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Autore: Ayumi Zombie    25/07/2011    3 recensioni
Prima o poi avrebbe convinto Lily ad uscire con lui. In un modo o nell'altro.
« Ecco, salve, ecco, cercavo la Ev- cioè, Lily. Cercavo Lily. » strinse la presa sul pacchetto di cioccolatini che era riuscito ad acquistare in un negozio babbano. Aveva conquistato dietro di sé una discreta fila, e fatto perdere dieci minuti al cassiere, armeggiando con la sconosciuta e nemica sterlina.
{Seconda classificata al Lily&James Stories - Contest di GiulsGryffindor}
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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cosa è arrivato a fare quell'idiota di james potter.


James Potter aveva tanti difetti.
Agiva senza riflettere – “Io non rifletto, io risplendo” –, parlava senza pensare a ciò che stava per dire – “Io penso ciò che dico e dico ciò che penso, e penso che tutti dovrebbero ascoltare ciò che dico!” –, aveva infranto e si occupava di infrangere più regole di quante non ne conoscesse – “L’unico corridoio che non abbiamo riempito di caccabombe è quello del quarto piano, vicino al bagno delle ragazze. Muoviamoci!” –, era oltremodo vanitoso – “Lo ammetto, il mio più grande difetto è la modestia” –, ed era qualche centimetro più basso della ragazza di cui era follemente innamorato.  Ma, se c’era qualcosa per cui elogiarlo, era la tenacia.
Ed era per questa sua unica dote, probabilmente, che si mordicchiava con i denti regolari e bianchi il labbro inferiore, e fissava il campanello come se questo avesse dovuto trasformarsi in un basilisco da un momento all’altro. Ma poi si scrollò di dosso l’insicurezza che lo stava insolitamente assalendo, e si raddrizzò. Trasse un lungo respiro e premette il pulsante, senza esitare. Con suo sollievo, nessun serpente gigante cercò di sbranarlo.
Vide, con la coda dell’occhio, le tendine della finestra a fianco che si muovevano, ma non osò distogliere lo sguardo dalla porta di legno bianco. Poi sentì distintamente le parole “un ragazzo”, dei passi avvicinarsi, il cuore in gola, e il viso di una signora di mezza età che si affacciava alla porta.
« Sì? » domandò con tono gentile, ma un po’ stupito.
« Ecco, salve, ecco, cercavo la Ev- cioè, Lily. Cercavo Lily. » strinse la presa sul pacchetto di cioccolatini che era riuscito ad acquistare in un negozio babbano. Aveva conquistato dietro di sé una discreta fila, e fatto perdere dieci minuti al cassiere, armeggiando con la sconosciuta e nemica sterlina.
Gli occhi della donna – di un verde discretamente simile a quello della Evans – rimasero ad osservarlo per qualche istante. Al sentire il nome della figlia, sembrò stupita.
« Beh, al momento è su di sopra a fare la doccia. Tu saresti…?
« James. James Potter. » disse il sedicenne, con aria sicura. Nel sentirsi pronunciare il suo nome, gli sembrò di ricordarsi chi fosse, e la fiducia in sé stesso tornò salda e irremovibile come era sempre stata.
 L’espressione attonita della donna sfumò, trasformandosi in un sorriso dolce. « Oh, quindi sei tu, il famoso Potter. Vieni dentro, ti offro una tazza di tè, mentre Lily finisce di lavarsi.
Lui rimase lì, sulla soglia. Non si mosse nemmeno quando vide la signora Evans scostarsi di lato per farlo entrare. Poi si riscosse, agitando la testa e i suoi arruffati capelli nero pece, strinse ulteriormente la presa sul pacchetto di cartoncino, e mise un piede sullo zerbino. Entrò agilmente nella casetta.
Si guardava in giro, mentre la donna gli faceva strada fino ad un salottino semplice ed accogliente. Consisteva in due divanetti rosa chiaro ed una poltrona dall’aria soffice e un po’ consunta, un tavolino appoggiato su un tappeto ricoperto di graziosi disegni, ed un televisore. James rimase qualche istante a contemplarlo: ne aveva visto qualcuno solo di sfuggita, nelle vetrine dei negozi babbani di fronte ai quali passava di tanto in tanto.
« Siediti pure, caro. – gli disse la donna con aria cordiale, indicandogli i sofà. – torno tra poco con il tè. E mi scuso per il disordine, ma Lily non mi aveva detto che saresti venuto. », così dicendo, lo lasciò da solo nella stanza accogliente.
« Non dia la colpa a lei, signora, - esclamò James, la voce sicura che risuonava tra le pareti bianche adornate da qualche quadro di buon gusto. Lo sguardo, da dietro il vetro degli occhiali si andò a posare sulla poltrona, selezionando dove avrebbe dovuto andare ad appoggiare il suo regale deretano, - è che le ho fatto una sorpresa. »
La donna non gli rispose, ma lui avvertì i rumori dalla cucina. Probabilmente stava mettendo a bollire il pentolino del tè, a giudicare dal clangore metallico che sentiva. Appoggiò la scatola di cioccolatini al latte sul tavolino di fronte a lui.
Si infilò le mani sotto il didietro, come per riscaldarle, e prese a dondolarsi leggermente avanti ed indietro. Osservò la stanza: insomma, in quelle stanze era cresciuta Lily Evans, la sua futura moglie. Di sicuro, quando si sarebbero trasferiti insieme, lei avrebbe voluto ricreare qualcosa dell’atmosfera che si respirava in quel luogo. Però sperava di tutto cuore che lei trovasse almeno un po’ orribili quei centrini che si trovavano sul tavolino di legno di fronte a lui, sotto il vaso di fiori profumati.
« Ehm, ciao. » senza che lui se lo aspettasse, due parole tremolarono nell’aria.
James alzò la testa di scatto, verso la porta d’entrata alla stanza. La voce gli aveva ricordato quella della Evans, ma più sulle tonalità gracchio-stridule. Davanti ai suoi ammalianti occhi castani, ben protetti dai vetri degli occhiali, scorse una ragazza. Non troppo alta né particolarmente bella – il viso gli ricordava vagamente quello di un puledro – era immobile, impalata, esattamente al centro dello spazio tra i due stipiti della porta aperta. Le braccia erano tenute rigide lungo i fianchi ossuti e poco sinuosi. I capelli, color castano ramato, erano acconciati in una treccia un po’ cascante dietro la schiena, ed indossava un vestito leggero stampato a fiori, che lui trovò di pessimo gusto. All’improvviso, gli tornò in mente che la Evans gli aveva accennato a una sorella babbana, una volta. Sperò che quell’abito non venisse mai prestato alla sua bellissima futura consorte, reagendo al pensiero con un leggero brivido.
 « Oh, ciao! »James scattò in piedi, sfoderando d’istinto il sorriso più affascinante che gli riusciva in quel momento. Evidentemente riuscì nel suo intento, perché la ragazzina sorrise e prese a sbattere le ciglia in una sequenza veloce. Il ragazzo si chiese se per caso non le fosse finito qualcosa in un occhio.
« Io sono Petunia, - uggiolò lei, muovendosi verso di lui in quelle che per lei dovevano essere movenze leggiadre da ballerina. Gli porse la mano floscia. Lui la strinse, senza smettere di sorridere, e si risedette. Si sentì sotto osservazione da parte di quegli occhi, semi nascosti dalle palpebre che continuavano a sbattere in una maniera che a lei doveva sembrare provocante, ma a lui parve più ridicola. – mentre tu dovresti essere …?»
« Beh, io sono James. James Potter. » affermò con aria sicura, aggiungendo uno sguardo malizioso al suo sorriso intrigante. Si passò una mano tra i capelli spettinati – lui ci provava con tutte le sue forze, ma loro continuavano a non collaborare, così aveva deciso di fingere spudoratamente che quel suo non-pettinarsi facesse parte dello stile del Portentoso Potter – , e prese a studiarla più in dettaglio. In cuor suo, sperava che quella non fosse veramente la sorella della Evans, ma solo una sua lontana cugina. Gli occhi castani, dall’aspetto un po’ ottuso, erano lontani anni luce dallo sguardo verde, sveglissimo ed indagatore della sua quasi - ragazza. Il naso era un po’ adunco, diversamente da quello ben diritto e leggermente all’insù che fiutava odore di guai da metri di distanza. Il colore dei capelli, però, era tale e quale. E valeva lo stesso anche per il taglio delle sopracciglia e delle labbra – nonostante quelle della sua Evans richiedessero di essere baciate molto più a gran voce di quelle di questa Evans.
« E come mai sei qui? » chiese Petunia. Nel farlo, acuì la voce in una parodia di falsetto, grondando miele. No, si disse con decisione il giovane, questa voce era decisamente diversa da quella che, ad ogni “Vieni a fare un giro in camera con me? <3”, gli rispondeva con un secco “Esplodi, Potter”.
« Per la Evans. – disse sicuro. Lei reagì tirando indietro la testa ed inclinandola di lato, sempre senza smettere di sbattere convulsamente le ciglia. Notò cupamente che, in effetti, sì, ora era decisamente civettuola, ma più nel senso che somigliasse a quello strambo animale notturno che non in quello che probabilmente sperasse lei. – Cioè, Lily. Per Lily. »
Petunia smise immediatamente di sbattere le palpebre e raddrizzò la testa, ma senza smettere di tenerla indietro. Aggrottò la fronte e le sopracciglia, e ridusse le labbra a quella che sembrava la bocca di qualcuno che avesse appena mangiato un limone intero.
« Siamo tutti e due Grifondoro, ad Hogwarts. », spiegò lui, con una voce piena di orgoglio, e rispolverando di nuovo il sorriso accattivante che aveva affascinato la ragazza qualche momento prima. Ma, francamente, non funzionò.
Al nome della Scuola, la ragazza ridusse ancora di più la bocca, per quanto potesse sembrare assurdo riuscirci, alzò le sopracciglia fino a farle arrivare a metà fronte e spalancò gli occhi ottusi. Ora sembravano quelli di un gufo ferito che vedesse avvicinarsi i fari di un camion sulla statale. « Sei un… » mugolò, aprendo appena un buchino tra le labbra increspate, per far sfuggire le parole abbozzate con difficoltà. Fece un passo indietro, e quasi urtò il grazioso tavolino sul quale giaceva l’orribile centrino e il profumato mazzo di fiori di campo. Si strusciò la mano che James le aveva stretto sul vestito dalla stampa orrenda, si voltò indietro e si scaraventò fuori dalla stanza con un gridolino. Lasciò il ragazzo interdetto.
Stava ancora fissando il cuscino del divano, di un bel color salmone chiaro, sul quale Petunia aveva deciso di sedersi. Alzò la testa, quando sentì dei passi in avvicinamento. La signora Evans fece subito la sua apparizione, recando fieramente in mano un vassoio. Su questo, erano disposte due o tre tazze, una grande teiera di ceramica bianca dipinta con decorazioni a roselline, una scodellina di zucchero e una di latte dello stesso servizio, e una ciotola, recante delle decorazioni identiche, piena di biscotti di ogni genere. Quando lo appoggiò sul tavolino, James notò con un accenno di orrore che un pacchianissimo centrino era appoggiato a mo’ di tovaglietta anche al centro del vassoio. Grazie al cielo, i dolcetti ebbero il sopravvento sull’attenzione del mago, che prese ad osservarli con interesse. Non se ne accorse, ma si passò la punta lingua sulle labbra sottili.
Evidentemente, la donna invece lo notò, perché proruppe con orgoglio in un « Ti piacciono? Prendine pure quanti ne vuoi, li ho fatti io. ». Gli versò il tè con un sorriso soddisfatto.
Lui non se lo fece ripetere una seconda volta, e ne afferrò uno con le gocce di cioccolato. Lo rosicchiò mentre la donna gli versava una tazza di tè, trovandolo squisito. Trovò più che legittimo informarne la cuoca. « Fe buouo!», biascicò, lasciandone cadere pezzettini su tutto il tappeto. Il petto della donna si gonfiò d’orgoglio sotto il grembiule colorato, mentre aggiungeva qualche cucchiaino di zucchero.
« Bastano tre, caro? » gli chiese, con aria affettuosa.
Lui annuì, senza dimenticarsi di sbriciolare qua e là, mentre nella sua bocca era stato infilato a forza anche il secondo biscotto – questo era metà al cioccolato e metà di pastafrolla – e si accingeva a versarsi qualche goccia di latte, per allungare il tè.
« E’ molcio gencile, signoa », farfugliò, mentre annaffiava di granelli di biscotti il tappeto e sgranocchiava il terzo frollino – di impasto semplice, ma con una ciliegina nel mezzo – e alzava la tazza per berne il contenuto. Da lì si alzava un profumo che gli solleticava il naso da quando la signora gli aveva versato la bevanda.
Lei sorrise, e si sedette sul divano di fianco alla poltrona su cui era comodamente seduto a rimpinzarsi il suo ospite. « Sai, James, Lily ci ha parlato molto di te. », iniziò, lisciando il grembiule pulito sulle gambe.
Gli occhi scuri di James interruppero l’ardua selezione del quarto dolcetto, e saettarono in direzione della signora Evans. Increduli, si tuffarono nel verde tanto simile a quello in cui si perdeva di nascosto, alla ricerca di qualche particolare in più. La donna sorrise di nuovo, con un’espressione addolcita ulteriormente dall’atteggiamento infantile del ragazzo: la stava fissando, immobile, con aria concentratissima a cogliere qualsiasi parola lei stesse per pronunciare. Di tanto in tanto, qualche briciola scivolava giù dal mento privo di imperfezioni, e si aggiungeva al piccolo campo di battaglia, formatosi tra la poltrona in cui lui stava seduto e il tavolino di legno lucido su cui era appoggiato il cibo. Il ragazzo deglutì a fatica. « Cosa … dice di me? » chiese lui, per poi leccarsi via dalle labbra tutti i rimasugli di biscotti che non avevano fatto in tempo a finire nel suo stomaco o per terra.
« Beh, che sei… - provò ad introdurre la donna, ma interrompendosi, come alla ricerca delle parole adatte. - infatuato di lei. »
James mandò giù un sorso di tè, senza distogliere i penetranti occhi castani dalla signora Evans, o curarsi di ustionarsi la lingua. « Io la amo. », la corresse, senza la minima esitazione.
Lei rimase qualche istante interdetta, a guardarlo e sbarrando inconsciamente gli occhi. Poi riassunse l’espressione dolce di qualche momento prima. Riprese a parlare, con la stessa voce moderata e piacevole. « Ha anche detto che siete della stessa, si dice così?, casa, che la segui ovunque, che sei più brillante nello sport che negli studi, che possiedi un mantello dell’invisibilità… »
« Ha parlato del mantello? » chiese James, inarcando le sopracciglia in un’espressione di genuina sorpresa. Senza modificarla, mandò giù un altro sorso di tè.
« Ha detto che lo hai… - un’altra pausa, cercando di nuovo l’espressione giusta. – sfoggiato un paio di volte, per andare a trovarla in camera, a sorpresa. » le sfuggì una risatina, prontamente nascosta da una mano cicciottella.
James, per la prima volta da quando la donna aveva nominato Lily, rifugiò lo sguardo nella tazza ormai mezza vuota. Sentiva le orecchie andare a fuoco, ben nascoste dietro i capelli nero pece. Appoggiò la scodella al tavolino e prese quasi a caso il quarto biscotto, sbocconcellandolo distrattamente.
« Penso che tu piaccia abbastanza a Lily, sai. - gli confidò la donna. Si guardò attorno, tendendo le orecchie, e si rassicurò quando sentì che lo scrosciare della doccia continuava imperturbabile. Quindi riprese a raccontare, senza alcuna fretta. – È sempre lì a raccontarmi di te. Non passa giorno senza che ti nomini. Beh, lo ammetto, parla di te soprattutto per lamentarsi, ma non l’ho mai vista così esuberante nel descrivermi le sue vicende. Scrive il tuo nome almeno una volta in ogni lettera che mi invia con la posta via gufo, durante l’anno scolastico, e mi racconta quel che succede più nei dettagli, durante le vacanze estive. Credo ci siano anche altre cose che vorrebbe raccontare a sua sorella, ma Petunia è… - come al solito, la consueta pausa per cercare un termine che stesse bene con la frase, - piuttosto sensibile all’argomento magia. Diciamo che, come dire, la spaventa un po’. »
Il giovane mago spostò lo sguardo sulla signora Evans, lentamente. La fissava con occhi increduli, luccicanti. Aveva un’espressione impagabile, con gli occhi lucidi dietro  gli occhiali, e tutte le briciole che gli contornavano le sue desiderabili labbra sottili ma piene. Se un qualsiasi compagno di scuola lo avesse visto in quel momento, sarebbe rimasto esterrefatto: sembrava che il leggendario James Potter fosse quasi… commosso.
« Potter, che accidenti ci fai in casa mia?! »
James scattò in piedi, e si passò il dorso della mano sulla bocca, per togliersi qualche eventuale avanzo di biscotto da lì. Nell’enfasi, rischiò di prendere in pieno il tavolino.
Lily Evans era lì, in piedi, ritta in tutta la sua scintillante aria nobile, tra gli stipiti della porta. Era nello stesso punto in cui, qualche minuto prima, era stata la sorella, ma le due apparizioni non sembravano poter essere paragonabili. Alcuni dei lunghi capelli ramati, asciugati soltanto con l’asciugamano bianco che aveva in mano, pendevano a ciocche su una canottiera azzurra. Questa tirava sul petto piuttosto abbondante – James notò con piacere e meraviglia che, per quanto la divisa di Hogwarts le donasse, su questo punto non le rendeva proprio giustizia – e lasciava intravedere le spalline bianche del reggiseno, la cui forma semplice e priva di imbottiture si poteva intuire con una attenta osservazione della canotta. Ovviamente, a James non sfuggì. E notò anche i pantaloncini corti che le coprivano meno di metà coscia, sulle gambe completamente nude fino ai piedi, sui quali non portava nemmeno un paio di ciabatte. Solo una cavigliera argentata ornava una delle lunghe gambe della ragazza.
« Evans! » esclamò lui.
Afferrò il pacchetto di cioccolatini che aveva dimenticato sul tavolino, e non fece la solita smorfia mentale alla vista dell’agghiacciante centrino. Non lo vide neppure. Tese la scatolina nella sua direzione, tenendola con entrambe le mani. Gli occhi erano leggermente dilatati, e si sforzava di regolare il respiro perché non uscisse un rantolo affannoso. Il cuore batteva all’impazzata. Realizzò che, nonostante sembrasse solo un pacchetto di cioccolatini al latte, stava tendendo alla ragazza il suo cuore.
Lily si appoggiò il panno bianco sulla spalla, si avvicinò a lui con passo leggero, e prese il pacchetto. « Grazie. -, mormorò, abbassando i begli occhi verdi per esaminare le tante scritte che adornavano la confezione. Tirò su la testa, puntando gli occhi nei suoi. James si sentì come se qualcuno gli avesse dato un gancio destro in pieno stomaco. – ma come hai scoperto dove abito? » domandò la ragazza, aggrottando appena le sopracciglia, e sporgendo lievemente le labbra, nella sua tipica e strana smorfia sospettosa.
« Mi sono chiuso in bagno con Mocciosus, gli ho lanciato un rictusempra e l’ho lasciato ridere fino a che non mi ha implorato di ucciderlo. », proferì, con assoluta precisione e sincerità.
La Evans inarcò le sopracciglia, sorpresa. In un’altra occasione sarebbe sicuramente scoppiata una lite infinita, ma stavolta lasciò correre. « Mi stai dicendo che, con una via ed un numero civico, sei riuscito a risalire a me? » sembrava veramente stupita. Probabilmente non aveva granché fiducia delle sue capacità di orientamento. E, di sicuro, aveva ragione.
« Per amore, questo ed altro. – affermò James, con la stessa sicurezza di poco prima. Lei gli lanciò uno sguardo scettico, e lui trovò giusto correggersi. – beh, d’accordo, Remus mi ha aiutato. Ma un pochino. », borbottò, abbassando il viso ed esplorandosi i lacci, un tempo bianchi, ora tendenti al nero, delle scarpe.
« Dai, vieni fuori. » disse lei.
James sollevò il capo, incrociando di nuovo i suoi occhi. La sensazione, stavolta, era quella di un piacevole massaggio al ventre. Lily fece un cenno, indicando alla propria destra, verso il corridoio che portava fuori. Lui fece il giro del tavolo, attento a non toccare niente per sbaglio, e la raggiunse. La seguì fino a che la ragazza non aprì la porta ed andò a sedersi sui gradini d’entrata, e, una volta lì, prese posto di fianco a lei.
Di fronte a loro, una strada sonnacchiosa e abbrustolita dal sole estivo li separava da una serie di case tipicamente inglesi.
« Come mai sei venuto? » gli domandò. Fu più gentile di quando lo aveva colto nel proprio salotto a sbriciolare sul tappeto, chiacchierando amabilmente con sua madre.
« Per chiederti se ti andava di uscire con me. » rispose lui, tranquillo.
« Cosa ti fa credere che accetterò? » chiese, appoggiando il pacchetto decorato di fianco a sé, per poi prendere ad abbracciarsi le gambe, in posizione fetale, ed osservare le case di mattoni di fronte. Il mento era appoggiato alle ginocchia, e gli occhi ridotti a due fessure, per proteggersi dalla luce solare a cui non si erano ancora abituati.
« Beh, stavolta ho i cioccolatini. » disse il giovane Potter, con semplicità. Era appoggiato alle ginocchia, le gambe divaricate, la schiena leggermente chinata in avanti. Un osservatore disattento avrebbe potuto pensare che stesse fumando una sigaretta.
Lei ridacchiò. « Grazie al cavolo. »
« E poi, tua madre dice che ti piaccio. » ghignò James, girando il bel viso nella sua direzione.
« Che cosa ha detto?! » esclamò la Evans, voltandosi verso di lui di scatto e spalancando gli occhi verdi.
« Ha detto che parli sempre di me, mi nomini sempre nelle lettere... » replicò con tono vago, ed agitando la mano come a dire “eccetera eccetera”.
« Non... non è vero! – strepitò la ragazza, raddrizzando la schiena. Le gote si erano colorite di rosso, come quando era molto arrabbiata... o molto imbarazzata. – Sono stupidaggini, giuro che... giuro che non ti ho neanche mai nominato! »
« E allora perché, quando le ho detto il mio nome, mi ha lasciato entrare tutta contenta? » affermò, con un tono sornione. Aveva l’espressione di un gatto che facesse le fusa di fianco ad un caminetto acceso, e le parole avevano all’incirca quello stesso suono.
Lei non ribatté, ma rimase a guardarlo, il viso arrossato, gli occhi verdi un po’ sperduti e gli incisivi ben piantati nel labbro inferiore. James si accorse che questa era la prima volta che vedeva la Evans in difficoltà, e se lo segnò nella sua agenda mentale, sotto l’etichetta “prove-che-la-Evans-è-incredibilmente-innamorata-di-me”. Era una pagina piena di appunti, ma probabilmente quasi nessuno corrispondeva a verità. Non quanto questo, almeno.
« Allora, vuoi uscire con me? » le propose, tranquillo.
« Beh... – iniziò lei, riprendendo la calma a poco a poco. – Non farti strane idee. » borbottò, prendendo la scatoletta di fianco a lei ed appoggiandosela sulle ginocchia. Dovette armeggiarvi un po’, ma riuscì nel suo intento di aprirla.
James prese un cioccolatino prima che lei potesse servirsi, e se lo lanciò in bocca. Lo masticò tranquillamente, quindi mandò giù. « Era un sì?», le chiese, guardandola mentre si lasciava scivolare un dolcetto in bocca. Lei sgranocchiò e deglutì. Sembrò assaporare ben bene i rimasugli di cioccolata rimastile sulla lingua.
« Era un sì -, confermò. – ma solo perché i cioccolatini erano buoni. »
 
Massì, la finisco così. Per James è sicuramente un happy ending, e quanto a Lily... sappiamo che un giorno capirà che varrà la pena di sopportare quel cretino di James Potter. È la prima James x Lily che scrivo, siate clementi. Ma anche se non lo sarete, me ne frego altamente: a me piacciono così.
Avviso che mi piacciono tanto, i Malandrini e la prima generazione (?). Quindi potreste ritrovarvi altre fic spastiche come questa, scritte dalla deceduta sottoscritta, o anche no. Non lo so. Ma spero che vi piaccia. Lasciatemi sapere cosa ne pensate, così potrò migliorarmi (o peggiorare le vostre esistenze, non si sa con precisione).
   
 
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