Ti faceva dormire a letto con lei o nella cuccia?» Quella provocazione bastò a far scattare i nervi rimasti assopiti per anni di G. istintivamente afferrò per le spalle Sara, chinandosi verso di lei per poi guardarla in viso.
«Non guardare. Stai girata, okay?»
La bambina allungò le braccia verso il padre, ma lui con un gesto decisamente poco paterno la spinse in là, obbligandola a stare di spalle e nell’esatto momento in cui Sara fu abbastanza lontana da non poter vedere la scena, si scagliò addosso a Spade.
Daemon si trovò preso alla sprovvista, mugugnando in disappunto quando fu sollevato per le giacca da G. e scaraventato con la schiena contro un albero, avvertendo la fastidiosa sensazione della corteccia che lo graffiava.
«Quello che hai fatto è davvero troppo… Non me ne frega un cazzo se non sei stato tu, ma per me è come se avessi agito anche tu, visto che stai con quegli schifosi.»
Sputò quelle parole come se si trattasse di veleno, fissando Spade dritto negli occhi con una rabbia che avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque. Poi improvvisamente lo lasciò andare, respirando profondamente e facendo apparire un sorriso divertito sul volto di Daemon.
«Non capisci? Se vi comportavate diversamente, ora le persone per voi preziose, non sarebbero morte… E di chi è la colpa? Ovviamente del Primo. Con la sua bontà ha ucciso tutti, a partire dai vostri animi ricolmi dei suoi sentimenti. Siete diventati tali e quali a lui, tanto deboli da non riuscire ad opporvi quando siete minacciati… Mi fate pena.»
G. spalancò lentamente gli occhi, scuotendo il capo ad ogni singola parola pronunciata da Daemon. Stava infangando il nome di Giotto, dei suoi ideali e della loro amicizia passata. L’odio covato per tutti quegli anni esplose come un torrente in piena, riversandosi in un pugno che colpì direttamente il viso di Daemon.
«Questo è per gli allievi di Knuckle. Non sappiamo che fine abbiano fatto, ma come avete potuto prendervela con dei bambini che volevano solo seguire i suoi insegnamenti?!»
Le iridi color sangue di G. splendevano di una luce innaturale, improvvisamente agli occhi di Daemon sembrò tornare lo stesso ragazzo di sei anni fa, arrogante e impulsivo.
In passato lui e G. avevano litigato molto spesso, ma pochissime volte avevano finito per alzare le mani, proprio perché ogni volta c’era qualcuno a interromperli, ma al momento non c’era nessuno che avrebbe potuto disturbarli.
Un altro pugno, ancora più forte, colpì Daemon sulla guancia opposta. Faceva dannatamente male.
«Questo è per
Élodie, la fidanzata di Alaude. Avrebbero dovuto sposarsi pochi mesi dopo la sua morte, ti rendi conto di quanto aveva preso a cuore quella donna? » Sottolineò con tono grave, e in effetti non c’era niente di più vero, chi l’avrebbe mai detto che Alaude sarebbe potuto cambiare così per una persona al di là di sé stesso?
Ancora un pugno, questa volta nello stomaco, e tanto forte da fargli sentire il sapore della bile in gola.
«Questo è per la mia amata Jocelyn. Una moglie e una madre impeccabile, bellissima e dal cuore d’oro… E anche per Sara che l’ha vista morire davanti ai propri occhi e non è più riuscita a parlare da quel giorno. Grazie per avermi rovinato la vita.»
A stento riuscì a trattenere le lacrime, le lasciò scivolare dagli occhi, rigandogli le guance, persino la voce gli tremava.
Sara emise un piccolo verso rammaricato, ma obbediente non si mosse dal suo posto, posandosi entrambe le mani sulle orecchie, chinata in avanti. Conosceva il dolore del padre, ma sentire la sua sofferenza ancora viva nelle sue parole la faceva stare a maggior ragione ancora più male.
«Questo infine è per il Primo, per Giotto. La persona per cui ci siamo incontrati tutti noi, colui che riusciva a tenerci legati nonostante tutto… L’uomo che ha provato tanto rimorso nei tuoi confronti per la morte di Elena da decidere senza opporre resistenza di abbandonare i suoi sogni, la sua gente. A lui dispiaceva eccome, Daemon; Giotto voleva bene a Elena, non avrebbe mai desiderato la sua morte.»
Daemon spalancò leggermente gli occhi, chiedendosi poi il perché, non c’era da stupirsi in fondo, visto che quel genere di comportamento rientrava perfettamente nei modi di fare di Giotto. Forse persino lui stesso lo sapeva.
G. sembrò soppesare l’idea di colpire nuovamente Daemon, la abbandonò infatti e abbassò a mezz’aria l’ennesimo pugno che avrebbe dovuto essere più potente degli altri. Quel gesto lasciò interdetto Daemon, anche se una piccola parte di sé se lo aspettava.
«Ma dubito che né Giotto, né Elena avrebbero voluto tutto questo, non credi?»
G. si scostò dall’altro, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. Sembrava terribilmente stanco e insoddisfatto, ma anche triste e arrabbiato. Aveva smesso di piangere, ma i suoi occhi sempre orgogliosi erano ancora lucidi.
«Non posso saperlo, sono entrambi morti… Purtroppo.»
Daemon si stupì quando dentro di sé si accorse di aver indirizzato quel “purtroppo” anche a Giotto. Si sentiva sciocco per esser venuto al suo funerale, con chissà quale pretesa.

Forse da un punto di vista razionale, G. aveva ragione. Giotto non avrebbe mai desiderato la morte di Elena, ma Daemon aveva smesso di ragionale con la coerenza comune da ormai troppi anni. Non poteva accettare le debolezze altrui, tantomeno non poteva sopportare l’idea di aver perso una persona così importante per un stupido errore da parte di Giotto.
Durante il funerale guardando piangere la moglie di Giotto, vedendo quei bambini così simili all’uomo che aveva adorato e poi odiato in due modo così forti da poter rendere tutto ancora più assurdo, non poté far a meno di provare una stretta al cuore, sorprendendosi di poter sentire ancora qualcosa del genere.
G. ignorò quelle parole, cosciente del fatto che ormai Daemon non poteva più tornare indietro, aveva completamente perso la ragione. Si avvicinò nuovamente a sua figlia, che per tutto il tempo era rimasta nel suo angolino, senza voltarsi nemmeno una volta, ma tremante. Senza sforzo la sollevò, prendendola in braccio e stringendola a sé, come se fosse il tesoro più importante mai posseduto.

«Un giorno qualcuno te la farà pagare. Non saremo noi solo perché ci siamo giurati di non imbracciare più le nostre armi, ma so che un giorno la pagherai cara, Spade. La Famiglia Vongola di Giotto, quella di Elena… Non è la stessa Famiglia Vongola che tu e Ricardo state distruggendo.»
Le sue ultime parole rimbombarono pesantemente nella testa di Daemon, pronunciate con la durezza più assoluta. Fissò le spalle di G. curve mentre stringeva la piccola Sara tra le sue braccia. Aveva sempre pensato che quell’uomo fosse ossessionato dalla protezione dei Vongola e di Giotto, ma solo in quel momento, vedendolo stringere quella creatura a sé non poté non capire che G. era una persona protettiva nei confronti di qualsiasi cosa amava.
Forse G. non era mai stato così sbagliato, semplicemente faticava ad esprimere ciò che provava, pensò Daemon.
Per quanto però quei cambiamenti potessero fargli del male, per quanto gli altri potessero andare avanti… Le lancette del suo orologio erano rimaste bloccate nel passato.

   
 
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