« Requiem aeternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.
Te decet hymnus, Deus, in
Sion,
et tibi reddetur votum in
Jerusalem.
Exaudi
orationem meam;
ad te omnis caro veniet.
Requiem aeternam dona eis,
Domine,
et lux perpetua luceat
eis. »
Era
autunno quando Giotto morì.
Sei
anni dopo il suo spodestamento dai Vongola e dal tradimento di Daemon
Spade.
Cinque
dal suo viaggio in Giappone, dove si sposò ed ebbe due figli
e abbandonò
totalmente il nome di Vongola Primo.
Giotto
fu assassinato da un misterioso killer, ma quasi tutti erano sicuri di
conoscere il mandante: si
trattava del
Boss della Seconda generazione dei Vongola.
Ricardo aveva deciso
di estirpare
completamente le radici, in modo da eliminare qualsiasi cosa potesse
contrastarlo.
Subito
dopo la morte di Giotto seguirono diversi casi: furono rapiti alcuni
allievi
della palestra di Knuckle, infatti subito dopo la separazione dai
compagni
aveva deciso di riprendere con la boxe, non voleva rinunciare a quello
sport
così importante per lui, ma soprattutto voleva che le nuove
generazione
utilizzassero la boxe per salvare le persone, proprio come aveva fatto
lui in
passato. Quei ragazzini non furono più ritrovati.
Successivamente
fu assassinata la fidanzata di Alaude; si sarebbero sposati pochi mesi
dopo.
Lui non sembrò particolarmente colpito da quel fatto, ma
tutti lo conoscevano
abbastanza da sapere che se Alaude aveva donato il suo cuore a una
donna, lei
doveva esser stata molto speciale.
L’anno
prima invece morì la moglie di G., si erano sposati tre anni
prima e avevano
avuto una bambina di nome Sara, che aveva compiuto di recente tre anni.
La
donna era stata assassinata di fronte agli occhi della bambina, lo
shock fu
tale che lei si rifiutò di parlare, la situazione ancora
adesso non era cambiata.
La
notte prima aveva piovuto per cui l’aria era rinfrescata; il
silenzio quasi
opprimente, interrotto solo dal requiem cantato dai religiosi e dai
pianti dei
parenti e famigliari.
G.
soppesò lo sguardo dei suo amici, chiedendosi se anche il
proprio era così
assurdamente patetico. Nessuno di loro piangeva, ma negli sguardi di
ognuno era
presente un tono malinconico e stanco.
Teneva
Sara per mano, lei notando la tristezza sul volto del padre
aumentò appena la
presa, come a volergli infondere forza. L’uomo si
deconcentrò dalla figura di
Giotto e dal suo viso, dal suo corpo ancora evidente nella cassa da
morto
aperta per chi voleva dargli un ultimo saluto, e rivolse lo sguardo
verso la
bambina, sorridendole.
«Sto bene.» Mentì
prontamente, ricambiando la stretta di quella mano così
delicata.
Doveva essere forte,
altrimenti chi l’avrebbe protetta? Quando sua moglie
morì esattamente un anno
prima – ironico perdere due persone così
importanti nello stesso periodo, vero?
– non riuscì a non piangere e furono le prime e
ultime lacrime che versò
pubblicamente.
Probabilmente superò in
parte quel dolore proprio perché Giotto era lì
con lui, e c’era anche Sara,
proprio come ora.
Sara diventò la sua unica
speranza, l’unico motivo per cui non impugnò
più il proprio arco o la pistola.
Non voleva più immischiarsi in quel mondo di sangue e morte,
non poteva
permetterselo per la salvezza della sua bambina, anche se doveva
rinunciare a
vendicare sua moglie e soffrire silenziosamente, proprio come aveva
fatto il
resto del gruppo.
La cerimonia fu piuttosto
veloce e vedere per l’ultima volta il viso di Giotto sereno
come sempre portò
ulteriore scompenso nella testa di G., così come per gli
altri.
Anche Giotto aveva avuto due
figli, vedere quei due bambini così somiglianti al padre
strappò un sorriso al
rosso, non poté far altro che fare le sue condoglianze alla
moglie in lacrime,
salutare i compagni e allontanarsi con Sara.
Nessuno desiderava più
perdite, ma allo stesso tempo nessuno aveva più la forza di
combattere come
facevano un tempo. Erano passati solo sei anni, ma sembravano esser
passati
secoli.
«Spade, chi diavolo ti ha
invitato?» Ruggì
tanto improvvisamente
da spaventare Sara che fissò spaesata il padre; G. la
attirò a sé,
improvvisamente protettivo.
Al richiamo da parte dell’ex
Guardiano della Tempesta, Daemon si mostrò senza farselo
ripetere due volte,
sgusciando dal suo nascondiglio di nebbia che lo rendeva apparentemente
invisibile a chiunque non avesse le giuste capacità per
rintracciarlo.
Quando i loro sguardi si
incrociarono, il viso di G. assunse un’espressione scontrosa,
memore di tutto
ciò che era accaduto in passato tra lui, Daemon e
l’intera Famiglia Vongola.
«Sei soddisfatto ora che
Giotto non c’è più?»
Più diretto che mai provocò
l’avversario con quella
domanda, Daemon non si disturbò dal nascondere un sorriso
soddisfatto sulle
labbra.
«Come mai non lo sono stato,
anche se non basterà per portare indietro ciò che
ho perso io.»
Sentir pronunciare con tanta
freddezza quelle parole fece ribollire il sangue nelle vene al rosso,
ma non si
scagliò contro Daemon come avrebbe fatto in passato, al
contrario accarezzò con
il pollice la manina della sua bambina ancora stretta nella propria.
Daemon
notò quel gesto e posizionò le iridi blu sulla
bambina a fianco di G. che
portava i capelli rossi fuoco legati in due eleganti trecce e sorrise
intenerito, o almeno così sembrava.
«E’ tua figlia? Ti
assomiglia parecchio, spero non abbia ereditato il tuo stesso
caratteraccio.»
Sara sembrò capire l’offesa
verso il padre e mostrò automaticamente la lingua al
Guardiano della Nebbia,
facendo apparire sul viso di G. un piccolo ghigno soddisfatto.
«Mia moglie le ha dato una
buona educazione, ma evidentemente l’odio verso di te,
l’ha eredito da me.»
Disse senza particolari problemi, ignorando l’accigliarsi di
Daemon, che non se
la prese più di tanto in fondo.
Probabilmente anche gli
altri Vongola si erano accorti della presenza di Daemon, ma nessuno a
parte G.
si presentò a quella sottospecie di indesiderata riunione.
Forse sarebbe stata
la giusta occasione per parlare di alcune cose successe in passato, ma
al solo
pensiero a G. doleva la testa.
«Oh, mi dispiace per tua
moglie… Chissà che fatica allevare un cane
randagio aggressivo e una bambina.
Ti faceva dormire a letto con lei o nella cuccia?» Quella
provocazione bastò a
far scattare i nervi rimasti assopiti per anni di G. istintivamente
afferrò per
le spalle Sara, chinandosi verso di lei per poi guardarla in viso.
«Non guardare. Stai girata,
okay?»
La bambina allungò le
braccia verso il padre, ma lui con un gesto decisamente poco paterno la
spinse
in là, obbligandola a stare di spalle e
nell’esatto momento in cui Sara fu
abbastanza lontana da non poter vedere la scena, si scagliò
addosso a Spade.
Daemon si trovò preso alla
sprovvista, mugugnando in disappunto quando fu sollevato per le giacca
da G. e
scaraventato con la schiena contro un albero, avvertendo la fastidiosa
sensazione della corteccia che lo graffiava.
«Quello che hai fatto è
davvero troppo… Non me ne frega un cazzo se non sei stato
tu, ma per me è come
se avessi agito anche tu, visto che stai con quegli schifosi.»
Sputò quelle parole come se
si trattasse di veleno, fissando Spade dritto negli occhi con una
rabbia che
avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque. Poi improvvisamente lo
lasciò
andare, respirando profondamente e facendo apparire un sorriso
divertito sul
volto di Daemon.
«Non capisci? Se vi
comportavate diversamente, ora le persone per voi preziose, non
sarebbero
morte… E di chi è la colpa? Ovviamente del Primo.
Con la sua bontà ha ucciso
tutti, a partire dai vostri animi ricolmi dei suoi sentimenti. Siete
diventati
tali e quali a lui, tanto deboli da non riuscire ad opporvi quando
siete
minacciati… Mi fate pena.»
G. spalancò lentamente gli
occhi, scuotendo il capo ad ogni singola parola pronunciata da Daemon.
Stava
infangando il nome di Giotto, dei suoi ideali e della loro amicizia
passata.
L’odio covato per tutti quegli anni esplose come un torrente
in piena,
riversandosi in un pugno che colpì direttamente il viso di
Daemon.
«Questo è per gli allievi di
Knuckle. Non sappiamo che fine abbiano fatto, ma come avete potuto
prendervela
con dei bambini che volevano solo seguire i suoi
insegnamenti?!»
Le iridi color sangue di G.
splendevano di una luce innaturale, improvvisamente agli occhi di
Daemon sembrò
tornare lo stesso ragazzo di sei anni fa, arrogante e impulsivo.
In passato lui e G. avevano
litigato molto spesso, ma pochissime volte avevano finito per alzare le
mani,
proprio perché ogni volta c’era qualcuno a
interromperli, ma al momento non c’era
nessuno che avrebbe potuto disturbarli.
Un altro pugno, ancora più
forte, colpì Daemon sulla guancia opposta. Faceva
dannatamente male.
«Questo è per Élodie,
la fidanzata di Alaude. Avrebbero dovuto sposarsi pochi mesi
dopo la sua morte, ti rendi conto di quanto aveva preso a cuore quella
donna? »
Sottolineò con tono grave, e in effetti non c’era
niente di più vero, chi
l’avrebbe mai detto che Alaude sarebbe potuto cambiare
così per una persona al
di là di sé stesso?
Ancora un pugno, questa
volta nello stomaco, e tanto forte da fargli sentire il sapore della
bile in
gola.
«Questo è per la mia amata
Jocelyn. Una moglie e una madre impeccabile, bellissima e dal cuore
d’oro… E
anche per Sara che l’ha vista morire davanti ai propri occhi
e non è più
riuscita a parlare da quel giorno. Grazie per avermi rovinato la
vita.»
A stento riuscì a trattenere
le lacrime, le lasciò scivolare dagli occhi, rigandogli le
guance, persino la
voce gli tremava.
Sara emise un piccolo verso
rammaricato, ma obbediente non si mosse dal suo posto, posandosi
entrambe le
mani sulle orecchie, chinata in avanti. Conosceva il dolore del padre,
ma
sentire la sua sofferenza ancora viva nelle sue parole la faceva stare
a
maggior ragione ancora più male.
«Questo infine è per il
Primo, per Giotto. La persona per cui ci siamo incontrati tutti noi,
colui che
riusciva a tenerci legati nonostante tutto… L’uomo
che ha provato tanto rimorso
nei tuoi confronti per la morte di Elena da decidere senza opporre
resistenza
di abbandonare i suoi sogni, la sua gente. A lui dispiaceva eccome,
Daemon;
Giotto voleva bene a Elena, non avrebbe mai desiderato la sua
morte.»
Daemon spalancò leggermente
gli occhi, chiedendosi poi il perché, non c’era da
stupirsi in fondo, visto che
quel genere di comportamento rientrava perfettamente nei modi di fare
di
Giotto. Forse persino lui stesso lo sapeva.
G. sembrò soppesare l’idea
di colpire nuovamente Daemon, la abbandonò infatti e
abbassò a mezz’aria
l’ennesimo pugno che avrebbe dovuto essere più
potente degli altri. Quel gesto
lasciò interdetto Daemon, anche se una piccola parte di
sé se lo aspettava.
«Ma dubito che né Giotto, né
Elena avrebbero voluto tutto questo, non credi?»
G. si scostò dall’altro,
lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. Sembrava terribilmente
stanco e
insoddisfatto, ma anche triste e arrabbiato. Aveva smesso di piangere,
ma i
suoi occhi sempre orgogliosi erano ancora lucidi.
«Non posso saperlo, sono
entrambi morti… Purtroppo.»
Daemon si stupì quando
dentro di sé si accorse di aver indirizzato quel
“purtroppo” anche a Giotto. Si
sentiva sciocco per esser venuto al suo funerale, con chissà
quale pretesa.
Forse
da un punto di vista razionale, G. aveva ragione. Giotto non
avrebbe mai desiderato la morte di Elena, ma Daemon aveva smesso di
ragionale
con la coerenza comune da ormai troppi anni. Non poteva accettare le
debolezze
altrui, tantomeno non poteva sopportare l’idea di aver perso
una persona così
importante per un stupido errore da parte di Giotto.
Durante il funerale guardando piangere la moglie di Giotto,
vedendo quei bambini così simili all’uomo che
aveva adorato e poi odiato in due
modo così forti da poter rendere tutto ancora più
assurdo, non poté far a meno
di provare una stretta al cuore, sorprendendosi di poter sentire ancora
qualcosa del genere.
G. ignorò quelle parole, cosciente del fatto che ormai
Daemon non
poteva più tornare indietro, aveva completamente perso la
ragione. Si avvicinò
nuovamente a sua figlia, che per tutto il tempo era rimasta nel suo
angolino,
senza voltarsi nemmeno una volta, ma tremante. Senza sforzo la
sollevò,
prendendola in braccio e stringendola a sé, come se fosse il
tesoro più importante
mai posseduto.
«Un
giorno qualcuno te la
farà pagare. Non saremo noi solo perché ci siamo
giurati di non imbracciare più
le nostre armi, ma so che un giorno la pagherai cara, Spade. La
Famiglia
Vongola di Giotto, quella di Elena… Non è la
stessa Famiglia Vongola che tu e
Ricardo state distruggendo.»
Le
sue ultime parole rimbombarono pesantemente nella testa di
Daemon, pronunciate con la durezza più assoluta.
Fissò le spalle di G. curve
mentre stringeva la piccola Sara tra le sue braccia. Aveva sempre
pensato che
quell’uomo fosse ossessionato dalla protezione dei Vongola e
di Giotto, ma solo
in quel momento, vedendolo stringere quella creatura a sé
non poté non capire
che G. era una persona protettiva nei confronti di qualsiasi cosa
amava.
Forse G. non era mai stato così sbagliato, semplicemente
faticava
ad esprimere ciò che provava, pensò Daemon.
Per quanto però quei cambiamenti potessero fargli del male,
per
quanto gli altri potessero andare avanti… Le lancette del
suo orologio erano
rimaste bloccate nel passato.