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Autore: BrokenArrow    25/07/2011    4 recensioni
Confuso, mi avvicinai brancolando nel buio verso la luce lunare riflessa sul pavimento gelido. Quando la mia ombra si rifletté per terra, fui spaventato e incredulo di ciò che vidi, come un cieco che vede il mondo per la prima volta.
All’altezza delle spalle, dall’incavo delle costole, spuntavano un paio di ali nere.
Le mie parole uscivano a stento, soffocate dall’orrore che provai in quel momento. Impotente di fronte a quell’ombra che non mi apparteneva, mi piegai a terra e sbattei forte i pugni. Lacrime amare che non potevo fermare, scesero a fiotti, impregnando la pietra opaca.
Mentre prima sentivo le forze ritornare ora non ne possedevo più, nemmeno un briciolo. Mi sentivo come un contenitore senza alcuna utilità, svuotato da quella triste verità che ora mi apparteneva e che mi avrebbe segnato per sempre.
Ora lo sapevo... destino peggiore della morte era la dannazione eterna.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’odore. Quando aprii gli occhi, l’unica cosa che sentii fu quell’ odore pungente di sangue fresco, il mio sangue. Sentii un dolore lancinante lungo tutta la schiena, la testa pesante e stordita. Con i pochi sensi che mi erano rimasti capii di essere appeso a qualcosa.
Ma non ebbi la forza di muovermi, di reagire. Delle catene d’acciaio mi tenevano legati i polsi, le caviglie, tutto quanto il corpo. Ero sospeso a mezz’ aria, in gabbia, come un uccello non più libero di volare e, come se non bastasse, ero a petto nudo e avevo freddo. 
La realtà in cui mi ritrovai fu completamente estranea ai miei occhi. Ma sentivo una sensazione inspiegabile, di colpa. E questa colpa, di cui mi ero macchiato inconsapevolmente, gravava su di me come un marchio eterno e indelebile. 
Mi chiesi se ci fosse un destino peggiore della morte… non lo sapevo. 
L’uomo che mi aveva ridotto in questo stato non lo conoscevo ma intuivo fosse potente. Potevo solo vagamente immaginare ciò che mi aveva fatto pochi minuti prima nella penombra silenziosa. Aveva sussurrato parole confuse, deboli, somiglianti a formule magiche e solenni, apparentemente senza senso. Eppure quelle parole, nello stesso tempo in cui venivano pronunciate, le sentivo bruciare sulla mia pelle come braci ardenti. 
Con grande sforzo riuscii ad aprire gli occhi ma tutto ciò che vidi fu l’oscurità. C’era solo la luce della luna che entrava dalle inferriate di un’enorme grata e si proiettava sul pavimento, come una scacchiera di ombre. 
La mia testa era affollata di ricordi e immagini troppo confusi da ricomporre, come in un semplice puzzle. Tutto quello che era successo e che non riuscivo a ricordare sembrava il ricordo di un sogno, lontano ed evanescente e troppo estraneo per sembrare reale. 
Ricordai solo la voce di un uomo che mi aveva sorpreso alle spalle, dicendomi che me l’avrebbe fatta pagare cara, ma non ero riuscito in tempo a girarmi per vedere il suo volto, che qualcosa mi aveva colpito alla testa. 
Nel breve arco di tempo in cui ero ritornato cosciente mi ero ritrovato legato in questa cella e mentre l’uomo aveva pronunciato quelle parole incomprensibili, avevo sentito la mia schiena dilaniarsi e un dolore indescrivibile mi aveva fatto urlare, attraversandomi tutto il corpo come una scossa elettrica, fino a che non avevo perso di nuovo i sensi. Ora mi avevano lasciato solo e ferito, in questa stanza buia.
Il silenzio rotto dal mio respiro irregolare e dal battito frenetico del mio cuore. Sentivo il sangue scivolare lungo la schiena pizzicandomi le ferite aperte, per poi cadere a terra senza alcun rumore. Mi parve di avere il corpo svuotato da quanto ne avevo perso. 
Prima il dolore era lentamente diminuito ma ora stava inspiegabilmente aumentando. Sapevo che quasi sicuramente stavo morendo ma non volevo pensarci. La morte si sarebbe presa cura di me, scivolando tra le pareti, pronta ad accogliermi. Avrebbe fatto cessare l’agonia e il dolore in cui ero immerso. Così pregai che arrivasse il più velocemente possibile, ma non fu come speravo.
Minuto dopo minuto, nello stesso momento in cui il dolore raggiunse il suo apice, sentii le forze ritornare e all'improvviso mi resi conto, con orrore, che qualcosa stava iniziando a crescere sulla mia schiena. Sentii la pelle spaccarsi, come se fossi stato attraversato da una crepa profonda. Il movimento interiore che fecero le mie ossa mi fece contorcere dal dolore. 
Ero completamente spiazzato. Non sapevo se questa fosse la morte, ero solo consapevole che il mio corpo si stava trasformando, percosso da violenti spasmi e tremiti. 
I pori della mia pelle avevano cominciato a dilatarsi e nello stesso istante in cui le catene cedettero e caddi per terra, ebbi la sensazione di avere la schiena pesante. 
Mi sentivo diverso. Le ferite si erano rimarginate in pochissimo tempo. 
Confuso, mi avvicinai brancolando nel buio verso la luce lunare riflessa sul pavimento gelido. Quando la mia ombra si rifletté per terra, fui spaventato e incredulo di ciò che vidi, come un cieco che vede il mondo per la prima volta. 
All’ altezza delle spalle, dall’ incavo delle scapole, spuntavano un paio di ali nere. 
"Ma cosa…" Le mie parole uscivano a stento, soffocate dall’ orrore che provai in quel momento. Impotente di fronte a quell’ ombra che non mi apparteneva, mi piegai a terra e sbattei forte i pugni. Lacrime amare che non potevo fermare, scesero a fiotti, impregnando la pietra opaca. 
Mentre prima avevo sentio le forze ritornare, ora non ne possedevo più, nemmeno un briciolo. Mi sentii come un contenitore senza alcuna utilità, svuotato da quella triste verità che ora mi apparteneva e che mi avrebbe segnato per sempre. 
Ora lo sapevo... destino peggiore della morte era la dannazione eterna.
 
 
۞
 
Mi ero trasformato in una creatura non terrena, costretta a vivere nell’ ombra. Mentre prima non potevo credere alla magia, ora ero costretto a farlo. La sentivo dentro di me come un seme che mette radici solide e che germoglia in poco tempo. 
Non potevo credere a ciò che ero diventato. Gli angeli non potevano esistere. Esistevano solo nella Bibbia ed erano i messaggeri di Dio. Rimasi immobile per un po’, poi provai a muovere le ali. Le spiegai e con un piccolissimo sforzo ondeggiarono avanti e indietro. 
Non so come ma ci riuscivo, e senza fatica. Il mio sguardo era fisso nel vuoto, perso, distante. 
A stento riuscivo a credere di essere io a muovere il mio corpo e che a farlo non fosse qualcun altro. 
Mi chiesi per quanto tempo sarei dovuto rimanere qui dentro, ma decisi di non aspettare una risposta. Mi alzai su un ginocchio e subito mi sollevai da terra con un lieve battito d’ali. Fui circondato da un turbinio di piccole piume nere che caddero, ondeggiando lente sul pavimento. 
Mentre salivo sempre più in alto verso la grata, mi sentii avvolto da un silenzio magico e altisonante. 
Arrivai di fronte ad essa e, concentrando tutta la mia forza, scrollai le sbarre che cedettero all’ istante come prima avevano fatto le catene in cui ero avvinghiato, come fossero diventate di gomma piuma. Scaraventai a terra la grata che fece un rumore sordo. Il passaggio era stretto ma riuscii comunque a passare piegando le ali. 
Sebbene volessi andarmene da quel posto, mi sedetti un istante sull’ orlo del varco che mi ero aperto per contemplare l’alba nascente che avevo di fronte. Appoggiai la testa al muro e chiusi gli occhi. 
I raggi solari sfioravano all’ orizzonte la vegetazione della foresta che si estendeva per molti chilometri. Il tepore del sole ancora dietro le montagne mi inondò il viso, accompagnato da piccoli e leggeri soffi di vento. Tutto intorno a me non era cambiato di una virgola, la natura procedeva incessante il suo corso. 
Mi alzai in piedi e, facendo un passo nel vuoto, mi lasciai precipitare in basso ma quando arrivai a meno di un metro da terra con un battito d’ali spiccai il volo. Sapevo dove il vento mi avrebbe condotto: prima che il sole sorgesse sarei dovuto tornare a casa. Mi spinsi in alto, nascondendomi dietro le nuvole dense, segno di una pioggia imminente. 
Volare era una sensazione mai provata prima da qualunque essere umano. Sentivo tutti i pori della mia pelle più rarefatti come se il mio corpo stesso fosse diventato della stessa sostanza dell’aria in cui ero immerso. Provavo una sensazione di libertà assoluta ma mi sentivo avvolto da un velo di tristezza. Non sapevo se sarei stato capace di controllare la “trasformazione”. 
C’era un pensiero costante che più di tutti mi preoccupava: la paura di rimanere solo per tutta la vita. Forse sarei stato costretto a nascondermi per sempre lontano dal mondo in cui ero nato, dalle persone tra le quali avevo vissuto, ma non volevo pensarci per il momento. 
Sospeso in cielo, tra una nuvola e l’altra, vidi tutta Salem ancora addormentata. Tra un gruppo di case vicino al centro scorsi la mia; mi precipitai giù in picchiata e in meno di un secondo atterrai in giardino. Avevo acquisito una velocità e un’agilità sbalorditive e questo mi permetteva di rimanere quasi invisibile all’ occhio umano. 
Raggiunsi con passo felpato la porta sul retro, nella veranda che dava su un affluente del fiume Willamovit. Sotto il porticato c’era un vaso di terracotta con delle maestose orchidee bianche. Lo spostai da una parte e sotto di esso vi trovai la chiave di riserva. Nascondiglio vecchio stile ma sempre efficace. 
Entrai in casa goffamente per via delle ali che passavano a fatica nella stretta porta. Nella penombra cercai l’interruttore della luce e lo accesi. Dopo aver appoggiato la chiave sulla mensola dell’ingresso, tirai un sospiro di sollievo: finalmente ero a casa. 
Mi diressi verso la mia camera da letto. Rinunciai a fare una doccia, tanto non ci sarei entrato. Sconfitto dalla stanchezza, mi lasciai cadere sul letto come un peso morto, senza cambiarmi. Le ali erano piuttosto ingombranti anche se, steso sul letto, era come se non ci fossero mai state. 
Le lancette della sveglia segnavano le cinque del mattino. Mi rigirai nel letto più volte cercando di dormire, ma quella foto sul comodino mi stava tormentando ormai da troppo tempo, costringendomi a non distogliere lo sguardo. Raffigurava i miei genitori ed era stata scattata in giardino dal sottoscritto, un giorno d’estate. Osservai il viso mia madre sbiadito dal tempo ma ancora così vivo che, dopo aver piantato in giardino una miriade di fiori dall’ odore quasi nauseante, aveva un’espressione soddisfatta e sorridente, quasi a suggellare quel suo piccolo trionfo. Mio padre invece le stava dando un bacio amorevole sulla guancia, come premio del lavoro svolto. Quel ricordo di un anno fa mi invase come un ondata tiepida di calore. Li avevo immortalati così, in quella posa perfetta, in quel piccolo gesto quotidiano. Felici. 
Se mai qualcuno mi avesse chiesto quale fosse il vero amore, avrei risposto che i miei genitori erano per me il vero significato della parola amore. Un amore che chiunque avrebbe sognato, compreso me. Duraturo, costante e che non avevano potuto trasmettermi a lungo, ma solo per qualche breve anno di felicità. 
Mi avevano lasciato solo, senza preavviso. Un incidente d’auto li aveva uccisi entrambi mentre erano di ritorno dalla California per le loro nozze d’argento. Si erano lasciati dietro la solitudine, ormai diventata parte del mio essere. Una rabbia smisurata mi aveva assalito quando lo seppi da mio zio Jared, qualche ora dopo l’incidente. 
Ero in casa ad aspettarli mentre guardavo un noioso film alla tv, ma un brutto presentimento mi avvertì, quando non li vidi tornare. E così arrivò quella telefonata che aveva rotto il silenzio nel soggiorno e alla quale ci misi un po’ a rispondere. 
Man mano che rievocavo quei ricordi ancora così vivi nella mia mente sentii le palpebre pesanti e a poco a poco, senza accorgermene sprofondai nel sonno, evadendo per un po' dalla realtà.
 
۞
 
Hayden non poteva sapere che, lontano, nel magazzino in cui era stato imprigionato, un uomo era entrato nella cella con due rottweiler al suo fianco, bramosi e affamati. 
Fuori era ormai giorno e dei trasparenti raggi di luce entravano esuberanti dalle inferriate della cella. L’uomo aveva un espressione indecifrabile dipinta sul volto, lo sguardo fisso sulle catene scardinate e sulle piume nere, immobili sul pavimento.
"Il pasto è saltato, miei cuccioloni..." Lasciò andare i due cani che subito si lanciarono sulle piume rimaste, litigandosele brutalmente. 
Davanti a tanta ferocia l’uomo sogghignò compiaciuto e si girò di spalle allontanandosi, seguito immediatamente dai due mastini trotterellanti. 
Le piume ridotte ormai a un cumulo di resti quasi inesistenti.
  
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